“Caro Matteo, dammi retta il ballottaggio è pericoloso”

postato il 11 Settembre 2016

Votare sì al referendum è un dovere morale Ma eliminiamo il doppio turno dalla legge elettorale

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L’intervista di Alessandro di Matteo a Pier Ferdinando Casini pubblicata su La Stampa.

Pier Ferdinando Casini, perché ha riunito i “centristi per il sì”?
«Credo sia un dovere morale che chi ha votato la riforma in Parlamento la sostenga nel paese e non mi piace che il dibattito sul referendum diventi un regolamento di conti nel Pd. Inoltre, io sostengo Renzi convintamente – perché è unica alternativa allo sfascio – ma gli ho voluto dire che se gli argomenti che usa per il sì sono quelli dei costi della politica allora siamo al grillismo di ritorno, sono argomenti deboli e autolesionisti».

Tocca a lui aprire il tavolo sulI’Italicum per salvare il referendum?
«Renzi ha capito di avere regalato ai suoi avversari un argomento in più di cui non c’era affatto bisogno, quando ha personalizzato il referendum. Ora è troppo burocratico dire che si rimette alla volontà del Parlamento, il governo dovrà prendere l’iniziativa. L’Italicum cambierà, lo sanno anche i sassi. Ma si farà dopo il referendum». [Continua a leggere]

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«Un dovere dare all’Italia la riforma. Il mio Sì è coerente»

postato il 11 Settembre 2016

Casini: il no al referendum è masochista

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L’intervista di Natalia Lombardo a Pier Ferdinando Casini  pubblicata su L’Unità

I “Centristi per il Sì” hanno esordito ieri mattina al Teatro Quirino di Roma con Pier Ferdinando Casini. Un evento promosso da varie associazioni, come «Centro popolare», «La buona direzione» e «Estremo centro». Ora il “tour” referendario avrà altre tappe a Catania, Milano, Napoli e Bologna.

Anche i centristi quindi scendono in campo attivamente. Perché?
«Lo ritengo un dovere per chi ha votato in Parlamento la riforma, è un fatto di coerenza e di serietà. E poi voglio chiarire che non è una resa dei conti all’interno del Pd, è qualcosa che riguarda l’Italia e gli italiani. Rispetto le dinamiche interne al Pd ma si deve coinvolgere tutti coloro che hanno sostenuto questo cambiamento. Le parole di Napolitano sono state il sunto della nostra manifestazione». [Continua a leggere]

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Italia-Birmania: delegazione bipartisan incontra San Suu Kyi

postato il 2 Settembre 2016

Prima visita parlamentare italiana alle istituzioni del Myanmar. Cordoglio per le vittime del terremoto
Missione in Birmania

Questa mattina nella capitale Nayopyidaw, una delegazione bipartisan guidata dal Presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, ha incontrato la leader del Paese, Aung San Suu Kyi, e i Presidenti delle due Camere del Parlamento birmano. Fola la delegazione italiana, composta dalla senatrice Emma Fattorini (PD), dal senatore Vito Rosario Petrocelli (M5S) gia’ capogruppo a Palazzo Madama, dall’onorevole Sandra Zampa (PD), Presidente del Gruppo di Amicizia parlamentare Italia-Birmania, accompagnata dalla ex senatrice Albertina Soliani, in rappresentanza dell’Associazione di Amicizia Italia-Birmania. Agli incontri ha partecipato l’ambasciatore d’Italia, Pier Giorgio Aliberti.

Si tratta della prima storica visita di una delegazione parlamentare italiana alle istituzioni del Myanmar. E la missione assume un particolare rilievo perche’ avviene nel corso della Conferenza di pace, tra il governo centrale e i gruppi etnici armati, che si e’ aperta giovedi’.
“Stiamo lavorando per consolidare la trasformazione del Paese, garantire a tutti i diritti democratici e rafforzare le relazioni di amicizia con i Paesi vicini”, ha detto Aung San Suu Kyi al termine dell’incontro, illustrando ai parlamentari italiani i progressi in corso nei campi dell’istruzione scolastica, specie per i piu’ piccoli, e della lotta alla poverta’.
Nel corso della visita, svoltasi in un clima particolarmente cordiale, sono state ribadite le speciali relazioni bilaterali tra Italia e Myanmar.
L’onorevole Zampa ha rinnovato l’invito ad Aung San Suu Kyi a partecipare alla Conferenza parlamentare in ambito G7, che si terra’ a Roma nel mese di maggio. Il presidente Casini ha sottolineato come, dopo la recente visita del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, il rafforzamento della cooperazione parlamentare tra i due Paesi rappresenta un’ulteriore tappa di consolidamento dell’amicizia reciproca in una fase molto importante della vita del Myanmar. A margine degli incontri, le espressioni reciproche di solidarieta’ per i terremoti che hanno colpito, negli stessi giorni, il Centro Italia e – in Myanmar – in particolare il sito archeologico di Bagan.

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Libia: Mogherini convochi subito un vertice Ue

postato il 14 Agosto 2016

Tra noi e la Francia ancora troppi equivoci

5863651052_f5db0e5a2d_bL’intervista di Marco Ventura pubblicata su Il Messaggero
«L’Europa non può continuare ad andare in ordine sparso sulla Libia. L’alto rappresentante dell’Unione Europea, Federica Mogherini, convochi al più presto un vertice europeo per decidere una linea comune. Non può essere che la Francia vada da una parte e Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti dall’altra».

Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, invita anche a riconoscere che «il dialogo con Russia e Turchia è fondamentale se si vuole una vera stabilità nel Mediterraneo». E quanto al rischio di infiltrati jihadisti nei barconi: «Non possiamo arrenderci alla difficoltà di discernere tra migranti e infiltrati. I controlli più elevati in tutta Italia sono la risposta migliore a chi alza polveroni a Ferragosto solo per prendere qualche voto».
La sconfitta dell’Isis a Sirte non aumenta questo rischio?
«Il pericolo di infiltrati c’è sempre, in questi casi. Ma la priorità per noi era liberare Sirte: questa è una grande vittoria delle forze della coalizione e del governo di Al-Sarraj, che noi abbiamo tutto l’interesse a rafforzare. I rischi sono due. Il primo: che avanzi sottotraccia la strategia egiziana e francese di una tripartizione della Libia. Americani, italiani e britannici lavorano al fianco del governo insediato dall’Onu. La sensazione di queste ultime ore è che la liberazione di Sirte dia fastidio a chi punta sulla tripartizione e su Haftar a Bengasi. L’Europa deve chiarirsi le idee.»
Come?
«Dicendo basta alla retorica delle affermazioni pubbliche. La Mogherini convochi un vertice europeo per chiarire la strategia dei singoli Paesi. Il problema non siamo noi. Gli italiani sono coerenti sul campo con le dichiarazioni a favore di Al-Sarraj e dell’inviato dell’Onu, Kobler.»
La Francia in pubblico dice una cosa e poi ne fa un’altra?
«È evidente un tentativo dilatorio che incide con forza anche nei rapporti tra Unione Europea ed Egitto. Gli equivoci vanno chiariti senza perdere altro tempo. I problemi vanno trasformati in opportunità. Italia e Francia sono paesi amici, lavorino assieme per un accordo tra Haftar e Al-Sarraj che consenta al parlamento di Tobruk di votare a favore dell’esecutivo di unità libico.»
Sui migranti occorre una stretta maggiore come chiede la Lega?
«Ci sono professionisti della paura che continuano ad alimentare i timori nella speranza di strappare voti, e c’è poi chi cerca di risolvere i problemi ragionando. Noi dobbiamo distinguere tra disperati e jihadisti senza fare di tutta l’erba un fascio. Gli infiltrati sono una minoranza, ma dobbiamo tenere alta la guardia.»
Il leader turco Erdogan si lamenta della scarsa solidarietà dell’Europa dopo il tentato golpe
«L’ho detto subito anch’io. Non mi sono piaciute le lunghe ore di esitazione, quella notte, da parte dell’Occidente e dell’Europa. È sembrato che ci fosse chi confidava nella vittoria dei golpisti piuttosto che in quella del governo legittimo. In Europa le prime reazioni ci sono state dopo che aveva parlato Obama. La chiusura delle porte dell’Unione alla Turchia nel 2003 non ha giovato né all’Europa, né alla Turchia. Dobbiamo lavorare per recuperare una partnership con Ankara, non solo per la gestione dei flussi migratori ma anche perché la Turchia è un paese fondamentale, membro della Nato. Io non ho trovato scandalosa la ripresa di dialogo con la Russia, anzi: il puzzle siriano dimostra che senza un’intesa tra Putin e Erdogan la situazione è destinata a incancrenirsi. E ho trovato positiva, poco prima del tentato golpe, anche la riapertura verso Israele.»
Che dire della repressione?
«Gli arresti di massa non ci piacciono. Ma la Turchia è stata a un passo dal golpe, il che può spiegare le reazioni di questi giorni. Dobbiamo capire chi è il nostro nemico, che non è la Russia né la Turchia. Il nostro nemico è il jihadismo, il Califfato, che non possiamo non combattere insieme a Russia e Turchia.»
La Turchia rivuole indietro il dissidente Gülen dagli Stati Uniti
«La Turchia chiede, gli Stati Uniti risponderanno secondo le regole dello Stato di diritto, ma questa freddezza non porterà a una rottura, perché la rottura tra Turchia e Usa sarebbe un lusso che nessuno può permettersi.»
Come si esce dalla logica della contrapposizione con Mosca?
«La Russia di Putin non è quella di Eltsin o Gorbaciov, disposta a smantellare il proprio sistema. I governanti europei se ne rendano conto. Bisogna non dare l’impressione di avere nostalgia per la guerra fredda. La politica assertiva e nazionalista di Putin è quella che gli procura il consenso popolare che ha. La Russia com’è oggi è anche figlia delle scelte americane, compreso il disimpegno dal Mediterraneo per via della raggiunta autonomia energetica. La Russia ha coperto questi spazi e il mio invito è a continuare la politica del dialogo che tutti i governi italiani, di qualsiasi colore, hanno avuto verso Mosca. Le sanzioni non sono una politica per il futuro.»

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La pace tra Russia e Turchia aiuta tutti

postato il 12 Agosto 2016

Casini ZuccariL’intervista di Francesca Schianchi, pubblicata su La Stampa.

«L’Occidente deve fare un’analisi della situazione internazionale e capire quali battaglie sono prioritarie e chi costituisce una minaccia – predica il presidente della Commissione esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini – e non sono né Erdogan, né Putin».

Però molti guardano con timore al loro avvicinamento…
«Io invece dico: per fortuna si sono avvicinati! Non si combatte l’Isis, non si risolve la crisi siriana, se non vanno d’accordo Russia e Turchia».
Non teme un asse eurasiatico in funzione antioccidentale?
«No, la Turchia non è nella Nato per farci un favore, ma perché starci rispecchia i suoi interessi strategici e politici. E poi a San Pietroburgo ho letto un alto tasso di furbizia da parte di entrambi, per spaventare l’Europa. Cerchiamo di non cadere nel tranello».
Non la preoccupa l’incontro di due pulsioni autoritarie?
«Mi preoccupano di più le pulsioni autoritarie di Stati che fanno parte dell’Ue. Vorremmo tutti lo standard di democrazia europea, ma sappiamo cos’è successo quando abbiamo provato a esportarlo, ad esempio in Iraq».
La Turchia però alza i toni e minaccia di far saltare il rapporto con gli Usa se non consegnano Gulen…
«Vedrà: la Turchia non lascerà la Nato, né il rapporto con gli Usa, né introdurrà la pena di morte. Ma sulla Turchia siamo convinti di non avere niente da rimproverarci?».
Cosa intende dire?
«Ricordo Erdogan nel 2003 alle riunioni del Ppe, quando bussava alle porte dell’Europa: Chirac e Schroeder le chiusero e la Turchia è rifluita su posizioni islamiste. E, in un passato quasi presente, a me non è piaciuta per niente l’esitazione europea durante la notte del golpe».
Anche nei confronti della Russia dobbiamo fare qualche autocritica?
«Dobbiamo dire con chiarezza che, a differenza dei Paesi baltici, non siamo nostalgici della guerra fredda: la linea deve essere quella di associare la Russia alla Nato. Per questo le sanzioni fanno male a noi e a loro e vanno progressivamente superate: il rispetto degli accordi di Minsk dipende anche dall’Ucraina, e i suoi governanti hanno dato pessima prova in termini di credibilità. In quella vicenda i russi hanno commesso un’illegalità, ma ricordo che l’Ucraina è un ponte tra Russia e Europa: non è Europa. La rappresentazione di una Russia che ci espropria dell’Ucraina è sbagliata».

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Libia: giusti i raid Usa a Sirte, l’Isis a un passo dalle nostre coste

postato il 10 Agosto 2016

10471952983_507e30d160_oL’intervista di Umberto De Giovannangeli,  pubblicata su L’Unità.

«La guerra di Sirte» e il ruolo che l’Italia sta giocando, o dovrebbe giocare, in Libia. Parte da questi temi di strettissima attualità, l’intervista a tutto campo al presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini.

Presidente Casini, in questo giorni in molti, e troppi senza cognizione di causa, si sono esercitati sulla “guerra di Sirte” e sul ruolo che l’Italia dovrebbe giocare. Qual è in proposito il suo punto di vista?
«A Sirte si gioca una battaglia che ci riguarda molto da vicino: l’Isis è a qualche centinaio di chilometri dalle coste italiane e un lusso che non possiamo permetterci è far finta di non vedere. Gli americani sono intervenuti rispondendo a una richiesta del governo libico legittimato dalla comunità internazionale, la loro azione è ineccepibile e per questo dobbiamo solo ringraziarli. L’intervento aereo era indispensabile per supportare l’azione da terra anti Daesh dei misuratini che, prima dei raid americani, avevano già contato 350 morti e 1800 feriti».
Di questo avviso non sono i Cinque Stelle. Di Battista, nel recente question time alla Camera della ministra della Difesa, Roberta Pinotti, ha parlato di «follia» in riferimento alla possibilità che l’Italia conceda l’uso della base di Sigonella per i raid su Sirte. 
«I Cinque Stelle hanno un tasso di confusione molto alto per quanto riguarda la politica estera. Basti pensare all’esito delle loro missioni in Europa e in Palestina. La concessione delle nostre basi agli americani è un atto dovuto. A meno che non vogliamo fare ponti d’oro agli esponenti del “Califfato” e magari invitarli a cena».
Restano le polemiche su ciò che l’Italia ha fatto o non ha fatto in Libia Presidente Casini: stiamo facendo troppo o troppo poco a Sirte e non solo?
«Voglio essere chiaro. Stiamo facendo il minimo indispensabile per non perdere credibilità internazionale. Non si può rivendicare per mesi il ruolo guida dell’Italia in Libia e poi essere così esitanti e timidi. Nelle prossime settimane dovremo riflettere molto su questo punto e porre anche in sede europea il tema di un atteggiamento unitario sulla Libia».
Perché, questa unità non esiste? 
«In Libia, l’Europa sta procedendo in ordine sparso. C’è chi collabora con Haftar e con l’Egitto, magari pensando ad una tripartizione della Libia e chi, come noi, sostiene il governo Sarraj, in sintonia con gli americani. Ma su questo non sbagliamo noi. Sono gli atteggiamenti altrui che richiedono spiegazioni serie. Non si può al mattino all’Onu, nel suo massimo organismo decisionale, il Consiglio di Sicurezza, dare via libera ad una legittimazione internazionale del Governo di Tripoli, e poi la sera fare l’opposto in sintonia con Haftar. Se si vuole essere credibili nello stabilizzare la Libia e nel combattere il terrorismo jihadista, occorre coerenza nei comportamenti e nel fare seguire alle parole i fatti, con un supporto concreto quanto tempestivo. Altrimenti si finisce per non risultare credibili».
Dalla Libia emerge un altro dato inquietante, soprattutto per quanto ci riguarda più da vicino: il legame operativo tra i jihadisti del Daesh, e non solo, e i trafficanti di esseri umani. [Continua a leggere]

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Libia: sapevamo del blitz, il Paese va stabilizzato

postato il 2 Agosto 2016

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L’intervista di Sabrina Pignedoli, pubblicata su Il Resto del Carlino

Gli USA hanno cominciato raid aerei in Libia. Pier Ferdinando Casini, lei attualmente è presidente delle Commissione esteri del Senato. Come valuta questo attacco?
«Credo sia un ottimo intervento. Prima di tutto è stato il governo libico di Sarraj a richiederlo e questo legittima sempre di più la sua autorità. Inoltre è importante la completa liberazione di Sirte, di fatto è già avvenuta. Questo avrà come risultato stabilizzare maggiormente la Libia».

In cosa consiste l’intervento?
«A Sirte i misuratini hanno già avuto 350 morti e 1.800 feriti. Non possono permettersi altre perdite. Per questo è stato chiesto l’intervento Usa. Sirte è già per la maggior parte sotto il controllo del nuovo governo libico, ma manca una piccola enclave, dove si sono asserragliati pochi resistenti attorno a un palazzo dei congressi. I civili, invece, hanno già lasciato la città».

Era inevitabile un attacco militare?
«Prima o poi bisognava fare i conti con la stabilizzazione della Libia. Solo le anime belle potevano pensare che fosse a costo zero».

L’Italia è stata avvertita di questo raid?
«Certamente».

Perché Sarraj non ha chiesto il nostro intervento? Il governo Renzi aveva detto di voler essere in prima linea in Libia.
«Probabilmente Sarraj sa quanto sarebbe stato lungo per l’Italia approvare un raid aereo come quello che, invece, è stato autorizzato senza troppe lungaggini dal presidente americano dopo aver sentito il parere del segretario della Difesa. Il nostro ruolo è stato fondamentale in questi mesi, abbiamo aiutato la formazione di un governo in Libia, lo abbiamo reso protagonista. E anche oggi, con questa richiesta ha mostrato una sua autosufficienza».

Questi attacchi cambieranno gli equilibri internazionali, soprattutto per quel che riguarda il terrorismo?
«L’Isis è una minaccia chiara e più si allenta la presa territoriale del Califfato in alcune aree, come Siria, Iraq e Libia, più rimangono schegge impazzite che vengono esportate per attacchi. A queste poi si uniscono i lupi solitari che, di fatto, colpiscono dopo un indottrinamento su internet. La minaccia del terrorismo, al di là di questi raid, è permanente, duratura e inevitabile».

Le azioni militari, quindi, non risolvono il problema dei foreign fighter?
«Nei giorni scorsi parlavo con il premier tunisino. Mi spiegava che loro hanno circa 6mila foreign fighter che stanno rientrando dai campi di addestramento del Califfato. Mi ha detto: ‘Non possiamo metterli tutti in galera’. Anche perché tra quelle migliaia di persone ce ne sono molte che rientrano maledicendo il giorno in cui sono partiti. Altri si fingono ‘pentiti’, ma invece tramano attacchi. Vengono monitorati. Ma il problema per queste persone, anche quelle deluse dallo Stato islamico, è il contesto sociale in cui rientrano».

In che senso?
«Per paura di attacchi terroristici la gente non va più in vacanza nei paesi del Nordafrica. C’è un livello di disoccupazione crescente. L’Europa non può solo pensare a bloccare i rifugiati, deve anche aiutare le attività economiche locali, altrimenti è una battaglia che non si vince».

Non crede che l’attacco militare possa essere in contraddizione con questa visione?
«L’aiuto militare è la prima fase. In Libia è necessario per la stabilizzazione. Dopo sarà necessaria una seconda fase di aiuto sociale. Occorrono politiche di vicinato coi paesi del Mediterraneo, non solo accordi con la Turchia di Erdogan per bloccare i migranti. Non c’è solo il contenimento: l’obiettivo è aiutarli a casa loro».

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Tocca a noi evitare lo scontro tra religioni

postato il 29 Luglio 2016

L’attacco alla Chiesa è l’inizio di una strategia, non bisogna cadere nella trappola
7460931474_fd7a34d900_bL’intervista di Paolo Conti, pubblicata su Il Corriere della Sera

«La verità è che la Terza guerra mondiale la possiamo innestare noi occidentali se non capiamo cosa sta veramente accadendo. La scelta dipende da noi, non dal terrorismo di matrice islamica. Confidano su una nostra possibile reazione scomposta per innestare quello scontro tra civiltà e quella guerra tra religioni che l’Isis sta chiaramente progettando».
Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato analizza in questa chiave gli ultimi tragici avvenimenti francesi.

In che senso potremmo avviare noi quel conflitto?
«Stiamo attenti: l’attacco alla Chiesa non è solo un generico salto di qualità. È il preannuncio di una strategia complessiva che, in modo diretto o indiretto, vuole arrivare a uno scontro diretto tra le religioni. C’è l’atroce delitto di due giorni fa. Così come c’è stata la fuga dei cristiani dalla piana di Ninive, con cui ho parlato, messi di fronte a una drammatica scelta: o paghi la tassa, o ti converti, o te ne vai, e nel frattempo c’è il Califfato che spinge i vicini di casa, con cui le famiglie cristiane hanno convissuto pacificamente per decenni, a occupare le loro abitazioni. E poi c’è il proselitismo su Internet, l’arruolamento dei lupi solitari che vengono incentivati a organizzare attentati ovunque».
Ma questa è, secondo Hollande, una guerra…
«Però tocca a noi occidentali non cadere nella trappola. La classe politica, le istituzioni anche culturali dovranno sostenere una grande azione pedagogica per spiegare che questo non è uno scontro tra religioni. Perché se l’Occidente cederà all’escalation, arriverà il giorno in cui qualche fanatico cristiano attaccherà una moschea. E quel terribile giorno l’Isis avrà ottenuto esattamente ciò che vuole. Cioè l’inizio di uno scontro fatale per la civiltà come la conosciamo oggi».
Cosa deve fare la politica?
«Servono quei moderati che alzano i toni per spingere gli imam delle moschee italiane a condannare il terrorismo con più durezza. Occorrono iniziative come quelle del ministro dell’Interno Angelino Alfano per mettere ordine nel cosiddetto Islam italiano e a spingerlo a una minore timidezza nell’esporsi. Ma c’è un limite che nessuno può valicare per una manciata di voti: sostenere che siamo in guerra con l’Islam. Un approccio demenziale: è ciò che cerca il terrorismo».
La classe politica italiana le sembra in grado di sostenere questo clima?
«Questa vicenda ha fatto saltare lo schema destra-sinistra in senso tradizionale perché ci mette di fronte a una scelta fatale, tra la vita o la morte. Nulla di superficiale o di banale. Dobbiamo stare molto attenti alle cose che diciamo. Quando sento dire che dovremo vivere come in Israele, chiedo ai cittadini maschi e femmine italiani: siete disposti, da domani, a fare tre anni di servizio militare obbligatorio con la prospettiva di un richiamo permanente alle armi sacrificando parti cospicue di libertà? O si immagina una legge di questo tipo o è meglio stare zitti perché non si sa di cosa si stia parlando».
Pensa che ci sarebbe un compattamento della politica nel caso di un attentato?
«Vedo tante, troppe divisioni, e temo ci sarebbe una deflagrazione. Ricordo ancora quando accogliemmo a Ciampino, con Ciampi e Berlusconi, le vittime di Nassiriya. Rammento l’emozione della gente che seguì il passaggio dei feretri. Ho paura che oggi non ci sarebbe più quella straordinaria risposta».
Il cardinale Bagnasco richiama l’Europa a ritrovare la sua identità cristiana.
«Condivido l’analisi sulla miopia di un’Unione Europea che non ha avuto il coraggio di inserire nella sua Costituzione un doveroso richiamo alle radici storico-culturali cristiane. Per confrontarci con altri, dobbiamo sapere bene chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove vogliamo andare. O si ha lo strumento dell’identità culturale o qualsiasi dialogo finisce col tradursi in un cedimento di chi non ha quella identità».

 

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Ospite di Agorà estate

postato il 27 Luglio 2016

Tutta l’Europa a rischio, ma siamo disponibili a fare come in Israele?

Tutta l’Europa è a rischio. Anche noi in italia siamo a rischio, così come lo soni tutti gli altri paesi. Possiamo fare come in Israele ma lì ogni giovane fa 3 anni di servizio militare. Siamo disponibili a questo? Siamo convinti di voler perdere una parte delle nostre libertà a di fronte della sicurezza come succede in Israele? Quello fra Israele e l’Europa non è a mio avviso un paragone plausibile.
L’Isis è un terrorismo ed è anche un terrorismo nuovo, sia perché il califfato conquista terreno, sia perché i foreign fighters sono messaggeri di morte che il califfato manda e che vengono fidelizzati tramite internet direttamente dal califfato.
Io credo che l’opinione pubblica moderata di un paese si deve chiedere se sia meglio avere qualche moschea, più visibile e più controllata o centinaia di scantinati che non sono vigilati e in cui vanno persone fuori da ogni controllo?

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Ankara e rifugiati, l’Unione paga ambiguità e ritardi

postato il 23 Luglio 2016

Troppe esitazioni sul golpe turco fallito, Ue senza strategia

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L’intervista di Umberto De Giovannangeli a Pier Ferdinando Casini, pubblicata su L’Unità

L’Europa è un Mediterraneo in fiamme: dal contro-golpe in Turchia, ai migranti che continuano a morire in mare, alla sfida globale del terrorismo jihadista. Tutti temi di drammatica, stringente attualità. L’Unità ne discute con Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato.
Presidente Casini, dal controgolpe in Turchia all’emergenza migranti. Fronti caldissimi sui quali l’Europa sembra assente, in “vacanza”.
«Purtroppo l’Europa oggi sconta i suoi ritardi. Sono venuti al pettine tutti i nodi una grande assenza di politica estera e di difesa. Ed è singolare che coloro che fino a qualche tempo fa si rivoltavano duramente contro l’Europa, proclamino tutti i giorni le ragioni per le quali ci vorrebbe più Europa. Si chiede il controllo dei confini, il pattugliamento militare del Mediterraneo, e questo da parte degli stessi che fino a ieri hanno rigettato qualsiasi devolution di poteri a favore delle istituzioni europee».
Guardando alla Turchia e collegando questo fronte di crisi alla tragedia dei migranti e dei rifugiati, emerge come l’Europa nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, e il discorso può estendersi da Ankara al Cairo, invece che interlocutori politici con cui dialogare, sia sempre alla ricerca di “Gendarmi” a cui affidare lavori “sporchi”.
«Anche sulla Turchia noi europei scontiamo le nostre contraddizioni. Se nel 2003, quando Erdogan bussava alle porte del Partito popolare europeo, l’allora presidente francese Chirac e il cancelliere tedesco Schroeder non avessero chiuso brutalmente ogni prospettiva ai turchi, forse non ci sarebbe stata questa repentina svolta neo-ottomana che ha portato disastri a tutti e in particolare alla Repubblica di Ataturk. Purtroppo in politica internazionale ogni decisione ha effetti e si misura negli anni».
Insisterei su l’Europa in vacanza politica. In particolare sul fronte Sud.
«Per anni, l’Italia è stata l’unica a reclamare una politica di vicinato nei confronti dei Paesi mediterranei. Tutti i nostri colleghi guardavano invece solo al Centro-Est europeo. Poi il dramma dei rifugiati ci ha aperto gli occhi, ma ormai quando era troppo tardi».
Un ritardo che l’Europa rischia di pagare pesantemente in rapporto ai drammatici avvenimenti che hanno segnato l’ultima settimana in Turchia. Qual è in proposito la sua valutazione?
«Prima di tutto, mi lasci dire che l’Europa ha esitato troppo a condannare il putsch militare poi fallito. Quella notte è stata scandita da ore interminabili, in attesa di voci che non sono arrivate a difesa della democrazia. Poi è ovvio che oggi siamo preoccupati, e tanto! In primo luogo, per l’atteggiamento di Erdogan che sembra approfittare della nuova investitura popolare per regolare i conti e imprimere una svolta autoritaria. Ma dobbiamo essere riflessivi ed evitare di aggiungere benzina sul fuoco. La Turchia, è bene ricordarlo, ha il secondo esercito della Nato, ed è essenziale che Ankara rispetti il patto stipulato con l’Europa per bloccare l’esodo dei rifugiati dalla Siria e dall’Iraq. Negli ultimi tempi, la ripresa del dialogo con Israele e la Russia aveva fatto sperare in qualcosa di positivo. Speriamo che non tutto vada in fumo, che lo stato di emergenza duri meno del previsto e che le autorità turche diano prova di un qualche autocontrollo».
Presidente Casini, vorrei che tornassimo sulla grande assente: l’Europa. Una Europa che invece di cercare una fattiva politica di vicinato con i Paesi del Vicino Oriente, continua ad erigere muri e a blindare le frontiere.
«Non ci salveranno i muri ma solo una capacità di legare il nostro destino comune ai centinaia di milioni di nostri partner mediterranei che, non dimentichiamolo, subiscono anch’essi le tragiche conseguenze del jihadismo islamico. Da Tripoli a Beirut, da Tunisi alla penisola del Sinai. Anch’essi sono sotto attacco. La guerra è globale e contro di noi non c’è solo il “Califfato” islamico ma anche migliaia di “foreign fighers” e tanti “lupi solitari” attratti da un nichilismo distruttivo per le ragioni più varie. Sono esseri “disintegrati”, accalappiati dalla propaganda jihadista, che non debbono prevalere».

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