Archivio per Giugno 2011

10 giugno, Bagheria

postato il 10 Giugno 2011

Ore 18.30 – Piazza Sepolcro

Chiude la campagna elettorale in vista dei ballottaggi insieme al candidato sindaco Vincenzo Lo Meo e al coordinatore regionale dell’Udc e capogruppo al
Senato Gianpiero D’Alia

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Referendum: Berlusconi non vota? Ce ne faremo una ragione

postato il 9 Giugno 2011

Alle urne per riconciliare gente con politica e istituzioni

Il presidente del Consiglio ha detto che non andrà a votare ai referendum? Ce ne faremo una ragione e forse è il motivo per cui noi, invece, ci andiamo. Andiamo a votare per riconciliare la gente con la politica e le istituzioni, anche se alcuni quesiti concedono un po’ troppo alla demagogia e alla strumentalità.

Pier Ferdinando

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L’inutile referendum sul nucleare

postato il 9 Giugno 2011

E se vi dicessi che Domenica e Lunedì prossimi non voteremo nessun referendum sul nucleare? Sembra paradossale ma stiamo assistendo ad una campagna elettorale che ci invita a votare sì o no su qualcosa che non ci verrà chiesta. Il pasticcio del referendum sul nucleare si è consumato nelle ultime settimane:  il governo italiano, infatti, ha abrogato le norme oggetto di referendum, nel timore di subire una sconfitta nelle urne dopo l’incidente nucleare a Fukushima, dal canto suo la Corte di Cassazione, chiamata a decidere se tenere o no il referendum,  pochi giorni fa ha deciso di sì, ma ha  riformulato  il quesito che ora recita così: “volete voi che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del decreto-legge 31/03/2011 n.34 convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n.75?”

Il comma 1 della legge parla sì di nucleare, ma sancisce la rinuncia “alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”, le cose vanno peggio se si va al comma 8 che testualmente prevede che il Governo vari una nuova Strategia energetica nazionale, che “individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali”. Alla luce delle modifiche intervenute e del nuovo testo del quesito referendario possiamo dire senza ombra di dubbio che il referendum non è più sull’energia nucleare bensì sull’esistenza stessa e sui contenuti della Strategia energetica nazionale del Governo, ne avevo parlato qui.

In questa situazione l’eventuale vittoria del Sì al referendum avrebbe soltanto effetti simbolici perché il Governo, stando alla lettera del quesito, non sarebbe autorizzato ad adottare la Strategia energetica nazionale, cioè il piano generale con cui si decidono gli investimenti, le priorità, i settori su cui investire, comprese le energie rinnovabili, mentre un giorno questo o un altro Governo potrebbero legittimamente ricorrere all’energia nucleare.  Ma i guai per il quesito sul nucleare non finiscono qui. C’è il problema dei voti degli italiani all’estero che avendo già votato per corrispondenza hanno espresso il loro voto in base alla vecchia formulazione del quesito. A questo punto non è chiaro cosa succederà a questi voti: saranno annullati o ritenuti validi? Purtroppo non ci sono precedenti e i costituzionalisti interpellati sulla questione sarebbero favorevoli a far rivotare gli italiani all’estero con le schede corrette per evitare l’invalidità del referendum. Il referendum sul nucleare, al di là della forza simbolica, rischia di tramutarsi nel solito pasticcio italiano che porta, di fatto,  ad una non scelta ed ad un danno irrimediabile per il nostro Paese che ancora una volta si ritroverà senza una strategia energetica chiara per i prossimi cruciali decenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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09 giugno, Roma

postato il 8 Giugno 2011

Ore  18.30- Piazza S. G. De La Salle

Partecipa, con Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, alla manifestazione: “Votare per il referendum. Preparare il futuro per l’Italia”

 

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Referendum, i due quesiti sull’acqua

postato il 8 Giugno 2011

A pochi giorni dal voto sui referendum provo ad esporre e riassumere i due quesiti sull’acqua, le posizioni e gli effetti dell’eventuale vittoria dei Sì e del raggiungimento del quorum.

PRIMO QUESITO:

Il primo quesito proposto dai promotori dei referendum incide sull’art. 23 bis del decreto Ronchi, che riguarda tutte le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali (acqua, ma anche rifiuti e trasporti).

Provando ad entrare un po’ nel merito, e lasciando quindi da parte la retorica dell’acqua che passerebbe ai privati (Il decreto Ronchi riafferma invece che l’acqua, e ovviamente le infrastrutture, rimangono di totale proprietà pubblica), il decreto Ronchi si occupa di liberalizzare la gestione dei servizi pubblici, cercando di favorire una gestione sempre più industriale di servizi e beni comuni così importanti. Lo fa perché lo dice il buonsenso, la normativa europea e un percorso politico degli ultimi vent’anni, portato avanti anche e principalmente dal centro-sinistra (guarda un po’ anche dall’ex ministro Di Pietro).

Il decreto Ronchi spinge per le liberalizzazioni ma non dà, come invece falsificano i promotori, la gestione ai privati. Piuttosto la novità vera sta nella procedura ad evidenza pubblica, che i Comuni devono mettere in atto per scegliere il gestore. Le possibilità di affidamento del servizio, che il decreto Ronchi prevede sono le seguenti:

– assegnare la gestione del servizio pubblico locale tramite gara ad evidenza pubblica, a cui possono partecipare società private, società miste, società totalmente pubbliche (cioè le attuali municipalizzate);

– dare la gestione del servizio senza fare la gara ad evidenza pubblica ad una società pubblica o mista, sempre che questa faccia entrare il privato almeno al 40% delle quote e questo privato sia scelto tramite gara ad evidenza pubblica;

– esiste infine una terza ipotesi, in cui le società potranno mantenere l’ipotesi “in house”, ma in deroga, qualora si dimostrasse la specificità di un territorio che non preveda le condizioni per mettere in atto le liberalizzazioni.

Considerazioni: Insomma alla fine le soluzioni liberalizzatrici sono “parecchio all’italiana” che, per un liberale come me, portano a dire che il decreto Ronchi sia stato anche troppo morbido, non a caso la proposta del ministro On. Linda Lanzillotta del governo Prodi, affossata per le divisioni interne e la crisi prematura del governo, era ancora maggiormente liberalizzatrice.

Le municipalizzate totalmente pubbliche, se efficienti, insomma non si capisce cosa dovrebbero temere da gare trasparenti: credo sia molto probabile che queste siano le favorite a vincere la gara, essendo da anni gestori del servizio. Se non la vincono è evidente che sono talmente inefficienti, che è giusto che altri, privati, misti o totalmente pubblici, gestiscano il servizio al loro posto.

SECONDO QUESITO:

Il secondo quesito, quello della determinazione della tariffa, è ancora più paradossale, assurdo e demagogico: prevede infatti, tra i vari aspetti che portano alla determinazione della tariffa, l’abrogazione dell’adeguata remunerazione del capitale investito. Sarebbe quindi come chiedere che a gestire la risorsa idrica sia un’associazione di volontariato no profit. E qui non c’è un problema di pubblico e privato (non a caso qualche Sindaco furbacchione su questo quesito ha dichiarato il proprio No). La remunerazione sul capitale investito è fissata al 7%. Non so se è troppo, ho scoperto solo che questa soglia fu scelta proprio qualche anno fa dal ministro Di Pietro.

PRINCIPI CHE STANNO DIETRO A CHI E’ A FAVORE DEL REFERENDUM:

Il principio culturale che sta dietro al movimento del sì, movimento che va riconosciuto è riuscito a mettere in atto un forte coinvolgimento popolare dal basso, è che l’acqua (e gli altri servizi pubblici locali, di cui non parlano) debba essere gestita direttamente dal Comune, senza tra l’altro una logica industriale ed economica (visto il secondo quesito).

PRINCIPI CHE STANNO DIETRO A CHI E’ CONTRARIO AL REFERENDUM

I contrari ai referendum invece pensano che tornare ad una gestione diretta, oltre che sbagliata da un punto di vista culturale, sia insostenibile da un punto di vista economico. Nei servizi pubblici locali (acqua, trasporti, rifiuti) si parla di 120 miliardi di euro di investimenti da fare nei prossimi anni e questi dovrebbero essere trovati nelle casse comunali. Avremmo quindi un sistema al collasso, zero investimenti o un netto aumento della fiscalità generale.

COSA SUCCEDE SE VINCE IL SI:

se vince il si ai due referendum sull’acqua, si aprirebbe probabilmente un vuoto  normativo; a coprirlo sarà la  normativa europea, che per la concorrenza e la trasparenza impone che gli affidamenti dei servizi pubblici locali non siano dati “direttamente” al gestore pubblico o privato che sia. Sicuramente il privato non può essere, per legge, escluso dalla gestione dei servizi pubblici. Naturalmente, l’ho già detto, nessuno, privato o pubblico che sia, farà gli investimenti necessari.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE:

Io credo che comunque, privati o pubblici, sia importante provare (e questo il decreto Ronchi in parte lo fa) ad incidere sul problema centrale che oggi esiste intorno alle finte liberalizzazioni: dividere cioè il controllore (cioè chi pianifica, sceglie i piani industriali, affida il servizio e controlla) dal controllato (cioè chi gestisce il servizio). Oggi nel sistema misto, ad esempio quello toscano, è molto difficile, in quanto le municipalizzate si sono trasformate in pseudo Spa, con la politica che ancora è pienamente dentro la gestione.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Rassegna stampa, 8 giugno 2011

postato il 8 Giugno 2011
Se l’asse Pdl-Lega, dopo l’incontro di ieri tra Berlusconi e Bossi, vi sembra ben saldo, date un’occhiata alla nostra rassegna stampa, a cominciare dalle analisi di Tommaso Labate sul Riformista e Massimo Franco sul Corriere: in un Carroccio sempre più inquieto, infatti, cresce la voglia di smarcarsi che potrebbe anche concretizzarsi in un tavolo con il Pd sulla riforma elettorale, che possa consentire a Bossi&Co. di andare soli alle prossime elezioni. Insomma, cresce la “febbre verde”, spinta sopratutto dalle insoddisfazioni della base leghista, che reclama “più fatti e meno parole”, mentre sullo sfondo si staglia – sempre più evidente – l’ombra di Tremonti, che ormai terrorizza un Berlusconi alle prese con le beghe del governo: la “promozione” di Alfano, infatti, sembra non aver modificato la guerra balcanica in atto all’interno del Pdl (Micchiché e la pattuglia sudista hanno annunciato oggi la loro fuoriuscita dal gruppo parlamentare, tra l’altro) e gli avversari – terzopolisti o democratici – si fanno sempre più pericolosi. Non ci restano, allora, che Ferrara e le sue (tanto simpatiche, quanto inutili) manifestazioni di sostegno al Cav. Quasi che il premier fosse un malato in agonia, assistito da un medico-clown.

Riforma elettorale. L’asse Pd-Lega (Tommaso Labate, Il Riformista)

Bossi a Berlusconi: “Abbassate le tasse” (Ugo Magri, La Stampa)

Franco – In un Carroccio inquieto cresce la tentazione di smarcarsi (Massimo Franco, Corriere della Sera)

Il Senatur prepara Pontida. La carta del patto di stabilità (Marco Cremonesi, Corriere della Sera)

L’ombra di Tremonti (Alessandro De Angelis, Il Riformista)

Contrordine, analisti: il terzo polo ha vinto (Roberto D’Alimonte, Liberal)

Fini sempre più “terzista” (La Stampa)

Prendiamoci sul serio, up to a point (Giuliano Ferrara, Il Foglio)

“Non vogliamo altri uffici ma tagli a tasse e spese”. Gli imprenditori padani si ribellano- “Fatti, non propaganda” (Marco Alfieri, Sole24Ore)

«Tasse, più flessibilità nella riscossione» Mozioni bipartisan contro Equitalia (Gregorio Massa, Avvenire)

Imarisio – Per la tav ci vuole l’esercito. Allora non slamo un paese normale (Marco Imarisio, Corriere della Sera)

Effetto domino, la tv di Telecom vola a +17% (Giovanna Lantini, Il Fatto Quotidiano)

Grasso – Rai, il silenzio dei garanti (Aldo Grasso, Corriere della Sera)

Belpietro – Il grande burattinaio (Maurizio Belpietro, Libero)

Sindaci, date un volto digitale alle vostre città (Juan Carlos De Martin, La Stampa)

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La maggioranza ha bocciato la moratoria su Equitalia proposta dall’UDC

postato il 7 Giugno 2011

Il video è relativo alla dichiarazione di voto dell’on. Mauro Libè sulla mozione UDC.

La battaglia dell’Udc per un fisco più giusto è arrivata nell’aula della Camera dove la mozione firmata dai deputati centristi è stata discussa e votata. Primo firmatario della mozione è stato l’on. Mauro Libè che questa mattina ha avuto l’onere della dichiarazione di voto nell’Aula di Montecitorio. Libè nel suo intervento ha illustrato la proposta dell’Udc che prevedeva una moratoria di almeno un anno per gli importi riscossi da Equitalia per le imprese e famiglie con obiettive difficoltà economiche, la possibilità di ridurre gli interessi delle sanzioni annesse e di prevedere un aumento del numero massimo di rate concesse nelle rateizzazioni da Equitalia, l’opportunità di promuovere l’istituzione di un fondo di garanzia che intervenisse a sostegno delle imprese che sono in situazione di obiettiva difficoltà per le pendenze nei confronti degli enti di riscossione di Stato e che si trovassero costrette a licenziare i dipendenti e a fallire, e, infine, impegnava il governo ad adottare iniziative normative volte a utilizzare sui territori regionali i profitti, rappresentati da sanzioni ed interessi.

L’intento della proposta dell’Udc era quello di distinguere tra evasori e onesti in difficoltà attraverso una moratoria che consentisse a chi ha sempre pagato di superare questo particolare momento di crisi. La Camera ha però respinto la proposta di moratoria sulla riscossione dei tributi da parte di Equitalia, ha pesato per questo il veto del Governo che, pur avendo espresso parere favorevole sul testo, ha dichiarato la propria contrarietà al capoverso in cui si proponeva la moratoria. Rammarico tra i deputati dell’Udc impegnati su questo fronte che vedono maggioranza e governo più interessati a fantomatici trasferimenti di ministeri al nord che non, come ha dichiarato l’on. Libè,  ad una proposta che mira a tutelare “chi per anni ha concorso a creare onestamente la ricchezza nazionale e si trova momentaneamente in crisi e che paradossalmente si trova ad essere trattato come un delinquente qualsiasi”.

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Santoro via dalla Rai, tra lui e Lei paghiamo noi

postato il 7 Giugno 2011

Per anni la Rai è stata il campo di battaglia di una guerra senza esclusione di colpi tra le varie dirigenze e Michele Santoro. I dirigenti Rai che si sono succeduti nel tempo hanno sempre cercato di esaudire il desiderio di Silvio Berlusconi di mettere a tacere la fastidiosissima compagnia di Michele Santoro, che, a detta del Premier, a colpi di inchieste e di trasmissioni “costruite” sottraeva voti preziosi al centrodestra; dall’altra, Michele Santoro che con l’ausilio di Travaglio, Ruotolo, Vauro e il resto della sua redazione ha condotto la sua personalissima guerra al Premier dagli schermi del servizio pubblico, in una sorta di piccolo Vietnam televisivo dove spesso è riuscito ad impantanare le soverchianti forze governative.

Accade poi che “i governativi” e la resistenza santoriana firmano uno strano armistizio che pone fine alla guerra e dichiara un inaspettato liberi tutti.  La risoluzione consensuale, questo il nome tecnico dell’inaspettato armistizio, arriva all’improvviso, senza passare per il consiglio d’amministrazione, quasi gestita segretamente tra lui, Michele Santoro, e Lei, nel senso del direttore generale Lorenza Lei. Ma tra lui e Lei chi ci rimette siamo noi, perché a pagare questa strana operazione saranno senza dubbio i cittadini poiché a conti fatti il divorzio da Michele Santoro sarà un vero salasso per la Rai: sei milioni di ricavi in pubblicità, il 20% di share e 600mila euro di compensi al conduttore, più la liquidazione da due, senza contare l’inevitabile tracollo di Raidue che non avrà «X Factor», forse nemmeno «L’isola dei famosi» e ora perde la cassaforte degli ascolti «Annozero» (le due più recenti puntate hanno registrato share record del 22-23% che hanno alzato tutta la media di rete). Legittime a questo punto sono le domande poste da Carlo Verna, segretario nazionale dell’UsigRai: “sono stati dati dei soldi per cancellare ‘transattivamente’ una trasmissione di successo? Che partita ha giocato il nuovo direttore generale? Che gioco ha fatto Michele Santoro?”. “Non saremo fra coloro che brinderanno per l’uscita di Santoro dalla Rai”, rincara l’on. Roberto Rao, ma “per rispetto degli italiani che ancora pagano il canone, la Rai deve rendere pubblici tutti i particolari dell’accordo transattivo, per permettere a quanti finanziano l’azienda di sapere chi ha guadagnato e chi ha perso in questa operazione”. E mentre Michele Santoro sembra sempre più vicino ad un approdo a La7, in Rai si cominciano a mettere in discussione anche i contratti di Milena Gabanelli, Giovanni Floris e Serena Dandini. L’unica certezza in questa Rai delle svendite resta il famoso cavallo morente in bronzo patinato che sorge davanti alla direzione generale di Viale Mazzini, e che sembra sempre di più una metafora concreta della situazione della Televisione di Stato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Rassegna stampa, 7 giugno 2011

postato il 7 Giugno 2011

Franco – Intesa formale che lascia intatti tutti i contrasti (Massimo Franco, Corriere della Sera)

La Lega lascia il 2011 al Cav. Poi voto o governo tecnico (Matteo Pandini, Libero)

Carroccio in trincea. Lega inquieta, in attesa dei referendum (Lina Palmerini, Sole24Ore)

Formica – Vi dico perché Tremonti c’è (Rino Formica, Il Riformista)

Vendola-Bersani, scontro sull’«affidabilità» (Monica Guerzoni, Corriere della Sera)

Caro D’Alema, non fare come Silvio (Vincenzo Faccioli Pintozzi, Liberal)

Gramellini – Tanto per cambiare (Massimo Gramellini, La Stampa)

La Rai liquida Santoro “Andrà a La7” (Leandro Palestini, La Repubblica)

Grasso – Un divorzio? No, un suicidio della Rai (Aldo Grasso, Corriere della Sera)

Alfano come Bruto? (Il congiurato, L’Unità)

Bersani sta vendendo la pelle di Silvio prima del tempo (Guido Liberati, Secolo d’Italia)

Rizzo – Meglio che le Poste facciano le Poste (Sergio Rizzo, Corriere della Sera)

Quando integrazione fa rima con identità (Claudio Sardo, Il Messaggero)

Integrazione, cambiare strada Una terza via per l’Europa (Franco Insardà, Liberal)

Terzo Polo, a luglio la convention nazionale (Il Messaggero)

Perché sul Web Europa e Stati Uniti ora sono su fronti opposti (Il Foglio)

Una nuvola digitale al posto del pc (Paolo Ottolina, Corriere della Sera)

La Porta – EBook tecnologia del futuro, ma per ora rivaluta il passato (Filippo La Porta, Corriere della Sera)

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