Tutti i post della categoria: Giustizia

Intercettazioni, non è questo il momento per intervenire.

postato il 25 Giugno 2011

L’onda lunga dell’affaire-Bisignani non accenna ad arrestare la sua corsa e il primo ad essere travolto è lo strumento, l’arnese giudiziario che ha permesso di scoprire tutta la grandezza delle relazioni che il faccendiere intratteneva con la politica, le intercettazioni: mezzo di prova formidabile, hanno il pregio di essere spesso decisive nelle indagini. Quel che è emerso dall’inchiesta P4 è, a voler usare un eufemismo, inquietante. In primo luogo perché il protagonista della oscura vicenda, quel Luigi Bisignani da Milano, grandi entrature nei luoghi che contano del potere politico ed economico, teneva in pugno gran parte della classe dirigente del nostro Paese. Manager, funzionari pubblici, politici di lungo corso, tutti al telefono con il faccendiere, a farsi dare indicazioni e a chiedere intercessioni. Un grosso pezzo di italico potere tutto a pendere dalle labbra di Bisignani. Inquietante anche per il tenore del controllo che l’uomo deteneva nelle stanze dei bottoni. La Rai, per esempio: la sua influenza era fuori dall’immaginabile, l’ormai ex-direttore generale in sostanza alle sue dipendenze, anche nella gestione degli affari correnti oltre che a quelli più delicati, in cui l’intervento di Bisignani era d’obbligo, vedi il caso-Santoro, con la lettera di licenziamento scritta di suo pugno.

Bene, questo quadro di poteri e servizi pubblici nelle mani di un privato non poteva venire alla luce senza il determinante lavoro svolto dalle intercettazioni. Sul loro utilizzo si discute da sempre, da quando esistono. La loro funzione, i loro pregi, i loro difetti sono oggetto di un dibattito che in questi giorni acquista grande attualità. La tempesta perfetta si sta abbattendo su una larga parte del mondo politico della maggioranza. Personalità eminenti “pizzicate” al telefono con l’uomo del giorno, il faccendiere che tutti aiutava e che tutti annientava, all’occorrenza.

Inutile star lì, alla maggioranza le intercettazioni non stanno proprio simpatiche. A partire da colui che detta la linea: Berlusconi prova un’avversione sincera e conclamata per lo strumento principe delle indagini di questi tempi, non ha mai nascosto la sua posizione, si è sempre pronunciato per una loro razionalizzazione. Stretta, contenimento, giro di vite, il lessico è vario per descrivere l’intenzione di arginare il ricorso alle intercettazioni, o quantomeno la divulgazione di queste sulla stampa. I tentativi sono stati tanti nel corso degli anni, e a dire il vero anche bipartisan: ricordiamo tutti il ddl Mastella da cui, manco a dirlo, il premier vuole ripartire per una disciplina della materia.

Insomma, si addensano nubi di guerra che armeranno le opposte barricate: sostenitori tout court delle intercettazioni, tra i quali annoveriamo su tutti Di Pietro, leader IDV e i detrattori senza riserve, il partito di maggioranza in primis. Negli ultimi giorni, con i guai che la vicenda Bisignani sta portando, il premier e tanti nomi noti del PDL mettono le mani avanti, iniziando a prospettare la presunta necessità di una normazione chiara sulle intercettazioni. Alfano, ministro della Giustizia e uomo di partito (segretario in pectore del PDL), ricorda il costo della registrazione delle conversazioni telefoniche, un miliardo di euro per lo Stato italiano; Cicchitto grida allo scandalo e denuncia la pubblicazione a senso unico di queste fonti, a suo dire col solo intento di screditare la maggioranza; si è arrivati perfino alla presa di posizione del ministro Frattini, di solito morbido e conciliante, che invoca l’urgenza di una legge che impedisca ai giornali di pubblicare le intercettazioni.

In tutto questo vortice di dichiarazioni e di interessi in gioco è utile precisare che in effetti un qualche marchingegno per distinguere le intercettazioni penalmente rilevanti da quelle che non lo sono servirebbe. Al diritto collettivo ad essere informati si contrappone un altro diritto, meritevole di tutela tanto quanto il primo, quello individuale alla riservatezza. Perché sbattere in prima pagina persone coinvolte a latere dell’inchiesta, persone intercettate ma estranee a ipotesi di reato, la cui immagine viene compromessa quando l’opinione pubblica viene a conoscere certe conversazioni private, ancorché delicate o talvolta equivoche? Forse un abuso dello strumento in questo senso è commesso, e bisogna rimediare. Ma l’imperativo è studiare misure delicatissime per garantire l’equilibrio tra informazione e privacy: come potremmo non essere preoccupati della possibilità che, qualora entrasse in vigore una legge che vincola i giornali alla pubblicazione delle sole intercettazioni penalmente rilevanti, la stampa non osi far uscire più nulla, nel timore di conseguenze giudiziarie? Se una legge serve, e di questo siamo convinti perché non si può lasciare un tema così delicato alla “libera determinazione delle parti”, visto che gli interessi pubblici e privati in campo sono evidentissimi, nel testo bisognerà specificamente indicare cosa nella conversazione rappresenta reato e cosa no, descrivere quali comportamenti costituiscono prova penale e quali invece sono solo pensieri ad alta voce, pettegolezzi o critiche a terzi. Solo così potremo uscire da questo straordinario e dannoso cortocircuito, in cui i giornali urlano il malcostume telefonico e la politica si chiude a riccio nella difesa della propria posizione, rafforzando l’idea che la casta si autotutela e rende intoccabili i suoi membri.

No, siamo garantisti e nemici dei processi in piazza o sui giornali, ma non possiamo tollerare che una vicenda di tale portata sia sfruttata per limitare la forza di uno strumento necessario come le intercettazioni. Ricordiamo che spesso da posizioni laterali, a prima vista insignificanti, partono ceppi di inchiesta che sgominano illegalità diffuse. Regolamentare la materia è cosa buona e giusta, ma questo non è il momento adatto: i protagonisti di quest’iniziativa non sono certo garanzia perché questa riforma si faccia con le dovute cautele e il dovuto clima di condivisione, per la semplice ragione che ci sembrano troppo coinvolti nella vicenda.

Ciascuno si prenda le proprie responsabilità: i giornali smettano di brandire il pettegolezzo come mezzo per inseguire i gusti dei lettori, la magistratura continui ad agire con indipendenza e non incappi nell’errore di avere la bava alla bocca e la politica faccia la sua parte, ragioni in modo serio sulla funzione delle intercettazioni, non perda di vista lo Stato di diritto, garantisca a tutti le giuste tutele ma, sopra ogni cosa, la smetta con l’autoindulgenza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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Legge su intercettazioni desterebbe troppi sospetti

postato il 23 Giugno 2011

In questo momento mi sembra difficile approvare una legge in fretta e furia, desterebbe troppi sospetti. Noi eravamo per l’approvazione del provvedimento a cui lavorò il ministro Mastella ma poi non se ne fece più nulla. In questa fase sarebbe sbagliato.

Pier Ferdinando

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Referendum, il quesito sul legittimo impedimento

postato il 10 Giugno 2011

Come noto i prossimi 12 e 13 giugno saremo chiamati a votare per una consultazone referendaria su quattro distinti quesiti. Mentre i primi tre, riguardanti la gestione dell’acqua pubblica e la ricerca e l’introduzione dell’energia nucleare, sono argomenti a forte carattere tecnico, il quarto ha una valenza prettamente politica ed è quello che, sul piano politico appunto, potrebbe avere le maggiori ripercussioni. Vediamo di cosa si tratta( per chi volesse informarsi anche sugli altri quesiti si veda anche http://www.referendum-2011.info/ oppure sull’acqua e sul nucleare): Il quesito n. 4 (Scheda di colore verde) ha per oggetto l’abrogazione della norma che regola il legittimo impedimento invocabile dal Presidente del Consiglio e dai ministri al fine di non presenziare in aula se soggetti a processi; il quesito richiede che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché l’articolo 2, della legge 7 aprile 2010 n. 51, recante Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza. Chi vota Si vuole abrogare tale norma; chi vota No la vuole mantenerla.

Occorre brevemente spiegare cosa sia il legittimo impedimento e perchè questo quesito rivesta una particolare importanza politica: per principio generale, applicabile a chiunque in ambito penale, ciascun imputato ha diritto di scegliere se partecipare o meno alle udienze che lo riguardano. Se non partecipa il procedimento va comunque avanti anche in sua assenza, a meno che tale assenza derivi da un “legittimo impedimento”. In quel caso l’imputato ha diritto ad ottenere un rinvio dell’udienza ad altra data nella quale non sussista tale impedimento. Sulla base di questo principio generalmente applicabile, la Legge 7 aprile 2010 ha introdotto principalmente due varianti rilevanti: 1- le incombenze derivanti da attività di governo del Presidente del Consiglio e dei Ministri costituiscono legittimo impedimento nel senso sopra descritto; 2- l’autorità politica che intende avvalersene può autocertificare l’esistenza dell’impedimento senza che vi possa essere alcuna discrezionalità da parte dell’autorità giudicante. In aggiunta la Presidenza del Consiglio può giudicare tale impegno continuativo e richiedere un rinvio per un periodo fino a 6 mesi. Chiamata ad esprimersi sulla materia la Corte Costituzionale, con la sentenza 23/2011 (http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do) ha ridimensionato notevolmente la portata della legge. Infatti, pur ritenendo valido il principio secondo cui gli impegni legati al mandato governativo possano costituire motivo valido quali legittimo impedimento, ha dichiarato illegittima la parte della norma relativa alla possibilità di autocertificazione e di impegno continuativo. In poche parole la Consulta ha stabilito che la sospensione non possa essere richiesta per impegni genericamente continuativi e che, cosa più importante, l’autorità giudicante conserva la propria discrezionalità circa l’effettiva legittimità dell’impedimento addotto con la immediata conseguenza di far riprendere immediatamente i procedimenti sospesi fino a quel momento a carico del Presidente del Consiglio.

Fin qui la parte tecnica del quesito, ora alcune considerazioni di natura più politica.

In primo luogo, siamo sicuri che una vittoria eventuale dei SI modifichi la normativa esistenete? L’abrogazione della norma riporterebbe di fatto la situazione a quel principio di portata generale sopra descritto, ossia alla possibilità che chiunque ha di far valere un proprio legittimo impedimento. D’altronde la citata sentenza delle Corte ha di fatto apposto un avvallo costituzionale alla possibilità che gli impegni istituzionali possano costituire legittimo impedimento secondo il prudente apprezzamnto dell’autorità giudicante. Ne consegue che, di fatto, anche una vittoria dei SI e la conseguente abrogazione della legge 51/2010 potrebbe avere limitatissimi effetti procedurali.

Notevolmente maggiore invece sarebbe la portata politica di una eventuale vittoria del SI: è indubbio infatti che sul tentativo di ostacolare i procedimenti penali a suo carico, il Premier abbia fondato gran parte della propria attività politica, sempre forte, a suo dire, che la propria legittimazione discendesse direttamente dal consenso popolare. Da questo punto di vista il raggiungimento del quorum contro ogni previsione, darebbe la chiara indicazione di quanto questo modo di fare politica non sia più né capito né seguito dalla gente; che la legittimazione popolare non è una delega in bianco, ma al contrario c’è fintanto che chi governa lo fa negli interessi della nazione e non esclusivamente dei propri; che, probabilmente, la norma del legittimo impedimento sia la risposta sbagliata ad un problema, quello del bilanciamento fra i poteri legislativo ed esecutivo da un lato e giudiziario dall’altro, che tuttavia esiste e merita di essere affrontato con ottica altamente istituzionale e non personalistica.

Per questi motivi, nella speranza che chi governa recepisca il messaggio e cambi decisamente passo o, in alternativa, ceda la mano, il 12 e 13 giugno vale la pena andare a votare e votare SI al quesito sul legittimo impedimento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Alberto Evangelisti

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Il suo nome era Giovanni

postato il 22 Maggio 2011

Il suo nome era Giovanni, non era mandato da Dio come il più illustre Battista, ma a muoverlo era la sua coscienza limpida e libera. Giovanni non fu un profeta, ma un fedele servitore dello Stato, eppure disse cose profetiche sulla Sicilia e sull’Italia, ne denunciò con forza il suo male oscuro e gli operatori di iniquità. Giovanni non visse nel deserto e non si cibò di locuste, ma fu costretto a vivere nel carcere dell’Asinara e a bere l’amaro calice della stagione dei veleni. Fu la speranza di molti, rimase solo e morì perché era entrato in un gioco troppo grande. Giovanni non è un santo, anche se qualcuno ne vuole fare un santino, ma è un martire, e il martire etimologicamente è colui che testimonia fino all’effusione del sangue. Giovanni testimoniò l’amore per la giustizia e la verità, la fedeltà e il servizio alle Istituzioni, la convinzione che una Sicilia e un’Italia diversa sono possibili, e la sua testimonianza non è rimasta sotto le macerie della strage di Capaci ma continua a camminare sulle gambe di tutti coloro che credono che un domani migliore è possibile se ciascuno fa qualcosa, se ciascuno fa il suo dovere.

Ricordare Giovanni, fuori dagli esercizi retorici, significa fare propria la sua testimonianza, impegnarsi perché le cose cambino, significa essere tutti Giovanni. Il suo nome era Giovanni, ma Giovanni è ora anche il nome di tutti gli italiani onesti e impegnati, di tutti coloro che il 23 maggio, non solo del 1992 ma di ogni anno che Dio ci manda sulla terra, hanno alzato la testa e detto basta alle barbarie e alla paura.

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La mediazione

postato il 22 Maggio 2011

Il decreto legislativo n°28 del 2010, entrato in vigore lo scorso 20 marzo, ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. L’introduzione di tale istituto, formalmente attuazione della direttiva 2008/52/Ce, in realtà non è altro che l’ennesimo espediente del legislatore per tentare di deflazionare il contenzioso civile, e dunque di ridurre il carico di lavoro dei giudici cercando, con la prospettiva di un procedimento più celere e soprattutto caratterizzato da notevoli esenzioni fiscali, di attirare i cittadini verso questa forma di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Sappiamo tutti che uno fra i principali problemi che affliggono il nostro paese è da sempre la lentezza dei processi, specie quelli civili, con buona pace del principio, sancito al secondo comma dell’art.111 Cost., della ragionevole durata!

Cos’è la mediazione? Secondo l’art.1 del decreto la mediazione è <<l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa>>. La norma distingue la mediazione dalla conciliazione, a sua volta definita come <<la composizione della controversia a seguito dello svolgimento della mediazione>>. La conciliazione sarà dunque l’esito finale positivo della mediazione. Il mediatore non è un giudice o un arbitro, ma un soggetto terzo e imparziale che deve accompagnare le parti nella ricerca di una composizione amichevole della vicenda; l’accordo raggiunto non sarà un atto del mediatore, ma un vero e proprio atto negoziale delle parti.

A ben vedere, il nostro ordinamento non era del tutto estraneo a procedimenti del genere, infatti tentativi obbligatori di conciliazione sono già previsti in alcuni casi particolari quali, per fare alcuni esempi, le controversie di lavoro (per le quali la l.183/2010 ha trasformato il tentativo di conciliazione da obbligatorio in facoltativo… forse il nostro legislatore è un po’ contraddittorio?), le controversie commerciali tra imprese e tra imprese e consumatori nonché quelle che riguardano il settore delle telecomunicazioni o la materia di diritto d’autore, né bisogna dimenticare che nei procedimenti davanti al giudice di pace costui è tenuto in primis a valutare la possibilità di una soluzione condivisa della causa.

Ma adesso ci si è spinti ben oltre. La nuova normativa ha infatti introdotto la mediazione obbligatoria per tutte le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutti questi casi la procedura di mediazione costituisce una condizione di procedibilità della domanda. Ciò significa che un qualsiasi cittadino che voglia far valere in giudizio un proprio diritto o una propria pretesa attinente tali materie dovrà preventivamente rivolgersi a un organismo abilitato per la mediazione, e solo in un secondo momento potrà agire in giudizio. Per tutte le altre materie è riconosciuta alle parti la facoltà di proporre domanda di mediazione prima di adire gli organi giurisdizionali, purché la controversia riguardi diritti disponibili. Per tale ragione è previsto a carico dell’avvocato l’onere di informare chiaramente e per iscritto il cliente della obbligatorietà o della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (e dei relativi vantaggi fiscali), e la violazione di tale obbligo di informativa da parte dell’avvocato comporta l’annullabilità del contratto tra quest’ultimo e il suo assistito. Il documento contenente l’informativa dovrà essere sottoscritto dal cliente e allegato agli atti introduttivi del giudizio.

Pertanto nelle materie sopra elencate l’esercizio della giurisdizione è condizionato dal previo esperimento di un procedimento di natura non ben identificata (non ha né natura giurisdizionale, né amministrativa) per il quale non è prevista a favore delle parti l’assistenza dell’avvocato. Anche se sembra che proprio in questi giorni il Ministro Alfano, dopo numerose pressione da parte degli avvocati, si sia accordato con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense nel senso di disporre l’assistenza obbligatoria dell’avvocato durante la mediazione per controversie che abbiano un valore superiore a una soglia di 7/10 mila euro. È innegabile che l’avvocato potrebbe avere un ruolo importantissimo nel procedimento di mediazione, preparando le parti all’incontro e affiancandole durante la stesura dell’accordo finale.

Organismi di mediazione possono essere tutti gli enti pubblici o privati che ottengono l’iscrizione nell’apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia, che diano garanzia di professionalità e indipendenza e siano stabilmente destinati a tale attività. Ogni organismo di mediazione deve essere composto da almeno cinque mediatori. Il mediatore è un soggetto terzo e imparziale, il cui compito è affiancare le parti nella composizione della controversia, ovvero proporre egli stesso una soluzione che le parti potranno accettare o meno. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, data la delicatezza del compito che è chiamato a svolgere, per rivestire la funzione di mediatore non sono previsti particolari requisiti di qualificazione, essendo sufficiente un diploma di laurea (anche triennale) o l’iscrizione a un collegio od ordine professionale, accompagnati da un percorso formativo, della durata minima di sole 50 ore, oggetto del quale saranno non soltanto le normative ma anche le tecniche e le procedure di mediazione. Desta non poche perplessità dunque che non sia richiesta una preparazione strictu sensu giuridica, sebbene i soggetti in questione dovranno affrontare problemi giuridici di una certa rilevanza!

Il mediatore ha l’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione; egli inoltre deve essere imparziale, perciò dovrà sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità (a seconda di quanto previsto dal regolamento di procedura applicabile) e dare immediata comunicazione all’organismo e alle parti delle ragioni di un eventuale pregiudizio all’imparzialità nel corso del singolo procedimento di mediazione.

In linea teorica il procedimento di mediazione dovrebbe concludersi entro quattro mesi dalla presentazione della domanda di mediazione o dalla data fissata dal giudice per il deposito della stessa (ciò avviene quando il giudice rinvia l’udienza a seguito di dichiarazione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui è obbligatoria, ovvero nell’ipotesi di mediazione delegata, cioè quando egli stesso invita le parti a procedere alla mediazione). La legge non precisa quali siano le conseguenze dell’infruttuoso decorso di tale termine, che non è qualificato come perentorio e al quale non è collegata alcuna decadenza. In teoria dovrebbe potersi proporre domanda giudiziale senza correre il rischio che questa venga dichiarata improcedibile.

L’unica escamotage che resta alle parti per evitare la procedura di mediazione ed esercitare l’azione giudiziale è quella di non presentarsi all’incontro fissato per la mediazione; in tal caso infatti il procedimento si concluderà per mancata adesione della parte invitata.

La mediazione ha pur sempre dei costi, infatti la legge dispone che gli organismi ad essa deputati abbiano diritto ad un’indennità, e il “costo” della singola mediazione è legato al valore della controversia. Le spese sono dovute in solido dalle parti, e comprendono anche la parcella del mediatore. La mediazione tuttavia è gratuita per i soggetti ai quali nel processo sarebbe riconosciuto il gratuito patrocinio.

Se, in seguito all’esito negativo della mediazione, la sentenza sulla medesima questione rispecchia la conciliazione proposta dal mediatore, ma rifiutata dalla parte, essa sarà condannata al pagamento delle spese processuali alla controparte successive alla formulazione della proposta e al versamento di una somma a favore dello Stato. È dubbia dunque anche la proclamata economicità del procedimento in questione, dato che la parte che intende rifiutare la proposta di conciliazione e proporre domanda giudiziale, e quindi esercitare un diritto che le è garantito dalla Costituzione (art.24), corre il rischio di doversi sobbarcare le spese processuali!

È doveroso chiedersi se l’obbligatorietà della mediazione contrasti con l’art.24 della Costituzione, in forza del quale <<tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi>>. La Corte Costituzionale si è in passato espressa più volte sull’ammissibilità di forme di giurisdizione condizionata, distinguendo tra condizioni di proponibilità e condizioni di procedibilità della domanda, e considerando le prime incostituzionali poiché, comminando la sanzione della decadenza, impediscono l’esercizio del diritto di azione. Ha invece considerato costituzionalmente legittime le condizioni di procedibilità, le quali hanno il solo effetto di ritardare il momento in cui sarà esercitata l’azione giudiziale, senza però impedirla. Ora poiché la normativa in esame prescrive la mediazione quale condizione di procedibilità (e non di proponibilità) della domanda giudiziale sembrerebbe doversi considerare non contrastante con l’art.24 della Costituzione. Il problema sarà affrontato prossimamente dalla Corte Costituzionale, infatti il Tar del Lazio ha recentemente sollevato questione di legittimità costituzionale su alcune parti del regolamento emanato dal Ministero della Giustizia per introdurre la mediazione. Tra le questioni di legittimità che il giudice amministrativo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate ve ne è una che riguarda la parte del regolamento che obbliga il soggetto a rivolgersi previamente agli organismi di mediazione, e solo in caso di esito negativo di tale procedura alla magistratura. Attendiamo con ansia la pronuncia della Corte!

È troppo presto per fare un bilancio su questo istituto, solo il tempo potrà dirci se effettivamente funziona. Certamente è riduttivo giustificarne l’utilizzo per il solo fine di diminuire il carico di lavoro dei giudici. La mediazione dovrebbe al contrario essere uno strumento che consenta alle parti di ottenere una tutela qualitativamente migliore dei propri diritti.

Stupisce, e non poco, che il legislatore dopo aver introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie civili e commerciali, qualche mese dopo abbia trasformato in facoltativo il tentativo di conciliazione previsto per le controversie di lavoro. I più maliziosi pensano che in realtà la riforma avesse un obiettivo celato, vale a dire la creazione di una nuova figura professionale, quella del mediatore, visto il particolare periodo di crisi occupazionale che il nostro paese sta attraversando. È pacifico che gli organi di mediazione sono proliferati negli ultimi mesi, organizzando corsi di formazione che fanno pagare fiorfior di quattrini! Insomma attorno a questo istituto si è creato un vero e proprio business, il che ci porta a pensare che, se anche gli esiti delle prime applicazioni di esso non saranno positivi, non si potrà tornare indietro e cancellare tutto con un colpo di spugna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara D’Angelo


 

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Se il problema carceri non è particolarmente rilevante…

postato il 19 Maggio 2011

Dopo la batosta elettorale è arrivata la batosta parlamentare. Nel primo giorno di votazioni alla Camera  l’esecutivo è andato sotto cinque volte: sui documenti presentati da Fli, dal Pd e da Idv su cui aveva espresso parere negativo e che invece sono stati approvati dall’assemblea di Montecitorio, e sulla premessa del documento di maggioranza, su cui c’era parere favorevole. La stampa ha dato la colpa di questa debacle parlamentare al gruppo dei responsabili che, intimoriti dal mancato arrivo della seconda infornata di incarichi governativi, hanno “ricordato” al governo che ci sono e che le sorti dell’esecutivo sono legate ai loro mal di pancia. Che i responsabili fossero più disponibili che responsabili si sapeva, stupisce però, in questa vicenda, il commento del ministro degli esteri Franco Frattini, che in una intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «non darei peso a questi voti su provvedimenti non particolarmente rilevanti». Peccato che quattro dei cinque documenti sui quali è stata battuta la maggioranza riguardino i provvedimenti necessari a rendere più umana la vita nelle carceri italiane. A questo punto si possono fare due ipotesi: o il ministro Frattini, che probabilmente ha pure votato, ignorava il contenuto dei documenti che votava oppure ritiene che il problema carceri sia qualcosa di “non particolarmente rilevante”. Nel primo caso il ministro degli esteri potrebbe fare buona compagnia alla collega Gelmini che qualche tempo fa è andata in Tv senza sapere di cosa parlava (ed aveva anche ragione!), viene però qualche preoccupazione per la sorte della nostra politica estera; se invece Frattini ritiene i provvedimenti per umanizzare le carceri “non particolarmente rilevanti” allora ci sarebbe la conferma che questo governo e questa maggioranza non hanno nessun intenzione riformatrice, in particolare nel campo della giustizia dove, come ha giustamente notato l’on. Roberto Rao, «quando non sono in ballo gli interessi del premier, la maggioranza svanisce». Al ministro Frattini, ai responsabili e al resto della maggioranza però bisognerebbe ricordare che solo nell’ultimo fine settimana sono stati tre i decessi nelle carceri italiane: un detenuto a Torino si è tolto la vita impiccandosi nella cella dove era recluso, mentre all’Isola d’Elba un altro detenuto 53enne sarebbe stato stroncato da un malore; significativa anche l’estrema ratio di un Assistente capo della Polizia penitenziaria nel carcere di Viterbo, suicidatosi con l’arma d’ordinanza. Ma forse sono cose poco rilevanti. Per loro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Processo breve, la dichiarazione di voto

postato il 14 Aprile 2011

Un ennesima occasione persa, si continua con le vecchie scorciatoie e il paese da 20 anni ancora aspetta quella riforma epocale della giustizia: promessa non mantenuta di cui sentiamo l’esigenza. Dopo 20 anni siamo tornati davanti al tribunale di Milano con la gente sul marciapiede. Questa legge ad personam non sarà utile nemmeno al premier perché il provvedimento non reggerà alle successive verifiche istituzionali.

Aspettiamo una riforma della giustizia che corrisponda ai criteri di imparzialità e di equilibrio risolvendo lo storico carico di processi e l’ingolfamento che si è prodotto.

Siamo convinti che per battere Berlusconi servano le armi della politica e non le scorciatoie giudiziarie che sarebbero la sconfitta della politica . E’ l’opposizione che deve indicare una nuova strada per l’Italia.

Pier Ferdinando
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Non abbiamo mai voluto leggi ad personam? Grazie a Berlusconi per averlo ricordato agli italiani

postato il 9 Aprile 2011

Berlusconi ieri sera ha spiegato che se i suoi disegni non sono passati e’ stato per merito anche dell’Udc, mio e di altri. Gli siamo grati che lo abbia ricordato agli italiani. Noi non abbiamo accettato che si facessero leggi solo per i suoi interessi, ma volevamo che le leggi fossero nell’interesse dei cittadini. Berlusconi non riesce a fare nulla sugli emigranti, non riesce a fare nulla per le condizioni drammatiche delle famiglie italiane. Non riesce a fare nulla su quasi tutto, però bisogna essere grati a quest’uomo perché ogni tanto dice la verità.

Pier Ferdinando

 

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Il processo è breve ma la notte è lunga

postato il 7 Aprile 2011

Tanti italiani sono abituati a lavorare fino a tardi o addirittura a svolgere il proprio lavoro in notturna, a volte con turni massacranti ma sempre per racimolare quanto è necessario per arrivare alla fine del mese. In questi giorni i deputati saranno impegnati ad oltranza, sfruttando quindi le ore della notte, per stare in aula a discutere e votare. “Finalmente” dirà qualcuno, sperando di vedere finalmente un Parlamento che lavoro giorno e notte per il Paese, ma purtroppo le sedute in notturna della Camera dei Deputati sono una richiesta della maggioranza per evitare l’ostruzionismo dell’opposizione e approvare nel più breve tempo possibile la legge sul processo breve.

Sembra incredibile: mentre c’è una guerra in fase di stallo, mentre il canale di Sicilia si riempie di cadaveri e l’emergenza immigrazione spacca l’Italia e l’Europa, i deputati sono costretti dagli strateghi del Presidente del Consiglio agli straordinari per varare una legge che ha l’unico obiettivo di salvare il Premier dai suoi guai giudiziari. Come se non bastasse i ministri di questo governo, che dovrebbero in queste gravi situazioni adoperarsi per risolvere problemi ben più grandi, essendo deputati sono costretti a stare incollati al loro scranno parlamentare per evitare al Governo una nuova Caporetto in materia di giustizia. C’è un evidente scollamento tra il Paese reale, che si affanna e soffre,  e una classe politica impantanata in un dibattito sterile e peggio ancora nella difesa dei privilegi e delle malefatte di pochi. La seduta notturna della Camera per approvare l’ennesima legge ad personam, non è solo una triste cartolina da Montecitorio ma è una metafora della situazione politica: le tenebre nella letteratura di ogni tempo sono anche  il tempo degli operatori di iniquità, il tempo di quanti si nascondo e mettono in atto ogni genere di azione cattiva. Approvare una legge, questo tipo di legge, di notte mentre la gran parte del popolo italiano dorme è una conferma che siamo purtroppo ancora una volta alla “notte della Repubblica”. Se Federico Fellini fosse vivo direbbe nuovamente che “adesso c’è soltanto il sentimento di un buio in cui stiamo sprofondando”. E’ notte, una lunga notte, ma istintivamente tutti noi cerchiamo un po’ di luce.

Adriano Frinchi

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Processo breve, giù le maschere

postato il 31 Marzo 2011

Se fosse ancora in edicola il settimanale satirico “Cuore”  molto probabilmente  rispolvererebbe un suo  storico titolo: “hanno la faccia come il culo”. Non sarebbe solo una battuta, ma una serena analisi della situazione che si è venuta a creare nella convulsa giornata parlamentare di ieri nella quale Pdl, Lega e Responsabili hanno deciso di forzare i tempi, modificando con un blitz parlamentare  l’ordine del giorno, per approvare il cosiddetto “processo breve”. L’indignazione non è solamente per  una norma che manderebbe in prescrizione migliaia di processi,  liberando e lasciando impuniti criminali di ogni specie, ma anche verso gli abusi perpetrati dalla maggioranza, spacciati per strategia politica, e la presa in giro nei confronti dell’opposizione e del Paese intero. Ma è quest’ultimo elemento che rende la vicenda assolutamente vergognosa:  dopo settimane in cui il ministro Alfano ha dichiarato pubblicamente e ripetutamente di voler discutere in Parlamento una “epocale” riforma della giustizia mettendo da parte provvedimenti minimali e chiaramente riconducibili ai problemi giudiziari del Presidente del Consiglio, si assiste in queste ore ad un drammatico e insensato dietrofront che riporta in primo piano esclusivamente l’interesse del Premier. Di epocale in questo momento c’è solo l’inganno perpetrato da questo governo nei confronti dell’opposizione e dell’intero Paese, ed è  grave che i membri del governo e della maggioranza non abbiano il benché minimo rossore in volto nel prevaricare il ruolo del Parlamento e nel presentare una palese legge ad personam come un provvedimento chiave di una inesistente riforma della giustizia.

Dov’è finita la riforma per gli italiani? Dov’è finita la riforma condivisa con le opposizioni? Tutto sparito in 24 ore grazie all’ordine di scuderia giunto da Lampedusa dove il principale interessato a questa presunta riforma teneva un altro dei suoi show nel tentativo di sviare l’attenzione dal colpo di mano parlamentare dei suoi.  Tuttavia la triste giornata di ieri, finita peraltro in un ancor più triste vortice di insulti e monetine, ha avuto il merito di mostrare la realtà di un governo dove non ci sono né statisti né riformatori ma solo portaborse e fedeli esecutori di un Presidente del Consiglio che persegue esclusivamente in suo interesse personale e che, come ha ben scritto Massimo Cacciari, non fa altro che precipitare la democrazia in demagogia e populismo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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