Ora serve più Europa non risposte populiste
L’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Messaggero.
«Diciamo la verità, oggi siamo tutti più deboli. È più debole l’Europa, che ancora una volta è stata vulnerata nel suo cuore a Nizza. Ed è più debole l’Occidente, la Nato, perché quanto è capitato in Turchia non può essere cancellato né dimenticato. Che un paese così importante, un perno della Nato, abbia dimostrato questa fragilità non può che preoccupare. Abbiamo bisogno di alleati solidi e sicuri. Per fortuna il golpe si è concluso con un fallimento».
Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, invita a reagire con «più Europa, invece che con le risposte contraddittorie dei populisti antieuropei che mentre chiedono all’Europa di risolvere i problemi, sono poi contrari a più Europa e a una gestione unica dei confini».
Non sarebbe stato meglio, come pensa Salvini, che un islamista come Erdogan fosse spodestato?
«Solo degli irresponsabili, o gente che con la politica internazionale ha poca dimestichezza, possono giocare al tanto peggio tanto meglio. Il ritorno al passato con un golpe militare non sarebbe mai stata una buona soluzione. Sarebbe stato cadere nel baratro. Questo lo ha capito bene il popolo turco, che senza distinzione di partito è sceso in piazza per difendere il Parlamento e la democrazia».
C’è il rischio ora di una repressione più dura e non sempre giustificata?
«Il problema che rimane sul terreno è proprio questo. Il timore più che fondato è che Erdogan consolidi una svolta autoritaria i cui effetti in questi anni sono stati l’isolamento della Turchia. Io coltivo la speranza che al di là della dura reazione contro i vertici dell’esercito, peraltro giustificata da quello che è successo, Erdogan usi questa sua vittoria per consolidare i passi che timidamente aveva fatto. Mi riferisco alla riapertura verso Israele e la Russia».
Le accuse della Turchia agli Stati Uniti sospettati di avere spinto verso il golpe creeranno una frattura nella Nato?
«Questo è un problema molto serio, anche se non penso affatto che la regia del golpe sia ricollegabile agli Stati Uniti. Anzi, in un momento topico della nottata in cui non si era ancora capito chi potesse prevalere, la netta dichiarazione di Obama è stata fondamentale per isolare i golpisti e probabilmente scoraggiare coloro che potevano aggiungersi agli insorti».
Erdogan punta l’indice contro Fethullah Gulen, il predicatore miliardario che ha trovato rifugio in Pennsylvania
«Il problema di Gulen è sotto gli occhi di tutti. Ma come ha detto Kerry, sta ai Turchi dare agli americani le prove, sempre che le abbiano, del suo coinvolgimento nel colpo di Stato».
Erdogan sta facendo arrestare anche migliaia di magistrati
«Per questo seguiamo con apprensione gli avvenimenti. Ma dopo qualche anno di politica neo-ottomana che ha portato solo fallimenti, mi auguro che un grande paese come la Turchia scelga la strada della collaborazione con la comunità internazionale e non voglia diventare un paria dell’umanità».
È stato sbagliato, tredici anni fa, sbarrare le porte dell’Europa all’ingresso della Turchia?
«Ricordo sempre nel 2003, prima della chiusura di Schroeder e di Chirac, la partecipazione di Erdogan ai vertici del Partito popolare europeo. Noi abbiamo fatto un grande errore nel chiudere le porte alla Turchia e sono confortato dal fatto che i governi italiani, da Prodi a Berlusconi, questo errore abbiano cercato di evitarlo e abbiano sempre aiutato la Turchia nel rapporto con l’Europa. Credo che l’Italia debba continuare su questa linea».
Tenendo aperta la prospettiva di una Turchia membro della Ue?
«Senza correre troppo, dobbiamo riaprire a una partnership privilegiata».
Negli ultimi tempi Erdogan aveva mostrato una maggiore determinazione contro l’Isis
«Il Califfato è in piedi perché troppi Stati, dalla Turchia all’Arabia Saudita, per lungo tempo lo hanno favorito, ma oggi sembra iniziata una fase nuova. Turchia e Arabia Saudita sono tra i paesi maggiormente colpiti dal terrorismo e ultimamente hanno capito che scherzare col fuoco può essere pernicioso anche per loro. Il che non significa che la sconfitta dell’Isis possa coincidere con la sconfitta del terrorismo. Oggi il fenomeno è più complesso. Anche il giorno in cui il Daesh dovesse essere sconfitto e perdere il suo dominio territoriale, avremmo ancora tanti foreign fighters, tante cellule dormienti in occidente. E anche tanti lupi solitari come quello di Nizza, che perseguono un nichilismo distruttivo che trae alimento dalla propaganda jihadista».
Difendersi contro i lupi solitari è difficile, che cosa ci insegna la tragedia di Nizza?
«Che la guerra sarà lunga, dura e asimmetrica, non come le guerre tradizionali del passato. Il primo a notarlo è stato Papa Francesco. È una guerra che non ha solo radici religiose o sociali come qualcuno pensa. Sia Bin Laden che i giovani del Bangladesh ci dimostrano come questo fenomeno abbia origine nelle élite, non solo nel popolo. Ma soprattutto, il caso di Nizza ci pone davanti a un bivio: va bene più prevenzione, più repressione, grande sensibilizzazione culturale, ma dobbiamo prepararci a vivere uno stato di guerra permanente?».
Gli Stati europei diventeranno come Israele?
«Se questo non è uno slogan ma un’affermazione seria, bisogna porre una domanda ai nostri concittadini: siete pronti a fare tre anni di servizio militare come i giovani israeliani e poi a vivere blindati? È difficile riproporre questo modello nelle nostre società».
E allora?
«Dobbiamo evitare di procedere per battute e per slogan. Il primo impegno dovrebbe essere quello di essere uniti davanti a questo fenomeno mentre appare chiaro ogni giorno di più che si sta realizzando il vero disegno degli estremisti: destabilizzare l’Europa facendo avanzare un populismo di governo che rischia di sembrare l’unico antidoto».
La complessità dei problemi che insorgono col generalizzarsi degli attentati nel mondo occidentale,suggeriscono di trasferire le problematiche degli interventi da farsi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.