“Qui c’è ancora un’aria da Peppone e don Camillo, esistono rapporti saldissimi. Io ho scelto di andare dove mi conoscono”
Il racconto di Marco Imarisio della campagna elettorale di Pier Ferdinando Casini pubblicato sul Corriere della Sera
«Fratello, guarda qua». L’applicazione sul telefonino gli ha appena fatto i complimenti. «Anche oggi ho fatto 15.000 passi, quasi undici chilometri a piedi, visitando negozi, circoli, associazioni. E sono appena le sei di sera».
Il moto perpetuo elettorale ha la funzione secondaria di compensare il pieno di friselle, mortadella, salami e salsicce, ma dopo essersi trascinato a lungo la fama del bambino nato vecchio, Pier Ferdinando Casini ha l’aria di divertirsi come un bambino in questa sua prima campagna da peone, un fai da te porta a porta nella città dove è nato ma che non è mai stata politicamente sua.
«Il democristiano Casini nella tana dei vecchi comunisti» era uno scherzo della storia troppo ghiotto per non diventare un sotto genere giornalistico di quest’ultimo mese. Lo abbiamo fatto tutti, più o meno, sempre aspettando il momento in cui l’antico militante bolognese si sarebbe alzato per chiedergli perché dovrebbe dare il suo voto a un rivale di sempre, all’allievo prediletto di Arnaldo Forlani, all’uomo considerato l’inventore della candidatura di Giorgio Guazzaloca, che fece saltare in aria la roccaforte rossa. «Ma è una leggenda. Quando nel suo ufficio mi annunciò che voleva fare il sindaco io lo guardai come si guarda un matto e gli dissi: Giorgio, ma dove c… vai? Aveva ragione lui, invece. Era un amico, che mi manca tanto».
Alle sei di sera di una giornata da steppa padana c’è ancora il tempo di infilarsi al primo piano di una palazzina nel quartiere San Donato, nella sede di una polisportiva che fu sezione della Dc per diventare poi un circolo di volontari democratici, a farla breve i famosi cattocomunisti, in linea teorica due volte ostili. «Compagno Casini…» «Beh, non esageriamo, proprio compagno non ancora…». Infatti lui per non sbagliarsi chiama tutti «fratelli». «Fratelli ma il presidente di questo quartiere è ancora un ragazzo, funziona o no?» chiede sornione, indicando Simone Borsari, trentottenne nativo Ds e poi Pd, seduto al suo fianco. Gli astanti, abbastanza avanti con l’età, annuiscono.
Anche questa sera il Casini candidato del Pd recita a soggetto. Si sente a casa, e come uno di casa tutto sommato viene percepito, tra aneddoti sui vecchi cinema di Bologna, che trasmettevano film erotici «ma chiudevano sempre il Venerdì santo» e ricordi di suo papà, ex segretario della Dc locale, che però dava una mano ai sindacalisti comunisti per farli assumere in pianta stabile. «Voi che venite da fuori non potete capire cos’è la bolognesità. Qui c’è ancora un’aria da Peppone e don Camillo, esistono rapporti saldissimi. Io ho scelto di andare dove mi conoscono». Nell’ultimo mese solo il presidente di un circolo dell’Arcigay ha rifiutato di dargli udienza, dicendo che tanto aveva già deciso di votare per Vasco Errani, il suo rivale. «Sono scelte che rispetto» gli ha replicato Casini, che nella sua lunga carriera politica della limatura degli spigoli ha saputo farne un’arte. Comunque «quel» momento arriva anche stasera. Una signora dalla voce stentorea quasi come la sua gli chiede una buona ragione per votarlo. La risposta è improntata a un certo realismo. Casini ci tiene a non fingere di essere quel che non è mai stato. «Nel 2002, da presidente della Camera, feci un discorso a favore dello ius soli, e nel centrodestra non ci furono obiezioni. Ma ora c’è una regressione, una semina d’odio che ci impone di scegliere da che parte stare. Io non sono di sinistra, ma l’alternativa ad avere alleati scomodi è nessun alleato».
All’uscita, Casini compulsa l’agenda. Un altro giorno è andato. Di mattina ha visitato l’Ima di Ozzano, l’azienda della famiglia Vacchi, leader nella produzione di macchine automatiche. Per l’occasione lo ha chiamato anche Gianluca, il noto fenomeno social dell’«enjoy» come stile di vita e dei balletti postati su Instagram, che lui conosce da una vita. «Mitico Pier Ferdinando, ti voto». «Grazie mille fratello, come stai?» «Bene, sabato parto per Miami…». Mai fidarsi degli amici, certe volte sono meglio i vecchi nemici.
1IL PIU’ GRANDE CAMBIA CASACCHE DELLA STORIA POLITICA ITALIANA. cOSA DIRE DI PIU’. bASTA ! MANDIAMOLO A CASA INCHE’ SIAMO ANCORA IN TEMPO
ricordo Pierferdinando insieme a Berlusconi e a Fini a Piazza del Popolo a Roma, quando esaltavano i valori della famiglia !! Guarda caso,tutti divorziati ! Alla faccia della sincerita’e della coerenza !!!!!!!!!!!!
Ciao Tesoro! Grazie mille!!