Archivio per Febbraio 2011

Il nostro “NO” ad un federalismo che aumenta le tasse

postato il 3 Febbraio 2011

Oggi la Commissione bicamerale ha di fatto respinto il federalismo municipale (ricordiamo che il pareggio, viene visto per i regolamenti della Camera, come una bocciatura) e questo apre degli scenari che a livello politico possono pure essere affascinanti (il governo presenterà il vecchio decreto o lo metterà nel congelatore? E la Lega terrà fede a quanto detto e farà cadere il governo per andare a nuove elezioni?), ma che, probabilmente, interessano relativamente al comune cittadino che di questa bagarre rischia di capire poco e di essere, anzi, travolto da vuoti proclami.

Intanto, vorrei chiarire un punto: come ho avuto modo di dire, il punto non è “federalismo si o no”. Il concetto del federalismo in sé non porta svantaggi o vantaggi, il vero problema è come viene realizzato questo federalismo. Avevo già parlato di quali problemi ponesse questo decreto e le modifiche proposte dal governo, per le tasche dei cittadini e per la tenuta dei conti dei comuni italiani, ma mi sembra giusto chiarire ulteriormente questi punti.

Intanto partiamo da un dato di fatto: nessun Comune italiano, del Sud, del Nord o del Centro, è immune ai rischi sulla sua tenuta dei conti, con questo federalismo. Inoltre, questo federalismo, secondo i proclami della Lega, avrebbe dovuto abbassare le tasse recuperando efficienza nella spesa pubblica. Ebbene non è così.

Intanto l’IMU, l’Imposta Municipale Unica, è di fatto una sorta di patrimoniale, seppur mascherata; il quadro della cedolare secca sugli affitti, si presentava come un regalo per i redditi alti senza contenere alcun accenno di vantaggio per le famiglie numerose e per quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese (il governo ha cancellato dal decreto il famoso fondo di solidarietà che sarebbe servito per calmierare gli affitti delle famiglie numerose).

Infine, altro punto dolente, riguarda la famigerata TARSU, ovvero la Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani, che se collegata direttamente alla rendita catastale rischia di diventare altamente iniqua e illogica: la TARSU dovrebbe essere proporzionale a quanto una persona, o un nucleo familiare, inquina e produce rifiuti, e non a quanto grande o quanto vale una casa. Direi che su questo punto la logica è semplice e cristallina: se io inquino tanto, devo pagare tanto. Un controllo puntuale dei rifiuti, inoltre, permette di attuare la raccolta differenziata con notevoli punte di efficienza, come è dimostrato dall’esempio della provincia di Treviso dove la Tarsu è commisurata alla quantità di rifiuti prodotta dai nuclei familiari.

Il rischio, quindi, era quello di dare vita ad un federalismo di facciata, che servisse come bandierina alla Lega per il suo elettorato, ma che non portasse alcun vantaggio ai cittadini, i quali non si fanno certo ingannare da un paio di proclami ben piazzati. Dire che il federalismo municipale permette una diminuzione delle tasse è una affermazione che deve essere dimostrata dai fatti concreti, inoltre bisogna chiarire, di quali tasse si parla. Con un abile gioco di prestigio, infatti, il governo ha fatto sparire alcune imposte, salvo farle riapparire sotto altro nome: se mi tolgono le tasse di registro, la tassa ipotecaria, e altre tasse, ma poi me le ripresentano con il nome complessivo di IMU, è chiaro che per le mie finanze di cittadino, non è cambiato nulla.

Ma il gioco di prestigio non si ferma a questo, perchè il governo gioca abilmente con le parole, infatti parla di “diminuzione di tasse”, ma non parla delle imposte comunali o delle tariffe: tagliando i trasferimenti ai Comuni, e girando ai comuni maggiori “responsabilità sui servizi”, ha anche bisogno di meno soldi (perché diminuisce la spesa statale), ma per il cittadino non cambia nulla, perchè l’esborso monetario è sempre uguale (non ha importanza che io paghi allo Stato o al Comune, alla fine i soldi escono dalle mie tasche).

Purtroppo per Berlusconi e Bossi, questo giochino ormai è palese, infatti, stando al Censis, il 42% degli Italiani teme che il federalismo fiscale porti nuove tasse, mentre il 25% pensa che la pressione fiscale resterà invariata, e solo il 23% pensa che diminuirà, mentre il 10% degli italiani non ha un’idea in merito.

Per il 35,1% degli intervistati, aumenterà anche la complessità degli adempimenti fiscali, contro il 31,1% di chi pensa che resterà invariata e il 22% di chi pensa che invece diminuirà.

Stando ai dati diffusi dal Censis, “quattro italiani su dieci (il 41%) credono che il federalismo fiscale possa contribuire a migliorare la gestione della cosa pubblica, ma la metà dei cittadini (il 50,2%) è del parere che la riforma aumenterà il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud. Il timore è avvertito soprattutto dalle persone più istruite (il 53,2% tra i diplomati, il 54,1% tra i laureati) e dai lavoratori dipendenti (il 51,3%). Infine, l’8,8% afferma di non sapere cosa sia il federalismo fiscale, un gruppo che pesca soprattutto tra i meno istruiti (il dato sale in questo caso al 17,8%)”.

A questo punto, io mi preoccuperei, invece di volere approvare a tutti i costi un federalismo di dubbia utilità, di tornare a studiarlo per avanzare proposte condivisibili, chiare e comprensibili da tutti gli italiani, perché questi ultimi non sono stupidi, e si accorgono quali politici hanno posizioni concrete, e quali invece producono solamente spot elettorali che resteranno irrealizzabili.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Rassegna stampa, 3 febbraio 2011

postato il 3 Febbraio 2011
Appello di Napolitano (e stiamo a due, dopo quello di ieri): gli scontri politici stanno stritolando il nostro Paese, è necessario uscire da questa spirale, per ridare una visione di futuro all’Italia. Intervistato dall’Eco di Bergamo, poi, il Presidente fa anche un appello ai giornalisti (nel giorno dell’intervista “brezneviana” a B. del Tg1): “andate controcorrente, per garantire un’informazione più responsabile e corretta”, “basta gare a chi grida di più” (chi ha orecchie per intendere, intenda).  Un ottimo Severgnini, poi, dalle colonne del Corriere lancia un appello al Premier Berlusconi: risponda a tutte le domande che gli vengono fatte, siano esse dei magistrati (specialmente loro), dei giornalisti (tutti, però) o di semplici cittadini (magari su Twitter!). Oggi è poi un’importante giornata alla Camera: da una parte si vota per autorizzare la richiesta della Magistratura a perquisire gli uffici del ragionier Spinelli; dall’altra, la “Bicameralina”, presieduta da La Loggia, deve discutere del Federalismo: la situazione è estremamente incerta, ma leggete – per capire di più – Antonella Rampino e Marcello Sorgi, su La Stampa. Il tutto mentre, come testimonia un dossier sull’Avvenire, la crisi stringe nella morsa sempre più famiglie: ha ragione Della Vedova, intervistato sul Secolo: la ripresa non si fa con la propaganda, servono provvedimenti seri.

Napolitano, appello alle istituzioni: «Uscire dalla spirale degli scontri» (Marzio Breda, Corriere della Sera)

Il Pdl in pressing sui finiani, ma il Terzo Polo conferma il no (Antonella Rampino, La Stampa)

Andate controcorrente per un’informazione che sia più responsabile (Giorgio Napolitano, L’Eco di Bergamo)

Caso Ruby, la Camera vota sulla competenza dei pm (Dino Martirano, Corriere della Sera)

Berlusconi applaude il Quirinale. E rilancia la «scossa all’economia» (Paola Di Caro, Corriere della Sera)

Bersani: “È un mentitore, il Pd contro la patrimoniale” (Giovanna Casadio, La Repubblica)

Vietti: «Giusto l’allarme del Colle, deriva da contrastare» (Carlo Fusi, Il Messaggero)

Messina – E sul Tg1 va in onda l’intervista brezneviana (Sebastiano Messina, La Repubblica)

Fli sotto attacco, si gioca tutto per sopravvivere (Alessandro Ferrucci, Il Fatto Quotidiano)

Della Vedova: «Il rilancio non si fa con la propaganda…» (Valter Delle Donne, Secolo d’Italia)

La crisi morde le famiglie. I redditi scendono del 2,7% – Paganetto: “Non possiamo aspettarci una ripresa automatica” (Bruno Mastragostino, Avvenire)

Federalismo, una grande occasione (Alessandro Montanari, La Padania)

Sorgi – Nuovi scenari nel rapporto con la Lega (Marcello Sorgi, La Stampa)

Severgnini – Silvio B. rispondici (anche via Twitter) (Beppe Severgnini, Corriere della Sera)

Panebianco – L’Occidente si illude di contare (Angelo Panebianco, Corriere della Sera)

Cina, record anche l’emigrazione (Stefano Vecchia, Avvenire)

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Libero WiFi sì o no? Cerchiamo di capire

postato il 2 Febbraio 2011

Allora, la notizia è questa: dopo un tira e molla estenuante, il Governo si è deciso ad abolire il medievale Decreto Pisanu, il più grande freno allo sviluppo libero della Rete in Italia. Ora, dati i tempi biblici che ci contraddistinguono, gli effetti di questa abolizione tardano ad arrivare, ok: abbiamo pazientato tanto, pazienteremo un altro po’. Il problema è un altro, ed è stato sollevato da Massimo Mantellini, che sul suo blog si è reso conto di alcuni emendamenti presentati dal senatore del Pdl, Lucio Malan, al quanto preoccupanti; scrive infatti Mantellini: “Come qualcuno aveva immaginato la liberazione del wi-fi contenuta nel decreto Milleproroghe, attualmente in discussione, sarà subordinata ad un decreto del Viminale che stabilirà quando e come si dovranno identificare gli accessi alle reti senza fili. La modifica che affida al Ministro Maroni ampia facoltà in materia, è stata proposta in Commissione Affari costituzionali dal senatore del PdL Lucio Malan”. Sulla questione è tornato anche Guido Scorza, che spiega come solo “in primavera l’Italia potrebbe scoprire cosa il gestore di un bar che voglia condividere le proprie risorse Wifi con i propri clienti debba fare per mettersi in regola. Il problema non è di contenuti, ma di metodo: dopo cinque anni non si abroga una norma che, invece, si intende sostituire e, soprattutto, dopo che la si è abrogata, non si propone di sostituirla attraverso ulteriori norme, la definizione del contenuto delle quali si rinvia ad un momento successivo”.

Il tutto è stato condito da una semi-smentita (o replica, fate voi) del senatore chiamato in causa, Malan, il quale sostiene, in un commento pubblicato sul blog di Mantellini, che “il testo del decreto proroghe che liberalizza il Wi Fi, per quanto sta a me, che sono il relatore del provvedimento al Senato, resterà così com’è. Perciò, niente decreto del ministro, niente braghettoni. Sarebbe giusto ricordare che quella fatta dal governo – e già in vigore perché è un decreto legge – è l’unica modifica al decreto Pisanu in cinque anni e mezzo dalla sua emanazione. E non abbiamo governato soltanto noi. Gli emendamenti presentati a mia firmati li ho ritirati ed erano stati concepiti come da applicare alla legge in vigore prima del 29 dicembre: in quel caso si sarebbe trattato di un superamento parziale del decreto Pisanu. Oggi costituirebbero un passo indietro: per questo li ho ritirati”. Una posizione ragionevole, per carità. Eppure un po’ ambigua.

Pare quindi che il rischio dell’ennesimo stop alla libertà del Wi-fi sia stato scongiurato. Eppure è chiaro a tutti che qui c’è qualcosa che non quadra: l’incertezza, la confusione e la titubanza con cui si stanno affrontando questo momento, rischiano di essere la pietra tombale sulla strada del progresso e dell’innovazione e, di questo passo, prima che il nostro Paese si metta in linea con il resto d’Europa passeranno decenni. Se non intere generazioni.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Schizofrenie berlusconiane

postato il 2 Febbraio 2011

E’ successo tutto in tre giorni.

La settimana è iniziata con un Berlusconi conciliante che dalle pagine del Corriere della Sera tendeva la mano al segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, per intraprendere un percorso di riforme condivise. Bersani, che vede nella proposta del Premier solo un modo di tirarsi fuori dall’angolo, rimanda al mittente l’offerta berlusconiana scatenando però le ire del grande Capo che, bollato il leader del Pd come “insolente”, raduna una specie di consiglio di guerra per scatenare una strafexpedition contro le opposizioni e le toghe rosse la cui organizzazione viene demandata a Daniela Santanchè e Michela Vittoria Brambilla.

A Palazzo Grazioli i falchi hanno fatto il nido ed è servita tutta la bravura di Giuliano Ferrara per riportare Berlusconi a più miti consigli. La “moral suasion” di Ferrara ha la meglio sulle strategie aggressive delle amazzoni pidielline e il Cavaliere sembra tornare ragionevole e dialogante soprattutto quando nella mattinata di mercoledì arriva il richiamo del Presidente della Repubblica per placare le sterili contrapposizioni. Una nota di Palazzo Chigi attesta il Premier sulla linea del Capo dello Stato, ma è sufficiente qualche ora per trovarsi Silvio Berlusconi al Tg1 sparare a zero sulle “vecchie forze che vogliono tassare gli italiani”.

Forse Giuliano Ferrara non l’ha ancora avvertito che il Capo del Governo è lui. Come ha notato giustamente il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa lo statista Berlusconi è durato appena cinque ore. Cosa ci riserverà il fine settimana? Quale Berlusconi avremo davanti: lo statista o il capo popolo, il riformatore o il lider maximo?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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05 febbraio, Caserta

postato il 2 Febbraio 2011

Ore 12.00 – Complesso Monumentale del Belvedere di San Leucio

Seminario dello Yepp (la componente giovanile del Ppe, il Partito Popolare Europeo)

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04 febbraio, Napoli

postato il 2 Febbraio 2011

Ore 17.30 – Hotel Vesuvio (Sala Smeraldo)

Incontro pubblico: ‘Dalla parte di Napoli’

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Ospite di Ballarò

postato il 2 Febbraio 2011

Alla trasmissione di approfondimento politico di Rai3, condotta da Giovanni Floris

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Rassegna stampa, 2 febbraio 2011

postato il 2 Febbraio 2011
Il richiamo del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, risuona forte: i servitori dello Stato devono conoscere il senso della misura e dell’equilibrio, dettato dal rispetto per le Istituzioni della nostra Patria. Concordiamo: le parole di Napolitano sono giustissime, ma non bastano; servono fatti e prove concrete, che devono venire – prima di tutti – da chi ci governa e ci rappresenta nel mondo. Ma, ahinoi, si tratta di una discussione col muro: troppo impegnato, il Pdl, ad organizzare “mobilitazioni anti-pm”: che orrore, signori. Qui stiamo ben oltre il conflitto tra le istituzioni, tra i poteri dello Stato: ha ragione Giuliano Ferrara a bollare il tutto come “criminale” e “assurdo”; leggete, per capire meglio, Peppino Caldarola che, sul Riformista, analizza la situazione di un partito “commissariato” e in costante oscillazione tra le cautele ragionate di Ferrara e gli estremismi isterici della Santanchè,  “un vertice che vive nel disordine e nella confusione, con spinte contraddittorie, fughe in avanti e parziali ritirate, grida di guerra e patetiche lamentazioni”. E poi ci stupiamo se esplodono i casi Brigandì e Frattini o se si pensa solo a un rimpasto che non arriverà mai (o se arriverà, sarà con il comodo di Pannella). Leggete, infine: l’analisi di Ricolfi sulla patrimoniale; dal Riformista, i pezzi di Cappellini e Campi su una Santa Alleanza anti-B; il nostro dossier sulla situazione egizia.

Napolitano: i servitori dello Stato conoscono il senso del limite (Claudio Rizza, Il Messaggero)

«Pronti a mobilitazioni anti pm». Ma il partito ci ripensa: equivoco (Paola Di Caro, Corriere della Sera)

La trappola (Il Foglio)

Non si può oscillare tra Ferrara e Santanchè (Peppino Caldarola, Il Riformista)

Fondo perequativo per i comuni (Eugenio Bruno, Sole24ore)

Il malgoverno pagato sempre dai cittadini (Luca Ricolfi, La Stampa)

Pdl e Lega: decreti ad ogni costo, pure in caso di elezioni anticipate (Alberto Gentili, Il Messaggero)

Federalismo, Bossi ha fretta: Lega in calo nei sondaggi (Paolo Bracalini, Il Giornale)

Caso Boccassini, Brigandì indagato posti i sigilli nel suo ufficio al Csm (Elsa Vinci, La Repubblica)

Carte sulla casa di Montecarlo, indagato il ministro Frattini (Flavio Haver, Corriere della Sera)

Pronto il rimpasto. Trattativa con Pannella (Sara Nicoli, Il Fatto Quotidiano)

Sorgi – Voto decisivo per restare in vita (Marcello Sorgi, La Stampa)

Senza Di Pietro (Stefano Cappellini, Il Riformista)

A quali condizioni si può fare l’accordone (Alessandro Campi, Il Riformista)

Medici – Certificati solo online. Il sito va subito in tilt (Avvenire)

Sdegno bipartisan per il «flop» della Ue (Pier Luigi Fornari, Avvenire)

Italia 150, polemiche leghiste a Vicenza e Bergamo (Il Messaggero)

E il Barbareschi day si chiude con un impegno: resto in Fli (Antonio Rapisarda, Secolo d’Italia)

Mubarak cede: “Non mi ricandido al prossimo voto” (Paolo Mastrolilli, La Stampa)

Così tweet e tv private dribblano la censura (Moual Karima, Sole24ore)

Egitto – Esercito arbitro della transizione (Alberto Negri, Sole24Ore)

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Egitto: un faraone in fuga?

postato il 1 Febbraio 2011

Dopo la Tunisia, l’Egitto. E dopo l’Egitto? Questa sembra essere una delle domande più ricorrenti nei dibattiti che coinvolgono gli scienziati politici ma anche sul web. Occorre subito sgomberare il campo da possibili malintesi: l’Egitto non è la Tunisia.

Nonostante la “rivolta dei gelsomini” e il “movimento 6 aprile” abbiano per certi versi delle radici comuni (disoccupazione, carovita, corruzione ….), ben diverse saranno le conseguenze nonché lo scenario politico e strategico che potrebbe delinearsi con un cambio di regime. Il peso specifico dell’Egitto nello scacchiere mediorientale appare sicuramente più determinante nelle relazioni internazionali e il ruolo geopolitico del paese più popoloso del mondo arabo è molto importante per la “stabilità della zona”.

Il rimpasto di governo voluto da Mubarak il 28 gennaio potrebbe rappresentare l’ultimo atto politico del presidente in carica dal 1981. Sulla scia di quanto già accaduto in Tunisia, Mubarak ha nominato un nuovo primo ministro: A. Shafix, un ex militare già a capo dell’aviazione, e un vicepresidente, O. Suleiman, ex-capo dei servizi segreti egiziani. Questa seconda nomina rappresenta una novità nella storia recente dell’Egitto poiché per la prima volta un presidente nomina un suo vice. In ogni caso, questa mossa potrebbe rappresentare un auto-golpe per l’ottantaduenne presidente egiziano: l’esercito infatti comincia a solidarizzare con il popolo e, stando alle ultime dichiarazioni ufficiali, si rifiuterà di sparare sulla folla durante lo sciopero generale indetto per oggi.

Il ruolo dei militari, oltre che della polizia sarà dunque fondamentale per un’eventuale fuga del “faraone” proprio come lo era stato nel caso di Ben Ali in Tunisia. Il bilancio provvisorio parla di 150 morti in tutto il paese a distanza di una settimana dall’inizio delle proteste, ma il popolo egiziano non sembra intenzionato a indietreggiare davanti alle timide aperture e chiede a gran voce la fine del regime di Mubarak del suo partito, il Partito nazionale democratico che domina la scena politica da trent’anni.

Ancora una volta internet è stato il mezzo della rivolta: Twitter, Facebook e i social network fungono da ripetitori della rabbia e alla piazza. Su Facebook è stata creata la Rete Rasd che da voce alla rivolta e serve ad organizzare la protesta: una sorta di “osservatorio della rivoluzione” (rasd in arabo significa, infatti, “monitoraggio”) che trasmetteva notizie fresche e in diretta dalla piazza, minuto dopo minuto, grazie all’uso della rete e dei cellulari.

L’Europa e gli Stati Uniti guardano con interesse e preoccupazione le rivolte in Egitto e dopo le prime dichiarazioni di circostanza e appoggio al presidente Mubarak (Mubarak “amico dell’Occidente”, “garanzia contro il fondamentalismo islamico” e “elemento di stabilità regionale”) mostrano i primi segnali di apertura e chiedono un dialogo con l’opposizione in modo da portare il paese ad elezioni pacifiche attraverso un periodo di transizione. L’Egitto di Mubarak è infatti, da trent’anni, uno stretto alleato degli Stati Uniti (così come lo era stata la presidenza di Sadat dopo la guerra del Kippur). Gli USA hanno sempre spalleggiato l’alleato mediorientale in grado di assicurare la stabilità nella regione e di tenere lontano eventuali rigurgiti fondamentalisti. Perché gli Stati Uniti non sono mai intervenuti, o perché non hanno mai condannato pubblicamente il regime di Mubarak? E perché condannano con così tanta insistenza il regime iraniano mentre hanno taciuto per trent’anni nel caso dell’Egitto? (è interessante a tal proposito l’articolo apparso su Nouvelle d’Orient dal titolo “Egitto-Iran”, due pesi due misure). C’è da considerare il ruolo nevralgico per l’economia globale che l’Egitto ha rivestito, con il passaggio del Canale di Suez, sempre garantito da Mubarak.

La giornalista di Al Jazeera, R. Jordan, riferisce che la Clinton avrebbe esortato Mubarak a considerare l’opportunità di elezioni libere e democratiche ma allo stesso tempo l’avrebbe messo in guardia davanti alla possibilità che si possa creare una situazione simile a quella iraniana.

Il peggiore scenario possibile per gli Stati Uniti sarebbe infatti un governo islamico alleato dell’Iran, ma realmente esiste la possibilità che il fanatismo islamico arrivi al potere in Egitto? Le piazze da una settimana sono gremite di persone di ogni estrazione sociale e religiosa, ricchi e poveri, laici e religiosi, ma soprattutto si tratta di donne e uomini liberi che vogliono riappropriarsi del loro paese. All’interno della società civile emergono poi diversi movimenti che, dal basso, chiedono una rottura con il regime e un cambiamento forte e radicale. I Fratelli Musulmani, il maggiore gruppo di opposizione, e considerati alla stregua dei terroristi, sono rimasti dietro le quinte della protesta.

El Baradei, autorevole personaggio di livello internazionale ed ex presidente dell’AIEA, tornato in patria durante la rivolta, invoca l’intifada fino alla cacciata di Mubarak. Si è unito inoltre alla protesta anche Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, e considerato come un altro possibile traghettatore verso elezioni democratiche.

Le possibilità che gli integralisti islamici prendano il controllo del paese sono molto scarse (preoccupazioni intensificate dopo gli intensificati attacchi ai cristiani, il 15% della popolazione) ma in Israele prendono piede preoccupazioni legate anche a questo eventuale ipotetico scenario. La stabilità nella zona sarebbe infatti a forte rischio così come l’alleanza strategica tra i due paesi dopo la pax degli accordi di Camp David. Israele, nonostante possieda l’esercito meglio preparato del Medio oriente, non vorrebbe arrivare ad uno scontro frontale con l’Egitto ma potrebbe sentirsi minacciato e accerchiato. E se simili rivolte e la stessa ventata di democratizzazione dovesse ripetersi in tutto il Medio Oriente e in Maghreb?

Gideon Levy, sulle colonne di Ha’Aretz, dice che poi verrà il tempo non solamente di Damasco, di Amman, di Tripoli e di Rabat, ma anche di Ramallah e di Gaza. Sono scenari ipotetici che non possono non preoccupare Israele.

Anche l’Europa dovrebbe imparare la lezione, cambiando le sue strategie verso il regime egiziano e il mondo arabo in generale, prima che sia troppo tardi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Shardana

Altri link:

Independent – Robert Fisk: A people defies its dictator, and a nation’s future is in the balance

Liberation – L’armée juge «légitimes» les revendications du peuple égyptien

Della Tunisia avevamo parlato qui ed anche qui.
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Rassegna stampa, 1 febbraio 2011

postato il 1 Febbraio 2011
Mi sa che qui ha ragione Bersani (che potete leggere sul Corriere): l’apertura di Berlusconi arriva davvero fuori tempo massimo. La lettera del Premier di ieri (con allegate le proposte di riforma del fisco, il no alla patrimoniale e una maggiore libertà d’impresa) è davvero niente male, ok: ma come ha sottolineato Casini, chi sta al Governo questo genere di cose deve “farle, non scriverle sui giornali”. Il confronto tra maggioranza e opposizione ci deve essere, noi lo sosteniamo da tempo, ma solo se il Presidente del Consiglio è disposto a fare un passo indietro; anche perché, in questo momento, le nostre preoccupazioni sono altre: il Nuovo Polo per l’Italia si rafforza e si consolida ogni giorno di più. ItaliaOggi, infatti, ci racconta della possibilità di uno speaker unitario (così come auspicato a Todi) che possa rappresentare l’unità della coalizione: si tratta di Anna Maria Artoni, già presidente dei giovani di Confindustria Emilia Romagna, un volto giovane e capace, capace di riscuotere consensi dai moderati e i riformisti di ambo gli schieramenti. Solo fantapolitica? Vedremo.

Il premier apre. Pd e Terzo polo lo stoppano (Paolo Festuccia, La Stampa)

Bersani e Casini non ci credono: «Confronto? Sì, ma con un altro premier» (Roberta D’Angelo, Avvenire)

Bersani: proposta che arriva fuori tempo massimo (Pierluigi Bersani, Corriere della Sera)

Artoni for president. E’ l’asso nella manica del terzo Polo (Giorgio Ponziano, ItaliaOggi)

Giovedì la Camera vota sull’ufficio di Spinelli (La Repubblica)

Calderoli tratta ancora: discutiamo (Eugenio Bruno, Sole24Ore)

Federalismo, gelo Calderoli-Maroni. E Bossi teme un disimpegno del premier (Marco Cremonesi, Corriere dell Sera)

Altri no da sinistra: l’ansia della Lega per il federalismo (Matteo Pandini, Libero)

“Pattocrazia”: l’ultima moda del Palazzo (Mario Ajello, Il Messaggero)

Anche Casini boccia il premier (Maria Zegarelli, L’Unità)

Alfano- i voti cattolici restano al Pdl. Il cardinale Martins- parole azzardate (Orazio La Rocca, La Repubblica)

Sorgi – E’ partita la campagna elettorale (Marcello Sorgi, La Stampa)

E nello scontro torna in scena la mano di Ferrara (Antonella Rampino, La Stampa)

Napoli. Il commissario Orlando sulla scena del «delitto». La palla torna ai garanti (Francesca Pilla, Il Manifesto)

Sky Tg24 e le percentuali a tradimento (Il Giornale)

Ballarò, c’è Casini (Avvenire)

Trecentomila richieste per lavorare in Italia. Il primato del Nord (Virginia Piccolillo, Corriere della Sera)

Alleanza Sky-Fastweb per sfidare Mediaset (Daniele Lepido, Sole24Ore)

Europa divisa sulle dimissioni di Mubarak (Ivo Caizzi, Corriere della Sera)

Egitto – Internet motore della rivolta, forze armate ago della bilancia (Alberto Negri, Sole24Ore)

El Baradei, l’uomo del destino. “Oggi nasce un Paese nuovo” (Fabio Scuto, La Repubblica)

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