Archivio per Luglio 2012

Legge elettorale, lo scettro torni ai cittadini

postato il 31 Luglio 2012

Dobbiamo ammainare le nostre bandiere di parte per trovare un punto di intesa comune: questo è il ruolo della politica. Se ciascuno si limita a sventolare i propri vessilli, non arriveremo mai alla soluzione.
Fermiamoci, arrestiamo la corsa folle verso gli armamenti e troviamo prima delle elezioni la possibilità di una legge elettorale che restituisca lo scettro ai cittadini. La riforma elettorale non è solo un esercizio dei partiti che sostengono il governo: serve una solidarietà più ampia che si estenda anche ai partiti di opposizione.

Pier Ferdinando

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Se Orbán torna alla carica e pensa a sostituire la democrazia

postato il 30 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Della difficile e controversa situazione ungherese mi sono già occupato precedentemente, quando il premier di centrodestra del Paese, Viktor Orbán, aveva dato avvio a una preoccupante “svolta a destra”, smettendo i panni dell’uomo di governo moderato e liberale e indossando quelli dell’uomo forte, presunto artefice della rinascita nazionalista della “Grande Ungheria”. Avevo già all’epoca espresso profonda preoccupazione per come gli avvenimenti stavano precipitando (anche dal punto di vista economico, visto che l’Ungheria risente pesantemente della crisi) e avevo avanzato l’idea che l’Europa – a riprova del fatto che è comunità democratica, prima che sede di scelte tecniche – non potesse restare inerme mentre in uno dei suoi Paesi membri la Democrazia veniva messa a dura prova.

Ora, la situazione – che sembrava inizialmente rientrata nei binari – è tornata in una fase critica. Due giorni fa, Orbán, intervenendo a un meeting dell’associazione degli imprenditori magiari, ha addirittura evocato la possibilità di dover inventare un “nuovo sistema” che sostituisca quello democratico, perché il suo popolo, “semi-asiatico”, “capisce soltanto la forza”: “noi speriamo che non sia necessario introdurre un nuovo sistema che rimpiazzi la democrazia, ma noi abbiamo comunque bisogno di nuovi sistemi economici e di nuove idee”; mentre a un raduno studentesco nella città di Baile Tusnad ha attaccato duramente la UE, accusandola di perdere tempo dietro “ai giocattoli per maiali e allo stato d’animo delle oche, mentre centinaia di migliaia di cittadini stanno perdendo il lavoro e la moneta unica sta collassando”. Due attacchi, speculari e complementari, che chiariscono il modello di azione politica che Orbán sembra ormai deciso a portare fino in fondo: rafforzamento del potere centrale in patria (non escludendo svolte veramente autoritarie) e progressivo sganciamento dalle istituzioni comunitarie, approfittando del malcontento popolare e delle difficoltà del momento.

Già in Ungheria le reazioni sono state di sdegno diffuso. Népszava, quotidiano di sinistra sottolinea che “se qualcuno dubitava ancora che Orbán fosse un partigiano dei regimi autoritari e non della democrazia ci ha pensato lui stesso a dimostrarlo. Il suo discorso non è stato un lapsus, ma un’espressione dei suoi pensieri più reconditi. Ora sappiamo cosa pensa dell’Europa, dell’Ungheria e della democrazia”. Persino Magyar Nemzet, il quotidiano tradizionalmente più vicino al primo ministro, fa fatica a difenderlo. Secondo il quotidiano “la diagnosi sull’Unione è abbastanza pertinente: il problema è trovare il giusto mezzo tra interesse nazionale e interesse comune. Quello che abbiamo ascoltato da Orbán è un monologo, e non un dialogo. Questo non è un buon segno”. Ma le parole più nette arrivano dal settimanale liberale Magyar Narancs, che scrive: “se daremo una nuova chance a Orbán nel 2014 gli daremo ragione, perché dimostreremo che siamo veramente un popolo semi-asiatico”.

Appare chiaro, quindi, come le prese di posizioni di Orbán siano ben oltre il livello di guardia consentito. È qui che entriamo in gioco noi, con l’UE: se vogliamo mantenere l’Ungheria di Orbán all’interno dei limiti di una democrazia veramente tale, dobbiamo agire, scegliendo accuratamente i nostri obiettivi e il metodo da seguire (distinguendo le scelte politiche non condivisibili ma legittime, dal resto) e ribadendo la difesa dei nostri principi democratici e costituzionali. Contro ogni involuzione reazionaria e autoritaria. Contro il ritorno di spettri che questa crisi economica rischia di rendere più consistenti.

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L’identikit del leader

postato il 30 Luglio 2012

di Michele Salvati

«Das Madchen», la ragazza, così Helmut Kohl chiamava Angela Merkel, con affetto e condiscendenza. E che dire del confronto tra Hollande e il grande «florentin», François Mitterrand? O, ancora più schiacciante, tra Sarkozy e de Gaulle? O tra Tony Blair e Ed Miliband? Carità di patria mi trattiene dal paragonare i nostri attuali leader politici con i padri della Repubblica e questi pochi riferimenti servono solo a ricordare quanto siano comuni tali confronti, non solo in Europa. E quanto siano unanimi nel doppio giudizio che esprimono: non ci sono più i grandi leader democratici del passato e questo è insieme causa ed effetto del decadimento delle nostre democrazie. Quanto c’è di vero in questo doppio giudizio?

Prima di rispondere, chiediamoci chi sono i grandi leader democratici. Sono leader democratici coloro che non sovvertono le istituzioni fondamentali di una democrazia liberale: per un grande leader, per chi è profondamente convinto della necessità storica del proprio progetto, la tentazione di liberarsi degli impacci dei partiti, della rappresentanza e del parlamentarismo può essere molto forte. Essi sono dunque un sottoinsieme dei grandi leader, di coloro che cambiano il corso della storia, del loro Paese o di aree più vaste: Napoleone, Mussolini o Lenin sono stati grandi leader, grandi capi carismatici, ma non leader democratici. Cavour o Gladstone o de Gaulle lo sono stati. Questo precisato, chiediamoci ancora quali sono i caratteri essenziali e storicamente accertabili di un grande leader democratico, oltre a quello di porre come vincolo alla propria azione innovatrice le istituzioni di base di una democrazia liberale. Volendo molto semplificare, a mio avviso i caratteri essenziali sono due.

Il primo ha a che fare con la natura del progetto politico al quale essi dedicano la loro vita. Deve trattarsi di un progetto storicamente progressivo, che apre nuovi orizzonti di sviluppo economico, sociale e culturale al Paese di cui hanno la responsabilità politica e al contesto internazionale in cui è inserito. Di solito si tratta di rompere una situazione di stallo o di ristagno, prodotta da tenaci forze di conservazione che tenderebbero a perpetuarla. Il secondo carattere ha a che fare con la difficoltà del progetto, con la resistenza delle forze nazionali e internazionali, economiche, sociali e politiche, che devono essere piegate per realizzarlo. Più grande e innovativo il progetto, più tenaci le forze di conservazione, maggiore è la grandezza del leader, se riesce ad attuarlo e a mantenersi nei confini della democrazia. Ma chi valuta se il progetto era un grande progetto, un progetto che era giusto perseguire, e quanto fossero elevati gli ostacoli che vi si frapponevano? Valuta la storia, naturalmente, e la storia — ovvero il consenso delle principali correnti di studi storici — non è un giudice perfetto: giudizi dissidenti, a volte vere inversioni nel consenso dominante, sono comuni tra gli studiosi seri. E più veniamo a leader vicini nel tempo, meno distanti dai problemi politici che ancor oggi affrontiamo, maggiori sono ovviamente i dissidi.

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In memoria di Rocco Chinnici

postato il 29 Luglio 2012

Il 29 luglio 1983 la Mafia uccideva con una Fiat 127 imbottita di esplosivo il giudice Rocco Chinnici, gli addetti alla sua sicurezza, maresciallo Mario Trapassi e appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile dove abitava Chinnici, Stefano Li Sacchi.

Nel marzo 1983, quattro mesi prima di essere ucciso, il consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici rilasciò un’intervista al giornale degli universitari della Fgci, Mobydick. A porgli le domande, sulla nuova legge riguardante la confisca dei beni ai mafiosi, era una giovane studentessa, Franca Imbergamo, oggi sostituto procuratore generale a Caltanissetta.

 

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Non si torna indietro da Monti, io aprirò la mia lista ai tecnici

postato il 29 Luglio 2012

Pubblichiamo da “La Repubblica” l’intervista a Pier Ferdinando Casini
Di Goffredo de Marchis

Pier Ferdinando Casini rassicura il Pd: «Sulla legge elettorale non ci interessano maggioranze di parte, ci interessa la massima condivisione». Poi però spaventa Bersani quando dice che nella proposta di Alfano non vede niente di lesivo. Non mi meraviglia l’idea di un mega-premio di maggioranza al partito che vince». La sostanza del suo ragionamento comunque non cambia rispetto alla linea degli ultimi mesi: dopo Monti dev’esserci Monti. «E se parte l’iniziativa di una lista per proseguire l’agenda del governo tecnico metto a disposizione il mio partito. L’Udc può aprirsi a liste di responsabilità nazionale con presenze esterne alla politica».

L’Italia adesso respira sui mercati. Questa stabilità allontana definitivamente le elezioni anticipate a novembre?
«Cerchiamo di evitare l’alternanza tra docce fredde e docce bollenti. Dovremo abituarci a una situazione in altalena per lungo tempo e il governo Monti non ha ancora completato i compiti a casa. Quello che sta succedendo negli ultimi giorni non cambia la sostanza del problema. Monti ha fatto in sei mesi ciò che per tanto tempo è stato evocato e mai realizzato. Ora è la politica a dover battere un colpo, varando la riforma elettorale».

Vale a dire: se si cambia la legge si può votare in autunno, altrimenti no.
«Non cambiare il Porcellum sarebbe una catastrofe. Manon vedo questo automatismo: una legge c’è e in teoria si potrebbe andare alle urne con quella. Certo, per la politica la sconfitta sarebbe enorme e noi faremo di tutto per evitarla». [Continua a leggere]

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Subito legge elettorale senza furberie o rinvii

postato il 28 Luglio 2012

Noi vogliamo la nuova legge elettorale e la vogliamo subito senza furberie o rinvii. Auspichiamo che sia largamente condivisa tra i partiti che sostengono il governo.
La data delle elezioni, che comunque potrà variare solo di qualche mese nel calendario temporale, non è di nostra competenza prevederla. Capisco che ci sia chi cerca di inquinare i pozzi, ma non mi sembra il momento giusto per fare giochini.

 

Pier Ferdinando

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