Uno su tre ha detto No: «E adesso l’antipolitica è più debole»

postato il 22 Settembre 2020

«Fare subito le riforme per un rapporto tra cittadini ed eletti. Io sono favorevole alle preferenze»

L’intervista pubblicata sul Resto del Carlino

«Come si dice? È la democrazia, bellezza». Pier Ferdinando Casini, senatore e politico di lungo corso, non si strappa le vesti per la vittoria del Sì al referendum. Esorta la politica a lavorare per le riforme che, giocoforza dopo questo risultato a favore del taglio dei parlamentari, dovranno essere realizzate.

Luigi Di Maio, grillino puro e duro, parla di ’risultato storico’. Lei, che invece era per il No, che replica?
«Nulla. In democrazia, vorrei sommessamente notare, chi vince va rispettato. E in questo referendum ha vinto il Sì. Un risultato, peraltro, prevedibile».

Non sembra dispiaciuto…
«Non si tratta di essere tristi o allegri. La questione è politica. E poi la vittoria del Sì era largamente prevedibile perché praticamente tutti i leader dei partiti avevano dato indicazione di votare a favore del taglio dei parlamentari. Era quindi difficile pensare a qualcosa di diverso nel risultato».

Una bella scoppola…
«Ma non direi proprio. Il fatto che sia stato superato il 30 per cento da parte del No è invece indicativo. Di fatto, i due terzi del Paese si sono espressi a favore contro un terzo. Non mi pare un cattivo risultato». [Continua a leggere]

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“Il referendum sul taglio dei parlamentari? È una picconata alla Costituzione”

postato il 19 Settembre 2020

Le preferenze per limitare i danni

L’intervista di Mauro Giordano a Pier Ferdinando Casini pubblicata sul Corriere di Bologna

«Una delle prime regole della politica è non confondere i propri desideri con la realtà. Quindi il “Sì” vincerà, bisognerà capire quanto largamente. Ma questo, e lo dico soprattutto ai giovani, non significa che non vada combattuta una battaglia contro questa demagogia antiparlamentare». Pier Ferdinando Casini, senatore bolognese eletto nel 2018 tra le file del Pd, ha sposato da subito il fronte del «No» al taglio dei parlamentari: la prima esperienza da deputato risale al 1983 e di fatto è il politico con la più lunga presenza tra Camera e Senato.

Casini, perché NO?
«La Costituzione è una cosa molto seria e non si riforma a colpi di piccone. La diminuzione dei parlamentari io l’ho già votata due volte con i governi Berlusconi e Renzi. Il problema non è la riduzione ma non si può assecondare chi crede che i costi della democrazia siano troppo elevati. Il primo effetto del Sì sarà che interi territori non saranno rappresentati; il secondo è che le due Camere dovranno fare le stesse cose che fanno oggi, lavorando peggio»

Chi sostiene il Sì spiega che altri provvedimenti arriveranno dopo il taglio.
«E’ un diversivo si rendono conto anche loro che la riforma così è una presa in giro» [Continua a leggere]

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Che errore. Il taglio è demagogico e la base dem dice NO

postato il 16 Settembre 2020

I 5S si sono ricreduti sulle loro battaglie. Hanno solo questo referendum come ultima bandiera.

L’intervista di Concetto Vecchio pubblicata su Repubblica.

Pier Ferdinando Casini, lei è il decano dei parlamentari.
“Venni eletto la prima volta nel 1983”.

L’estate di “Vamos a la plaja”.
“Natta mi parlava in latino, Almirante era curioso di noi giovani dc, quando mi ritrovai davanti Saragat mi parve così carismatico che non trovai il coraggio di parlargli”.

Era un Parlamento con più qualità di adesso?
“C’erano Andreotti, Berlinguer, Craxi, Fanfani. Un altro film”.

Si vota per tagliare le poltrone. Lei come ha fatto a mantenere la sua per 37 anni?
“Sono un caso clinico. Ma la politica è stata la mia vocazione. E aggiungerei: la mia professionalità. Se avessi voluto diventare ricco avrei fatto un altro mestiere”.

Perché voterà No?
“Perché dietro il Sì c’è l’idea per cui i politici sono un problema e bisogna tagliarli. Ho passato la mia vita nelle istituzioni, non posso rinnegare la mia storia favorendo una demagogia antiparlamentare”.

Non sono troppi 945 parlamentari?
“Erano tanti anche quando ero giovane ma allora, a differenza di oggi, i parlamentari erano conosciuti. Oggi provi a chiedere in giro: nessuno conosce più i propri eletti”.

Come lo spiega?
“Intanto c’erano le preferenze, che imponevano una selezione. Ognuno di noi era espressione di un mondo. Nel weekend, se passava una legge divisiva, avevi paura a tornare nel collegio: dovevi renderne conto puntualmente alle categorie.”

Come finirà domenica?
“Non sarà tanto importante conoscere chi vincerà, ma come vincerà. Due anni fa il sì avrebbe vinto con il 90%. Stavolta non credo”. [Continua a leggere]

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Voto NO. Molti territori non rappresentati. La riforma è sbagliata

postato il 10 Settembre 2020

Un parlamento ridotto nei numeri e senza una selezione democratica con le preferenze sarebbe uno scandalo

L’intervista di Giuseppe Alberto Falci pubblicata sul Corriere della Sera

”Sono contento di vedere tutti questi convertiti dell’ultima ora, io ho sempre votato No al taglio dei parlamentari” esordisce al telefono Pier Ferdinando Casini, già presidente della Camera e oggi senatore fra le fila del gruppo delle Autonomie.

Presidente, la sua contrarietà alla riduzione di deputati e senatori è la difesa di chi siede in parlamento da 37 anni?
“C’è stato un signore dei 5 Stelle che ha sollevato questa obiezione sostenendo che io difendo la casta dei parlamentari. in realtà è l’esatto contrario”.

Si spieghi meglio.
“Proprio perché da 37 anni sono in Parlamento, sono uno dei pochi che non ha interessi privati, di rielezione”.

Quali sono le ragioni del suo No?
“La riforma del numero dei parlamentari può essere una strada solo se la si àncora a due fatti”.

Primo.
” Le modalità con cui vengono eletti i deputati e i senatori”

Secondo.
“La differenziazione del ruolo delle due Camere. Quindi una riforma del bicameralismo paritario, con una Camera della Regioni”. [Continua a leggere]

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«I parlamentari non si riducono così, l’antipolitica lascia irrisolti i problemi»

postato il 5 Settembre 2020

Il Pd paga lo sforzo per creare il governo, ma anche M5S non ha alternative

L’intervista di Marco Conti pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, sul taglio dei parlamentari ha votato quattro volte No. Pentito?
«Assolutamente no. In qualità di decano ho sempre difeso la centralità del Parlamento contro l’idea robesperriana che tagliando le teste dei parlamentari si risolvono i problemi della democrazia italiana. E’ un’equazione inaccettabile pensare che con l’antipolitica si risolvono i problemi della politica».

Invece?
«I problemi della politica si risolvono con la buona politica. Tagliare le teste senza porci il problema di come arrivano i parlamentari in Parlamento, è una follia. Io sono arrivato quarant’anni fa. I miei elettori mi conoscevano e mi votavano. Le preferenze, delegittimate a lungo, sono state in realtà lo strumento di trasmissione tra il Paese e la sua classe dirigente. Non poteva capitare che in una provincia di Roma non conoscessero i nomi dei propri rappresentanti sia essi democristiani, comunisti o missini. Oggi nessuno sa chi sono i propri rappresentanti. Questa è stata una delle ragioni che ha favorito l’antipolitica perchè quando manca la conoscenza di una persona eletta alla quale si può rivolgere la critica, si crea una spaccatura». [Continua a leggere]

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Il No di Casini: “Un referendum da Robespierre”

postato il 1 Settembre 2020
Le primarie non siano un affare
di famiglia Pd. Meglio Gualmini. 
Mi schiero contro i tagli alla Camera e al Senato. Sono in compagnia della sinistra? È uno scherzo della storia. 


L’intervista di Silvia Bignami pubblicata su Repubblica di Bologna.

«Questo referendum serve solo a
tagliare delle teste, alla Robespierre:
io non ci sto», Pier Ferdinando Casini
vota No al taglio di un terzo dei
parlamentari al vaglio delle urne il
20-21 settembre. «Vedo molti
convertiti dell’ultima ora, ma io ho
votato sempre No in parlamento e
non cambio idea» assicura,
sorridendo sulla congiunzione
astrale che lo mette in sintonia con la
sinistra radicale, in gran parte
schierata sul voto negativo: «Uno
scherzo della storia, ma posso giurare
che non sia voluto né da me né da
loro». Piuttosto a sorprendere è il Pd,
che pecca di «generosità» per
compiacere i 5 Stelle e salvare il
governo. E che rischia di sbagliare
anche sulle comunali per Bologna:
«Un errore fare le primarie nel cortile di casa per scegliere il prossimo sindaco. Serve un profilo alto».

Casini, quindi il suo è un no al taglio dei parlamentari.
«Ho votato sempre no a questa riforma. La riduzione dei parlamentari ci può stare, a valle di una riforma del sistema e della legge elettorale, ma una sforbiciata lineare di questo tipo è solo un modo per dare in pasto all’opinione pubblica un capro espiatorio. È una presa in giro propagandistica. E siccome io ormai ho una certa esperienza di queste cose, voto contro». [Continua a leggere]

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Mezzo secolo di politica e un solo rimpianto «Vorrei che mio padre mi avesse visto volare»

postato il 14 Agosto 2020

Il decano del Parlamento si confessa: gli esordi con i giovani Dc, la fine dello Scudocrociato e la presidenza della Camera «Al liceo Galvani di Bologna ero una voce fuori dal coro, Fanfani e Forlani i miei maestri. Il Quirinale? Ho già avuto più di ciò che ho dato»

L’intervista a Pier Ferdinando Casini su Il Resto del Carlino a cura di Massimo Cutò

Nello scatto in bianco e nero del 1974 sono in tre sul palco. Aldo Moro parla al microfono. Accanto a lui Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze. In mezzo un giovanotto di belle speranze in giacca e cravatta: Pier Ferdinando Casini.
«Ricordo quella foto. Era la campagna per le amministrative, Fanfani segretario del partito aveva convinto La Pira a presentarsi capolista. Io? A 19 anni facevo i primi passi nel movimento giovanile Dc».
È ancora lì, 46 anni dopo. Non è mai sceso dal palco, il suo ring e osservatorio privilegiato. Parlamentare dal 1983 a oggi senza interruzioni.

Presidente Casini, lei è il più longevo fra i banchi di Camera e Senato. Ha attraversato indenne Prima e Seconda Repubblica. Un record. Come ha cominciato?
«Mio padre Tommaso è stato segretario provinciale bolognese della Democrazia cristiana. Ho davanti un’immagine: lui e De Gasperi in un comizio del ‘53».
Era un ragazzo con il mito della Dc?
«Studiavo al liceo Galvani, anni turbolenti. Da una parte lo squadrismo, dall’altra i collettivi di sinistra. Non c’erano altri spazi. Ero una voce fuori dal coro, convinto che la minoranza silenziosa dei moderati doveva farsi sentire. Lo scudocrociato era il mio amplificatore».
Com’era allora la politica?
«Spiegarlo ai giovani di oggi è quasi impossibile. Chi scendeva in piazza era animato dal sacro fuoco, qualunque fosse la sua parte della barricata. L’orgoglio delle scelte si coniugava con il rispetto dell’avversario».
Stesso clima in Parlamento?
«Battaglie aspre, però niente odio. Si arrivava lì per merito, certo anche per conquistare un pezzettino di potere ma mai per una rendita di posizione. La politica era la politica. Tutti riconoscevamo a quella classe dirigente immense capacità. C’erano mostri sacri in Transatlantico. Il comunista Natta, per esempio, persona coltissima: si rivolgeva in latino a me che avevo fatto il classico. E quanto ho ascoltato Almirante».
Un episodio che l’ha colpita profondamente?
«È un rammarico. Era l’85, si eleggeva il capo dello Stato e lo speaker chiamò al voto l’ex presidente Saragat. Era molto anziano. Nell’emiciclo ci fu un applauso gigantesco e unanime. Lui si voltò commosso a ringraziare. Corsi giù per salutarlo, davanti a quel monumento mi mancò il coraggio di presentarmi. Non lo vidi più».
Chi fu eletto presidente quella volta?
«Cossiga al primo scrutinio, il più giovane di sempre».
Uno degli uomini chiave della Dc?
«Un caratteraccio. Ma capì le ragioni della disgregazione del partito con largo anticipo, al di là di Tangentopoli. E dimostrò alto senso del dovere dimettendosi da ministro dell’Interno per il caso Moro. Subì un trauma mai esorcizzato, lo stesso che devastò Zaccagnini».
Moro, appunto. Chi era realmente?
«Un martire assassinato dalle Brigate rosse. Un uomo di potere che sapeva capire i bisogni della società».
La stretta di mano con Berlinguer nel ‘77 è rimasta incompiuta. Perché la destra dc l’avversò?
«Moro voleva che il Partito comunista fosse coinvolto nelle scelte: il suo compromesso storico era questo. E del resto identiche difficoltà le ha avute Berlinguer con la sinistra Pci. La solidarietà nazionale ha avuto il merito di battere il terrorismo».
Dove colloca Fanfani nella scacchiera?
«Lui e Moro sono stati i due cavalli di razza. Era un professore che correggeva i miei fogli con la matita rossa e blu, attento alle cose minori. Gira gira, c’era sempre. Il signor Rieccolo è stata una perfetta definizione».
Un aggettivo per Andreotti?
«Imperturbabile. Gestiva il potere grazie alla profonda conoscenza degli uomini. Neppure il calvario giudiziario ha potuto piegarlo».
E il suo vecchio maestro Forlani?
«Dovere, dignità, coerenza: con Mani pulite ha pagato colpe non sue. Coniglio mannaro è un soprannome che gli sta a pennello, per una sua certa ritrosia».
Perché è morta la Balena bianca?
«Per l’esaurimento di una stagione politica. Però, nella bilancia della storia, i pregi prevalgono sugli errori».
’Non voglio morire democristiano’ è una delle voci di popolo proverbiali…
«Sì, se non fosse che oggi molti rimpiangono la Dc».
C’è un’altra frase famosa: ’Voto Democrazia cristiana turandomi il naso e mi vergogno di dirlo’.
«La Dc era un partito interclassista: né operaio né pienamente borghese. Ha rappresentato i moderati, snobbati dai circoli culturali egemoni».
Lei ha fondato il centrodestra con Berlusconi e Fini. Poi tutto è finito.
«Ho cercato di imprimere una linea istituzionale finché è stato possibile. Quando ho capito che non dovevo intrupparmi nel Partito delle libertà ho salutato la compagnia, rischiando di rimanere fuori dal Parlamento».
Scelta che rifarebbe?
«Sì. Se sono sopravvissuto correndo da battitore libero, vuol dire che di centristi c’è bisogno. Essere di centro è nell’indole italiana».
D’accordo la Dc, ma lo spezzettamento Ccd, Cdu e Udc? Durante un incontro pubblico lei confessò di non ricordarsi la sigla del momento…
«Troppi personalismi. Gli elettori non ce l’hanno perdonato».
Perché la chiamano Pierfurby?
«È un regalino di Cossiga, una di quelle polpette avvelenate che solo i Dc sapevano cucinare».
Parliamo dei politici di oggi. L’impressione è che la maggioranza sia totalmente impreparata.
«A volte è così. Se insisto con le preferenze è perché sono un modo per selezionare una classe dirigente non cooptata dai vertici dei partiti. Uno non vale uno».
La parola d’ordine del grillismo è un’illusione?
«I fatti sono fatti. Prendiamo Di Maio: adesso ha studiato alla scuola della Farnesina e si vede. Non è mai troppo tardi».
Come giudica l’irruzione di Grillo nella politica?
«Bene o male ha incanalato la protesta popolare nei canali istituzionali».
E il percorso della Lega?
«Ha subito un’involuzione dal federalismo di Bossi al nazionalismo spinto. Non credo al sovranismo di destra. La sconfitta di Salvini è maturata proprio sul terreno europeo, mi spiace che non l’abbia capito».
Sull’Europa continuano a scommettere Berlusconi e Prodi. Su questo i due grandi nemici di un tempo sono d’accordo: è un paradosso?
«Niente affatto. Su versanti opposti cercano di tenere assieme un mondo in bilico e non è semplice. Quarant’anni fa c’erano i gulag e le dittature in America latina, i regimi comunisti e la Nato: le differenze fra bene e male erano chiare».
A proposito di Berlusconi: com’è, visto da vicino?
«Simpaticissimo. Il più bugiardo che esista, mente perfino con se stesso. Ma è un uomo buono».
Il veterano Casini potrebbe scrivere il vademecum del perfetto politico. Sa che in questo senso a Bologna dicono tre cose di lei?
«No, quali?».
Innanzitutto che la domenica va ai Giardini Margherita perché ci passa tutta la città. È vero?
«Ci vado perché a 65 anni fa bene camminare».
E poi che non manca mai a funerali e matrimoni. È vero?
«Certi eventi privati non vanno trascurati. Quando si presenta al seggio, la gente si ricorda di chi gli è stato accanto nei momenti importanti».
L’ultima: porta la sciarpa della squadra di calcio anche a Ferragosto perché i tifosi che votano sono tanti. È vero?
«Ho quattro figli, il più piccolo ha 12 anni e vive a Roma. Mi ha detto: papà, il mio sangue è rossoblù. Ne sono orgoglioso».
Più complicato fare il padre o il politico?
«I miei figli sono molti uniti tra loro, anche se nati da due madri diverse. Sono la mia benedizione: allungano la vita».
La sua è lunghissima. Nel 1983 fu eletto in Parlamento con 34.000 voti, nel 2018 ne ha avuti 69.991. Si considera un Highlander?
«Ringrazio chi mi sopporta. Durare è molto più difficile che arrivare».
Inutile nascondersi: molti guardano a lei come a una riserva della Repubblica. Il finale della parabola è il Quirinale?
«Dopo 40 anni di vita repubblicana senza macchia, non chiedo altro: ho avuto più di quel che ho dato. Vorrei solo che mio padre mi avesse visto in tutto questo tempo» .

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«Il premier si è battuto ma eviti trionfalismi. Per decidere le priorità apra all’opposizione»

postato il 22 Luglio 2020

Unità nazionale? Un passo alla volta

L’intervista di Giuseppe Alberto Falci pubblicata sul Corriere della Sera

«Partiamo dal fatto che l’Italia a Bruxelles si è battuta bene, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato costante, ha tenuto. In sintesi, prova superata».

Presidente Pier Ferdinando Casini, se questa è la premessa sull’accordo della scorsa notte, Recovery Fund, cosa non la convince?
«Ora arriva la prova più difficile. Dobbiamo presentare piani credibili, seri, concreti, che siano finalizzati all’innovazione e alla produttività del Paese. Occorre dunque non disperdere questo fiume di denari che arriveranno dall’Europa. Potremmo a quel punto dire che da un dramma come il Covid può nascere un elemento di speranza».

Ma l’esecutivo è in grado di superare questa prova?
«E’ legittimo coltivare qualche dubbio, ma Conte e i suoi ministri devono giocarsi questa partita».

Non a caso in molti evocano la nascita di un governo di unità nazionale.
«Sono storicamente un fautore di una formula mai così giustificata dai fatti come oggi. Ma sono il primo a dire: facciamo un passo alla volta, mettiamo in comune la definizione di progetti strategici che andranno presentati a ottobre».

Tradotto, il premier deve coinvolgere l’opposizione?
«Sì, io dico: accontentiamoci di fare un passo più piccolo del governissimo, evitiamo intanto di scrivere un’agenda unilaterale sul piano di rinascita di questo Paese». [Continua a leggere]

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«Galletti sarebbe eletto sindaco. Proprio per questo il Pd non lo candiderà»

postato il 24 Giugno 2020

I dem preferiscono rischiare di perdere con un candidato ‘targato’ che vincere con un esterno alla tradizione della casa

L’intervista di Luca Orsi pubblicata sul Resto del Carlino di Bologna

Prima si schermisce: «Sono un libero battitore, ormai fuori dai giochi». Di elezioni per il sindaco 2021 – e delle manovre più o meno sotterranee in seno al Pd, con le prime schermaglie fra aspiranti candidati – Pier Ferdinando Casini non vorrebbe parlare: «Sono un senatore della città, non entro in queste logiche. Ma… se parlo dico quello che penso, perché non debbo più fare carriera». E allora? «Il dibattito non è cominciato bene».

Senatore, cosa non le piace?
«L’analisi è autoreferenziale, tutta nel reticolo del Pd».

La vittoria alle regionali ha ridato fiducia ai dem.
«Ma c’era Stefano Bonaccini. Un governatore che poi, in piena pandemia è riuscito, come forse solo Zaia e De Luca, ma molto meglio di loro, a dare buona prova di sé in un momento drammatico».

Per Palazzo d’Accursio è tutto ancora da decidere.
«Vedo un po’ troppa tranquillità, come se fosse una sfida senza storia, da amministrare come un problema interno del Pd. Ma qui non c’è Bonaccini».

Non crede che sia possibile trovare un Bonaccini?
«Al momento mi pare che ci si stia limitando a ‘pesare’ questo o quell’assessore, a dialogare a sinistra, a verificare le Sardine… È vero che c’è il tentativo, da parte di alcuni, di correggere il tiro. E fanno bene, perché se la premessa è questa, si rischia la catastrofe». [Continua a leggere]

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Ue: io credo al sovranismo europeo

postato il 17 Giugno 2020

Il mio intervento nella discussione sull’informativa del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della videoconferenza dei membri del Consiglio europeo prevista per il 19 giugno 2020.

Voto Parlamento sacrosanto ma al termine del negoziato. E’ frutto di gabbie ideologiche inaccettabili vincolarci a non accettare i fondi del Mes. E’ inevitabile che l’Italia lo faccia, sono fondi che serviranno all’ammodernamento del sistema sanitario

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, lei ha enucleato questa mattina, davanti al Parlamento, alla Camera e poi al Senato, un quadro descrittivo di un processo negoziale che è ancora in corso.
Colleghi, il primo punto è di metodo, ma voi sapete che il metodo spesso è sostanza. Io credo che la centralità del Parlamento si nutra di metodo. Nei giorni scorsi l’opposizione ha chiesto un voto parlamentare, che io ritengo sacrosanto, ma è giusto che il voto parlamentare arrivi al termine del processo negoziale. Al termine del processo negoziale noi dovremo, in Parlamento, assumere la decisione di quali strumenti intendiamo usufruire. È chiaro, infatti, che in questo momento, mentre la trattativa è in corso, noi, anche per un problema negoziale, non possiamo impiccarci oggi nel prendere impegni che il Paese deve necessariamente assumere dopo. È un problema di logica.
Pertanto francamente non capisco, se non in termini di astratta disputa politica (che, per carità, è sempre comprensibile), una sorta di conflittualità oggi nelle Camere su questo punto.
Il Presidente del Consiglio è stato chiaro e ha detto che il negoziato in corso probabilmente cercherà, anche a nome dell’Italia, di strappare qualcosa nel processo negoziale in corso e poi decideremo quali strumenti adottare. Personalmente – lo dico ai colleghi del MoVimento 5 Stelle – ritengo che sia frutto di gabbie ideologiche inaccettabili, ad esempio, vincolarci a non utilizzare i fondi del MES. Ritengo che sia inevitabile che l’Italia lo faccia; questi fondi serviranno all’ammodernamento del nostro sistema sanitario. Per cui credo che sia inevitabile che l’Italia vada su questo piano, ma lo decideremo quando avremo presente la gamma di strumenti su cui fare le scelte politiche che il Parlamento deve fare.
Questa crisi è costata all’Europa migliaia di vite umane e poteva portare a due effetti: o la morte dell’Europa, o la sua rinascita. Davanti a tutti i sovranismi che abbiamo visto declinare in questi mesi e in questi anni, ho sempre ritenuto che l’unico sovranismo a cui attingere realmente fosse il sovranismo europeo. Credo al sovranismo europeo, perché penso che procedere in ordine sparso non sia possibile neanche alla Germania, che di tutti i Paesi europei è inevitabilmente quello più forte e più strutturato. Diciamo la verità: la Germania è stato il Paese che anche in questa situazione ha dato una prova largamente migliore, considerando il numero contenuto di morti e visto come hanno reagito il sistema sanitario e le strutture economiche. Eppure, nemmeno loro possono andare avanti da soli.
Il sovranismo, a cui una parte almeno di questo Parlamento si sente legato, è quello europeo. Davanti a questa situazione drammatica credo che l’Europa ci sia, ci sia stata ed esista. Scappatoie di altro tipo non sono possibili. Voglio esprimere quindi apprezzamento per la proposta franco-tedesca ed anche, in particolare, per l’atteggiamento della signora Merkel, che di questa Europa inevitabilmente è il leader. Tante volte l’abbiamo criticata, ma – diciamo la verità – davanti alla pronuncia della Corte costituzionale tedesca la Merkel ha tenuto il punto ed è andata avanti: questo è un fatto molto importante.
Colleghi, possiamo sinceramente meravigliarci dei Paesi cosiddetti frugali? Possiamo legittimamente contestare l’impostazione dei Paesi frugali. [Continua a leggere]

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