Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

E’ morto il sarto di Ulm

postato il 30 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Per la sua “possibile storia del Pci” Lucio Magri pensò al sarto di Ulm, all’apologo di Bertold Brecht sulla triste vicenda di Albrecht Berblinger, il sarto che volendo volare precipitò giù dalla cattedrale con le sue ali finte. Nel racconto di Brecht il vescovo che mette alla prova il sarto di Ulm alla fine sentenzia perentorio: “mai l’uomo volerà”. Forse nel suo viaggio verso la Svizzera, in questi ultimi anni bui dopo la morte della moglie, Magri avrà ripensato a questa tragica sentenza come metafora triste della storia dei comunisti italiani, ma anche della sua esistenza. Solo questo può provare a spiegare il suicidio di un uomo di 79 anni, ma è una spiegazione che genera comunque angoscia. Davanti all’estremo gesto di Magri è necessario un silenzio rispettoso, che allontani le polemiche estemporanee sulla moralità degli atti, ma che comunque deve suscitare la riflessione per quanti restano. Sì, l’estremo gesto di Magri interroga noi che restiamo, non esclusivamente sui temi eticamente sensibili, ma sul senso della vita, sulla felicità, sui nostri rapporti, sul mondo che abbiamo costruito. La complessa figura di Magri mi ha riportato alla mente il bel film di Ettore Scola “la Terrazza” dove uno straordinario Vittorio Gassman nei panni di un deputato comunista adultero in crisi interroga un’austera platea congressuale chiedendo: “è lecito essere felici, anche se questo crea infelicità?”. La domanda di Magri probabilmente è la stessa del compagno in crisi del film di Scola, ma anche la reazione degli astanti sembra la stessa: l’assemblea tace perplessa.

 

 

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La colletta alimentare, grande spettacolo di carità

postato il 27 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ci sono delle esperienze e delle presenze che a volte si fanno tangibili. L’uomo non può che aprirsi ad esse e riconoscerle. Ieri, 26 novembre 2011 è stata  la giornata nazionale della Colletta Alimentare, un gesto significativo di solidarietà  giunto alla quindicesima edizione che si è svolto in oltre 7.600 punti vendita su tutto il territorio nazionale, con circa 120.000 volontari e una raccolta stimata in 9.000 tonnellate di cibo che sarà distribuita ai 3 milioni di famiglie italiane che risultano sotto le soglie Istat della Povertà. Un pacco di pasta, una scatola di legumi o di zucchero,  per noi una spesa insignificante, per molti una realtà fondamentale. Tutto parte quindici anni fa dal coraggio di un sacerdote, Don Mauro Inzoli, presidente del Banco Alimentare.

Ho avuto l’occasione di ascoltare direttamente la testimonianza di Don Mauro in una recente conferenza svoltasi all’auditorium di Cernusco. Raccontava Don Mauro che anni fa aveva presentato in Parlamento l’iniziativa della colletta alimentare e si era diretto a Montecitorio abbastanza spaventato: in un posto dove spesso capita, purtroppo, che un gruppo proponga un’idea e necessariamente questa idea venga rappresentata sotto una luce negativa da un altro gruppo, si aspettava di certo di ricevere qualche critica o qualche “ah”. Improvvisando, si mise a parlare dell’Educazione impartita da sua nonna. “Quando qualcuno bussava alla mia casa a chiedere qualche elemosina, mia nonna dal portico mi diceva “Corri”. Solamente la parola “Corri” e nient’altro. Io mi precipitavo in cucina e preparavo una misura di farina, ma non come faceva il venditore, scuotendo gli strumenti perché ce ne andasse giusto il necessario, ma anzi schiacciando la farina con le mie manine di bimbo perché potesse andarcene sempre di più”. Inaspettatamente, da ogni ala del palazzo, indipendentemente dal colore politico, si era levato un coro di applausi.

C’è dunque qualcosa  nei cui confronti l’uomo non può che piegarsi e riconoscere una Presenza. Attenzione: non illudiamoci che carità significhi  dare una monetina all’indigente “Se anche dessi tutti i miei beni ai poveri, ma non avessi la Carità non sono nulla” (Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi) essa in realtà è un atteggiamento di vita!  Valore che in tempo di crisi economica è segno di una volontà e di un futuro come  presente nella magistrale enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI, che vi invito a rileggere. Il manifesto della colletta alimentare così recita: “La confusione e lo smarrimento, in questo tempo di crisi, sembrano diventati lo stato d’animo più diffuso tra la gente. Imbattersi, però, in volti lieti e grati, per la sorpresa di essere voluti bene, scatena un desiderio e un interesse che trascinano fuori dal cinismo e dalla disperazione. Per questo anche quest’anno proponiamo di partecipare alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, perché anche un solo gesto di Carità Cristiana, come condividere la propria spesa con i più poveri , introduce nella società un soggetto nuovo, capace di vera solidarietà e condivisione del destino dei nostri fratelli uomini”.

PER APPROFONDIRE

Colletta alimentare: cosa è.

Testimonianze.

INVITO ALLE LETTURA

Articolo di Giorgio Vittadini, presidente Fondazione Sussidiarietà: la ragione profonda della Carità.

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Seconde generazioni, italiani come noi.

postato il 17 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

È riuscito persino a far scendere una lacrima al duro e ribelle Mario Balotelli. Impresa compiuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha ricevuto al Quirinale la nazionale di calcio. Una nazionale in cui giocano ormai quattro italiani di seconda generazione, quei figli di immigrati che sono nati in Italia o vi si sono stabiliti da piccolissimi, crescendo insieme a noi, crescendo italiani a tutti gli effetti. Napolitano ha parlato a lungo della causa che da anni alcune associazioni e raggruppamenti di seconde generazioni portano avanti, per spingere l’Italia ad andare incontro a questi giovani che si sentono italiani come noi, ma agli occhi della legge lo sono di serie B. Il presidente ha ancora una volta, pubblicamente, sostenuto questa battaglia, rivolgendosi da uomo di Stato che si rende conto dei bisogni dei suoi cittadini. Davanti aveva il bomber ex-interista di origini ghanesi che oggi gioca in azzurro, assieme ad altri tre oriundi, in un clima di grande vicinanza umana. E aveva davanti anche tanti ragazzi e ragazze figli di immigrati.

In Italia se ne contano decine di migliaia, frequentano le nostre scuole, i nostri luoghi di ritrovo, hanno le nostre abitudini, conducono un’esistenza molto simile alla nostra, eppure devono aspettare i 18 anni per essere cittadini italiani e quindi essere titolari di diritti e doveri.

È una società variegata, multicolore ed eterogenea la nostra, l’integrazione è l’unica strada percorribile. Ma è davvero integrazione senza questo passo fondamentale, nelle relazioni tra persone che vivono sullo stesso territorio? Viviamo fianco a fianco, noi italiani da sempre e loro, italiani che lo sono da un po’ meno, ma pienamente inseriti nell’ambiente dove sono cresciuti. Perché negare a queste persone fino al compimento della maggiore età i diritti legittimi di cui godiamo noi tutti? Il Parlamento non dovrebbe intervenire per porre fine a questa disparità di trattamento che viene riservata loro? Sono nostri concittadini di fatto ma non di diritto, e allora come Napolitano anche noi nel nostro piccolo dobbiamo sposare la causa di questi giovani di seconda generazione: modificare le leggi e favorire la vera integrazione.

Al Parlamento chiediamo di intervenire, non fosse altro per riconoscere la straordinaria risorsa che rappresentano: mantengono giovane la demografia, arricchiscono la nostra società e talvolta diventano anche dei grandi sportivi che compiono grandi imprese. L’Anolf, la rete G2 e altre organizzazioni spingono per un riconoscimento che non è mai avvenuto, ci mettono di fronte storie di giovani che vogliono essere italiani ma non possono perché la legge glielo impedisce. Interpellano la nostra sensibilità di cittadini aperti alle differenze, di persone che superano le frontiere. La politica che guarda al futuro deve sposare questa corale battaglia.

Ricordando le parole di Balotelli: “Sono italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale italiana”. E quelle pronunciate dal nostro presidente Napolitano, rivolgendosi ai nuovi cittadini: “Siete parte integrante dell’Italia di oggi e di domani”. Che il nostro futuro sia il loro futuro.

 

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L’Italia si mobilita per #Genova. Anche grazie a #Twitter

postato il 6 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ieri per Genova è stata una giornata terribile. Probabilmente la più difficile e luttuosa degli ultimi tempi: un’intera città è stata piegata da un evento naturale catastrofico e ora le lacrime per la morte di 6 persone si mescolano al fango e all’acqua di ieri. Una tragedia, non isolata purtroppo: le immagini di ieri ricordano, del resto, altre alluvioni, altre morti, altra sofferenza. Giampilieri, Ischia, Roma – solo per ricordare gli avvenimenti temporalmente più vicini. Luoghi diversi, uguale sorte. Perché simili eventi non possono essere considerati alla stregua di dolori “locali”, propri solo di coloro che hanno avuto la sventura di doverli sostenere: appartengono a ciascuno di noi e accumunano tutta la Nazione. Nel raccoglimento intorno alla sofferenza, è vero. Ma anche intorno allo spirito di unità, di fratellanza e alla voglia di reagire. Ieri, mentre il fango sommergeva Genova, il resto del Paese non restava alieno, non aspettava di ricevere solo la cronaca dei fatti: si è mosso, ha fatto tutto quello che ha potuto. Ha, per esempio, utilizzato i social network come grande punto di raccordo e di smistamento delle notizie, la maggior parte di esse direttamente di prima mano, ha rilanciato gli appelli alla cautela e alla prudenza, ha funzionato da grande cassa di risonanza. Gli utenti di Twitter, per esempio, con le varie hashtags – in primis #genova, #alluvione, #allertameteoLG – hanno svolto un ruolo cruciale e hanno dimostrato una maturità nell’utilizzo dello strumento davvero encomiabile: c’era chi retwittava il numero verde per le emergenze e chi chiedeva di aprire il wi-fi di casa, per permettere a chi era in strada di potersi collegare e di avere informazioni. La Rete è diventato il modo più immediato per tutti di offrire il proprio contributo, che seppur minimo, è sicuramente indispensabile.

Ricordo di aver visto, una volta, un documentario sul terremoto che devastò Messina nel 1908: si raccontava di come, appena avuta notizia, l’Italia intera si mosse per offrire il proprio sostegno ai cittadini messinesi e si sosteneva che quella grande tragedia fosse stata il primo banco di prova – perfettamente superato – per la coesione nazionale del neonato popolo italiano (che aveva supergiù, almeno formalmente, poco più di 40 anni). Ieri, mentre twittavo e seguivo gli aggiornamenti live, ripensavo proprio a questo discorso (quando il nostro popolo, sempre formalmente, di anni ne ha appena compiuti 150) e riflettevo su come i newmedia di oggi ci aiutino enormemente nel costruire anche la nostra identità collettiva: non lasciatevi, infatti, intortare da chi pensa che lodare la funzione dei social network nella giornata di ieri sia stupido o banale. Di fronte al dolore, certo, ogni entusiasmo svanisce: ma è pur vero che quello che è successo ieri, vedere tutta quella gente mobilitarsi e agire congiuntamente, mi ha rincuorato. Mi ha dimostrato che sì, siamo ancora una Nazione unita. E allora perché, come giustamente ha sottolineato Roberto Rao ieri, non dobbiamo riconoscere il giusto merito anche ai mezzi che hanno permesso che questo accadesse, in primis a Twitter? Proprio per questo dobbiamo ricordare l’importanza della banda larga e la necessità di un accesso libero e veloce alla Rete: la nostra Politica dovrebbe attivarsi per ridurre il gap italiano in materia. E dovrebbe pure farlo assai rapidamente.

 

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Il governo intervenga con risorse a sostegno Liguria

postato il 5 Novembre 2011

Non credo sia il momento del rimpallo delle responsabilità. Penso, invece, sia il momento dell’aiuto di tutta la comunità nazionale a Genova e
alla Liguria. Per questo chiediamo che il governo non solo con il lavoro della protezione civile ma anche con impegni di carattere finanziario concreti possa essere vicino a Genova e alla Liguria. Poi certamente bisognerà verificare perché tutto questo capita.

Pier Ferdinando

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Coraggio Italia!

postato il 3 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ignazio Lovero

Sono anni, oramai, che il nostro paese è alla deriva, anni che si antepongono i propri interessi a quelli della collettività, facendola regredire, anni in cui si vive nell’ombra di promesse mai mantenute, anni in cui non si è più protagonisti.
Il tempo non cambia le cose, queste si possono cambiare solo con l’azione di ognuno di noi, di tutti  noi, col coraggio delle nostre idee, con la voglia di contribuire alla crescita della propria comunità, essendo convinti, di essere sempre e non solo all’occorrenza, una risorsa per l’intera società in modo tale da trasmettere alle nostre e alle prossime generazioni motivi per sperare.

Io credo che solo così diventeremo e ci ricorderanno come la generazione del coraggio, del riscatto, come la gioventù attiva che con fatica e passione, animata dal vero senso della politica, si è riappropriata del proprio futuro e ha dipinto un paese, una città, una nazione migliore.

Coraggio Italia!

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Giovani, se la rivoluzione non basta

postato il 1 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

I giovani come vogliono prospettare il loro futuro con il rinnovamento o con la rivoluzione? La differenza sta tutta qui. Tale quesito, a parer mio, nasce spontaneo al vedere, sentire e leggere quello che i giovani, o meglio alcuni di loro, fanno e non fanno in questo preciso frangente storico che si chiama crisi di tipo economico, sociale, per alcuni spirituale, per altri etico, di certo antropologico. Abbiamo visto nelle settimane scorse a Roma una manifestazione pacifica, condivisibile o meno, organizzata da giovani che chiedono il rinnovamento, cioè il rinforzare, il ridire, il ripensare la nostra realtà, la nostra società con quello che di buono ancora c’è insieme a qualcosa di veramente nuovo che può uscire da un impegno reale sulle cose che già però esistono, trasformarsi in un vero è proprio campo di battaglia che ha devastato diversi quartieri di Roma causando danni per milioni di euro. Oggi tanti, troppi giovani sono nella terra di nessuno, con la possibilità di essere fagocitati e incanalati in circuiti che vogliono sì il cambiamento, ma passando per la distruzione di quello che esiste, buono o meno buono. Certamente questa non è la soluzione: sfasciare le banche, le macchine, i ristoranti, aggredire la polizia e i carabinieri, tirare le bombe carta non sono i migliori rimedi per uscire dalla situazione di fermo dell’Italia e dell’Europa. Quello che come giovani siamo interpellati a fare è qualcosa di più faticoso e impegnativo dello ricercare lo scontro e il distruggere: noi infatti siamo chiamati a costruire, a innestare nel nostro tempo, nel nostro spazio, nelle nostre “cose” semi di rilancio, di riforma, di riscossa con il pensiero, con il saper scorgere l’avvenire che sta dinanzi a noi, formulando nuove vie su sentieri che già esistono e che per molti anni hanno permesso al nostro popolo di essere fra i “grandi” della terra. L’Italia c’è la può fare, c’è la deve fare con noi e per noi. Non si tratta di fare qualcosa per l’immediato e il medio termine, ma si tratta soprattutto in termini politici di un’opera di rinnovamento che colpisca e cambi quasi “ontologicamente” il circuito al quale da mesi, se non da anni, siamo abituati per potere affacciarci con sicurezza al futuro. Ciò è possibile prendendo le cose “vecchie” per trasformale, non distruggerle, in “nuove”. Il cambiamento passa per il rinnovamento e non per la rivoluzione: abbiamo abbastanza coraggio, forza, tempo, dedizione, progetto per fare tutto questo?

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Gheddafi, fine di una dittatura

postato il 24 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Il primo settembre 1969, mentre re Idris si trovava a Bursa, in Turchia, in un complesso termale con la moglie e il suo seguito, un giovane militare di tendenze progressiste e nazionaliste sancisce con un pacifico colpo di stato la fine della monarchia libica istituendo il Comando della Rivoluzione. A poco più di ventisette anni, è il più giovane capo di stato del mondo e fa sognare una “repubblica araba, libera e democratica”.

42 anni dopo. Il Colonnello ha la testa appoggiata alla gamba di una persona. Sanguina. In un secondo frammento appare riverso sul cofano di una jeep. Lo tirano giù e lui sta in piedi, anche perché dei guerriglieri gli fanno da stampella. Si sente gridare due volte: «Tenetelo in vita». Poi gli spari e un cadavere trascinato nella polvere.

Finisce così, tra sangue e calcinacci, la vita di Muammar Gheddafi, il giovane profeta dell’Africa unita rivelatosi uno dei più crudeli assassini e dittatori d’Africa.

Immagini da macelleria messicana trasmesse su tutte le reti nazionali e i telegiornali senza alcun filtro, una scelta sicuramente opinabile, forse mediata da poco buon senso. Molte altre testate e reti internazionali come l’inglese BBC hanno scelto invece di mostrare solo le scene precedenti alla morte del dittatore, lasciando disponibili i frammenti successivi sul proprio sito internet dopo aver avvisato della gravità della scena. Chissà se per ogni bambino che ha visto le immagini di Gheddafi morente ci fosse anche vicino un adulto in grado di spiegarli la realtà dei fatti e il significato di tanta violenza! Non si tratta di censura ma unicamente di buonsenso, come espresso nella dichiarazione Capogruppo dell’Udc in Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Rao.

Non si può gioire per la morte di un essere umano, di un qualsiasi essere umano, perché non è lecito a un uomo uccidere un altro uomo. La sua scomparsa non cancella le sofferenze che ha inflitto a migliaia e migliaia di libici. Ci auguriamo che la morte di Gheddafi, che si porta nella tomba anche molti misteri come il massacro di Lockerbie- il più grave attentato aereo terroristico dopo l’11 settembre- non segni solo la morte di un dittatore, ma la morte di un intero sistema di amicizia e di potere che ha coinvolto tutto l’Occidente, troppo spesso preoccupato dai suoi affari economici ed energetici per poter guardare all’inesprimibile sete di libertà presente nel cuore umano e al desiderio di democrazia dei popoli mediorientali e nordafricani schiacciati da soprusi e regimi. Questa è la nostra vera gioia e speranza.

Molti altri Gheddafi, sconosciuti ai più e volutamente ignorati dai media occidentali, avvelenano la grande terra africana: una terra dal respiro millenario dove l’uomo è nato e dove oggi regimi e dittature allattano i loro figli al seno sterile della morte fustigando la libertà come preda ringhiosa sanguinante al sole.

E’ ora di voltare pagina, di costruire una nuova politica mediterranea e africana perché questi popoli possano volgere i loro visi d’ebano alla brillantezza del sole e all’ alba di una notte che sembra infinita.

 

 

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L’Italia e la vespa: sogno di una favola moderna

postato il 22 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano


Immagino Te, Italia mia, come una Vespa, una di quelle Vespe rosse fiammanti che hanno fatto la storia del nostro Paese nel dopoguerra, quel Paese che cresceva senza sosta, mosso da entusiasmo e voglia di fare, dalla gioia di tornare a vivere. Quella Vespa correva, sfrecciava col vento di cambiamento che investiva l’Europa intera, correva senza fermarsi, neanche davanti ai dossi e alle salite, che allora erano già molto ripide. Correva veloce perché la guidavano mani abili, di persone premurose, che tenevano all’incolumità di quella Vespa rosso fuoco più della loro stessa vita e che per questo, nel loro viaggio in sella a quel veicolo, hanno fatto di tutto per evitare pozzanghere, fango e breccia, per farla sfrecciare senza incidenti.

Purtroppo, però, Paese mio, cara Vespetta, sei stata sfortunata: hai subito troppi passaggi di proprietà. Ben presto gli autisti sono diventati più incauti, si sono divertiti a fare manovre spericolate e, troppo fiduciosi della tua carrozeria, non hanno evitato le buche, che poi sono diventati crateri: ci sono finiti dentro, hanno sfiaccato gli ammortizzatori di quel veicolo che sembrava così forte, così imbattibile. Ma non si sono arresi.

Ti hanno svenduta ai migliori offerenti. Ti hanno svenduta a chi  non aveva neanche la patente per guidarti, a chi aveva promesso di renderti più bella, di ridarti lucentezza e che, invece, ne ha approfittato per portarti attraverso sentieri paludosi, sporchi e maleodoranti, attraverso  “Rione degli Spot” , “Viale del Clientelismo” e  “Via della Corruzione”. Attraverso le strade lerce e pericolose della città più brutta di sempre “MalaPoliticopoli”.

Eppure Tu sei forte, Vespetta-Italia, sei forte. Sei ancora viva, il tuo motore va più lento, perché nessuno l’ha mai ripulito, ma corre ancora. La tua carrozzeria è diventata scura, nera di polvere e di fango, ma sotto quella coltre fumosa si vede ancora il ruggito di quel rosso fiammante. C’è qualche graffio qui è lì, ma sei ancora in piedi. Hai rischiato di cadere, ma sei ancora lì.

Ora, però, quel cavalletto così forte, che ha retto il peso di tanti anni di difficoltà, è stremato. Italia mia, mai come adesso hai bisogno di mani forti che ti tengano ben salda, che ti riportino a correre e sfrecciare, per non lasciarti ancora ferma, col rischio di cadere giù e renderti un rottame da demolire.

E allora, adesso tocca a noi, a noi tutti: riverniciamo insieme la nostra Vespa, il nostro Paese, diamole nuovo lustro. E per farlo ripartiamo dal Sud, da quel Sud che può essere il motore di questa nuovo veicolo. Rimettiamolo in sesto, puliamo il carburatore dalle ortiche che lo ostruiscono e ripartiamo alla velocità della luce. Facciamo urlare ancora quel motore, ascoltiamo insieme il suo boato, corriamo insieme a lei, alla nostra Vespa, col vento tra i capelli. Ripartiamo insieme e, perché no, ripartiamo dal Sud.

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