postato il 17 Aprile 2022 | in "Interventi, Rassegna stampa"

Il divo Pier


L’intervista pubblicata su L’Espresso a cura di Susanna Turco

L’essenza del ruolo di Pier Ferdinando Casini nella politica italiana la riassume, inconsapevolmente, il commesso di palazzo Giustiniani che, per indicare la via allo studio senatoriale del “presidente” (come è noto, nulla è più longevo in Italia dell’appellativo di presidente), spiega: «Lei sale al primo piano, c’è una porta aperta e una porta chiusa: lei ignori quella aperta. Spinga l’altra porta, che non è davvero chiusa: arriverà dal presidente».
Sembra una scorciatoia, un giochetto, un vicolo cieco, si rivela una via: la porta chiusa non è chiusa, ti conduce dove previsto. Ecco la cifra. Come quando, nel 2018, Pier Ferdinando Casini, nato con la Dc, fondatore del Ccd con Mastella, nel Polo delle libertà con Berlusconi e Bossi, leader dell’Udc con Cesa, eletto con Monti, trentacinque anni in Parlamento e mai un incarico di governo, si presentò infine con il Pd, facendo gridare allo scandalo i puristi di entrambi gli schieramenti (taluni ex comunisti di Bologna minacciarono il suicidio): eppure era l’anticipo del governo largo, alla Draghi. Oppure come quando, a fine gennaio 2022, l’ex presidente della Camera spuntò come soluzione politica all’impasse sul Quirinale, finendo così per sbloccare il gioco che avrebbe re-incoronato Sergio Mattarella. È stato sufficiente, anche stavolta, spingere una porta apparentemente chiusa. Casini in effetti è lì, nello studio damascato che fu di Giulio Andreotti: ai tempi del Divo originale era rivestito d’azzurrino, adesso col Divo Pier è color ocra e lui lo misura a passi larghi, interamente vestito di toni chiari come ad armonizzarsi con l’ambiente e i suoi lapsus, tra una foto di papa Ratzinger (manca Bergoglio) e una foto con Giorgio Napolitano (manca Mattarella).

E comincia proprio da Andreotti e dalla guerra in Ucraina, e i suoi abissi, per misurare la distanza tra ieri e oggi, nei giorni in cui in Francia Emmanuel Macron comincia la sua complicata corsa verso il secondo turno, dopo un primo che ha visto «i sovranisti populisti superare, nel complesso, il 50%». Dice Casini: «Qua siamo nella stanza di Andreotti, che è la mia stanza. E lui col male parlava: con Breznev e Gromyko l’Italia i rapporti li aveva, però nella chiarezza delle prospettive. Dobbiamo invece prendere atto che la nostra generazione è figlia di un abbaglio collettivo. Abbiamo pensato che, caduto il Muro e finita l’Urss, ci potesse essere un avvicinamento della Russia alle democrazie per come le intendiamo noi. L’idea che democrazia e libertà sarebbero stati i minimi comuni denominatori del nuovo mondo. Tutto questo si è rivelato falso. Oggi abbiamo capito che il vero nemico di Putin non è la Nato, come si finge di credere, ma la democrazia: per lui è inaccettabile la democrazia ai confini della Russia».

La politica si è unita nel voto sul decreto Ucraina, ma i sondaggi dicono che gli italiani la pensano diversamente. Secondo Ipsos solo uno su tre è d’accordo con le sanzioni.
«Non mi meraviglio. Se avessimo sondato gli italiani sull’installazione degli euromissili contro gli SS sovietici, forse avrebbero risposto nello stesso modo. Il compito della politica non è – come è stato in questi anni – quello di cavalcare le pulsioni, ma di guidare opinione pubblica, è saper dire di no alle scelte emotive».

Bella descrizione, ma è realistica?
«No, e la crisi della politica è tutta qui. La postura del governo è giusta, il Parlamento ha mostrato responsabilità. Ma veniamo da anni in cui la politica è stata completamente delegittimata. Fenomeni imbarazzanti di dilettantismo. Campagne elettorali in cui lo slogan per chiedere il voto era: non ho mai fatto politica. A me, da vecchio politico, verrebbe voglia di dire: “si vede!”».

La stessa risposta di Franco Battiato a chi si vantava di aver scritto una canzone in cinque minuti: si vede!
«Però, poiché ho un senso di fatalismo storico, devo anche dire che alla fine è venuto in luce che c’è bisogno di competenza. Senza partiti, serve fare formazione: per questo sto lavorando per fare una seria scuola della politica».

Ci manderebbe Luigi Di Maio?
«Non più. È un esempio di incompetenza diventata competente. Il M5S proponeva che Maduro facesse il mediatore in Libia, oggi esprime un ministro degli Esteri che si comporta con serenità, dignità, decoro».

La politica si è dimostrata in questi anni assai scalabile: Matteo Renzi, i Cinque stelle. Come se lo spiega?
«Lo politica è liquida, è debole, nel contesto di una debolezza generale. Era forte nel contesto dei poteri forti, mentre oggi anche i poteri forti sono deboli».

Anche Draghi lo è?
«La mitologia di Draghi di questi mesi rischia di essere direttamente proporzionale – non è un bene – alla demolizione di Draghi nel prossimo futuro. Non valuto la persona: prevedo i percorsi, che purtroppo sono questi. Monti è stato mitizzato e poi ingiustamente demonizzato. La stessa cosa è successa a Renzi: dagli altari alla polvere. È tipico».

I litigi sul fisco e la stagnazione sulla giustizia sono segni che la maggioranza è destinata a sfaldarsi presto?
«Draghi non ha la bacchetta magica: più si avvicinano le elezioni più ci sono difficoltà anche per lui. Però bisogna avere rispetto: sta facendo il possibile, il voto è ampiamente positivo. Diciamo che si è distratto per qualche mese e che se non si distraeva era meglio».

Allude all’ambizione di andare al Quirinale?
«Lo dice lei. Anche i migliori ogni tanto si distraggono».

A gennaio disse che la distrazione l’aveva logorato.
«Certamente. Ma oggi siamo in un momento drammatico, che rafforza l’esecutivo. E il presidente ha avuto la capacità di rifocalizzarsi alla guida del governo, un fatto positivo. Come vede, a parte le distrazioni, sostengo Draghi».

Chiamare il Quirinale “distrazione” suona andreottiano. Nel 2023 farà quarant’anni in Parlamento. Quando ci è entrato, nel 1983, ricorrevano i 40 anni di carriera di Andreotti, celebrati con una serata al cinema Adriano.
«Andreotti è inimitabile, e non sono io. Ho avuto fortuna, quello sì, di essere testimone di tanti avvenimenti, siamo rimasti abbastanza in pochi. Un privilegio. Così come ritengo un privilegio non dover dimostrare più niente: dopo aver passato tutta la vita a dimostrare qualcosa a qualcuno».

Ad esempio?
«Al mio primo comizio, in un paesino, a Gaggio Montano a Bologna, dovevo dimostrare di avere la voce più forte dei camion. Ero a un incrocio, di fianco a me passavano dei rimorchi che mi oscuravano completamente. E c’erano, dall’altra parte della strada, quelli del bar, soprattutto comunisti, che stavano ad ascoltare. Ma intanto passavano ’sti camion, in mezzo, per cui dovevo urlare».

Dalla gara coi camion alla corsa per il Quirinale: qualcosa avrà dimostrato.
«Detesto chi dice si stava meglio quando si stava peggio, alla fine ognuno è artefice dei suoi tempi. Negli anni Settanta mio padre mi diceva: “Oggi è più difficile fare politica di quando ho iniziato io”. E aveva ragione. Ma oggi è ancora più difficile. Per questo c’è bisogno persone preparate. Torniamo alla necessità di avere un professionismo politico».

Andreotti è sempre stato nello stesso partito. Lei meno.
«Io sono sempre stato nella stessa posizione, sono identificato col centro oggi come lo ero 40 anni fa: il problema vero è che nel frattempo si è spostato il mondo».

Chiunque lo pensa di sé stesso.
«Chi avesse dubbi, è pregato di guardare cosa sta dicendo Enrico Letta su questo conflitto, quello che dico io. È la dimostrazione di come si sia spostato il mondo, perché lui rappresenta un partito che storicamente aveva posizioni diverse. Quando io ero giovane le manifestazioni di solidarietà all’alleanza atlantica le faceva il centrodestra: oggi mi sembra che ci sia qualche imbarazzo da quelle parti».

Letta – che è peraltro nato diccì – la penserà come lei, ma non la pensa come Giuseppe Conte. Dovrebbe continuare a coltivare l’alleanza con M5S?
«Se la legge elettorale rimane questa, temo non abbia alternative. Penso che se si facesse un bel proporzionale sarebbe meglio per tutti, specie dopo quello che è successo in questa legislatura: ma poiché io non sono e non voglio più essere protagonista, mi taccio e facciano quello che vogliono».

Non vuol fare lo spirito guida di un novo centro?
«Ho già dato e fatto tanto, servono nuovi protagonisti».

Si può cambiare legge elettorale a questo punto?
«Vuole una consulenza? Per esperienza si fa da settembre e dicembre. E anche agevolmente».

Come fu col porcellum. Sempre come consulenza, per un ambito che conosce bene: il centrodestra esiste?
«Sarebbe interessante saperlo. Berlusconi, con tutti i suoi limiti, coagulava tutti attorno a lui. Oggi un problema è evidente, e aggiungo che Meloni è oggettivamente quella più scaltra: anche sull’alleanza atlantica ha avuto la prontezza di scegliere la parte giusta, mentre vedo che parte dello schieramento ha difficoltà a nominare Putin».

Vedo che lei invece ha difficoltà a nominare Salvini.
«È che non mi importa nulla di fare polemica. E, se Sparta piange, Atene non ride: anche nel centrosinistra l’alleanza non è così semplice. L’ostinazione nel dire no al proporzionale impedisce che tutti si esprimano con libertà. Obblighiamo il Pd ad andare coi Cinque stelle, e magari con Renzi e con Calenda; obblighiamo il centrodestra a mettersi insieme, quando metà sta al governo e metà no. Alleanze che palesemente sono saltate».

Lei che fa si ricandida? E con chi?
«Sinceramente è l’ultima delle mie preoccupazioni».

E sinceramente?
«La mia decisione l’ho presa ma non la voglio dire. Lascio immaginare».

Nel 2018, da candidato Pd, si è ritrovato nella sezione ex Pci di Bologna sotto i ritratti di Togliatti, Gramsci, Di Vittorio e Matteotti.
«Quell’immagine è stata forte, ma so cosa dicevo alle persone: “Lo sapete che io con i comunisti non c’entro niente”. È il mondo che è cambiato. Un segretario di sezione, a Bologna, alle contestazioni della base contro di me, non sapendo più che fare, ha detto: “Casini alla Madonna di San Luca in processione ci va, voi no”».

Facciamo un gioco: immaginiamo Casini fuori dalla politica.
«Ma Casini è la politica! Non può starne fuori».



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