Archivio per Giugno 2013

Intervento in preparazione del Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno

postato il 25 Giugno 2013

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Ci lascia un altro grande protagonista della storia italiana

postato il 25 Giugno 2013

Emilio-Colombo_h_partbUn altro grande protagonista della storia italiana ci ha lasciato questa sera. Collaboratore di De Gasperi, uomo di governo illuminato e trasparente, europeista apprezzato in tutto il mondo, Emilio Colombo già presidente del Parlamento europeo e dell’Internazionale democratica cristiana ha testimoniato fino all’ultimo nel Senato della Republlica la sua dedizione per le Istituzioni e per l’Italia. Lo ricordo con commozione ed affetto.

Pier Ferdinando

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Sull’aumento dell’IVA

postato il 25 Giugno 2013

5889082-paniere-riempito-con-frutta-fresca-e-ortaggi-640x571Riceviamo e pubblichiamo di Mario Pezzati

La prima cosa da specificare è che questo aumento non riguarda i generi alimentari prima necessità e tutti i beni che hanno IVA agevolata al 4% e che sono ritenuti fondamentali e di prima necessità. Certo l’auto avrà questo aumento, ma mentre il pane o il latte sono imprescindibili, lo stesso non si può dire per l’auto nuova.

Nei giorni precedenti le varie parti politiche e i rappresentanti del governo hanno parlato di questo aumento, e a mio avviso uno dei più chiari è stato il ministro dello Sviluppo Economico Zanonato quando ha affermato: “Non è che non voglio bloccare l’aumento dell’IVA. Dico che è molto difficile trovare le coperture, visto il poco tempo a disposizione”. Ma quanto servirebbe per coprire il mancato aumento dell’IVA? Circa 4 miliardi, ragione per la quale, l’aumento può essere posticipato, ma non evitato.

L’emendamento è stato approvato dal governo Berlusconi il 17 settembre 2011, per rimediare al pareggio di bilancio nel 2013, come da impegni presi con l’Unione Europea. Per questo motivo, al testo della legge venne inserita nell’agenda di governo l’aumento dell’IVA, attraverso una “rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa” in sostituzione della revisione. A mettere tutto in pratica, Mario Monti, che nel decreto salva-Italia stabilì l’aumento di due punti delle aliquote del 10 e del 21 per cento, dal primo ottobre 2012, e di altro mezzo punto dal 2014, per un importo del valore di 16,4 miliardi a regime dal 2014.
Finora, attraverso i tagli sulla spesa pubblica e altre manovre, nessuno di questi aumenti è scattato, tranne la questione dell’aumento dell’Iva che vale 4,2 miliardi l’anno

Ma davvero non vi sono alternative? Secondo alcuni la soluzione ci sarebbe, ma anche qui impone di trovare risorse non indifferenti: come è stato detto in passato anche qui, la Pubblica Amministrazione ha un debito verso fornitori privati pari a circa 60-80 miliardi di euro, e si sta provando a saldare questo debito; purtroppo la procedura è lenta (anche per non creare tensioni nelle uscite di cassa del Ministero del Tesoro).

Come si lega questo debito all’aumento dell’IVA? Molto semplicemente, se acceleriamo sul pagamento della pubblica amministrazione dei debiti alle imprese e oltre ai 40 miliardi già stanziati, ne rimborsiamo altri 15, otteniamo Iva aggiuntiva per almeno un paio di miliardi.

Questo provvedimento permetterebbe di bloccare l’aumento dell’IVA per tutto quest’anno e forse eliminarlo definitivamente con la legge di stabilità in autunno.

Purtroppo anche questa soluzione non è esente da problemi, e presenta alcuni rischi.

La Ragioneria Generale dello Stato ha già esaminato la questione nella relazione tecnica del decreto sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Il primo ostacolo da superare è che lo Stato non ha in cassa i 15 miliardi necessari a finanziare questa spesa aggiuntiva, a meno che non si vada sul mercato ed emettere Bot e Btp. Insomma, se è vero che il deficit non aumenta, è vero anche ad aumentare sarebbe il debito. I 40 miliardi già messi in pagamento, costeranno alle casse pubbliche circa 2 miliardi in più di interessi passivi. Il governo ha recuperato le risorse per pagare queste somme dalla contabilità 1778 dell’Agenzia delle Entrate, quella con la quale il Fisco rimborsa ai contribuenti i crediti d’imposta.

La seconda difficoltà è convincere i mercati che l’Italia può ancora indebitarsi senza mettere a rischio la tenuta dei suoi conti. Le tensioni sullo spread stanno tornando, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Bernanke che di fatto ha vanificato in questi giorni l’obbiettivo di portare lo spread sotto quota 200.

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L’Europa cambi musica, occorre farsi carico dei milioni di disoccupati

postato il 20 Giugno 2013

casinippeL’Europa deve cambiare musica, perché se continua così sorgeranno in ogni paese movimenti anti europei e populismi che travolgeranno le forze politiche tradizionali. Il Ppe deve farsi carico non solo dell’applicazione ragioneristica delle politiche di rigore, ma dei milioni di giovani disoccupati e della disperazione delle loro famiglie.
Ora bisogna puntare su sviluppo e crescita conquistando in Europa la possibilità di scorporare dal Patto di stabilità gli investimenti strategici ed indispensabili per il rilancio della nostra economia. L’Italia ha fatto il suo dovere col governo Monti, che abbiamo sostenuto con forza, e a cui oggi è giusto riconoscere i meriti che ha avuto. Letta continua la strada intrapresa, ma punta giustamente su una seconda fase del risanamento nazionale.E’ bene sfatare gli equivoci: Berlusconi e il Pd sul tema europeo sono molto più vicini di quanto possa apparire. Tutti noi chiediamo che l’Europa cambi il messaggio che dovremo trasmettere agli elettori.

Pier Ferdinando

*foto dal vertice del PPE tenutosi oggi a Vienna.

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‘L’intervista della domenica’

postato il 16 Giugno 2013

Nell’approfondimento di Tgcom24 condotto da Fabrizio Summonte

 

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Serve piano straordinario per lavoro e giovani, avanti verso Stati uniti d’Europa

postato il 15 Giugno 2013

Ospite di “Punto Europa”

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Di solo rigore si muore. Adesso è tempo di sviluppo.

postato il 15 Giugno 2013

casini1L’intervista a Pier Ferdinando Casini pubblicata su il “Giornale di Sicilia”, di Andrea D’Orazio.

Cresce l’attesa per il Consiglio europeo di fine giugno. L’Italia, reduce da un faticoso cammino sulla strada del rigore, proverà a indicare altre vie possibili per uscire dal tunnel della recessione, senza sacrificare lo sviluppo. Sul tavolo il fardello più pesante, quello della disoccupazione. Il premier Letta e i ministri dell’Economia di Spagna, Francia e Germania, lo hanno ribadito ieri nel summit di Roma: il nodo del lavoro sarà al centro dell’Ue, non si può aspettare che sia la crescita a favorire l’occupazione, ma, al contrario, bisogna sostenere l’occupazione per stimolare la crescita. È il segno di un mutato approccio nei confronti della crisi economica, di una rivoluzione copernicana? Secondo Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, si tratta di una scelta obbligata: «perché di solo rigore si muore, e l’austerità non può diventare una filosofia di vita. Adesso è tempo di sviluppo, altrimenti il dramma dei giovani che non hanno lavoro e certezze travolgerà sia l’Europa sia la classe dirigente di tutti i Paesi».

Siamo dunque al cambio di rotta: via dal rigorismo?

Sarà inevitabile, la pressione è fortissima, lo chiedono tutti i parlamenti europei. Giovedì prossimo, a Vienna, al vertice del Partito popolare europeo, ribadirò al cancelliere tedesco Merkel la necessità di cambiare orizzonti. Anche perché è dal culto dell’estremo rigore, quello che supera la necessità sacrosanta di tenere i conti a posto, che poi nascono e proliferano certi fenomeni dell’antipolitica, o movimenti come quelli grillini, che magari durano lo spazio di un mattino, ma  producono grandi illusioni nel cuore della gente.

Sembra che l’Italia, sul fronte occupazione, abbia già ottenuto un primo risultato: nella bozza che circola a Bruxelles c’è l’impegno di anticipare l’utilizzo dei 6 miliardi messi a disposizione dall’Ue per il lavoro. Le promesse si tradurranno in fatti?

L’Italia, dopo essere uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, per la prima volta dal 2009 si siederà a un Consiglio europeo senza trovarsi in una posizione scomoda. Abbiamo fatto bene i compiti a casa, adesso sta all’abilità negoziale del Governo ottenere risultati concreti, per spingere l’Ue verso la strada dello sviluppo e degli incentivi all’occupazione giovanile. Un tema delicatissimo, quest’ultimo, perché non coinvolge drammaticamente soltanto il nostro Paese, ma 25 milioni di europei.

Da quei sei miliardi all’Italia arriveranno circa 500 milioni, troppo pochi. Ci sono altri fondi europei ancora non spesi: 30 miliardi da utilizzare entro il 2015. È possibile dirottarli sulla questione lavoro?

Bisogna assolutamente farlo. Abbiamo ancora molte risorse importanti da utilizzare, occorre indirizzarle sull’imprenditoria giovanile, per stimolare la nascita di nuove aziende. Penso soprattutto al Mezzogiorno. Certo, si può anche parlare di detassazione per i neoassunti, ma il rischio, oggi, è che di neoassunti non ce ne siano più, e che pertanto si parli del nulla. Bisogna partire dalle giovani imprese, puntare su chi ha voglia di scommettere sul proprio futuro aprendo attività. Su questa strada dobbiamo impegnarci tutti. È vero che negli ultimi due anni il tasso di assorbimento dei fondi europei è passato dal 18 al 40%, ma le Regioni devono fare di più. Penso anche a una modifica del Titolo quinto della Costituzione sulle autonomie locali, da inserire nel programma di riforme costituzionali che è stato messo in moto: bisogna passare dall’euro-retorica del federalismo al concreto monitoraggio di quanto le Regioni hanno saputo fare e dei disastri che hanno compiuto.

Un Governo come il nostro, formato da avversari-alleati, quale peso politico può avere sull’Ue? Dovrà ingaggiare un braccio di ferro con i Paesi più ricchi?

La formula delle larghe intese potrà anche avere diversi svantaggi, ma sicuramente ha un vantaggio proprio sul piano europeo, dove può giocare un ruolo di primo piano. Questo perché diverse famiglie politiche, sia i socialisti che i democristiani, saranno più propensi ad ascoltarci. Quanto ai bracci di ferro, le istituzioni europee non sono certo un bar. E poi che senso avrebbe mostrare i muscoli, far vedere quanto sono forti, fare gli spacconi, per poi sparire sotto il tavolo al primo pugno che prendiamo durante i negoziati? Non credo ai propositi bellicosi, credo alla serietà di un impegno serio, paziente e continuato con l’Ue.

Durante l’Esecutivo Monti con l’Ue sono stati commessi errori? Siamo stati poco coraggiosi?

L’austerity era una medicina necessaria, soprattutto per quei Paesi che in questi anni hanno fatto la parte della cicala, accumulando debito pubblico come l’Italia. Non potevamo fare altrimenti, dovevamo collocare troppi titoli di Stato sul mercato, lo spread era schizzato e l’Italia era sotto stretta osservazione. Abbiamo portato avanti una politica impopolare, ma giusta, perlomeno nei primi sei mesi. Poi abbiamo un po’ smarrito la strada, anche perché la sindrome elettorale aveva reso il governo orfano di padre e di madre.

In molti, ancora, sono convinti che l’euro sia stato letale per il nostro Paese. Ha senso, oggi, pensare a una via di fuga dalla moneta unica?

Col senno del poi, forse, sono stati commessi degli errori nel percorso verso l’euro, ma parlare oggi di via di fuga mi sembra una boutade autolesionista. Certo, la moneta va assistita diversamente. Bisogna anche dare più poteri alla Bce, e per farlo non possiamo certo aspettare il verdetto della Corte costituzionale tedesca sulla legittimità dello scudo antispread adottato dall’Eurotower, anche perché nessuno ha trasformato quel tribunale in una Corte costituzionale europea.

Dilaga l’euroscetticismo. Come arginarlo?

L’Ue oggi è davanti a un bivio, così com’è non regge più. Per gli europeisti convinti come me sarebbe necessario un salto di qualità con gli Stati Uniti d’Europa. Solo così la gente potrà appassionarsi di nuovo al grande ideale europeo, solo così capirà il valore dell’Ue: quando la vedrà interviere nel controllo delle frontiere, quando uniformerà i sistemi scolastici, quando parlerà la stessa lingua in politica estera, quando la vedrà lottare contro l’evasione fiscale, quando ci sarà un mercato unico dell’energia, la banda larga e tanto altro ancora. La strada sembra lunga, ma l’opportunità di imboccarla c’è già. Mi auguro, per esempio, che per le prossime elezioni comunitarie i partiti europei avanzino anche candidature per la presidenza della Commissione e la sottopongano agli elettori. Sarebbe una bella novità. L’Ue non deve essere solo il governo delle burocrazie, ma dei popoli. È infatti il deficit di politica, unito all’eccesso di rigore, che scatena l’euroscetticismo. Insieme a un terzo elemento: la miopia di classi dirigenti nazionali che, incapaci di assumersi le proprie responsabilità, le hanno tutte scaricate sull’Europa.

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Rassegna stampa, 6 giugno ’13

postato il 6 Giugno 2013

Pier Ferdinando Casini – Parlamento chiamato a un attento esame (IlSole24Ore)

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Ilva, Parlamento chiamato a un attento esame. Lettera al direttore Roberto Napoletano, pubblicata sul Sole24Ore.

postato il 6 Giugno 2013

Caro Direttore,

sarebbe fatale se le imprese estere che sono presenti in Italia o che potrebbero investire nel nostro Paese avessero da temere da una forma non chiara di intervento dello Stato che limiti la libertà economica. Il provvedimento del governo su Ilva rappresenta un “brutto precedente” come denunciato ieri da queste colonne? Una ipotesi simile non può neppure essere presa in considerazione. L’interesse nazionale è una categoria politica che stenta ad affermarsi nel dibattito ma non può sfuggire a nessuno che abbia ruoli nelle istituzioni repubblicane. Il compito del governo non è quello di intromettersi in un procedimento giudiziario (ancora nella fase delle indagini preliminari). Piuttosto, l’esecutivo deve garantire che i soggetti economici operanti in Italia corrispondano ai loro doveri senza che vengano calpestati i loro diritti. In questo senso, i contenuti del decreto legge varato dal governo dovranno essere esaminati con particolare attenzione dal Parlamento. Va sventato il rischio dell’esproprio di fatto e anche quello della manleva per decreto. Soprattutto è doveroso per il legislatore evitare che per inseguire un presunto beneficio sul presente si determini un danno sicuro per il futuro. Chi potrebbe garantire che un domani, con motivazioni ambientali non supportate neppure da una sentenza, si determini un vulnus così grave del principio della libertà di impresa? La tutela dell’ambiente e della salute è un valore sul quale non si discute, ma non si può accettare che questi valori siano utilizzati come un grimaldello per minare la capacità produttiva del Paese.
Le imprese estere, così come quelle italiane, è giusto che sappiano che il governo – nel rispetto delle leggi – non è disponibile a vedere compromesso il suo Pil ed il suo tesoro che deriva dall’essere fra le prime potenze manifatturiere in Europa. È stata la linea del governo Monti (sostenuta a larghissima maggioranza dal Parlamento) e deve essere la linea del governo Letta, senza ingenerare equivoci di sorta. Chi investe da noi può avere consapevolezza che non resterà in mezzo al guado e che la difesa e la promozione dell’interesse nazionale passa anche dal riconoscimento dei settori economici strategici, come è appunto lo stabilimento Ilva di Taranto.
Il decreto deve essere oggetto di una riflessione critica e non escludo che il Parlamento possa intervenire con una indagine conoscitiva ad hoc su quanto accaduto a Taranto.
Intanto, è fondamentale che il nostro Paese ponga, anche e soprattutto in sede europea, il tema di una più efficace ed armonica regolamentazione degli aspetti ambientali e sanitari nell’ambito delle attività produttive. Il principio che deve essere chiaro è doppio: senza imprese non può esserci nè sviluppo nè occupazione e, allo stesso modo, Italia e Ue non possono competere sui mercati globali se non scommettendo sulla sostenibilità. Ilva deve essere, in questo senso, l’occasione di un bel precedente. Oggi può sembrare una illusione ma dobbiamo crederci e riuscirci.

Pier Ferdinando Casini, presidente Commissione Affari esteri – Senato

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Grande preoccupazione per situazione in Turchia

postato il 5 Giugno 2013

Prevalga il dialogo

Esprimo grande preoccupazione per la situazione in Turchia. Auspico che prevalga il dialogo e che non si ripetano certe sproporzionate violenze nei confronti dei manifestanti.

Pier Ferdinando

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