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Tecnologia e società, il dialogo necessario per superare la crisi

postato il 4 Agosto 2011

L’andamento dell’economia a livello mondiale impone una attenta riflessione che non può più essere solo locale, ma globale. A mio avviso il progresso tecnologico ha portato al punto di rottura il sistema sociale su cui ci siamo sempre basati: il nostro sistema è centrato sull’assunto di “lavorare di più, per produrre di più e guadagnare di più”. Aumentando la produttività, aumenta la ricchezza, i consumatori aumentano e si assumono altri lavoratori. Questo trade off era particolarmente vero in una società preindustriale. Con l’avvento della industrializzazione negli ultimi secoli, si è assistito ad un prosieguo, a mio avviso fittizio, dell’assunto di cui sopra. Perché dico fittizio? Inizialmente l’industrializzazione ha portato un aumento nella produzione di merci con una progressione di poco superiore a quella del passato. Anche se di poco superiore, questa progressione aumentò enormemente la disponibilità delle merci e abbassò il loro prezzo. Al contempo il progresso tecnologico creò nuovi beni, servizi e soprattutto nuovi bisogni: l’industria dell’intrattenimento, ad esempio, è “recente”, ha circa 100 anni; come pure altri settori industriali (auto, frigoriferi, televisione, computer) e altri servizi (servizi finanziari, l’industria del marketing, della pubblicità, del turismo di massa, e così via). Chiaramente la tecnologia ci ha portato immensi benefici: la qualità della vita è enormemente migliorata, e questo è innegabile.Ma questo ci ha resi ciechi di fronte ai pericoli intrinseci, e ci “impedisce” di impostare una analisi seria della situazione attuale. La crisi mondiale ci impone di analizzare la situazione attuale, soprattutto perché, nonostante gli indici di produttività segnino un aumento costante, non altrettanto si può dire con la disoccupazione, vecchia e nuova: nell’ottobre del 2010, gli studi del FMI evidenziarono come non solo non si era ancora assorbita la disoccupazione creata con la crisi del 2008, ma che bisognava “creare” almeno 40 milioni di posti di lavoro annui (su questo punto si veda il rapporto dell’autunno scorso del FMI, su cui mi soffermerò un altro girono), per reggere le pressioni di chi si affacciava al mondo del lavoro nei paesi occidentali, in quelli arabi e senza contare le pressioni demografiche cinesi.Come si spiega l’aumento di produttività, con un indice di disoccupazione che non mostra sensibili miglioramenti? Spesso il problema si pone e viene discusso a livello nazionale, ed è una cosa logica se consideriamo che i politici devono rendere conto al loro elettorato: un politico italiano deve “tutelare” chi lo ha eletto, e quindi gli elettori italiani, la stessa cosa per i politici tedeschi (ricordiamo come la Merkel ritardò molto gli aiuti alla Grecia, proprio perché aveva prima bisogno del consenso popolare della Germania), francesi, statunitensi, cinesi e così via. Ma questo non risolve il problema, perché non lo individua correttamente. Il problema, come ho accennato prima, risiede nel fatto che ormai la tecnologia, permette una produzione sempre più automatizzata, con tassi di efficienza e produttività sempre più alti e sempre meno bisogno di manodopera umana. Per fare degli esempi: nell’industria dell’auto gli impianti sono quasi totalmente automatizzati e una fabbrica con 7000 operai può oggi produrre lo stesso quantitativo di macchine che prima producevano 20.000 operai. Altro esempio è nell’industria dei microchip: oggi si può produrre lo stesso quantitativo di microchip del 2000, impiegando solo un quarto della forza lavoro che serviva nel 2000: in pratica oggi con 25 operai si produce quanto 10 anni fa producevano 100 lavoratori. E questo processo è in atto da anni, solo che non ce ne rendevamo conto, perché con il progresso tecnologico si creavano nuovi settori produttivi (ad esempio il marketing) e nuovi bisogni (ad esempio fino a 20 anni fa, chi aveva bisogno di un cellulare?) su cui si spostava la forza lavoro in eccesso degli altri settori. Oggi purtroppo non si riesce più a creare nuovi servizi, o nuovi prodotti, si tende a migliorare ciò che c’è, e anzi si procede ad una automazione sempre maggiore. In Francia le aziende hanno bloccato le assunzioni, come anche in Italia, e la Germania tiene grazie alle esportazioni, ma anche nel paese della Merkel si notano i primi rallentamenti. Pensare che una nazione possa lavorare ed esportare a tempo indeterminato, è utopico: la tecnologia e il sapere sono facilmente esportabili e replicabili. Il Brasile, la Cina, l’India ne sono un esempio. E quando i lavoratori cinesi e indiani passeranno dall’agricoltura all’industria, cosa avverrà?

Un altro esempio sono gli uffici pubblici o privati: un tempo i documenti dovevano essere archiviati, e vi erano enormi archivi cartacei e persone che si occupavano del loro controllo e dell’archivio, ma oggi con i computer, questo stesso lavoro può essere svolto da una persona.

Le banche, ad esempio, stanno investendo molto sui servizi via internet e sui bancomat “evoluti” dove si può non solo prelevare, ma anche pagare utenze e depositare soldi.
Ma se queste operazioni si possono fare da casa o tramite bancomat, viene meno la funzione di chi lavora allo sportello e con il tempo molte filiali potrebbero chiudere.Giusto per citare una notizia di questi giorni la banca britannica Barclays  ha annunciato che potrebbe tagliare circa 3mila posti di lavoro nel 2011 nell’ambito del piano per ridurre i costi. Il numero uno del gruppo, Bob Diamond, ha detto nel corso di una conference call, che nel primo semestre c’e’ stata una riduzione di 1.400 posti. Il gruppo ha chiuso i primi sei mesi dell’esercizio con un utile netto in calo del 38% a 1,50 miliardi di euro a fronte di un risultato di 2,43 miliardi registrato nello stesso periodo dell’anno precedente. Ma allora quale è la soluzione? Rifiutare la tecnologia? Assolutamente no. Come ho detto la tecnologia ha migliorato la nostra qualità di vita.

Semmai la risposta può essere nel cambiare la nostra struttura sociale, e per fare ciò bisogna che questo problema si ponga a livello internazionale portando avanti nuove regole comuni a tutti.

Il progresso tecnologico, avrebbe dovuto portarci a lavorare meno: con un minore numero di ore di lavoro si può produrre lo stesso quantitativo di prodotti di qualche anno fa.

Oggi, ognuno di noi, tende a lavorare più degli altri, ma la tecnologia ci permetterebbe di lavorare di meno e lavorare tutti: meglio che lavori una persona 8-12 ore e un’altra sia disoccupata, o che tutte e due lavorino magari 4-6 ore a testa?

L’incidenza del “costo umano” con il progresso tecnologico si va riducendo, inoltre il maggiore costo di un maggiore numero di impiigati, verrebbe riassorbito perché se lavorano molte persone, queste stesse persone, avendo uno stipendio, potranno acquistare beni e servizi (mentre è lapalissiano che chi non lavora, non avendo una fonte di reddito, non può spendere).

Questa soluzione potrebbe anche non bastare o non essere gradita.

Allora si potrebbe anche ipotizzare una distinzione tra “beni necessari” e “beni non necessari”: per quelli necessari potrebbe provvedere lo Stato, per quelli non necessari si provvederebbe individualmente con il proprio lavoro. Ad esempio, si può pensare una abitazione standard per tutti, e poi se io lavoro e guadagno posso comprarmi una casa più bella. Il progresso tecnologico ha permesso l’abbattimento dei costi di molti beni di prima necessità.

E’ ovvio che sto solo abbozzando delle ipotetiche soluzioni, ma quel che mi preme è di porre il problema, perché solo ponendolo si può iniziare a trovare una soluzione.

Il vero problema non è la crisi contingente, ma che il nostro modello sociale di sviluppo sta mostrando la corda, ora che il progresso tecnologico ha permesso un aumento esponenziale della nostra produttività.

Se questo problema non verrà dibattuto nelle sedi apposite, dubito che avremo delle soluzioni strutturali ed efficaci ai problemi della disoccupazione mondiale

Riceviamo e pubblichiamo di Mario Pezzati

 

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Salviamo ‘sto Paese

postato il 4 Agosto 2011

“Deve esserci un accordo / se ci sta a cuore la salvezza del paese. / Salviamo ‘sto paese? Eh? / C’è bisogno di un’intesa / vogliamo tutti insieme metterci / a pensare seriamente alla ripresa? Eh? economica? Sì? / Bisogna lavorare sul concreto / bisogna rimboccarsi le maniche per incrementare la produzione e assicurare / uno stabile benessere sociale a tutti coloro / ai quali noi, per il momento / abbiamo chiesto sacrifici / vogliamo uscire a testa alta dalla crisi? Eh? / Salviamo ‘sto paese? Sì?” Queste parole di una canzone di Giorgio Gaber hanno più contenuto e senso di molti dei discorsi – ripetizione di un’ormai stanco canovaccio politico – che si sono ascoltati, durante l’informativa sulla crisi, nelle aule di palazzo Montecitorio e di palazzo Madama. A noi, in particolare, una proposta ha colpito positivamente, ovvero quella dell’On. Pier Ferdinando Casini di dar vita ad una commissione bipartisan per la crescita. È giunto il momento, infatti, che anche il nostro Paese, al pari delle altre democrazie occidentali, si ponga l’interrogativo sul ruolo e la missione che come comunità nazionale intende assumere in un orizzonte temporale almeno decennale. Probabilmente, così, si riuscirebbe anche ad arginare la perdita del senso di cittadinanza di una larga parte dell’economia e della società (si pensi alla fuga dei cervelli) – con evidente positivi benefici sull’economia nazionale – che, indipendentemente da chi sta al governo, proprio perché internazionalizzata non si sente più italiana, pur avendo il nostro stesso passaporto. La nostra modesta esperienza in significative piattaforme generazionali europee e nazionali – vuoi lo Youth Forum, lo YEPP o il Forum nazionale dei giovani – ci induce a ritenere che quanto proposto, ieri, dall’On. Casini possa avere effetti favorevoli, non solo economici, anche sociali, se naturalmente interpretata secondo dinamiche bipartisan e logiche non settoriali. Ben venga, allora, l’istituzione di una commissione nazionale per la crescita che possa, in qualche modo, inserirsi nel solco dell’esperienza della Commissione Attalì; seguendo l’esperienza di un paese, come la Francia, che aveva (e ha ancora) da affrontare e vincere sfide comuni all’Italia a partire dal problema di liberare energie e risorse per la crescita, e dalla questione dell’approvazione di riforme che promuovano i talenti, l’iniziativa individuale e collettiva, la capacità e la voglia di intraprendere, di sperimentare, di innovare, di competere, di rischiare. Non è un caso, forse, se la Commissione Attalì – così come notato dal prof. Mario Monti e dal Sen. Franco Bassanini, membri della commissione francese -, “ha suscitato in Italia, fin dal momento della sua costituzione, un’attenzione e un interesse straordinari e imprevisti. In nessun altro paese europeo, a parte la Francia, se ne è discusso e scritto quanto in Italia”. Insomma, per dirla sempre con le parole di Gaber, “bisogna far proposte in positivo / senza calcare la mano sulle possibili carenze (…) / Cerchiamo di essere realisti. Non lasciamoci trarre in inganno… dalla realtà!”

Francesco Nicotri e Riccardo Pozzi

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#Casini über alles. Parola di Twitter.

postato il 3 Agosto 2011

Diciamolo chiaramente: Pier Ferdinando Casini è stato il migliore. Solido, sicuro e pacato,  ma anche deciso, netto ed incisivo.  Migliore di Pierluigi Bersani, che – come ha notato acutamente Andrea Sarubbi – si è fatto scappare il tempo di mano e non è riuscito a risultare convincente, facendosi trascinare in un “dialogo tra sordi”. Un argine contro gli sproloqui del capogruppo della Lega, Reguzzoni; una risposta efficace al debutto (assai deludente, in verità) del neo segretario Pdl, Alfano che è sembrato una brutta replica del discorso del Premier. Casini non è caduto nella trappola della stanca litania del “il governo se ne deve andare” e non perché non lo pensi più, ma perché ripeterlo fa solo il gioco di questa maggioranza: è riuscito, invece, ad esporre ordinatamente priorità del Paese e a dimostrare la loro fondatezza e validità (non per nulla, il povero B. si è agitato più volte durante l’intervento del nostro leader). È riuscito anche a vanificare il gioco della maggioranza, ripetendo che solo “una fase di armistizio tra i principali partiti può salvare l’Italia”, “non improbabili governi tecnici, ma governi che nascano dalla volontà del Parlamento, dei partiti” e che “il problema oggi non è la liquidazione politica di Berlusconi”: pensare che “la fine politica di qualcuno significhi il successo” significa sottovalutare “le difficoltà che abbiamo davanti e il momento che stiamo vivendo”. E, in conclusione, ha anche lanciato dei punti fondamentali per il rilancio della nostra economia (proposte serie, almeno queste l’On. Alfano le avrà sentite?): anticipare la riforma fiscale, aumentare la tassazione delle rendite finanziarie, liberalizzare la rete energia, lanciare una Commissione per la Crescita.

Ma che queste cose le diciamo noi, certo, è ovvio. E, allora, per dimostrarvi che non stiamo esagerando o montando un caso che non esiste, abbiamo fatto un giro su Twitter: fatelo anche voi, leggerete delle chicche assai interessanti. C’è chi è notevolmente stupito (EgonSadaiel nota che “#casini molto meglio di #Bersani: ci rendiamo conto?”, mentre martinacarletti è ancora più esplicita: “#Casini gli sta facendo il c***. Non me l’aspettavo”. C’è anche chi è fiducioso fin dall’inizio (marcoz984: “#Casini farà l’intervento migliore”) e chi alla fine si complimenta onestamente (calamityjane: “E comunque Casini best in class #berlusconicamera”; tigella: “Parla Casini, che mi sembra il favorito a diventare il prossimo Premier italiano, se le cose vanno avanti così”; mammonss: “#Casini parla di Borsa e spread. Bravo”). Riga ammette: “Fu così che Casini ha guadagnato punti in crebilità. Ringraziamo Bersani che oscura tutto il valore del programma del PD”; openworldblog poi si sbilancia addirittura: “mi preoccupo di aver ascoltato un @Pierferdinando Casini molto sensato (e di sinistra). Ecco, l’ho detto”;  idem anche per Gaboganasa: “quello di Casini sembra il discorso più sensato. E ciò mi spaventa”. Ci sono poi pure gli entusiasti come andrea_viliotti che urla: “W Casini! Quanto hai ragione!”; la_maddy: “Finalmente qualcuno (Casini!!!) Parla di ABOLIZIONE DELLE PROVINCE e fa proposte concrete!”; gius_catalano: “Casini una spanna sopra a tutti”.

Come vedete, il nostro giudizio sulla pregevole  qualità dell’intervento di Pier (che trovate qui) non è fazioso e non è nemmeno  unilaterale, anzi è largamente condiviso, specialmente sui social network. Complimenti Presidente, siamo orgogliosi di te.

“Riceviamo e pubblichiamo” Giuseppe Portonera

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Berlusconi passi dalla politica delle cicale alla politica delle formiche.

postato il 3 Agosto 2011

Oggi il Presidente del Consiglio interverrà alla Camera e al Senato in merito alla crisi economica. Probabilmente questo sarà uno dei discorsi più impegnativi della carriera politica di Silvio Berlusconi e c’è da augurarsi, per il bene del Paese, che Berlusconi sia all’altezza delle aspettative dei cittadini e dei mercati internazionali. Purtroppo gli ultimi interventi del Premier alle Camere sono stati poco edificanti e si sono spesso ridotti a ridicole passerelle dove, tra una battuta e un sorriso, venivano sbandierati i presunti meriti di questo governo e si riproponevano promesse non mantenute.

Non è più tempo delle parole in libertà, come ha ben sottolineato il deputato dell’Udc Gian Luca Galletti, ma occorre dire parole rassicuranti e soprattutto presentare strategie concrete. Le idee non mancano, ma è necessario stabilire delle priorità concrete, tra le quali, come suggerisce Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, l’anticipo del pareggio di bilancio. I mercati oggi si attendono una iniezione di fiducia, una manifestazione di concretezza e di volontà di crescere, per fa ciò è necessario che Silvio Berlusconi e il suo governo abbandonino le vacuità del processo lungo o delle targhe ministeriali a Monza e si concentrino sull’economia assumendo impegni precisi e ascoltando le parti sociali. E’ necessario che il governo comprenda che è ora di  passare dalla politica delle cicale alla politica delle formiche, perché l’estate sta finendo e l’inverno è terribilmente vicino.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Sangue Siriano

postato il 2 Agosto 2011

1274 a.C. , Qadesh. Sulle rive del fiume Oronte si contrappongono, in uno dei conflitti più celebrati e documentati dell’antichità, le due più grandi potenze del Medio Oriente: l’impero ittita di Muwatalli III e l’Egitto del faraone Ramses II. Ancora oggi le sabbie del fiume Oronte sono sporche e imbrattate di sangue. Oggi ad Hama, nelle vicinanze dell’antica Qadesh, le strade della città sono cosparse di cadaveri e feriti frutto della tempesta di fuoco e delle raffiche di mitragliatrici sparate dall’esercito fedele al governo contro il popolo in giorno di festa, alla vigilia del Ramadan. Secondo dati diffusi dalle organizzazione per i diritti umani circa 2.000 persone sono rimaste uccise nelle violenze che si succedono in Siria da quando sono cominciate le proteste contro il regime del presidente Bashar al Assad a metà marzo. Almeno altre 12.000 persone sono state arrestate. Nel frattempo, in un messaggio alle forze armate per l’ anniversario della loro fondazione, il presidente siriano si è congratulato con quello che ha definito l’esercito “patriottico” simbolo dell’ orgoglio nazionale. Oggi alle ore 16.00 nella conferenza stampa del Terzo Polo a cui hanno aderito gli onorevoli deputati Lorenzo Cesa, Ferdinando Adornato, Benedetto Della Vedova, Barbara Contini e Gianni Vernetti è stato richiesto al governo di ritirare l’ambasciatore italiano da Damasco in segno di protesta. Domani mattina alle ore 9.45 il governo riferirà in aula nella persona di Stefania Craxi, sottosegretario con delega agli affari esteri. Rivolgo queste poche righe ai parlamentari che si sono impegnati personalmente in questa iniziativa e mi rivolgo a tutti le persone animate dal senso della giustizia nel loro cuore: l’11 marzo 2010 la presidenza della Repubblica ha riconosciuto il presidente siriano Bashar al Assad “Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana decorato di gran cordone “. Chiediamo l’immediato ritiro dell’onorificenza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

LINK:

Dal sito della Presidenza della Repubblica, l’elenco dei cavalieri di Gran Croce.

Dettaglio decorato Bashar el Assad.

Una petizione mondiale per i siriani scomparsi che invito a visionare

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Lunedi nero in Borsa: proviamo a ragionarci.

postato il 2 Agosto 2011

La giornata di oggi, per chi non è avvezzo alle contrattazioni borsistiche, può essere sembrata schizofrenica. Prima i listini europei aprono in forte rialzo, poi iniziano a calare, fino a crollare del tutto mentre Wall Street, partita anch’essa in positivo, arrivava a perdere l’1%. Eppure con l’accordo sul debito USA, teoricamente le Borse dovevano salire. In realtà le cose non sono così lineari, ma, come sa chi opera quotidianamente con i mercati finanziari, bisogna tenere conto sempre di moltissimi fattori, che si aggiornano costantemente. Ci sarà chi griderà contro chi assume posizioni ribassiste (scommettono sul ribasso dei mercati), ma questa spiegazione non basta: il volume quotidiano di denaro mosso sui mercati è tale che non vi è qualcuno che possa condizionarlo, ma bisogna cercare di modificare le attese degli operatori.

L’accordo USA, nella realtà dei fatti, deve ancora passare il vaglio (e la votazione) del Senato e della Camera americani, quindi non è scontato che passi indenne questi due scogli. Inoltre, l’accordo USA non mette al riparo dal rischio di declassamento del debito USA: se non vi saranno consistenti segnali di ripresa dell’economia, le agenzie di rating potrebbero declassare ugualmente il rating USA. Moody’s e Standard & Poor hanno detto che non rilasceranno immediatamente dei commenti in merito alla bozza di accordo. Peraltro, secondo dichiarazioni precedenti, il rating sovrano AAA degli Stati Uniti potrebbe essere ancora a rischio. E d’altro canto nessun operatore ha mai creduto seriamente al default USA, qualificando la diatriba dei gironi scorsi, come un fatto meramente politico. Basta guardare l’andamento dei rendimenti sui titoli del debito pubblico Usa. Quando c’è odore d’insolvenza, gli interessi sui titoli di stato crescono perché il paese diventa più rischioso. Nel caso degli Usa il costo del finanziamento del debito pubblico è addirittura sceso. Oggi il Treasury a 10 anni rende il 2,82%, sui minimi del 2011, ad inizio anno si viaggiava al 3,22%.

S&P aveva dichiarato di voler un taglio del deficit di almeno 4.000 miliardi di dollari. Se S&P dovesse ritenere che l’accordo non è sufficiente a far cambiare rotta al deficit statunitense, potrebbe ancora decidere di tagliare il rating sovrano AAA. In caso di downgrade l’agenzia aveva dichiarato che il rating probabilmente sarebbe rimasto nel range AA, il che significa un downgrade di 2 o 3 notch.

Ma ciò non basta a spiegare una giornata che, per un esterno, appare folle. Dobbiamo anche considerare altri fattori: intanto l’atteggiamento che si ha in borsa. Gli operatori, quando investono in borsa, investono sulle prospettive e sulle attese future, non sui dati acquisiti del passato (i quali sono usati solo per estrapolare previsioni sul futuro andamento dell’economia). E alla luce di quanto detto, ecco che si chiarisce la giornata di oggi: gli operatori, in fase d’incertezza, preferiscono vendere e tenersi liquidi, magari incamerando delle perdite, pur di evitare, magari, delle perdite maggiori in futuro.

Quando ha iniziato a crollare il mercato americano? Quando sono usciti alcuni dati sull’economia statunitense: dato sulla spesa edilizia di giugno ha mostrato una crescita dello 0,2% quando gli economisti si attendevano un +0,1%, contro un calo dello 0,6% a maggio. Mentre l’indice Ism sul settore manifatturiero di luglio negli Stati Uniti, atteso a 54,9 da 55,3 del mese precedente, si è attestato a 50,9. Per la cronaca, se l’indice ISM scende sotto il livello di 50 punti, allora si è in recessione, quindi gli USA sono ad un passo da essa.

Venerdì scorso il dato sul Pil a stelle e strisce ha fatto segnare un valore poco sopra l’1%, un livello insufficiente a ridurre un tasso di disoccupazione superiore al 9%: non a caso si torna a parlare di ”Double Dip”, cioè di una seconda recessione. Ovviamente, se l’America sta male, l’Europa sta peggio, e il motivo è sia dovuto alla scarsa crescita dell’economia europea, sia alle differenze tra Federal Reserve e BCE. La prima è pronta a stampare miliardi di dollari per finanziare il Tesoro e salvare il paese della bancarotta (anche se questo significa fare aumentare di molto l’inflazione) che, in termini tecnici, si chiama la monetizzazione del debito pubblico. Al contrario, nell’Eurozona, la Bce non può stampare moneta.

Per quanto riguarda l’economia europea rileviamo come si stanno muovendo le tre maggiori economie dell’UE: Italia, Francia, Germania. L’attività del settore manifatturiero italiano a luglio è tornata a salire, anche se in modo frazionale, e l’indice è salito a 50,1 da 49,9 di giugno, quindi sopra la soglia 50, che separa l’espansione dalla contrazione.

La Germania invece segna un rallentamento: l’indice Pmi manifatturiero tedesco è sceso a luglio a 52,0 – il livello più basso da ottobre 2009 – dal 54,6 di giugno, poco sotto le attese che convergevano su 52,1, ma pur sempre sopra la soglia 50 che separa la crescita dalla contrazione.
Il rallentamento dai livelli di crescita degli ultimi mesi è stato consistente: da dicembre ad aprile, infatti, l’indice si era mantenuto sopra quota 60.
Anche la Francia fa segnare un consistente rallentamento per la prima volta in due anni, l’indice Pmi di luglio si attesta a 50,5, leggermente sopra la lettura preliminare di 50,1 ma sotto il dato di 52,5 di giugno. La discesa porta l’indice al livello più basso da luglio 2009, lasciandolo appena sopra la soglia dei 50 punti che separa l’espansione dalla contrazione.
A suggerire un probabile proseguimento della debolezza dell’attività nei prossimi mesi, le industrie francesi hanno visto i nuovi ordini scendere per la prima volta da giugno 2009, anche se gli ordini dei clienti esteri hanno segnato un lieve aumento rispetto a giugno.
Come si vede oggi si sono susseguite tutta una serie di notizie che hanno gettato molta incertezza sui mercati finanziari e che spiega ilo movimento dei mercati di oggi. Certo l’Italia paga anche la lentezza con cui il governo risponde ai cali dei giorni scorsi, considerando che solo giovedì ci sarà un incontro tra il governo e le parti sociali e questo mostra che il governo vive in un altro mondo, un mondo dove le priorità non sono le risposte all’economia, ma le risposte ai guai giudiziari.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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La carestia nel Corno d’Africa, urge un intervento.

postato il 1 Agosto 2011

L’uomo è ciò che mangia” affermava nel 1862 il filosofo Ludwig Feuerbach, un pensiero a prima vista molto bizzarro, ispirato alla recensione di un trattato di cucina popolare tedesco, che postulava  l’alimentazione come elemento  base per costruire e migliorare l’essenza dell’uomo;  un popolo potrebbe dunque migliorare la propria condizione e il proprio carattere partendo in primo luogo dall’alimentazione. A volte penso che Feuerbach nel suo materialismo sfrenato abbia un pochino ragione guardando alla nostra società consumistica e godereccia in cui  per noi, ammettiamolo, è quasi impossibile immaginare e porre lo sguardo su  situazioni diverse di fronte alle quali siamo ciechi e ci illudiamo di risolvere spedendo ogni tanto ,per pulirci la coscienza, pacchi di dollari di finanziamenti che probabilmente finiranno nella mani di qualche corrotto e ambizioso potentato locale.

Eppure in Somalia e in tutto il corno d’Africa  si sta consumando sotto i nostri occhi una carestia che qualche esperto definisce “secolare”.  Ecco alcuni dati che ho rintracciato sul sito dell’Unicef: in questo momento 12 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, il 30% della popolazione sta soffrendo di  malnutrizione con picchi del 55% in alcune regioni, si registrano 4 decessi al giorno ogni 10.000 bambini. Una carestia che certo rende ancor più drammatiche le condizioni di una regione che non trova pace da oltre 40 anni: dal 1969, anno del colpo di stato del generale Siad Barrè,  la Somalia è in uno stato di guerriglia permanente alimentata da spietati signori della guerra e capibanda tribali. Guerre di clan rivali per il controllo del sud della Somalia, zona fertile e agricola, scontri di secessione che hanno dato origine al Somaliland,  non riconosciuto dalle Nazioni Unite, in un clima di quasi ritorno alla spaccatura coloniale dove il nord e il sud del paese erano divisi tra inglesi e italiani (ricordo che nel 1891 il governo Crispi aveva aperto le vie del modesto colonialismo italiano ottenendo proprio per 160.000 rupie un protettorato sui principali porti della Somalia, protettorato estinto solo nel 1960) . In questa guerriglia perenne si è intromessa anche Al Quaeda che sta cercando di ottenere il controllo della regione con le sue corti islamiche e affermare la legge della Sharia. Ancora oggi, mentre i bambini muoiono di fame, per le strade di Mogadiscio si combatte tra miliziani fedeli al debole governo,  uomini di Al Qaeda e guerriglieri Shabab. Una tragedia umanitaria dove la mancanza di solide istituzioni, e il perenne stato di disordine, hanno aggravato la drammatica situazione della siccità e della conseguente carestia. In questi giorni il Wfp, Programma alimentare mondiale, è riuscito ad attivare un corridoio alimentare aereo per distribuire aiuti alla popolazione e questa è una buona notizia ma sa purtroppo di già sentito: noi siamo sempre quelli che corriamo in aiuto a fare gli eroi, ma dopo qualche settimana abbiamo già dimenticato tutto. Si parla forse ancora di Haiti? Eppure certo non stanno meglio di prima.

Aiutiamo il popolo somalo, ora e non solo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

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L’assurdo valzer del bonus bebè

postato il 30 Luglio 2011

Nel 2006 700mila bambini italiani ricevevano, al momento della loro nascita, una lettera dal Presidente del Consiglio,  che così recitava: «Caro…, felicitazioni per il tuo arrivo! E’ il Presidente del Consiglio a scriverti per porti la prima domanda della tua vita: lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di mille euro? I tuoi genitori potranno riscuoterlo presso questo ufficio postale. Un grosso bacio».  Insieme alla lettera vi era un modulo di autocertificazione, dove i genitori avrebbero dovuto dichiarare che il loro reddito complessivo non superava i 50.000 euro, e che opportunamente compilato e presentato ad un ufficio postale dava diritto a ritirare l’assegno da 1.000 euro.

Cinque anni dopo,  alcuni di quei bambini che avevano beneficiato del cosiddetto “bonus bebè” ricevono un’altra lettera,  questa volta del  Ministero delle Economia che perentorio avverte: «dagli accertamenti effettuati è emerso che Lei ha falsamente dichiarato di avere un reddito familiare complessivo non superiore a 50.000 euro… Si contesta, pertanto, di avere riscosso illecitamente il bonus bebè utilizzando un’autocertificazione mendace… Si intima la restituzione entro 30 giorni del bonus e il pagamento della sanzione amministrativa pari a 3.000 euro che dovrà essere effettuato solo dopo che il giudice penale si sarà pronunciato in merito alla punibilità della falsa autocertificazione». I bimbi a cinque anni non avranno capito un gran che, ma ai genitori sarà venuto un colpo: il ministero dell’Economia, senza troppe felicitazioni, rivuole indietro i soldi.

Al ministero non sono impazziti ma tentano di porre rimedio, piuttosto maldestramente, ad un grossolano errore del governo che nella missiva originaria non ha precisato  che il reddito da dichiarare era quello lordo e non il netto, e che le rendite patrimoniali erano incluse. E’ facile immaginare la reazione furibonda delle famiglie e delle organizzazioni a difesa dei consumatori che, giustamente, fanno presente che l’errore è dovuto alla poca chiarezza della modulistica inviata e si chiedono perché dovrebbero pagare i cittadini per una leggerezza del governo.  Ai dubbi di famiglie ed associazioni risponde, con una terza incredibile lettera, il  sottosegretario Giovanardi:  “Cara mamma e caro papà, sei anni fa vi arrivò una lettera firmata dal Presidente Silvio Berlusconi che vi avvertiva della possibilità di incassare un assegno di mille euro per la nascita di vostro figlio, nel caso in cui il vostro reddito complessivo fosse stato inferiore ai 50 mila euro. Su oltre 700.000 assegni inviati e incassati dagli aventi diritto purtroppo circa 8.000, ad una verifica fatta dagli uffici sull’autocertificazione, sono risultati non in regola con quanto stabilito dal Parlamento. Come delegato per  la Presidenza del Consiglio dei Ministri alle politiche per la famiglia, innanzitutto mi scuso per i toni sgarbati e minacciosi della lettera che gli uffici del Ministero dell’economia vi hanno inviato per richiedere la restituzione di tale somma. Come ho già dichiarato alla Camera dei Deputati giovedì 21 luglio 2011 rispondendo ad interpellanze dei Parlamentari, chi ha ricevuto la lettera può prendere contatto con gli uffici che vi hanno scritto per dimostrare la correttezza dell’autocertificazione e non procedere alla restituzione. Se questo non fosse possibile, perché per esempio c’è stato un equivoco fra reddito lordo e reddito netto, tutto potrà venire sanato con la restituzione dei mille euro, senza interessi e se necessario anche a rate. In sostanza  è come se una banca vi avesse prestato sei anni fa mille euro e oggi ne richiedesse semplicemente la restituzione senza nessun interesse. Posso concordare con voi che la cosa sia spiacevole ma bisogna anche tener conto delle centinaia e migliaia di coppie a cui è nato un figlio e che i mille euro non li hanno incassati perché hanno interpretato correttamente la norma di legge. Nell’augurare ogni bene a voi e alla vostra famiglia, colgo l’occasione per salutarvi con viva cordialità”.

La vicenda è davvero surreale se non ridicola, fortunatamente la sanzione è stata cancellata ma restano il grossolano errore del governo e il disagio per le famiglie che in tempi di ristrettezza economica e di assenza di politiche familiari si vedono comunque costrette a restituire un bonus che si è presto rivelato un malus.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru


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Gioco d’azzardo legalizzato, “pecunia non olet”

postato il 29 Luglio 2011

“Una vera piaga, soprattutto per i giovani. Rischia di essere la malattia emergente del nostro millennio” . Queste le chiare parole usate dal prof. Rosario Sorrentino, neurologo, fondatore e direttore dell’IRCAP (Istituto di Ricerca e Cura sugli Attacchi di Panico), qualche tempo addietro in occasione della presentazione di una campagna di sensibilizzazione sul gioco responsabile sostenuta dalla stessa Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e presentata da SNAI.

“Si profila sempre più il rischio di una addiction generation, una generazione dipendente dalle emozioni ottenute grazie ad una scarica di dopamina extra. Di fatto – continuava il prof. Sorrentino – una porta d’ingresso verso comportamenti caratterizzati da aggressività, impulsività, rabbia e con una chiara matrice sociopatica”.

Le dimensioni del fenomeno sono allarmanti se è vero che, secondo un’indagine promossa da EURISPES, il gioco pubblico rappresenta la terza industria italiana, dopo l’ENI e la FIAT.  Dai dati disponibili tramite i Monopoli si rileva come nel 2006 gli introiti del gioco ammontassero a circa 15,4 miliardi di euro mentre solo tre anni più tardi fossero già arrivati a 54,4 miliardi per raggiungere i 61 miliardi l’anno scorso e puntare, secondo le stime più attendibili, alla soglia degli 80 miliardi di euro per l’anno 2011.

E’ stato stimato che circa l’80% della popolazione adulta abbia giocato almeno una volta e, secondo una ricerca effettuata a cura di NOMISMA, il 68% dei 950.000 studenti intervistati ha dichiarato di avere giocato d’azzardo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa il 3% della popolazione italiana, circa un milione e mezzo di persone, sono a rischio ludopatia e circa 700.000 di essi sono già affetti dalla sindrome del gioco patologico.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il gioco d’azzardo patologico è in effetti una “dipendenza senza sostanze” che si caratterizza per la comparsa di fenomeni di tolleranza con un aumento crescente ed incontrollato del desiderio di gioco e di vere e proprie crisi di astinenza. Il soggetto affetto da ludopatia perde così il controllo di sé e la percezione della realtà che lo circonda, arrivando a contrarre debiti che eccedono le proprie capacità reddituali e cadendo facilmente nelle mani degli usurai.

La fascia di popolazione che più frequentemente viene interessata da casi di gioco patologico è quella delle persone di età compresa tra i 40 ed i 55 anni, di estrazione medio-bassa e basso o nullo livello di occupazione; molto spesso in questi casi il giocatore patologico trascina nella propria rovina anche il nucleo famigliare cui appartiene e di cui è sovente unica fonte di reddito. La patologia è tuttavia particolarmente insidiosa anche per le generazioni più giovani in quanto la crescita del fenomeno è, in questo caso, aiutata da forme di propaganda pubblicitaria che presentato il giocatore come un modello di successo ed indicano nel gioco la via per risolvere i propri problemi economici.

“Una potenziale responsabilità è da attribuire ai messaggi che provengono dal mondo dei mass media e della comunicazione – aggiungeva infatti il prof. Sorrentino nel suo intervento al Tempio Adriano a Roma – che promuovono costantemente la cultura del piacere e del gioco, arrivando ad enfatizzare lo stereotipo del vincente, colui che con una puntata coraggiosa può cambiare in un batter d’occhio la sua vita”.

Attesa la pericolosità ed insidiosità del problema, le strategie di prevenzione non possono che passare attraverso una più rigida regolamentazione della disciplina dell’offerta di gioco; è infatti sotto gli occhi di tutti la facilità con cui oggi si possa accedere ai giochi d’azzardo praticamente ad ogni angolo di strada. Vi è da considerare che sono giochi d’azzardo tutti quelli in cui la vincita sia interamente o quasi interamente determinata dal caso (aleatoria) e cioè per esempio il lotto, le lotterie, il bingo, i giochi a base sportiva e gli apparecchi da intrattenimento comunemente conosciuti come slot machinese videopoker.

La diffusione capillare degli apparecchi di gioco, unita alla vasta offerta che giunge via internet,  genera enormi margini di profitto che non potevano non destare l’interesse della criminalità organizzata che del gioco d’azzardo ha fatto il suo ingresso in forze, come testimoniato recentemente dall’attività della Commissione Parlamentare Antimafia.

A questa criminalità “evoluta” va poi aggiunta quella “spicciola” generata dal fatto che molto spesso i locali pubblici che ospitano le slot, al cui interno si trovano di norma alcune migliaia di euro, sono oggetto di raid ladreschi proprio in considerazione della facilità di mettere insieme un discreto bottino con solo qualche minuto di “lavoro”.

L’allarme sociale generato dalle situazioni così delineate avrebbe meritato un attenzione maggiore da parte dell’attuale Governo che, mentre a parole si dice preoccupato del problema ludopatia, nei fatti non cessa di introdurre nuove tipologie di giochi che in realtà altro non sono che fantasiosi strumenti di tassazione indiretta che vanno a colpire, come dimostrato, i ceti più deboli della popolazione.

Ben venga quindi la recentissima proposta di legge presentata al Consiglio Regionale del Veneto per iniziativa del Gruppo consiliare dell’Unione di Centro ed avente come primo firmatario il cons. Stefano Valdegamberi; si propone infatti di vietare l’installazione dei sistemi di gioco d’azzardo elettronico in luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni attraverso la modifica dell’art. 110 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, in analogia ad altro provvedimento già approvato dal Consiglio Regionale del Piemonte.

Sarà pur vero, a dar retta a Vespasiano, che “pecunia non olet” ma ogni tanto, se non soccorre il buon senso, almeno valga la vergogna!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

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Tremonti, Milanese e Guarguaglini facciano chiarezza, ma non paghino gli azionisti di Finmeccanica.

postato il 28 Luglio 2011

In mattina le azioni di Finmeccanica sono state sospese per eccesso di ribasso per poi essere riammesse alle contrattazioni a Piazza Affari. Perché questo tonfo? Per due motivi: da un lato i dubbi sorti con la presentazione della trimestrale (inferiore alle attese degli analisti anche per le previsioni su tutto il 2011) e dall’altro perché nella vicenda “Milanese”, che parrebbe coinvolgere anche il ministro Tremonti (il quale non risulta al momento indagato, precisiamolo), si è aperto un filone che porta direttamente a Guarguaglini e ai vertici di Finmeccanica che, pare, abbiano gonfiato certe fatture, per creare dei fondi occulti per pagare tangenti a uomini politici, stando a quanto affermato da Cola, anzi, sui quotidiani si legge (cito testualmente): “Cola, indicato come il vero «braccio destro» di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il «sistema» che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare «fondi neri» e così pagare tangenti a politici e manager.”

Di fatto anche Guarguaglini (presidente di Finmeccanica) risulta indagato dai primi di gennaio e, cito testualmente: “il pm ha inviato a Guarguaglini un avviso di proroga delle indagini sulle presunte irregolarità nell’affidamento degli appalti Enav. Nell’avviso, sono citati anche altri indagati: si tratta Lorenzo Cola, ex consulente esterno di Finmeccanica, il commercialista Marco Iannilli, il conte Roberto Colonnello Bertini Frassoni, rappresentante della Despro srl, società che ha lavorato con il colosso di piazza Monte Grappa. Nei loro confronti i reati ipotizzati, a seconda delle posizioni, vanno dalla corruzione all’emissione di false fatturazioni per operazioni inesistenti”.

Questa vicenda impone che sia fatta chiarezza al più presto, perché coinvolge una delle poche aziende dal respiro internazionale che abbiamo in Italia, nonché un polo di eccellenza tecnologica a livello mondiale. Se è vero che i dati trimestrali sono quello che sono, è anche vero che bisogna al più presto fare chiarezza sulla vicenda giudiziaria, per rispetto a tutti gli italiani e in particolare ai risparmiatori che hanno investito su Finmeccanica e che potrebbero pagare dazio per queste vicende giudiziarie.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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