postato il 16 Marzo 2009 | in "Interventi"

INTERVENTO IN AULA DI CASINI DURANTE LA DISCUSSIONE DEL DDL DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI FEDERALISMO FISCALE

Signor Presidente, mi consenta di iniziare il mio intervento con una battuta, che è molto serena e cordiale, di saluto ai Ministri Bossi e Fitto, ma anche di dire che qui, in quest’Aula, oggi il vero «apprendista stregone» è il Ministro Calderoli, il quale ha fatto un miracolo (diciamo la verità), perché è riuscito a far credere a gran parte del mondo politico italiano, a partire dal Partito Democratico, che la sfida del federalismo viene affrontata con efficacia e con efficienza, quando invece, come per la verità ha dimostrato in questo intervento l’onorevole Lanzillotta, la questione va vista in termini esattamente inversi. In quest’Aula, in questo momento, all’inizio del dibattito, non ci si può dividere tra federalisti e antifederalisti, così come non accetto la divisione di chi in quest’Aula si presume faccia, di volta in volta, l’avvocato difensore del nord o del sud.
Qui non c’è una contestazione al federalismo, che proviene in nome del Mezzogiorno rispetto al nord, ma l’idea che questo federalismo, che ci apprestiamo a discutere in quest’Aula, sia in realtà uno spot elettorale confezionato, per legittime ambizioni di carattere politico, dalla Lega, e non l’occasione che il nostro Paese aspettava, per affrontare seriamente il tema del nuovo assetto dello Stato. Siamo in una situazione drammatica sotto il profilo dell’economia. Siamo in una crisi sociale ed economica enorme. Eppure, in questo disegno di legge, si perde l’occasione principale, quella di intervenire, di disboscare, di avere il coraggio anche di tagliare. Penso al tema delle province, ampiamente evocato in campagna elettorale ed oggi dimenticato in questo disegno di legge. Non poteva che essere così. Questo disegno di legge non poteva che dimenticare le province, come l’azione del Governo non poteva non dimenticare la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, per la quale si assiste a un ritorno indietro, non solo e non tanto rispetto al disegno di legge del Ministro Lanzillotta della scorsa legislatura, ma anche nei confronti dello stesso disegno di legge emendato da Rifondazione Comunista.

Perché non poteva essere che così? Perché, in realtà, abbiamo piegato questo momento così importante della vita parlamentare alla convenienza politica di una parte di questa coalizione di Governo, che si vuole presentare con uno spot: vuole dire, alle elezioni europee, che si è fatto il federalismo; vuole, sostanzialmente, fissare dei principi che astrattamente potrebbero essere anche, alcuni di questi, giusti e condivisibili (pensiamo al superamento del criterio della spesa storica e al costo standard), ma che, fuori da una cornice organica, finiscono per essere affermazioni di principio che rischiano di produrre un grande disastro per lo Stato, una moltiplicazione dei centri di spesa e una maggiore pressione fiscale. Ciò, nonostante si sia acceduto, nel corso della discussione in Commissione, ad inserire, in termini generici, la clausola di invarianza nel testo del disegno di legge.
Pur tuttavia – mi rivolgo ai rappresentanti del Governo – ci presentiamo con spirito costruttivo, perché questa sfida va accettata; certamente, siamo del tutto indifferenti alle «scomuniche» nei confronti di presunti antifederalisti, che non esistono in quest’Aula, perché nessuno è depositario del federalismo vero, anche se la Lega, storicamente, su questo ha condotto una grande battaglia, che, purtroppo, per così dire, ha partorito un topolino, perché questo è un topolino, con tante contraddizioni e incertezze che rischiano di pesare nei prossimi anni sul nostro Stato e sul nostro Paese.
Siamo consapevoli del fatto che non si possa procrastinare all’infinito l’attuazione dei principi del federalismo fiscale previsti dalla Costituzione, anche se riteniamo che sarebbe stato meglio effettuare prima le modifiche costituzionali necessarie a governare il sistema delle autonomie, cominciando dal Senato delle regioni. Siamo contrari a questo federalismo fiscale, che, così com’è, non serve a contenere e a razionalizzare la spesa; anzi, rischia di aumentarla e di produrre conseguenze negative.

Fino ad oggi il testo è stato migliorato nella forma, ma non nella sostanza; ci auguriamo che in questo passaggio si possa passare dalla forma alla sostanza. L’inserimento, come dicevo, all’ultima ora della clausola di invarianza, di cui avevamo denunciato l’assenza, riduce, ma non elimina, i profili di incostituzionalità.
L’impossibilità di calcolare i costi e i rischi di oneri aggiuntivi per lo Stato e per i cittadini non sono eliminati, in quanto manca una sostanziale garanzia sugli effetti che l’attuazione del disegno di legge avrà nel tempo sul prelievo fiscale.
La discussione nel merito del provvedimento consentirà di tornare su questi argomenti, ma, nel complesso, voglio rimarcare che il testo uscito dall’esame in Commissione non supera le riserve che avevamo espresso e che riproporremo, come è nostra abitudine, con emendamenti in questa fase del dibattito.
In questo contesto, giova ribadire che solo dopo aver definito con chiarezza chi fa cosa, quanto deve essere fatto e quanto costa farlo è possibile immaginare un nuovo modello di finanziamento di regioni ed enti locali e, più in generale, una nuova regolamentazione dei rapporti finanziari tra Stato, regioni ed enti locali, in ossequio a quanto previsto dall’articolo 119 della Costituzione.
Per questa semplice ragione l’attuazione dell’articolo 119 può realizzarsi solo dopo che saranno definiti chiaramente i livelli essenziali delle prestazioni che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini, le funzioni fondamentali degli enti locali e il livello di decentramento necessario ad assicurare l’esercizio unitario delle funzioni sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza secondo quanto previsto dagli articoli 117 e 118 della Costituzione.
È necessario, dunque, far precedere l’esame del disegno di legge sul federalismo fiscale dall’esame e dall’approvazione del progetto di legge relativo alla Carta delle autonomie, in quanto, per le ragioni esposte, l’aspetto istituzionale risulta, senza dubbio, logicamente precedere e prevalere sugli aspetti finanziari.

Avremmo voluto, inoltre, che si evitasse la delega legislativa, il cui contenuto è nelle mani del Governo. Un percorso tanto complesso non basta realizzarlo con un ossequio formale verso il Parlamento, perché da questo punto di vista il Ministro Calderoli e tutti voi siete state ineccepibili: un percorso tanto complesso si deve realizzare con legge ordinaria, approvata dopo approfondita discussione dei due rami del Parlamento. Non è stato possibile, e si è chiesto di procedere con delega, ma non ci si può chiedere di sottoscrivere una delega in bianco.
Si propone un congegno ad alta complessità istituzionale: così lo ha definito il Ministro Tremonti al Senato, quando ha spiegato di non poter calcolare gli effetti del provvedimento, e quindi gli oneri.
Circa dodici tributi in gioco, cinque soggetti istituzionali per l’attuazione, due fondi di solidarietà previsti dalla Costituzione, ventinove principi e criteri direttivi generali e circa ottantanove specifici, fino a diciotto decreti delegati al netto delle modifiche ed integrazioni (il numero non è indicato, ma sono ipotizzabili sulla base della materia).
Una delega che viene conferita per il periodo, è bene sottolinearlo, coincidente con questa legislatura: due anni per i decreti delegati e due anni per eventuali correzioni. Ma perché? Perché si vuole rendere subalterno il percorso ad una logica politica interna alla coalizione, che non può in alcun modo interessare chi siede in questo Parlamento e soprattutto chi svolge la funzione di forza di opposizione. In questo modo il Parlamento non delega, ma trasferisce le proprie competenze affidategli dalla Costituzione, e i dubbi sulla costituzionalità di tale soluzione si accompagnano a quelli – lo ripeto – sulla sostenibilità del percorso.
Con le deleghe previste il Parlamento resta fuori da aspetti molto importanti nella definizione del federalismo fiscale, ed è escluso nei fatti dalla cabina di regia dell’attuazione della riforma: Parlamento e Conferenze Stato-autonomie locali continuano a viaggiare su corsie separate, mentre la riforma del Titolo V aveva aperto la possibilità di integrare la Commissione per le questioni regionali, l’unica prevista dalla Costituzione, con rappresentanti delle regioni e degli enti locali. L’istituzione di una Commissione parlamentare bicamerale va incontro all’esigenza manifestata dall’Unione di Centro al Senato, ma opera a tempo indeterminato; in ogni caso, non si valorizza la Commissione per le questioni regionali. Sulla questione del controllo parlamentare non è stata nemmeno seguita la proposta, sostenuta dal Partito Democratico e da noi, di introdurre la previsione di pareri vincolanti, sugli schemi di decreto legislativo, della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
I forti dubbi di costituzionalità formulati dalla maggioranza hanno contribuito a mettere da parte anche altre proposte alternative coerenti con la Costituzione, che meritano attenzione: mi riferisco alla nostra proposta di rafforzare la funzione di controllo con pareri da adottarsi a maggioranza qualificata, obbligatori ma non vincolanti. In un contesto del genere francamente riteniamo che sarebbero ben altri i profili di costituzionalità su cui il relatore e la maggioranza dovrebbero riflettere; e non si vuole fare polemica, ma ribadire una preoccupazione forte e sentita che si stia forzando il sistema, illudendo i cittadini.

La tempistica dell’emanazione dei decreti delegati non consente di affrontare i nodi che sono emersi con evidenza nelle audizioni dinanzi alle Commissioni riunite. Sono di dubbia efficacia le misure per risolvere il problema della disomogeneità dei dati contabili degli enti locali, le carenze del quadro conoscitivo dei dati di bilancio degli enti locali (anche per via delle cosiddette esternalizzazioni, che nei «consolidati» non consentono di conoscere con precisione il livello della spesa pubblica), la necessità di classificazione, di definizione delle specifiche attività amministrative da ricondurre alle funzione delle regioni e degli enti locali.
Ambigua ed evasiva la questione delle autonomie speciali: non essendo possibile con legge ordinaria prevedere l’introduzione dei principi e delle regole previste per il federalismo fiscale, il tema è trattato con compromessi, in modo da non scontentare nessuno; soluzione peraltro criticabile sul piano della tenuta costituzionale, proprio per la fonte utilizzata.
Siamo preoccupati che per la fretta si vada verso un federalismo fiscale incompleto e iniquo; in particolare non ci convince la genericità con cui si inquadra la futura determinazione del costo standard.
È ampiamente condivisibile l’abbandono di uno schema di finanziamento basato sulla finanza derivata, con l’attribuzione di entrate proprie e compartecipate in sostituzione dei trasferimenti, e il passaggio dal criterio della spesa storica ad una valutazione dei fabbisogni finanziari basata sulla valutazione del costo standard, inteso come costo di riferimento della produzione di un bene o di un servizio in condizione di efficienza produttiva. Mancano però i parametri, e tra questi riteniamo debba essere esplicito l’obbligo di tenere conto delle differenze territoriali: le condizioni economiche ed infrastrutturali del territorio incidono obiettivamente sui costi sopportati dalle imprese e dalla pubblica amministrazione.
Siamo quindi preoccupati che la differenza tra il costo standard coperto per le funzioni fondamentali e per i livelli essenziali delle prestazioni – quando capiremo quali sono – e il costo reale – cioè il costo sostenuto realmente dalle pubbliche amministrazioni nelle diverse aree del Paese – sia caricato sui cittadini che, a prescindere dal reddito, saranno costretti a pagare più tasse nelle aree svantaggiate.

Onorevoli colleghi, il dibattito ci consentirà di approfondire le singole questioni e mi auguro che nell’interesse del Paese si riesca a rivedere alcune scelte, lasciando da parte obiettivi particolari e contingenti.
Oltre agli emendamenti che saranno ripresentati, per contribuire a rendere più chiaro il testo e a garantire unitarietà, solidarietà e pari opportunità tra tutti i cittadini per noi sono fondamentali i seguenti emendamenti: primo, il complesso di emendamenti all’articolo 2, che definiscono un processo di attuazione del federalismo fiscale rispettoso delle autonomie territoriali e di carattere progressivo, da articolare nei ventiquattro mesi in fasi successive, nell’ambito delle quali ogni decreto legislativo deve essere sottoposto al parere parlamentare vincolante e rafforzato della Commissione bicamerale; secondo, gli emendamenti che stabiliscono che l’emanazione dei decreti delegati è subordinata all’introduzione della Carta delle autonomie; terzo, gli emendamenti che inseriscono esplicitamente il criterio per cui il calcolo del costo standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazione e delle funzioni fondamentali dei comuni deve tenere conto della diversità economica, territoriale e infrastrutturale; quarto, l’emendamento in base al quale i pareri sono affidati alla Commissione parlamentare per le questioni regionali prevista dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, recante Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, debitamente integrata con i rappresentanti di regioni, province ed enti locali; quinto, l’emendamento che prevede la maggioranza dei due terzi dei componenti per l’approvazione dei pareri da parte della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale; sesto, infine, l’emendamento per sostituire nei criteri direttivi previsti dalla norma di salvaguardia il riferimento all’obiettivo di non aumento della pressione fiscale, con l’inserimento tra i criteri direttivi generali dell’obiettivo di ridurre la spesa corrente e il livello complessivo della pressione fiscale.

Onorevoli Ministri, cari colleghi, noi crediamo che al Parlamento e all’Italia non servano nuovi spot! All’Italia, in un momento così drammatico in cui serve coesione sociale e politica tra maggioranza e opposizione, non serve la propaganda; serve un profondo cambiamento del nostro Stato, serve il coraggio di abolire le province, di procedere sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, di attuare una Carta delle autonomie che ci spieghi – prima di ogni altro provvedimento fiscale – le competenze e come a queste competenze adempiere.
Non sono – mi rendo conto – osservazioni facilmente risolvibili, eppure noi ci apprestiamo, con la solita costruttività, al lavoro comune di questi giorni in Parlamento.

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