Tutti i post della categoria: Economia

Dalle manifestazioni per la vita a quelle con le mutande

postato il 12 Febbraio 2011

Ci si arrampica sugli specchi per difendere qualcuno mentre il Paese va a fondo

Bisogna cominciare a parlare di cose serie che riguardano gli italiani. La gente vuole lavoro, provvedimenti seri che rilancino l’occupazione, investimenti per le piccole e medie imprese e aiuti per le famiglie, molte delle quali stanno scivolando nella povertà.
Il segno del fallimento di questi anni di governo è che siamo arrivati da manifestazioni in difesa del diritto alla vita a manifestazioni che hanno come simbolo le mutande.
Ormai per difendere qualcuno ci si arrampica sugli specchi: questo Paese sta andando veramente a fondo.

Pier Ferdinando

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Tremonti tiene conti in ordine, ma bisogna stimolare la crescita

postato il 12 Febbraio 2011

In un momento in cui nessuno governa il Paese, il ministro Tremonti si è accorto che non c’è un disegno riformatore e si preoccupa della crescita. Così cerca di tenere i conti in ordine e non è un merito da poco, altrimenti si scatenerebbe il caos e la speculazione.
In Italia pero’ cè bisogno di stimolare la ricerca, tagliare i rami secchi, promuovere un federalismo virtuoso tagliando le province e accorpando i comuni.
Togliere l’Ici è stato un grandissimo errore, perché era l’unica imposta federalista. Certo è stata una mossa popolare, si dice alla gente quello che vuole sentirsi dire, ma di questo passo i problemi non risolveremo i problemi.
Al Paese servono provvedimenti concreti anche se impopolari, non modifiche astratte di norme della costituzione che saranno in vigore se va bene fra tre anni e non serviranno a nulla.

Pier Ferdinando

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Il piano del governo incentiva solo le chiacchiere, mentre la produzione industriale è ferma al palo

postato il 10 Febbraio 2011

Quando il Governo aveva annunciato che avrebbe dato vita ad un piano organico di incentivi per rilanciare l’economia italiana, avevo sperato che, per una volta, il mondo politico passasse rapidamente dalle parole ai fatti. Purtroppo le mie speranze sono state disattese anche questa volta.

Il Piano Incentivi non è, a mio avviso, né di rapida attuazione, né contiene stimoli concreti, ma è ricco di belle parole e di begli obiettivi, ma gli italiani hanno bisogno di altro. Hanno bisogno di misure concrete, certe e che siano rese attuabili. E nulla di tutto ciò si trova in questi provvedimenti: le modifiche ai tre articoli costituzionali (aticoli 41, 97, 118), di fatto sono delle enunciazioni assolutamente generiche e teoriche, ma soprattutto diverranno operative solo alla fine di un lungo procedimento (ogni modifica costituzionale ha bisogno di vari passaggi alle camere per essere poi operativa, e deve avere una valutazione da parte della Corte Costituzionale), diventando pienamente operative solo tra alcuni mesi, anzi, se vogliamo essere precisi, le decisioni prese ieri dal Consiglio dei Ministri diverranno operative tra circa un anno e mezzo, infatti, per le modifiche costituzionali ci vuole la doppia lettura a Camera e Senato, e le due letture devono essere distanziate di circa 6 mesi l’una dall’altra. E tutto questo diventerebbe operativo se in entrambi i passaggi, non sorgessero modifiche, altrimenti i tempi si dilatano ulteriormente.

Per quanto riguarda, infine, gli altri provvedimenti, neanche questi diventeranno immediatamente operativi: siccome sono legati alle modifiche della costituzione, ne seguono tutto l’iter, ma anche se fossero immediamente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, porterebbero ben poco beneficio: il rilancio del piano casa, a io avviso, non avverrà, perchè si tratta di riesumare il vecchio piano casa del governo, che è già stato bocciato e disatteso dalle Regioni. E allora mi chiedo: cosa è cambiato dall’anno scorso, quando si è preso atto che il piano casa è rimasto lettera morta? Assolutamente nulla. Eppure sarebbe bastato, come avevamo detto, accettare i suggerimenti dell’ANCE che erano stati portati avanti in occasione della manifestazione del dicembre 2010.

L’unico provvedimento di una certa utilità sarebbe il taglio e la deducibilità dell’IRAP, legandola ad alcuni fattori come il costo del lavoro, assunzioni e così via; ma questo provvedimento, per divenire operativo, dovrà attendere almeno 18 mesi, quindi è come se non ci fosse. Ma allora, cosa ha prodotto l’ultimo Consiglio dei Ministri?

Delle belle intenzioni, ma nulla di concreto, ovvero i soliti spot, come sembra confermare il Ministro Tremonti quando afferma che bisognerà attendere Aprile per un paino concreto: “La nostra agenda è dettata e definita dall’Europa in Europa. Noi abbiamo sempre avuto come termine di riferimento il semestre europeo e l’agenda europea ed è su quello schema che dobbiamo lavorare”, ha detto Tremonti.

“Entro aprile presenteremo un documento che sintetizza il piano per la crescita, siamo convinti che sia necessario sentire tutti ma abbiamo intenzione di avere il sostegno di Fmi, Ocse e commissione europea.” Da quel che il Ministro ha affermato, si desume che la programmazione economica del governo italiano non dipende certo da Berlusconi, ma dalla UE, e allora mi chiedo: a che serve convocare un Consiglio dei Ministri se ci si limita a delle belle parole e bisognerà attendere Aprile per avere un piano concreto? Il Ministro Tremonti da due anni parla della Banca del Sud, che ancora non è neanche nata, e sinceramente ormai a questo parto non ci crede più nessuno.

Si parla dei Fondi Fas, ma sono bloccati da anni, se non quando al governo serve un “bancomat”, ma su questi fondi sarebbe il caso di specificare una cosa importante: non sono soldi del governo che vengono messi a disposizione del Sud, ma sono soldi della UE. Quindi anche in questo caso il governo non ha meriti propri, anche se poi millanta risultati e obiettivi roboanti.

In questo momento le agenzie battono la notizia che nella media del 2010 la produzione industriale, corretta per i giorni di calendario, è salita del 5,3% dal -18,3% del 2009 e dal -3,5% del 2008, rende noto Istat. La notizia è bella, ma da tecnico posso dirvi che non è certamente così spettacolare come si crede ad una prima lettura, infatti l’indice ha recuperato nel 2010 meno del 25% della caduta cumulata registrata da Istat tra 2008 e 2009, quindi l’Italia ancora non ha neanche lontanamente riassorbito gli effetti della crisi degli anni passati. Addirittura nel complesso degli ultimi tre mesi del 2010 la produzione è scesa in termini destagionalizzati dello 0,2% in termini congiunturali dal +1,3% del terzo trimestre.

Alla luce di questi dati, dobbiamo attendere, come già detto, Aprile per avere un piano concreto, sperando che sia il preludio ad una bella primavera per l’economia e le famiglie italiane.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Dal premier solo i soliti spot

postato il 9 Febbraio 2011

Pensavamo che il Presidente del Consiglio portasse provvedimenti veri che riguardano le famiglie italiane in Consiglio dei Ministri  e invece sono i soliti spot e la presentazione di disegni di legge di riforma costituzionale che, se va bene, entreranno in vigore fra un anno e mezzo. Così non si può andare avanti.

Pier Ferdinando

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Il nostro “NO” ad un federalismo che aumenta le tasse

postato il 3 Febbraio 2011

Oggi la Commissione bicamerale ha di fatto respinto il federalismo municipale (ricordiamo che il pareggio, viene visto per i regolamenti della Camera, come una bocciatura) e questo apre degli scenari che a livello politico possono pure essere affascinanti (il governo presenterà il vecchio decreto o lo metterà nel congelatore? E la Lega terrà fede a quanto detto e farà cadere il governo per andare a nuove elezioni?), ma che, probabilmente, interessano relativamente al comune cittadino che di questa bagarre rischia di capire poco e di essere, anzi, travolto da vuoti proclami.

Intanto, vorrei chiarire un punto: come ho avuto modo di dire, il punto non è “federalismo si o no”. Il concetto del federalismo in sé non porta svantaggi o vantaggi, il vero problema è come viene realizzato questo federalismo. Avevo già parlato di quali problemi ponesse questo decreto e le modifiche proposte dal governo, per le tasche dei cittadini e per la tenuta dei conti dei comuni italiani, ma mi sembra giusto chiarire ulteriormente questi punti.

Intanto partiamo da un dato di fatto: nessun Comune italiano, del Sud, del Nord o del Centro, è immune ai rischi sulla sua tenuta dei conti, con questo federalismo. Inoltre, questo federalismo, secondo i proclami della Lega, avrebbe dovuto abbassare le tasse recuperando efficienza nella spesa pubblica. Ebbene non è così.

Intanto l’IMU, l’Imposta Municipale Unica, è di fatto una sorta di patrimoniale, seppur mascherata; il quadro della cedolare secca sugli affitti, si presentava come un regalo per i redditi alti senza contenere alcun accenno di vantaggio per le famiglie numerose e per quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese (il governo ha cancellato dal decreto il famoso fondo di solidarietà che sarebbe servito per calmierare gli affitti delle famiglie numerose).

Infine, altro punto dolente, riguarda la famigerata TARSU, ovvero la Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani, che se collegata direttamente alla rendita catastale rischia di diventare altamente iniqua e illogica: la TARSU dovrebbe essere proporzionale a quanto una persona, o un nucleo familiare, inquina e produce rifiuti, e non a quanto grande o quanto vale una casa. Direi che su questo punto la logica è semplice e cristallina: se io inquino tanto, devo pagare tanto. Un controllo puntuale dei rifiuti, inoltre, permette di attuare la raccolta differenziata con notevoli punte di efficienza, come è dimostrato dall’esempio della provincia di Treviso dove la Tarsu è commisurata alla quantità di rifiuti prodotta dai nuclei familiari.

Il rischio, quindi, era quello di dare vita ad un federalismo di facciata, che servisse come bandierina alla Lega per il suo elettorato, ma che non portasse alcun vantaggio ai cittadini, i quali non si fanno certo ingannare da un paio di proclami ben piazzati. Dire che il federalismo municipale permette una diminuzione delle tasse è una affermazione che deve essere dimostrata dai fatti concreti, inoltre bisogna chiarire, di quali tasse si parla. Con un abile gioco di prestigio, infatti, il governo ha fatto sparire alcune imposte, salvo farle riapparire sotto altro nome: se mi tolgono le tasse di registro, la tassa ipotecaria, e altre tasse, ma poi me le ripresentano con il nome complessivo di IMU, è chiaro che per le mie finanze di cittadino, non è cambiato nulla.

Ma il gioco di prestigio non si ferma a questo, perchè il governo gioca abilmente con le parole, infatti parla di “diminuzione di tasse”, ma non parla delle imposte comunali o delle tariffe: tagliando i trasferimenti ai Comuni, e girando ai comuni maggiori “responsabilità sui servizi”, ha anche bisogno di meno soldi (perché diminuisce la spesa statale), ma per il cittadino non cambia nulla, perchè l’esborso monetario è sempre uguale (non ha importanza che io paghi allo Stato o al Comune, alla fine i soldi escono dalle mie tasche).

Purtroppo per Berlusconi e Bossi, questo giochino ormai è palese, infatti, stando al Censis, il 42% degli Italiani teme che il federalismo fiscale porti nuove tasse, mentre il 25% pensa che la pressione fiscale resterà invariata, e solo il 23% pensa che diminuirà, mentre il 10% degli italiani non ha un’idea in merito.

Per il 35,1% degli intervistati, aumenterà anche la complessità degli adempimenti fiscali, contro il 31,1% di chi pensa che resterà invariata e il 22% di chi pensa che invece diminuirà.

Stando ai dati diffusi dal Censis, “quattro italiani su dieci (il 41%) credono che il federalismo fiscale possa contribuire a migliorare la gestione della cosa pubblica, ma la metà dei cittadini (il 50,2%) è del parere che la riforma aumenterà il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud. Il timore è avvertito soprattutto dalle persone più istruite (il 53,2% tra i diplomati, il 54,1% tra i laureati) e dai lavoratori dipendenti (il 51,3%). Infine, l’8,8% afferma di non sapere cosa sia il federalismo fiscale, un gruppo che pesca soprattutto tra i meno istruiti (il dato sale in questo caso al 17,8%)”.

A questo punto, io mi preoccuperei, invece di volere approvare a tutti i costi un federalismo di dubbia utilità, di tornare a studiarlo per avanzare proposte condivisibili, chiare e comprensibili da tutti gli italiani, perché questi ultimi non sono stupidi, e si accorgono quali politici hanno posizioni concrete, e quali invece producono solamente spot elettorali che resteranno irrealizzabili.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Bravo Galletti, insisti: ragioniamo d’economia

postato il 29 Gennaio 2011

E’ sconcertante, e per altri versi, esilarante, osservare ogni giorno in televisione, tanti politici arrampicarsi sugli specchi. Ultimamente però, il tutto è stato acuito dalle indagini che hanno interessato il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ore e ore di programmazione televisiva a frignare su queste stupidaggini, parole e parole spese in attacchi e difese, scontri e battaglie, scaramucce e applausi.

L’altra sera, a “Porta a Porta” su Rai Uno, ho notato qualcuno, ormai stufo di blaterare su questi temi: era l’on. Gianluca Galletti, dell’Unione di Centro, che, invitato da Bruno Vespa a esporre la linea politica del suo partito in merito alle vicende personali di Berlusconi, cercava di portare la conversazione fuori tema, parlando di federalismo, di riforma economiche, di indebitamento dei Comuni, di attività delle aule parlamentari. Galletti, anche se per pochi minuti, riusciva a far parlare i suoi interlocutori, tra cui l’on. Fabrizio Cicchitto e l’on. Anna Maria Bernini, entrambi del Popolo della Libertà, di temi concreti e soprattutto economici, con un risvolto reale sulla vita degli italiani.

Ma Vespa, riusciva a riportarli sul tema per cui erano stati invitati, con l’aiuto degli infaticabili falchi Antonio Padellaro, direttore de “Il Fatto Quotidiano” e di Maurizio Belpietro, direttore di “Libero”, che di economia e riforme non ne volevano sapere affatto, intenti come erano a rinfacciarsi le cavolate che giravano sui giornali negli ultimi giorni e che facevano vendere migliaia di copie ai loro quotidiani.

Ma perché Galletti era l’unico che voleva parlare d’altro? Perché gli altri interlocutori trovavano difficoltà a seguirlo? Perché chiunque, in questo Paese, voglia parlare di cose serie, è sommerso dalle cavolate? Perché non si parla seriamente di federalismo, dei suoi pro e contro? Perché non si parla dei reali effetti di questa riforma, soprattutto sulla libertà dei Comuni e sulle penalizzazioni delle aree svantaggiate d’Italia? Perché Vespa preferisce parlare tanto delle sue amate escort e delle sue oscene inchieste sugli omicidi, invece di parlare della crisi economica in Italia, tasso di disoccupazione alle stelle, ecc. ecc.?

È palese che Berlusconi fa l’agenda politica italiana, decide lui di cosa parlare e cosa nascondere. Ecco perché bisogna riportare al centro del discorso politico italiano i temi economici, imitando quel “kamikaze” mediatico di Galletti, che cercava in tutti i modi di farsi ascoltare. I politici responsabili devono riunirsi per programmare un futuro all’Italia e fare in modo che si parli d’altro. Solo così si spiazzeranno i millantatori di destra e di sinistra, capaci solo di ripetere a pappagallo i comunicati stampa diramati da Palazzo Chigi.

Parliamo di energia, di competitività, di made in Italy, di lavoro, di giovani, di turismo, di dissesto idrogeologico, di investimenti, di patrimonio artistico da valorizzare, di esportazioni, di imprese, di sburocratizzazione, di quote latte, di ambiente ed agricoltura, e dopo aver parlato, tema per tema, si dà una propria possibile soluzione al problema. In questo dovremmo imitare i tedeschi, che con pragmatismo hanno già recuperato le perdite dovute alla crisi finanziaria e ora continuano a crescere, sfruttando il volano delle riforme, della ricerca e delle esportazioni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

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Il Federalismo municipale azzera l’autonomia impositiva dei Comuni

postato il 26 Gennaio 2011

Battute finali per il federalismo fiscale, il cavallo di battaglia della Lega Nord. Eppure le critiche non mancano. Certo, si può sostenere che sono critiche strumentali e di parte, e lo sarebbero se a queste critiche non si accompagnassero delle proposte alternative che, da tecnico che mastica numeri ed economia, trovo condivisibili.

Ad esempio, la “Tassa di soggiorno”: sostanzialmente i comuni potrebbero mettere una tassa giornaliera di massimo 5 euro che pagherebbe il turista. Chiaramente questo non è un provvedimento a favore del turismo e, francamente, trovo la scelta contraddittoria visto che proprio il Governo ha ritenuto il turismo un valore aggiunto per l’economia italiana. Se si vuole incrementare un settore, bisogna che i costi di questo settore siano più convenienti, oltre ad attuare investimenti; ebbene, di investimenti non se ne parla, e neanche di abbassare i costi, se si mette una nuova tassa giornaliera e a persona. Invito tutti a fare due conti: se un turista, italiano o straniero, volesse visitare Firenze per 7 giorni, oltre al costo preventivato, dovrebbe aggiungere questa tassa la quale peserebbe per 35 euro. Sembra poco, ma non lo è se poi andiamo a considerare un nucleo familiare di 4 persone (passiamo a 140 euro complessivi), o se consideriamo le limitate disponibilità economiche di molti turisti (soprattutto giovani). E, signori, guardate che stiamo parlando di un settore che, fino a 3 mesi fa, il governo affermava di volere rilanciare e che incide per il 10% nel PIL italiano e che impiega due milioni e mezzo di addett. Soprattutto questa tassa dimostra ancora di più l’incoerenza di questo governo abituato a governare con gli spot: prima promette fondi per incoraggiare il turismo dei meno abbienti (finanziata però con l’8 per mille e quindi sempre a carico dei cittadini italiani), salvo poi aumentare i costi proprio per i turisti. Ma questa stessa tassa, per altro, è profondamente osteggiata anche dagli operatori del settore come Federalberghi, Assoturismo Confesercenti e Federturismo, come anche le associazioni dei consumatori.

Ovviamente mi rendo conto che il Governo, a furia di tagliare i trasferimenti ai Comuni, ha portato questi ultimi sull’orlo del baratro economico, come afferma l’on.le Occhiuto, ma non possiamo neanche pensare di scaricare il problema sulle spalle dei cittadini, o, se proprio si deve fare, lo si deve fare in maniera ragionata e senza colpire le fasce più deboli della popolazione. A tal proposito è significativa la proposta alternativa dell’UDC e del nuovo Polo: parametrare questa tassa, non sulla persona, ma sulla capacità di spesa della persona, andando ad incidere maggiormente sugli alberghi e le strutture più costose e quindi rivolte ad una clientela agiata e che può permettersi questa ulteriore tassazione, mantenendola sempre nei limiti di pochi euro.

Altro punto controverso è la cedolare secca sulle rendite da immobili, di cui abbiamo già parlato evidenziando i difetti di una proposta che non è abbastanza incisiva per incoraggiare il settore dell’edilizia e combattere l’evasione fiscale, e non aiuta a sufficienza le famiglie, perchè destinare 400 milioni per gli affitti delle famiglie non abbienti o numerose, è assolutamente insufficiente.

Inoltre il Governo, per sopire le proteste dei Comuni ha attuato una mossa assolutamente ridicola: si è fatto carico di coprire le eventuali differenze di entrate, qualora dalla cedolare secca non si riuscissero ad avere sufficienti introiti. Ma il federalismo non doveva portare meno spese per il governo e per il cittadino? Allora, volendo muoverci in tal senso, ovvero favorire i cittadini senza aumentare l’imposizione fiscale, si può scegliere la proposta alternativa presentata sabato scorso dal nuovo Polo: due cedolari secche per le rendite immobiliari, una pari al 20% sui canoni “liberi”, e una al 15% sui canoni concordati (dando quindi un sollievo pari a 2000-2500 euro per i cittadini); per coprire i maggiori costi basterebbe anticipare al 2011 (invece che 2013) i tagli sui consumi intermedi previsti dalla manovra estiva, questo anticipo permetterebbe di reperire risorse pari a 2,8 miliardi di euro. Va da sé quindi che con la proposta dell’UDC e del nuovo Polo, il cittadino ottiene da un lato un risparmio tangibile, l’economia ottiene il rilancio del settore immobiliare, e senza aggravare i conti dello Stato.

Questi 2,8 miliardi, infatti, potrebbero essere così distribuiti: un miliardo per coprire il minore gettito della cedolare secca, mentre 1,8 miliardi di euro andrebbe al fondo per le deduzioni fiscali sugli affitti per le famiglie numerose.

Tutto questo regge anche se non andiamo a considerare la lotta all’evasione fiscale. Se poi andiamo a considerare il possibile recupero delle somme che sfuggono tramite evasione ed elusione fiscale, si potrebbe addirittura prevedere un ulteriore sollievo fiscale per le tasche dei cittadini.

Come si vede, quindi, i punti oscuri e problematici sono numerosi, ma esistono anche delle soluzioni. Sarebbe sufficiente che il governo evitasse di volere a tutti i costi varare un federalismo fiscale imperfetto e decidesse di prolungare per altri 12 mesi lo studio e le discussioni  per trovare delle soluzioni ottimali e condivisibili. In caso contrario è comprensibile che, come ha affermato oggi Casini, l’UDC si schieri contro una riforma che avrà come unico risultato, quello di strozzare i Comuni e le loro autonomie, contraddicendo lo spirito che anima questa riforma.

A ciò si aggiunga il fatto che i Comuni sono praticamente “alla canna del gas”. A tal proposito proprio oggi l’UDC  ha presentato, in una conferenza stampa la proposta di congelare per due anni la restituzione dei mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti, che permette ai sindaci di sbloccare investimenti e di potenziare lo stato sociale

In conclusione il problema non è “Federalismo si” o “Federalismo no”, ma se si vuole fare bene o male questa riforma.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Il problema non sono i magistrati

postato il 22 Gennaio 2011

Ci sono stati tanti abusi nel corso degli anni da parte dei magistrati, ma il problema qui e oggi non e’ rappresentato dalla magistratura, ma riguarda il decoro, le modalita’, il modo in cui, chi e’ al governo, deve dare un segnale al Paese.
Mi domando perché il governo non abbia fatto una riforma della giustizia, così come tante altre cose. Mi domando dove sono il piano casa,  le ronde per la sicurezza e l’abolizione degli enti inutili.
Invece, i tagli lineari hanno colpito tutti, comprese le forze dell’ordine e i militari che mandiamo in Afghanistan.

Pier Ferdinando

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L’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre è molto di più di una questione economica

postato il 21 Gennaio 2011

La battaglia per le frequenze del digitale terrestre non è solo una battaglia economica per vendere delle frequenze televisive e fare incassare allo Stato dei soldi (per la precisione si prevede un incasso di circa 2,4 miliardi di euro); è soprattutto una battaglia di diritti e trasparenza, e soprattutto una battaglia per determinare il futuro della televisione italiana che è così importante nelle nostre vite (basti pensare all’intrattenimento, ai modelli culturali, all’informazione che veicola la televisione).

Il ministro Romani ha assicurato che entro breve tempo si concluderà la vendita delle frequenze televisive legate al digitale terrestre, eppure la vicenda si trascina da mesi. Perché?

La gara è stata ripetutamente bloccata, dalle obiezioni sollevate in questi mesi dal ministro Romani sulla partecipazione di Sky all’asta, infatti lo scorso luglio la Commissione Europea aveva autorizzato Sky Italia a partecipare alla gara (beauty contest), ma Romani, allora vice ministro, aveva ipotizzato l’esistenza di una norma italiana che, in presenza di determinate condizioni, vieta il controllo del capitale di un operatore di rete televisiva da parte di un soggetto extra-comunitario. Volendo fare una battuta, potremmo dire che anche alle frequenze televisive serve il permesso di soggiorno, anche se per certi programmi servirebbe “il permesso del buon gusto”; ma torniamo sull’argomento centrale.

Avuto l’OK della Commissione Europea si poteva ipotizzare che la procedura si velocizzasse, invece no, perchè Romani decide di rivolgersi al tribunale amministrativo per un altro parere legale; ma il 20 dicembre la richiesta è rigettata, con la motivazione che il quesito era stato posto male e in maniera troppo generica. A questo punto, forte del parere della UE e senza problemi giuridici in vista, ci si aspetterebe il via libera alla gara, ma il ministro Romani decide di rivolgersi nuovamente al Consiglio di Stato, questa volta facendo bene i compitini e ponendo un quesito ben circostanziato. Secondo Romani, il parere arriverà tra 30 giorni circa, poi si procederà alla gara e per fine Aprile si assegneranno le frequenze.

C’è chi sostiene che tale scrupolo legale da parte del ministro Romani sia da ricercare nel fatto che chi maggiormente si è espresso contro la partecipazione di Sky sia appunto il gruppo televisivo Mediaset controllato dalla Finivest del presidente Berlusconi; a queste ipotesi il ministero risponde che la motivazione è quella di “evitare di esporre la gara ad una serie di ricorsi”.

Al di là di queste considerazioni se si va a considerare i dati Auditel degli ultimi 4 anni, pubblicati da Antonio Genna si osserva come il panorama televisivo stia cambiando, la presenza di Sky è cresciuta e che il digitale terrestre ha spezzettato gli ascolti danneggiando principalmente le “Ammiraglie” di Mediaset e Rai, come si osserva dal semplice sotto:

Ma il punto fondamentale è che se il governo italiano continua con questa “melina” giuridica, rischia una guerra commerciale con gli USA (SKY, che ha già lamentato forti penalizzazioni da parte del governo italiano è americana) e delle multe dalla UE perchè rallentiamo la libera concorrenza, per di più non si capisce perché queste obiezioni non siano sollevate anche in altri campi e altri operatori come Wind.

Su tutta questa vicenda, l’on. Rao, che già in passato era stato testimonial di punta nella battaglia per la liberalizzazione del WI FI ha affermato che frenare un operatore commerciale come Sky significa mettere a rischio investimenti, ma soprattutto, penalizzare i consumatori e che bisogna garantire leale concorrenza nel settore informativo.

Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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100% Made in Italy, il fattore umano dell’impresa, il federalismo: la parola a Confartigianato

postato il 21 Gennaio 2011

La redazione del blog pierferdinandocasini.it intervista quest’oggi il Presidente Nazionale del gruppo Alimentari Vari di Confartigianato, dott. Mauro Cornioli che ringraziamo per la disponibilità.

Il suo settore come sta vivendo la crisi internazionale di questi anni?

Nonostante la crisi finanziaria, posso affermare che il settore alimentare si sta comportando molto bene. Consideri inoltre che la piccola impresa si difende meglio perché realizza un prodotto tipico di una determinata zona, che da un lato non è facilmente omologabile o replicabile altrove, e dall’altro si presta bene anche ad essere esportato quando è un prodotto di qualità.

D’altro canto mi sembra che, nello specifico della sua azienda, il settore erboristico ha vissuto con la globalizzazione e l’import-export con i paesi orientali come ad esempio la Cina, e quindi siete “abituati” a confrontarvi con il Mondo.

Indubbiamente si. Basti pensare a Marco Polo e alla “via della seta” con la Cina su cui transitavano anche spezie e piante officinali. Si importavano prodotti 500 anni fa dalla Cina, si importava dalla Cina 100 anni fa, si continua ad importare dalla Cina anche adesso.

Oggi però vi sono stati alcuni cambiamenti: alcuni prodotti che venivano importati dalla Cina, ad esempio, ora sono importati dall’Est Europa, e certe merci importate dall’Est Europa sono di nuovo prodotte in Italia e poi esportate. Ma questo non è l’unico mutamento.

Un cambiamento molto importante, e che premia l’economia italiana, proviene dal rialzo del costo della manodopera cinese a seguito della crescita di questo paese e il risultato è una crescente difficoltà per i cinesi nei settori dove è preponderante appunto il costo della manodopera.

In molti si lamentano della scarsa capacità competitiva dell’Italia, per migliorare questa situazione, lei cosa farebbe?

E’ importante ripristinare la verità rispetto alla confusione che impera attualmente. Per fare un esempio: una etichettatura trasparente sarebbe molto importante. Ci sono le intenzioni, ma poi queste ultime non si traducono in fatti. La legge Reguzzoni – Versace sul Made in Italy che fine ha fatto? E’ una vergogna che la legge, anche se approvata, sia sparita perchè i decreti attuativi non sono stati fatti. Come vede ci sono buoni slanci, ma poi ci si ferma. E questo non è possibile

Lei cosa suggerisce a tal proposito?

Non mettiamo i dazi, ma trovo che sia una vergogna che i paesi del Nord Europa dicano che l’Italia, paese con una grande tradizione manifatturiera ed estremamente competitivo in termini di manualità, di idee e di inventiva, non possa proteggere il Made in Italy. Il consumatore deve essere informato e deve essere certo che contenuto ha quel prodotto, perché, se vuole un prodotto italiano, deve sapere come e dove è stato prodotto, come diceva le legge Reguzzoni – Versace.

Quindi mi sembra di capire che lei sostenga che la legge Reguzzoni – Versace avrebbe permesso di distinguere tra un prodotto etichettato Made In Italy, ma che di italiano ha solo il passaggio finale e che magari è prodotto altrove, ed un prodotto che è fatto interamente in Italia.

La legge Reguzzoni – Versace cosa diceva? Dava forza ad un nuovo marchio che era culturalmente forte e vincente, ovvero il marchio “100% made in Italy”, così il consumatore sapeva che il marchio “Made in Italy” poteva indicare anche un prodotto che in parte era fatto anche in Cina, mentre il marchio “100% Made In Italy” indicava un prodotto fatto interamente in Italia, tutti così sarebbero stati coscienti di quel che compravano. La piccola impresa che produce esclusivamente in Italia, sarebbe stata premiata.

A proposito di grandi imprese: in questi giorni vi è stato il “referendum” di Mirafiori. A mente fredda, lei che impressione ha avuto dell’intera vicenda?

In questo momento il sindacato deve svincolarsi dal difendere chi fa assenze ingiustificate o chi non comprende l’importanza di essere altamente produttivi. Ecco, se il sindacato continua questa difesa, allora sbaglia.

Ma sbaglia anche Marchionne, perchè non si possono buttare via 60 anni di relazioni in 5 minuti. La trattativa doveva essere gestita meglio e la vittoria è stata sofferta. Per altro nessuno ha parlato della cosa più grave che è successa, ovvero che la Fiat è uscita da Confindustria.

Scusi, potrebbe esplicitare meglio questo suo concetto su Confindustria e Fiat?

Io mi chiedo: cosa farà ora Confindustria senza la Fiat? E le altre imprese resteranno in Confindustria o anche loro se ne usciranno? Lo stile Fiat diventerà un modello per tutti ? Anche perchè bisogna vedere cosa decide di fare la Confindustria che è pur sempre uno dei maggiori sindacati datoriali, inteso come sindacato dei datori di lavoro. Bisogna vedere, infatti, se manterrà un concetto etico fondato sulle relazioni sindacali e il confrontro con lo Stato o se deciderà di raggiungere Fiat nelle sue scelte di rottura. Inoltre si apre un altro quesito molto importante: considerando che all’interno di Confindustria vi sono aziende a partecipazione statale (le ferrovie, Finmeccanica, Enel, Eni per citarne alcune), è giusto che lo Stato paghi Confindustria seppur attraverso il constributo associativo? O questo non genera un conflitto di interessi visto che, senza Fiat, cresce il peso dello Stato all’interno di Confindustria che a sua volta dovrebbe confrontarsi con il governo sui temi lavorativi? Ecco, queste sono domande importanti a cui bisognerebe dare risposta, ma che sembrano non trovare posto nel dibattito odierno.

Sostanzialmente lei afferma che vi è il rischio che in Confindustria restino solo le aziende a partecipazione statale o che quanto meno abbiano un peso preponderante; e considerando che queste stesse aziende pagano un grosso contributo associativo a Confindustria, si potrebbe prefigurare una sorta di conflitto di interessi, giusto?

Assolutamente si, anzi vi è anche una concorrenza sleale verso le altre associazioni datoriali, come Confartigianato, CNA, Confcommercio, e così via, che per essere più forti hanno dato vita a Rete Imprese per porsi come quarta gamba del tavolo nelle trattative. Però noi viviamo solo delle quote associative pagate dalle piccole imprese totalmente private, mentre Confindustria, come detto, ha anche questo contributo da parte delle aziende a partecipazione statale.

A proposito di Rete Impresa, Guerrini, il presidente dell’associazione, ha parlato del rischio che il federalismo fiscale porti nuove tasse alla piccola impresa. Lei che ne pensa?

Consideri che la fiscalità generale è rimasta elevata, e in più sono stati aggiunti in questi anni, tutta una serie di balzelli locali anche in ossequio a direttive europee, come quella per i controlli sui prodotti alimentari attuata dalle ASL ad esempio. E qui mi chiedo: il federalismo fiscale non è che porterà nuove tasse a livello comunale, provinciale, regionale? Tenga presente che il piccolo imprenditore non ha usufruito dello scudo fiscale, perchè la grandissima maggioranza delle piccole imprese pagano regolarmente le tasse. Noi vogliamo vedere, ad esempio, come si svilupperò il discorso sugli studi di settore e il redditometro, che può anche essere utile nella lotta all’evasione. In questo momento bisognerebbe tutelare davvero la piccola impresa che fa fatica a chiudere i bilanci, anzi capita che vi è gente che lavora anche in perdita pur di ammortizzare i costi fissi.

Per finire mi piacerebbe un suo giudizio sul ruolo delle banche in Italia. Verso gli istituti di credito vi è un rapporto ambivalente da parte del grande pubblico: da un lato si chiede rigore agli istituti di credito per evitare che possano esservi fallimenti come è accaduto negli USA, dall’altro si chiede maggiore elasticità verso il credito alle famiglie e alle imprese. Lei da imprenditore, sente le banche italiane come amiche o pensa che sono “fredde” verso il sistema produttivo e le sue esigenze?

Questo inseguire il modello americano, non è l’ideale, perchè il modello anglosassone ha prodotto la crisi, di contro il sistema bancario italiano, con le sue particolarità si è difeso meglio: grazie all’aver evitato di concedere credito facile garantendosi sempre della capacità di rimborso, sul credito al consumo, su investimenti rischiosi. Però il sistema bancario italiano ha perso il rapporto che aveva prima con l’imprenditore. Troppa attenzione ai bilanci e poca verso l’imprenditore, verso la famiglia, verso le persone .

Bisogna recuperare la dimensione dei valori, dove è necessario mantenere l’attenzione ai bilanci delle piccole imprese, ma poi la banca deve anche valutare il passato e le prospettive future dell’imprenditore. Un imprenditore che magari non ha il bilancio in attivo, ma che investe nella propria impresa, dove la famiglia intera partecipa all’attività imprenditoriale , è un imprenditore che meriterebbe di essere aiutato. Bisogna recuperare il rapporto umano tra l’imprenditore e la banca.

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