No a divisioni, il ruolo dell’Italia ne uscirebbe indebolito
Nella storia dei Paesi chi guida mette la sua faccia nei momenti facili e in quelli difficili. Ieri e oggi questo Paese meritava la presenza del Presidente del Consiglio perché non si può guidare il Paese e far prevalere i tatticismi.
La scelta della missione in Libia era inevitabile. Stiamo intervenendo in un Paese dove Gheddafi era pronto a epurazioni, stava facendo massacri di civili, di chi si era ribellato. La comunità internazionale si è mossa tardi e male, c’è confusione nella catena di comando, ci sono polemiche che non fanno onore alla coalizione, c’è un protagonismo francese fuori luogo che non è del tutto estraneo ad interessi che nulla hanno a che fare con nobile politica ma andare in ordine sparso oggi significa indebolire il ruolo dell’Italia.
Il Presidente del Consiglio è tornato agli spot. Non fraintendete, Berlusconi è ancora a Palazzo Chigi e non ha deciso di tornare ad occuparsi di televisione, più semplicemente è il nuovo testimonial dello spot “Magica Italia” con cui il ministero del Turismo, della fedelissima Michela Vittoria Brambilla, intende rilanciare il turismo italiano. Nello spot Silvio Berlusconi, sulle note di “un amore così grande”, racconta le bellezze italiane e annuncia ai turisti di tutto il mondo che c’è una “magnifica Italia da scoprire ed amare” con tanto di immagini della “magica Italia”: Venezia, Firenze, Roma, Napoli. Il ministero del Turismo ha scelto di puntare sull’arte e la cultura per rilanciare il turismo in Italia, anche perché bellezze naturali come le spiagge dell’Isola di Lampedusa in questo momento sono ben poco magiche.
La più grande delle isole Pelagie è infatti al collasso: gli immigrati presenti sull’isola sono ormai tanti quanto gli isolani cioè circa cinquemila, non ci sono strutture per ospitarli e le condizioni igieniche e sanitarie cominciano ad essere seriamente precarie. Ma l’emergenza Lampedusa non è solo umanitaria ma anche economica perché non solo l’isola sta affrontando uno sforzo economico senza precedenti, ma vede seriamente compromessa anche l’imminente stagione turistica estiva. Quanti turisti decideranno di passare le loro vacanze estive in un mega campo profughi? Molto pochi purtroppo. E mentre l’assessore al turismo della Regione Siciliana fa un bilancio catastrofico per Lampedusa, il governo si compiace nei suoi spot e continua a procrastinare gli interventi necessari per soccorrere l’ultimo lembo d’Italia. La priorità in questo momento drammatico non è l’aumento di posti al governo per soddisfare le voglie dei “responsabili” ma il soccorso a Lampedusa. Un soccorso che non passa solo dal trasferimento di alcuni immigrati o dall’evitare di costruire una tendopoli o altro tipo di campo profughi sul territorio isolano, ma che si deve concretizzare su più vasta scala con una azione del governo italiano che miri a fermare il flusso di immigrati tunisini, e non libici come la Lega tenta di far credere. Occorre una seria analisi della situazione tunisina che comporti un intervento, anche presso le istituzioni internazionali, per aiutare questo Paese che da solo non riesce a reggersi sulle sue gambe e che conseguentemente non è in grado di fermare l’emorragia di disperati verso le nostre coste. Purtroppo nulla di tutto questo è avvenuto. Lampedusa è ancora in piena emergenza mentre Berlusconi decanta le bellezze d’Italia proprio come un certo Nerone cantava Troia mentre Roma bruciava.
Affronteremo con senso dello Stato il dibattito parlamentare di domani, ma una cosa deve essere chiara: siamo addolorati per le migliaia di donne e di uomini assassinati da Gheddafi e dai suoi scherani, non certo per la sorte del leader libico. Tra il carnefice e le vittime non abbiamo dubbi da che parte stare.
Mentre le bombe e i missili della coalizione fioccano su Tripoli e sulle forze libiche fioccano anche dubbi e domande. Dubbi e domande, che non mettono in discussione la necessaria azione militare contro il regime di Gheddafi, ma la gestione internazionale e italiana della crisi. Come per le crisi degli altri paesi del Maghreb la comunità internazionale è apparsa impreparata ed inadeguata ad affrontare la situazione e ha esitato troppo nello schierarsi accanto a chi reclamava pane e libertà. Accanto all’impreparazione delle diplomazie nazionali l’insufficienza, ormai cronica, delle istituzioni internazionali: l’Onu si è dimostrato ancora una volta una organizzazione non più all’altezza dei compiti e delle aspettative, mentre l’Unione europea si è nuovamente dissolta davanti ai personalismi diplomatici dei paesi europei più importanti.
Questo generale quadro di debolezza diplomatica impone una riflessione perché non è detto che debbano essere sempre i capi di stato maggiore con le loro armi a dover togliere le castagne dal fuoco ai governi occidentali. La soluzione diplomatica delle crisi, è bene ricordarlo, deve essere sempre la prima opzione, ma ciò richiede preparazione, attenzione e collaborazione, tutte cose che evidentemente in questo caso sono mancate. Particolarmente opaca è a tratti imbarazzante è stata la politica estera del governo italiano. Il governo è stato latitante nelle crisi tunisina ed egiziana ma ha dato il peggio di sé nella crisi libica, non solo per le imbarazzanti relazioni pregresse con il regime libico ma per le incertezze dimostrate davanti al precipitare della situazione.
Il governo italiano dapprima ha perseguito una incomprensibile accondiscendenza verso la Libia di Gheddafi, con la firma di un trattato oneroso ed umiliante e durante la recente crisi ha svolto un ruolo decisamente marginale, per usare un eufemismo, subendo l’iniziativa francese ed inglese. Il decisionismo francese ha sbloccato la situazione ed ha probabilmente evitato la caduta di Bengasi e la vittoria del Rais, e ha dato forza e consistenza alla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite attorno alla quale ha raccolto una coalizione di “volenterosi”. Anche di fronte a questa iniziativa il governo italiano, pur concedendo l’utilizzo della basi aeree e “iscrivendosi” nella coalizione, ha mantenuto una sorta di ambiguità (diamo le basi ma non ci alziamo in volo) che non consente neanche al Colonnello Gheddafi di sapere se siamo nemici o amici. Evidentemente a Roma sono più impegnati con i “responsabili” che con i “volenterosi”.
Nelle prossime ore le bombe continueranno a fioccare così come i dubbi e le domande: che progetti ci sono per la Libia? Quando le armi taceranno, e si spera presto, chi sostituirà Gheddafi? Ma soprattutto chi metterà le mani sul petrolio libico? L’ardua sentenza, per questa volta, non dovrebbe andare ai posteri ma, per quel che riguarda l’Italia, al Presidente del Consiglio e al Ministro degli esteri.
Rammarico che ci sia opposizione responsabile e governo diviso
Tra La Russa, Berlusconi e Bossi ci sono linguaggi diversi sulla crisi in Libia. Ci rammarica che davanti a una situazione così complessa ci sia un’opposizione responsabile e un governo diviso. Il governo non potrebbe sopravvivere a una dissociazione della Lega sull’intervento, ma credo che alla fine la Lega si piegherà, si accoderà a votare con la sua maggioranza e con l’opposizione responsabile come ha fatto anche su tante altre cose. Mi auguro Bossi abbai ma non morda, perché sarebbe negativo per il Paese.
Pier Ferdinando
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Gheddafi e’ un criminale di guerra ma in Italia, purtroppo, c’e’ un’opposizione responsabile e un governo da irresponsabili. La dissociazione della Lega e’ semplicemente intollerabile. Non potrebbe avvenire in nessun Paese serio che la principale forza di governo assieme al Pdl possa dissociarsi in questo modo.
Il presidente del Consiglio non puo’ far finta per l’ennesima volta di non vedere quello che sta capitando perche’ altrimenti siamo un Paese di buffoni.
Le celebrazioni dell’unita’ nazionale richiedono serietà, da parte della Lega, che non la sta dimostrando, e del presidente del Consiglio, che con tutti i problemi che abbiamo, pensa solo ad aumentare i posti di ministri e sottosegretari.
Il rimpasto, se ci deve essere, non può essere un rimpasto a rate. Berlusconi vada al Quirinale e faccia i nomi, tutti, perché non siamo in un mercato.
Per tenere tutti fermi nella loro maggioranza, progettano di fare un ministro oggi, un altro domani, un sottosegretario oggi, un altro domani. Siamo alla pura irresponsabilità.
Pier Ferdinando
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«Sulla giustizia il premier ha l’onere della prova. Allearci col Pd? Il no è programmatico»
Pubblichiamo l’intervista de ‘la Stampa’ a Pier Ferdinando Casini di Carlo Bertini
Capisco che Bersani sospetti che quella di Berlusconi sia tutta una finta, ma sulla giustizia lo invito a lasciare l’Aventino agli sfascisti di professione, per trattare a viso aperto, come è compito di una vera sinistra riformista». Proprio mentre da piazza del Popolo Nichi Vendola sostiene che la prima riforma da fare «è liberarci di Berlusconi», Pierferdinando Casini sfida invece il leader Pd «a giocare insieme questa partita della verità e a riprendere la sfida della Bicamerale per lasciare al Cavaliere l’onere della prova che fa sul serio».
Certo con il no al dialogo e il ricorso alla piazza si allarga il solco tra Pd e Nuovo Polo. Lo farete mai un vero accordo elettorale? «Come tutti i leader politici, Bersani è sensibile alle esigenze della propaganda e con la reiterazione della Santa Alleanza spera di prendere più voti nell’elettorato moderato. Ma noi sappiamo bene che un Terzo polo che nascesse con un’alleanza col Pd finirebbe per essere immediatamente subalterno. E nella migliore delle ipotesi subiremmo la sorte che toccò alla Margherita negli anni passati». [Continua a leggere]
Chi propone una riforma complessiva della giustizia capisca che deve liberare il campo dall’impiccio delle leggi ad personam.
Noi del Nuovo Polo siamo orientati ad una precisa assunzione di responsabilità: siamo disponibili a discutere della riforma se la priorità è l’interesse del cittadino, ma se vogliamo discutere seriamente bisogna spazzare via dal tavolo le leggi ad personam. Se invece restano è chiaro che ostruiranno il confronto.
Berlusconi prima se ne va meglio è. Io sono certamente un uomo di centrodestra, ho collaborato con il presidente del Consiglio ma sono convinto che prima se ne va meglio è. Se essere leader del centrodestra significa essere designato da Berlusconi, io non ho una possibilità su un milione. Ma comunque non mi interessa.
Pier Ferdinando
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Pubblicato da Pier Ferdinando Casini | su: Facebook
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