Teheran ci apre nuove strade
Possiamo dare un contributo importante in settori come ambiente e beni culturali
L’intervista di Jacopo Giliberto a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “Il Sole 24 Ore”
Beni culturali, investimenti in ambiente; sviluppo delle tecnologie petrolifere e chimiche sono alcuni dei settori in cui secondo Pierferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato, le imprese italiane potrebbero investire in Iran.
Senatore, che le pare dell’intesa con l’Iran?
Ogni accordo presenta incognite, e anche questo – un accordo coraggioso – va verificato sul campo. Ma non si può rimanere prigionieri del passato. L’accordo è stato concepito con clausole di salvaguardia e automatismi che lo espongono a una verifica continua. E qui mi consenta un apprezzamento: l’Italia è stata esclusa impropriamente da questo formato negoziale ma siamo entrati per la porta principale grazie alla professionalità del rappresentante della Ue, nella persona di Federica Mogherini.
Che è cambiato?
Sono passati decenni dalla rivoluzione komeinista del ’79 e molti giovani iraniani sono figli di una stagione diversa, guardano all’occidente. Dovrebbe far riflettere profondamente il fatto di chi è contro questo accordo.
Chi lo contesta?
Israele da un lato, in una logica tradizionalmente difensiva. Ma nessuno può mettere in dubbio che Occidente e Israele sono la stessa cosa e la nostra solidarietà è senza riserve. Ma chi “soffre” di più sono le componenti conservatrici del regime iraniano. Temono che nulla sarà più come prima. Secondo me hanno ragione. La società iraniana è anagraficamente giovane, e i giovani iraniani non vedono l’ora di ricollegarsi con il resto del mondo. Questo accordo è un grande investimento sul futuro, su quei giovani e sulla parte più avanzata, intelligente e moderna dell’Iran che vuole far parte del mondo.
Il Paese è cambiato?
Gli avvenimenti di questi mesi, mentre si dissolvono i confini disegnati alla fine della Prima Guerra Mondiale, confermano che Teheran di quella parte del mondo può essere parte della soluzione. O parte del problema. In realtà già lavora con noi in Iraq e in Siria contro l’Isis. L’accordo è una scelta strategica della guida suprema del Paese da cui l’Iran non vuole, né può, tornare indietro.
Parliamo di economia.
L’intesa apre nuove strade. L’impatto economico, ovvio, parte dal petrolio. L’Iran è il terzo produttore mondiale, potrebbe immettere sul mercato un quantitativo tale di greggio da costituire un ulteriore elemento di discesa dei prezzi dell’energia, e ciò può favorire la ripresa europea.
Casini, quale ruolo per le imprese italiane?
L’Italia è un Paese che – contrariamente a quello che pensiamo di noi stessi – sui grandi filoni della politica mondiale ha tenuto la rotta con coerenza nazionale indipendentemente dai Governi che si susseguivano. Per esempio il dialogo preferenziale con la Russia; o ancora, mentre Germania e Francia chiudevano le porte dell’Europa alla Turchia, noi abbiamo lavorato per tenerle aperte; con l’Iran lavoriamo da anni per arrivare a quanto vediamo oggi: da Berlusconi a Prodi fino a Renzi, la linea è stata limpida e gli iraniani ce lo riconoscono.
Quali settori potrebbero crescere?
Il lavoro fatto finora può essere importante per le molte imprese italiane che in questi anni sono rimaste a lavorare in Iran. Abbiamo mantenuto un interscambio forte nonostante il calo considerevole creato dalle sanzioni nella meccanica strumentale, nelle apparecchiature elettriche, nella chimica, settori nei quali in questi otto anni abbiamo perso quasi 2 miliardi di euro ma siamo rimasti lì. Possiamo dare un contributo in segmenti come l’ambiente, i beni culturali; i contenziosi nel settore petrolifero possono trasformarsi in barili. Per esempio l’Iran ha l’assoluta necessità di ricostruire una capacità di raffinazione che hanno disperso, a patto che riescano a darsi un quadro di riferimento normativo stabile e meno penalizzante.