postato il 27 Novembre 2013 | in "Interventi, Politica"

Decadenza Berlusconi: la questione pregiudiziale e sospensiva di P.F.Casini

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Signor Presidente,
ci sono dei momenti nella vita delle persone e delle istituzioni, come quelli che noi oggi viviamo, che sono molto importanti, rilevanti e interrogano la coscienza di ciascuno di noi. Pertanto – lo voglio dire in apertura di questo breve intervento – non sono interessato agli applausi degli uni o degli altri, perché so che questa è una posizione minoritaria, ma ritengo doveroso esprimerla.
 Anzitutto vorrei rifarmi al principio affermato dal presidente Stefano. Il Presidente ha parlato di difesa dell’istituzione parlamentare. È la difesa dell’istituzione parlamentare che mi porta a presentare una questione sospensiva.

Io credo che oggi siamo a un bivio della storia di questo Paese: comunque vada, si conclude un ventennio. Abbiamo certamente giudizi diversi da esprimere, giudizi diversi di Berlusconi e del suo lavoro politico. Ma, onorevoli senatori, io credo che tutti dovremmo essere d’accordo sul fatto che non possiamo liquidare la storia di questi vent’anni come un evento criminale. Mancheremmo di rispetto non solo e non tanto a Berlusconi, ma più ancora a tutti noi, al popolo italiano che lo ha in più occasioni votato e anche a chi, correttamente e con lealtà, a lui si è opposto.
 Alla stessa maniera, il Senato merita rispetto. Qualsiasi scelta noi oggi faremo, la faremo in spirito di vera coscienza nazionale; le nostre opinioni potranno essere, sì, sindacate, ma mi auguro che maturino in assoluta buona fede.
 Vi è un comune interesse che ci unisce e lo voglio evidenziare in apertura di questo intervento: tenere al riparo dalle polemiche di maggioranza e opposizione la figura del Presidente della Repubblica, poiché questa polemica non può in alcun modo coinvolgerlo. Ho ritenuto – dico sinceramente – surreale la polemica nei confronti del presidente Napolitano; in particolare, è surreale una polemica avanzata in ordine alla presunta decisione di concedere o no la grazia, quando nelle scorse settimane, a più riprese, gli stessi legali di Berlusconi, hanno in più circostanze, pubblicamente, in interviste televisive e giornalistiche, affermato che in nessun modo il loro assistito sarebbe stato interessato a questa richiesta e che, addirittura, la concessione di una possibile grazia sarebbe stata lesiva degli interessi del singolo parlamentare. Per cui spazziamo via dal tavolo delle nostre polemiche il tentativo improprio di voler coinvolgere il Capo dello Stato. Semmai siamo tutti noi in debito con il Presidente della Repubblica.

Ci siamo presi un impegno nazionale di condividere un percorso e siamo ricaduti troppo presto in partigianerie di bottega.
 Onorevoli senatori, la vicenda della decadenza di Berlusconi è nota: la sentenza esiste, è passata in giudicato; giusta o sbagliata, le regole dello Stato di diritto ne impongono l’applicazione. Io non sono più di tanto interessato (lo posso essere come cittadino, ma in questo momento cerco di prescindere da tale aspetto) alle rivendicazioni che legittimamente Berlusconi può produrre in termini di nuove prove, di revisione di processo, di ricorsi in sede europea: tutto questo fa parte del suo diritto. Oggi noi abbiamo un’altra questione davanti, che è quella del rapporto che esiste tra questa vicenda, un senatore della Repubblica e l’organo collegiale in cui noi sediamo.
 L’indignazione per questa condanna o le accuse che si rivolgono a una parte politica – in questo caso spesse volte la sinistra – sono del tutto fuori luogo, perché è chiaro che nessuno in quest’Aula, né direttamente né indirettamente, può avere inciso su un percorso diverso, che avviene su un piano diverso. Quella in cui ci troviamo oggi, però, è una sede in cui si intrecciano questioni giudiziarie a questioni politiche.
 Presidente Stefano, io non ho certo la sua cultura giuridica e lei ha fatto una disquisizione come era suo dovere fare come Presidente della Giunta, ma io vorrei rimanere ad alcune questioni che si sono susseguite, perché questa vicenda ha un percorso con un inizio e una fine.

Partiamo dalla Giunta. In ordine all’applicazione retroattiva o no della legge Severino, noi abbiamo avuto una discussione animata che ha coinvolto diverse espressioni delle istituzioni, della cultura, delle accademie, delle università. Constato che alcune delle grandi personalità che sono state sedute sui banchi della Corte costituzionale, addirittura come presidenti, in più circostanze avevano espresso la loro opinione che si potesse legittimamente investire della questione – a garanzia del senatore Berlusconi, in quanto è chiaro che la parte su cui ricade qualsiasi decisione del Senato oggi è il senatore Berlusconi – la Corte costituzionale, coinvolgendola in una espressione di parere. Non sto parlando di principianti del diritto: sto parlando del presidente Violante, del presidente Capotosti, del presidente Onida. Di tutte queste opinioni io credo sarebbe stato saggio tenere conto: non se n’è tenuto conto e si è andati avanti.
 Si è arrivati alla decisione e oggi, ancora all’inizio di questa seduta, alcuni colleghi (mi riferisco al correttissimo ed esemplare senatore Buemi, che si fa carico non di una appartenenza politica, ma di una coscienza personale e civile) hanno posto la questione del voto segreto. Modestamente, anch’io credo che fosse assai prevalente la questione che investiva la persona Berlusconi rispetto all’astratta applicazione della norma della legge Severino e pertanto ritenevo, in dissenso con la decisione della Presidenza e di tanti colleghi, che fosse doveroso, a tutela del singolo, l’accoglimento della richiesta del voto segreto, che mi sembrava coerente con un percorso del passato.

Dunque si è rifiutata la strada di coinvolgere la Corte costituzionale, si è rifiutato il voto segreto ed è apparso questo voto palese.
 Qualcuno addirittura teorizza che è il popolo, è l’opinione pubblica che ha imposto il voto palese, ma non so se ci rendiamo conto di quello che diciamo perché, se veramente stabilissimo questo principio, stabiliremmo un principio di sovvertimento della civiltà giuridica: vorrebbe dire che i diritti non valgono più.
 Credo che si debbano sempre tenere fermi i principi: i principi possono essere popolari o impopolari, ma o esistono o non esistono.
 Bene, c’è uno scontro a trecentosessanta gradi e il fatto che Berlusconi sia oggi uno dei leader dell’opposizione dovrebbe indurre a maggiore cautela, senza spirito di rivalsa né con l’obiettivo di liquidare con celerità una pratica imbarazzante che, tra l’altro, consentirà a Berlusconi di ergersi a vittima di questa vicenda.

Il Senato si appresta a far decadere Berlusconi applicando la legge Severino. Non mi scandalizza affatto il merito, mi preoccupa molto il metodo: non riesco a capire in base a quale assurda corsa contro il tempo – si dice quattro mesi, ma guardiamo gli altri casi in quanto sono stati risolti – noi dovremmo dichiarare decaduto il senatore Berlusconi lacerando ancor di più Senato e Paese, invece di prendere atto di una strada più semplice: di una interdizione sopravvenuta, già decisa in sede di Cassazione e di cui aspettiamo solo un riconteggio tecnico temporale che porterà via al massimo qualche settimana di tempo. La cancellazione dalle liste elettorali del comune di residenza risolveranno alla radice il problema dell’appartenenza di Berlusconi a quest’Aula.
 Esponiamo il Senato al rischio di una sempre possibile accettazione di ricorso da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e seguiamo la via più impervia, che peraltro, come dicevo, consentirà, a Berlusconi di ergersi vittima di una persecuzione politica.
 Abbiamo la soluzione più semplice, non la seguiamo per ragioni inconsistenti ma forse fin troppo chiare.

Signor Presidente, la ringrazio. Chi parla ha contrastato Berlusconi nel momento del suo massimo potere personale e politico (mi riferisco alla sua grande vittoria del 2008), pertanto è del tutto indifferente alla falsa rappresentazione di chi vorrebbe dividere quest’Aula tra favorevoli e contrari a Berlusconi: qui c’è chi in coscienza e per ragioni di principio difende lo Stato di diritto, il Senato della Repubblica e le istituzioni.
 Per queste ragioni propongo la questione sospensiva ed il rinvio della decisione in attesa della decisione della Corte di cassazione sul riconteggio dell’interdizione.
 La pacificazione si allontana, colleghi, e non sono certo tra coloro che se ne rallegrano. La responsabilità certamente è, in primo luogo, di chi aveva detto che teneva distinta la sua vicenda giudiziaria dalla questione politica del Governo Letta e ha, con un voltafaccia totale, cambiato le carte in tavola. Sbracate dichiarazioni, improvvide quanto improvvise dissociazioni, attacco al capo dello Stato: ma, colleghi, e ho terminato, in democrazia chi vince ha il dovere di un supplemento di responsabilità e di generosità.
 Mi auguro che in futuro non ci dovremo pentire della strada seguita oggi.



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