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Il valore del merito

postato il 18 Febbraio 2013

Basta vedere nei giovani una fascia debole su cui intervenire assistenzialmente e con misure spot. Vogliamo premiare il merito e il talento dei nostri giovani perché sono una risorsa, consentendo loro di accedere a prestiti d’onore per continuare gli studi o per fare impresa, soprattutto per chi non ha una famiglia benestante alle spalle.

Occorre rivedere il sistema formativo italiano. Siamo la nazione con il più basso numero di laureati e una buona fetta di chi si iscrive all’Università non la completa a volte anche per motivi economici.

Dall’altra parte occorre evitare nell’errore di considerare valido solo chi è laureato: il nostro compito deve essere quello di  sostenere i talenti in ogni campo, per sviluppo loro e di tutto il Paese.

Ci sono aree del Mezzogiorno, che soffrono di un livello altissimo di disoccupazione giovanile, in cui spesso ci sono aziende che non trovano lavoratori qualificati. Questo mi convince sul fatto che il sistema della formazione professionale vada ripensato, legandolo efficacemente a un mercato del lavoro libero da condizionamenti clientelari.

Quando progettiamo un alleggerimento della macchina statale, pensiamo principalmente ai giovani pieni di idee e progetti, desiderosi di fare impresa: ma come possono riuscirci, se l’Italia è il Paese europeo in cui le imprese trascorrono il maggior numero di ore negli uffici pubblici? Quando quei giovani avranno superato i mille ostacoli burocratici, la loro idea sarà già stata immessa sul mercato da qualche loro coetaneo europeo, americano e del Sud-est asiatico.

Facciamo del nostro Sud una bellissima Silicon Valley: poche leggi, rispetto per la Legge, libertà d’impresa. Ogni talento del Meridione è un’agenzia di sviluppo del proprio territorio. Non ci sarà Ponte sullo Stretto in grado di colmare l’enorme perdita di capitale umano che ogni giorno lascia il Sud e che di quel Sud potrebbe essere il vero motore di crescita.

Pier Ferdinando


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Io corro per la famiglia: Francesco D’Andola

postato il 17 Febbraio 2013

Francesco D’Andola è nato ad Assisi il 26/9/1980 e vive da sempre a Perugia. Figlio di famiglia numerosa, primo di sei fratelli, è sposato da 7 anni con Elisabetta con cui ha avuto 4 figli: Maria, Caterina, Giovanni ed Elena. Laureato in Informatica presso l’Università degli studi di Perugia, è impiegato da un anno presso il Comune di Perugia come collaboratore informatico, dopo una decina d’anni di lavori precari.
Da sempre inserito nel mondo cattolico, principalmente attraverso l’esperienza di fede del Cammino Neocatecumenale, svolge da anni attività volontaria presso l’Oratorio Giovanni Paolo II di Perugia, soprattutto con giovani adolescenti. In questo ambiente ha maturato nel tempo anche una personale passione per la politica. E’ socio fondatore e membro del direttivo del Circolo Giorgio La Pira, realtà diocesana di Perugia per la formazione di giovani alla Dottrina Sociale della Chiesa, e delegato presso il Forum delle Associazioni Familiari dell’Umbria. Di recente con altre famiglie Francesco ha dato vita all’associazione Casa Maria ed Elisabetta – onlus, una rete finalizzata a esperienze di accoglienza, affido, sostegno, ospitalità e mutuo aiuto. Membro dell’Associazione Nazionale Famiglie Numerose, ha partecipato nel 2006 ad un Consiglio Nazionale dell’UDC come suo rappresentante, stringendo una forte amicizia personale con il sen. Luca Marconi. Grazie a lui e su spinta dell’on. Rocco Buttiglione prendeva forma la Consulta del Mondo cattolico e delle realtà ecclesiali, strumento attraverso il quale l’allora costituenda Unione di Centro si apriva a coloro che, provenienti dall’impegno ecclesiale e sociale nell’associazionismo cattolico, volevano contribuire al nuovo corso. Francesco ne è stato il responsabile regionale, contribuendo con entusiasmo alla creazione di un’ampia rete che, dopo vari incontri a livello locale, ha avuto il suo apice con la grande convocazione nazionale a Loreto nel novembre 2008, con oltre mille partecipanti in rappresentanza di decine di organizzazioni cattoliche.
Nel 2010, a seguito delle elezioni regionali vinte da Sandra Monacelli, ha svolto il ruolo di responsabile di segreteria presso il Gruppo consiliare regionale “Unione di Centro” per i primi due anni di legislatura. L’amicizia e la collaborazione con lei lo hanno portano oggi a spendersi in queste elezioni politiche come candidato dell’Udc alla Camera per la circoscrizione Umbria.

Francesco, come hai deciso di candidarti?

Su esplicito invito del partito (nella persona di Sandra Monacelli che conosco e stimo da anni) che ho accettato volentieri, perché ritengo molto valida la lista umbra UDC per la Camera dei Deputati guidata da lei e dal capolista Giorgio Guerrini, entrambe persone con efficaci esperienze sul territorio, oltre agli altri rappresentanti espressione di tutta la realtà regionale. L’ho fatto principalmente perché da cristiano sento il dovere di lavorare per il bene comune là dove la storia mi ha posto ed avverto l’urgenza e la responsabilità di dare il mio contributo in questo momento cruciale che viviamo, pur consapevole del diffuso sentimento di rabbia verso la politica e dell’ingiustizia di una legge elettorale che limita fortemente la possibilità di scegliere, ma mi sono posto di fronte alle prossime elezioni politiche col desiderio di continuare a costruire un percorso anche in questo difficile contesto.

Perché proprio nell’Udc?

Perché l’UDC è il partito che fin dall’inizio ha dato spazio alle attese di un mondo cattolico (significativa per me l’esperienza con l’on.Luca Marconi nella Consulta del Mondo cattolico e delle Realtà ecclesiali, strumento col quale l’Unione di Centro si è aperta al contributo di persone provenienti dall’impegno ecclesiale e sociale nell’associazionismo cattolico) che ora può trovare un punto di convergenza e ricompattarsi intorno ad un progetto politico, un programma e dei valori rispondenti alla tradizione umanistica cristiana, dentro la cornice di una coalizione a sostegno del Presidente Monti, il quale rappresenta in questo momento una garanzia internazionale che fa da “scudo” e dà respiro ad una proposta politica seria oltre gli schieramenti che in venti anni hanno dimostrato tutta la loro incapacità, ponendo fine alla Seconda Repubblica ed aprendo una fase nuova di ricostruzione del Paese, ripartendo da una nuova comunità politica e culturale che si unisce nel solco del Partito Popolare Europeo guardando solo al bene del popolo italiano.

Perché votare l’Udc?


Perché è rimasto pressoché l’unico partito sulla scena politica ad assumere una posizione chiara e compatta sui principi non negoziabili, avendo a cuore tutto l’uomo con una dignità non a corrente alternata, presupposti essenziali per la programmazione di un’azione politica completa ed efficace: tutela della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale a salvaguardia anche del “durante”, investimento sulle potenzialità della famiglia che ha fatto da ammortizzatore sociale in questa fase ed ora può costituire lo start-up su cui investire per far ripartire il motore Italia, riconoscimento pieno e fattivo della libertà di educazione come elemento essenziale per la costruzione della società futura. Per queste ragioni sono stato tra i primi ad aderire con profonda convinzione alla Piattaforma del Forum delle Associazioni Familiari “Io corro per la famiglia. Più famiglia oggi – Più Italia domani”, con l’intenzione di mettere da subito in atto un’applicazione a tutto campo del “Fattore famiglia” nel solco delle misure proposte da Monti ed in parte già avviate: aumento delle attuali detrazioni Imu per i familiari a carico, robuste politiche di conciliazione famiglia-lavoro, ampliamento del congedo parentale, riforma dell’ISEE, incentivazione dei nidi domiciliari. Per realizzare questo è necessario perseguire una seria politica di rigore nei conti pubblici, per garantire la crescita economica, ma più solidale soprattutto verso le famiglie e nei confronti della non autosufficienza: come UDC abbiamo già corretto l’azione del Governo in questo senso, rappresentiamo dunque la garanzia “popolare” all’interno di una coalizione plurale, dove rappresentiamo autorevolmente un’identità ed una storia che ha fatto grande l’Italia ed oggi può dare un contributo importante alla costruzione del suo futuro.
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La vera sfida dell’università italiana

postato il 15 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ludovico Abenavoli*

Nel periodo in cui nascono, nel cuore del Medioevo, le istituzioni universitarie si propongono di trasformare le riunioni assembleari delle Accademie, da uno studio di tipo generale e complesso, ad uno studio finalizzato e ordinato. Oggi che le idee e le conoscenze sono diventate essenziali nella generazione del benessere, all’Università è attribuito un ruolo centrale nella formazione e nell’innovazione. Un compito da svolgere, come stabilisce il trattato di Lisbona, attraverso la gestione razionale e programmata dei tre poli del triangolo della conoscenza e cioè formazione, ricerca ed innovazione.

Il futuro di ogni società risiede nella capacità di investire in cultura, ricerca, formazione ed è proprio investendo sulla conoscenza che i grandi Paesi offrono maggiori opportunità ai loro cittadini. Quindi risulta necessaria anche in Italia una strategia di sostegno alla realizzazione di una economia della conoscenza e di una reale società delle idee. Le sfide che condizionano il futuro del mondo, in particolare competizione globale e coesione sociale, impongono questo passaggio. La diffusione del sapere è un fattore qualificante dello sviluppo ed un obiettivo efficace per la vitalità dell’Università, che così trasforma il processo innovativo da aspetto tecnico ad interesse comune.

L’Università è promotrice attiva della società della conoscenza. Le scelte politiche degli ultimi decenni, non sono riuscite a fornire una risposta alla domanda: “quale Università per quale sviluppo”. Così le iniziative legislative sono nate in modo disordinato, lasciando il sistema universitario impantanato in visioni ormai lontane e superate. Ne consegue l’assenza di certezze sul modello di Università che si vuole realizzare nel nostro Paese.

La disponibilità di risorse finanziarie ed umane è l’aspetto dal quale si può iniziare a ragionare. La percentuale del PIL che l’Italia dedica a ricerca e sviluppo è pari a 1.23% nel 2008, mentre la media europea è dell’1.84%. Anche riguardo al numero dei ricercatori la situazione è analoga: in Italia 3.65 ricercatori ogni 1.000 unità di forza lavoro, contro 5.78 nell’EU. Un secondo aspetto da analizzare è la parcellizzazione delle strutture pubbliche di ricerca. Una situazione che rende difficile creare una reale strategia per l’eccellenza, che produce al contrario inefficaci duplicati e che tende a legittimare una distribuzione a pioggia dei finanziamenti. Pertanto è necessario prestare attenzione al miglioramento della produttività scientifica anche grazie ad un efficiente sistema di valutazione.

L’importanza di creare sistemi locali orientati all’innovazione è ampiamente condivisa, essa non nega la natura globale della conoscenza, ma esprime l’esigenza di realizzare un modello di sviluppo che permetta agli stessi sistemi di essere vitali, valorizzando le varietà delle risorse presenti. Il confronto continuo tra le conoscenze che il sistema produce, con quelle prodotte ed acquisite dall’ambiente esterno, rappresenta il vero cuore pulsante di tale percorso. L’impegno attivo ed integrato dell’Università, dei governi e delle imprese locali deve essere rivolto ad organizzare questo confronto ed a costruire le interdipendenze per la gestione delle conoscenze.

Dalla riforma del mondo accademico attualmente in atto, emerge che il banco di prova della diversificazione e della competizione tra gli Atenei sarà rappresentata dall’attrattività che ogni singola Università riuscirà ad esercitare verso docenti, ricercatori, studenti, capitali pubblici ed investimenti privati. L’Università italiana sarà più europea quanto più il suo profilo sarà autonomo, responsabile, imprenditoriale e competitivo.

Appare chiaro quindi come il sistema universitario italiano si debba impegnare ad allargare le sue prospettive, enfatizzando il proprio ruolo di volano socio-economico. Infatti proprio perché l’Università rappresenta il luogo per la formazione della classe dirigente di un Paese, essa non può sottrarsi alla sfida educativa rappresentata dal tema della consapevolezza del ruolo e della responsabilità sociale degli individui. In tal senso sarebbe auspicabile una maggiore e fattiva attenzione di quei soggetti che sono i naturali interlocutori degli Atenei. Mi riferisco agli enti territoriali, ai mezzi di comunicazione, alle realtà associative, al mondo della cultura, tutte componenti delle comunità nelle quali le Università operano.

La vera sfida dell’Università moderna, quindi non è costituita solo dall’acquisizione di competenze che consentano di rispondere alle aspettative di inserimento nel mercato del lavoro ed ai bisogni del mondo produttivo. La vera sfida è rappresentata dalla formazione di una nuova classe dirigente, consapevole delle responsabilità a cui sarà chiamata, capace di coniugare i legittimi obiettivi personali con i più generali interessi sociali, su chiari e imprescindibili principi etici. In quest’ottica l’UDC che rivendica con orgoglio la sua natura di partito laico di ispirazione cristiana, che fà riferimento alla dottrina sociale della Chiesa e incentra la sua azione sui principi del bene comune, della solidarietà e della sussidiarietà, è senza dubbio la forza politica in cui queste dinamiche possono trovare la loro naturale realizzazione.

*Responsabile Università UDC Calabria

 

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Tra riforma dello Stato e riforma della Chiesa: il contributo di Dossetti

postato il 14 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

 Il 13 febbraio del 1913 nasceva Giuseppe Dossetti, una delle figure più eminenti, rappresentative e discusse del panorama cattolico in ambito politico ma anche ecclesiale. Il contributo della sua esperienza è indubbiamente molto importante e ancora da sviscerare e cogliere pienamente. Una figura atipica di politico, di sacerdote e monaco che ha vissuto con intensità stagioni di grande cambiamento per il nostro Paese e per la Chiesa cattolica: il periodo della resistenza; l’assemblea costituente; gli anni dei governi De Gasperi; il Concilio Vaticano II e la Chiesa alla prese con la contemporaneità. In tutta la sua vita pare abbia vissuto sempre nel tentativo di comprendere la dimensione di passaggio e di crisi della nostra epoca.

Alla costituente gettò le basi, insieme ad altri cattolici e non e al gruppo dei professorini di cui era promotore primario, per una visione personalistica e comunitaria dello Stato; ai lavori del Vaticano II contribuì, come perito del vescovo di Bologna Lercaro, su alcuni temi come la chiesa povera, la pace e come moderatore dei lavori conciliari.

Da politico della seconda generazione democristiana formatasi sui testi di Mounier e Maritain, la prima era ancora rappresentata da De Gasperi e altri come Piccioni, fu il leader della cosiddetta sinistra DC che in quegli anni rappresentò un pungolo per l’azione di governo e un modo di vivere e realizzare la politica sempre alla ricerca della realizzazione di una democrazia sostanziale che significava concretamente l’avvio di una reale stagione di riforme per il cambiamento del Paese. Da sacerdote e poi monaco, contribuì grandemente nella diocesi di Bologna alla recezione del Vaticano II anche con la fondazione di un Istituto di Scienze religiose che preparò con una raccolta di studi i lavori del Concilio.Successivamente fondò una comunità monastica, la Piccola Famiglia dell’Annunziata, la quale con la sua direzione si stanziò in medio oriente e in altre parti del mondo compresa l’Italia.

Ricordare Giuseppe Dossetti a cento anni dalla nascita, significa anzitutto riconoscerlo come una figura importante, per alcuni aspetti determinante, per la nostra storia nazionale e per lo stesso vissuto ecclesiale.

Ricordare Dossetti indica anche il poter prendere spunto dalle sue intuizioni, dalla sua passione, dalla sua testimonianza. Fra i tanti temi e le tante azioni che possono essere narrate per riconoscere la statura della sua persona e del contributo che ha dato al Paese, credo che sia opportuno citare due tratti per alcuni aspetti “minori” che ci possono servire da chiave di lettura per comprendere la nostra realtà: in ambito politico, l’esperienza alle comunali bolognesi del ’56, nelle quali grazie alla sua presenza si riuscì ad elaborare quello che solo anni più tardi sarà chiaro fra i cattolici italiani, ovvero la coscienza di essere minoranza e come tale chiamati a dare un contributo al Paese in ogni livello; nella chiesa, la relazione “Eucarestia e città” che tenne in occasione di un congresso eucaristico, dove si può scorgere il legame indissolubile tra la vita liturgico – sacramentale del cristiano e la sua azione per e nella città. A cento anni di distanza dalla nascita vale la pena prendere sul serio la lezione di un padre della nostra nazione e di un testimone credibile della Chiesa. Dossetti è una guida per la nostra epoca: seppe leggere e capire la crisi di un mondo e di una civiltà e il sorgere di un altro periodo da sostanziare di nuovi contenuti per la società intera e per la stessa comunità ecclesiale. La sua lezione può permetterci di capire maggiormente la nostra identità culturale e poter innalzare con chiarezza il nostro sguardo verso il presente e il futuro.

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