Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Coraggio Italia!

postato il 3 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ignazio Lovero

Sono anni, oramai, che il nostro paese è alla deriva, anni che si antepongono i propri interessi a quelli della collettività, facendola regredire, anni in cui si vive nell’ombra di promesse mai mantenute, anni in cui non si è più protagonisti.
Il tempo non cambia le cose, queste si possono cambiare solo con l’azione di ognuno di noi, di tutti  noi, col coraggio delle nostre idee, con la voglia di contribuire alla crescita della propria comunità, essendo convinti, di essere sempre e non solo all’occorrenza, una risorsa per l’intera società in modo tale da trasmettere alle nostre e alle prossime generazioni motivi per sperare.

Io credo che solo così diventeremo e ci ricorderanno come la generazione del coraggio, del riscatto, come la gioventù attiva che con fatica e passione, animata dal vero senso della politica, si è riappropriata del proprio futuro e ha dipinto un paese, una città, una nazione migliore.

Coraggio Italia!

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Cartoline dalla Luna

postato il 2 Novembre 2011

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Esagera Pier Ferdinando Casini quando dice che “molti sembrano sulla Luna”? Facendosi un giretto in rete ci si può facilmente accorgere che in molti, a destra e a sinistra, non sembrano solamente sulla Luna, ma addirittura su Marte. In una giornata nera come quella di ieri il panorama dei siti politici era sconfortante. Nel siti di riferimento del Pdl dominava una celebrazione tipo PCUS del milione di tessere. Il sito ufficiale del Popolo delle Libertà annunciava che il Pdl è vivo e vegeto; il sito personale del segretario politico Angelino Alfano si è subito aggregato alla celebrazione, ma suFacebook il segretario ha fatto di più: si è impegnato a ringraziare ad uno a uno il milione di iscritti al Pdl. Evidentemente ha molto tempo libero. Per restare nell’ambito dei siti collegati al Pdl, la pagina dedicata al “governo del fare” propone alla meditazione di elettori e simpatizzanti una pagina dell’ultimo libro del ministro Sacconi, ma ancora più surreale sembra il blog del ministro della gioventù Giorgia Meloni, dove invece di prendere posizionesul boom della disoccupazione giovanile il ministro si cimenta in una dotta dissertazione sulla “via italiana all’integrazione”. Purtroppo a sinistra le cose non sembrano andare meglio e malgrado lodevoli tentativi di mettere al centro la crisi, l’attenzione dell’establishment democratico sembra decisamente orientate alle rovinose dinamiche interne del Pd: Debora Serracchiani dal suo blog e da Facebook chiede la riunione della direzione del Pd ufficialmente per discutere della crisi, ma sembra più una mossa per mettere in difficoltà Bersani che invece è piuttosto impegnato ad organizzarel’ennesima manifestazione di piazza. Ancora sulla dialettica interna ai democratici il blog di Pippo Civati,  dove si può leggere una accorata  lettera al Pd. Peccato per la data, 2 novembre, che fa molto necrologio. E se Matteo Renzi ci fa sapere da Facebook che è stato a registrare una puntata di “Matrix“, il migliore rimane come sempre Walter Veltroni che in questi giorniha trovato il tempo di organizzare un viaggio-pellegrinaggio ad Auschwitz per parlamentari. Iniziativa lodevole ma anche questa un poco lunare, come la lamentela sull’assenza dei leader.

 

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Giovani, se la rivoluzione non basta

postato il 1 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

I giovani come vogliono prospettare il loro futuro con il rinnovamento o con la rivoluzione? La differenza sta tutta qui. Tale quesito, a parer mio, nasce spontaneo al vedere, sentire e leggere quello che i giovani, o meglio alcuni di loro, fanno e non fanno in questo preciso frangente storico che si chiama crisi di tipo economico, sociale, per alcuni spirituale, per altri etico, di certo antropologico. Abbiamo visto nelle settimane scorse a Roma una manifestazione pacifica, condivisibile o meno, organizzata da giovani che chiedono il rinnovamento, cioè il rinforzare, il ridire, il ripensare la nostra realtà, la nostra società con quello che di buono ancora c’è insieme a qualcosa di veramente nuovo che può uscire da un impegno reale sulle cose che già però esistono, trasformarsi in un vero è proprio campo di battaglia che ha devastato diversi quartieri di Roma causando danni per milioni di euro. Oggi tanti, troppi giovani sono nella terra di nessuno, con la possibilità di essere fagocitati e incanalati in circuiti che vogliono sì il cambiamento, ma passando per la distruzione di quello che esiste, buono o meno buono. Certamente questa non è la soluzione: sfasciare le banche, le macchine, i ristoranti, aggredire la polizia e i carabinieri, tirare le bombe carta non sono i migliori rimedi per uscire dalla situazione di fermo dell’Italia e dell’Europa. Quello che come giovani siamo interpellati a fare è qualcosa di più faticoso e impegnativo dello ricercare lo scontro e il distruggere: noi infatti siamo chiamati a costruire, a innestare nel nostro tempo, nel nostro spazio, nelle nostre “cose” semi di rilancio, di riforma, di riscossa con il pensiero, con il saper scorgere l’avvenire che sta dinanzi a noi, formulando nuove vie su sentieri che già esistono e che per molti anni hanno permesso al nostro popolo di essere fra i “grandi” della terra. L’Italia c’è la può fare, c’è la deve fare con noi e per noi. Non si tratta di fare qualcosa per l’immediato e il medio termine, ma si tratta soprattutto in termini politici di un’opera di rinnovamento che colpisca e cambi quasi “ontologicamente” il circuito al quale da mesi, se non da anni, siamo abituati per potere affacciarci con sicurezza al futuro. Ciò è possibile prendendo le cose “vecchie” per trasformale, non distruggerle, in “nuove”. Il cambiamento passa per il rinnovamento e non per la rivoluzione: abbiamo abbastanza coraggio, forza, tempo, dedizione, progetto per fare tutto questo?

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Lavoro, il difficile connubio tra flessibilità e garanzie

postato il 31 Ottobre 2011

lavoro di ilcapofficina(semanticamente uno stronzo) “Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Pier Ferdinando Casini ha affermato che si può avere flessibilità sul lavoro, purchè prima si prevedano degli adeguati paracaduti sociali, mentre il governo afferma che maggiore libertà di licenziare equivale a fare investire le aziende in Italia.

Personalmente dubito di quanto affermato dal ministro Sacconi perché il mercato del lavoro è già ampiamente flessibile, inoltre tutti parlano dell’occupazione giovanile, ma a quegli italiani che si trovano nella fascia d’età tra i 35 e i 60 anni, chi ci pensa? Dare libertà di licenziare alle aziende, anche se in “stato di crisi”, comprime in modo insopportabile le garanzie per i lavoratori proprio di quella fascia d’età. Per altro, ritengo che questa libertà sono un “di più”, perché le aziende in crisi possono già ridurre la forza lavoro tramite la cassa integrazione.

E allora il mercato del lavoro non deve essere toccato? Ecco, io penso che si possa intervenire, con una riforma a costo zero per lo Stato italiano e dando le maggiori garanzie richieste dal leader dell’Udc Casini.

La mia proposta segue la legislazione spagnola, cioè quella di un paese molto simile all’Italia: alta disoccupazione (la media ufficiale della Spagna è di circa il 23% di disoccupati), alto ricorso ai contratti a tempo determinato (circa il 30% degli occupati spagnoli, lavorano con il nostro equivalente dei contratti a progetto), e che ha introdotto inutilmente le stesse liberalizzazioni in tema di licenziamento, che vuole introdurre questo governo.

La proposta verte su una lotta all’utilizzo del contratto a progetto come forma di assunzione “mascherata” per evitare il contratto a tempo indeterminato, ciò si può ottenere con la trasformazione in indeterminato di un rapporto temporaneo quando si raggiunge una durata determinata, che è il presupposto per stabilire se l’azienda ha bisogno “strutturalmente” di un lavoratore.

Il vero punto diventa stabilire un limite temporale massimo, assoluto e insuperabile, attraverso la successione di contratti a tempo determinato, per eseguire un medesimo lavoro dalla stessa persona o mediante rotazione di lavoratori, di modo che se si  è superato, si dovrà ritenere che siamo davanti ad un posto di lavoro strutturale. A mio avviso, tale limite di tempo può fissarsi in 24 mesi cumulativi di lavoro nell’arco di complessivi 36 mesi: in tal modo, non basterà, per azzerare i conteggi dei mesi, che l’azienda tenga scoperto il posto di lavoro per uno o due mesi (come è accaduto fino ad ora).

Si tratta , in definitiva, di evitare quella pratica che vede parte dei posti di lavoro di un’impresa permanentemente occupati da lavoratori precari , disponendo l’azienda di un organico fisso inferiore a quello necessario per affrontare la sua normale attività produttiva.

Questa norma sicuramente servirebbe a garantire e proteggere l’abuso da parte delle aziende dei contratti a tempo, inoltre è ovvio che il conto dei 24 mesi avviene anche se tra un contratto e l’altro vi è una interruzione breve (che potremmo quantificare in 3-6 mesi). In altre parole, al conteggio non si sfuggirebbe neanche se l’azienda tra  i vari contratti mettesse delle interruzioni brevi.

 

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Ponte sullo stretto, un po’ di chiarezza

postato il 29 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Secondo molti giornali  il Parlamento avrebbe deciso approvando una mozione dell’Italia dei Valori, di rinunciare alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera faraonica di dubbia utilità.

Ma è veramente così?

Secondo la società Stretto di Messina, ovvero la società che doveva gestire i lavori, le cose non tornano. La Società infatti ha rilasciato una nota in cui afferma che la mozione dell’Idv approvata dalla Camera sul trasporto pubblico locale non pregiudica lo stanziamento dei fondi per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina,  il testo della mozione approvata invece si limita ad impegnare il Governo “nell’assumere iniziative volte a reperire le risorse economiche necessarie anche eventualmente ricorrendo (…) alla soppressione dei finanziamenti che il Governo ha previsto per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina”.

In realtà la Camera ha approvato, con il parere favorevole del Governo e l’astensione della maggioranza, una mozione dell’Idv che, nel raccomandare il risarcimento dei 1.665 milioni di tagli al trasporto pubblico locale, ipotizza di reperire le risorse necessarie «anche eventualmente ricorrendo alla soppressione dei finanziamenti» previsti per la realizzazione del Ponte.

Si tratta di 1.770 milioni su un costo totale aggiornato dell’opera di 8,5 miliardi: 1,3 miliardi sono il contributo diretto alla società assegnato alla ripresa dell’opera nel 2008, 470 milioni sono destinati all’Anas, nel 2012, per sottoscrivere un aumento di capitale in favore di Stretto di Messina Spa.

Da quanto detto, quindi, si desume che l’opera, contrariamente a quanto è stato scritto, non è stata cancellata, in quanto la stessa mozione dell’Idv è solo un’ipotesi per reperire fondi per il servizio pubblico.

Certo la decisione del governo di astenersi è indicativa di malesseri nella maggioranza, e ha ragione l’on Libè quando sottolinea che “anche nella vicenda del Ponte sullo Stretto questo Governo ha dimostrato di non avere idee e di essere in definitiva poco affidabile e inadatto a guidare il Paese. Per anni, infatti, si e’ sostenuta l’importanza di realizzare un’opera pubblica cosi’ importante, che avrebbe avuto effetti positivi per lo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno e di tutta l’Italia”. E aggiunge: “A questo punto, vorremmo sapere che fine fanno i fondi e se verranno impiegati per altre opere pubbliche”.

Ritengo che sarebbe utile che questi fondi, qualora venissero destinati ad altri usi, servissero a finanziare lo sviluppo della banda larga in Italia, un investimento che darebbe grossi ritorni economici. Si faccia chiarezza.

 

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Riformare. Si deve, si può.

postato il 27 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Il Libertarioil.illibertario.libertario63@gmail.com

Occorre poco per cambiare le cose. Riformare, tagliando i conti pubblici, non è sempre la soluzione migliore. Le riforme sono possibili mettendo mano su quello che già c’è. Basta volerlo. Occorre prendere atto che una vera e necessaria riforma economica e istituzionale in questo Paese non puo’ prescindere dall’eliminazione dei diritti acquisiti e dalla consapevolezza della necessità di un richiamo alla responsabilità comune.

L’Ue, come tempo addietro fece la Bce, ci richiama all’ordine. Molte le obiezioni che si fanno su questo. Ma è chiaro che l’ingresso nella moneta unica europea è stata una scelta condivisa. Una scelta che ha chiamato tutti (destra sinistra, forze politiche moderate o extra parlamentari) a prendere una posizione di campo: o fuori o dentro l’Unione europea. Noi abbiamo fatto la nostra scelta e adesso ci chiedono conto. Ci chiedono conto in primis delle mancate promesse di questo governo. Delle politiche di crescita ”sostenute” e mai portate avanti con coraggio e con forza. Ci chiedono conto delle mancate liberalizzazioni (comprese quelle degli Ordini professionali), di adeguare le pensioni d’anzianità e accompagnamento, ci chiedono di rivedere le finestre d’uscita, di riformare il mercato del lavoro e licenziamenti più facili nel settore pubblico. Ma non solo, ci chiedono continuamente di intervenire sull’evasione e la corruzione imperante. La grande sfida che quest’Italia deve e può risolvere.

Basta poco per traghettare questo Paese fuori dalla palude della recessione. Basta prendere atto dell’urgenza e fare appello (al di fuori delle scelte politiche e degli schieramenti) alla drammaticità del momento. Il mio appello è questo: interveniamo presto e subito seguendo questa direttrice:

  1. Defiscalizziamo i datori di lavoro e/o incentiviamo chi assume manodopera giovane (a tempo indeterminato). Oggi spendiamo (un po’), domani avremo nuove imprese giovani e dinamiche sul mercato.
  2. Detassiamo le nuove aziende che si affacciamo sul mercato. Insomma detassiamo chi rischia con professionalità e coraggio il proprio capitale umano ed economico.
  3. Aboliamo gli Ordini professionali. E’ questa l’unica liberalizzazione possibile. Non svendere, come il passato dimostra, quello che è Pubblico. L’Unione Europea ha stimato che grazie alle mancate liberalizzazioni e alla ”stozzatura” degl’Ordini professionali perdiamo 1,6 punti di Pil all’anno. Eliminare il minino tariffario non ha senso, non spingi la crescita. Ha senso eliminare le Caste impediscono l’accesso alle professioni e non generano concorrenza. Partirei dall’eliminazione della legge dello Stato che regola gli accessi a queste categorie. Accesso libero come ci chiede l’Ue. I cialtroni verrebbero eliminati dal mercato per incompetenza. Sul mercato rimarrebbero i più bravi e preparati, e i servizi -non essendoci minimi tariffari- sarebbero sicuramente più convenienti economicamente, più efficienti, migliori di quello che sono ora.
  4. Introduciamo una Patrimoniale sulle rendite finanziarie e/o sui capitali. In questo modo chi ha forti utili pagherà di più di chi non si puo’ permettere di rischiare il proprio capitale. Trovo antidemocratico che chi ha meno (e sempre quello) deva risponderne del proprio capitale allo Stato e chi ha più debba non rispondere al Fisco perché non c’è una norma che lo impone. O se si pensa che ci sia è un palliativo.
  5. Veniamo incontro all’Ue. Rivediamo il nostro sistema di previdenza/pensionistico. Vediamo se ci sono sperperi e ”abusi”. Eliminiamo le maxi pensioni. Rivediamo le finestre d’uscita, e se occorre incentiviamo (seriamente con bonus ad esempio) chi decide di continuare a lavorare. Eviteremo così lavoro nero e abbatteremo nuovi costi sociali.

Quello che vi presento è un pacchetto di spunti per rivedere le politiche economiche. Sono le mie proposte. Proposte e spunti non autorevoli. Semplicemente le proposte di un cittadino italiano che ha a cuore questo Paese.

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Rischio idrogeologico, non bastano generici impegni

postato il 27 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

E’ notizia di queste ore che i cittadini del Veneto colpiti dall’alluvione un anno fa, si sono visti rifiutare le richieste di polizze dalle compagnie assicurative perché “non è stato fatto abbastanza per mettere in sicurezza il territorio veneto da una nuova alluvione” .
In pratica, i cittadini dei comuni colpiti volevano stipulare delle assicurazioni contro i rischi atmosferici ed eventi come le alluvioni, ma nessuna compagnia assicurativa è disposta ad accettare il rischio, ignorando così la lettera che Zaia, presidente della regione Veneto, aveva scritto questa estate indirizzandola proprio alle compagnie assicurative, per spingerle a stipulare queste assicurazioni.

Pur comprendendo le esigenze dei cittadini, che sono legittime e giuste, non si può neanche dare torto alle compagnie assicurative, perché il governo italiano da anni taglia i fondi destinati alle opere per il contenimento e la riduzione dei rischi legati ad alluvioni e frane.

Questo problema non riguarda solo il Veneto, ma tutta l’Italia come giustamente ricorda il deputato dell’Udc Mauro Libè quando afferma che nel nostro paese ben 6.000 comuni sono a rischio idrogeologico di cui 1700 a rischio frana e 1285 a rischio alluvione (i restanti comuni rischiano sia frane che alluvioni) .

Intervenire per risolvere il problema è possibile, come avevamo già detto un anno fa, e volendo dare una idea delle cifre: basterebbero spendere circa 44 miliardi di euro per eliminare quasi ogni rischio come sostiene il geologo Zampetti.

Sembra una cifra enorme, ma non lo è se consideriamo che lo Stato italiano ha speso dal 1994 al 2004 ben 20 miliardi di euro per i danni prodotti da frane e alluvioni (e se aggiungiamo le cifre spese negli ultimi 7 anni, raggiungiamo e superiamo la cifra dei 40 miliardi di euro).

Ma non è solo questo, perché per la messa in sicurezza e gli interventi più urgenti, basterebbero 4,1 miliardi di euro per evitare la maggior parte dei danni e dei costi successivi, ed è perfettamente inutile che il ministro Prestigiacomo faccia bella mostra di sé, affermando che bisogna “attuare subito il piano anti-dissesto idrogeologico. Ciò che è accaduto è l’ennesima, e temiamo non ultima, conseguenza di una condizione di dissesto del territorio”.

Dico che è inutile questa affermazione perché il ministro dovrebbe sapere che questo governo ha stanziato appena 55 milioni di euro per tutta l’Italia per prevenire i disastri idrogeologi. Con quali soldi il ministro pensa di finanziare questi interventi?

 

 

 

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Dodici condoni dodici

postato il 25 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Dodici come gli apostoli, come le porte della città celeste. Si sente la mano evocatrice e visionaria che anima le saghe tremontiane nell’ipotesi dei “dodici condoni”, ma a leggerne i titoli la realtà è banalmente burocratica.
È lo spaccato della complessità e dell’inefficienza della macchina fiscale italiana, sommersa dalle mille norme, dagli errori di contribuenti e fisco e dall’irrilevanza dei controlli: un ottimo pagliaio nel quale occultare le evasioni vere.
Macchina che andrebbe profondamente riformata, senza attendere i diktat europei. Forse i “dodici condoni dodici” non appariranno al supermarket dell’ennesima manovra, ma con o senza di essi il fisco italiano rimarrà una delle palle al piede che frenano la crescita.
Non dico nella realtà, non chiedo tanto, ma almeno nelle bozze un barlume di credibilità e serietà potevano metterlo.

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Caro Silvio ti scrivo…

postato il 25 Ottobre 2011

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Caro Silvio (non te la prenderai se evito i formalismi, vero?), ora basta. È ora di fare un passo indietro. È ora di dimettersi. Chi ti scrive, con molta sincerità e anche una punta di sfrontatezza, non è mai stato un tuo sostenitore: sono nato 18 anni fa e tutta la mia vita finora si è svolta sotto l’arco della tua storia politica; quando hai annunciato la tua discesa in campo, io avevo appena 4 mesi e 3 giorni; quando hai vinto per la prima volta le elezioni, 6 mesi e 2 giorni; quando le hai perse, per la prima volta, 1 anno e 4 mesi; quando le hai rivinte, per la seconda volta, 7 anni e 8 mesi; quando le hai riperse, per la seconda volta, 12 anni e 7 mesi; quando, infine, le hai rivinte, per la terza volta, 15 anni. Hai fatto il tuo ingresso nell’agone politico – che ancora io non parlavo e non camminavo – con dei programmi elettorali straordinari, con la promessa di mettere in atto la Rivoluzione Liberale, con il sogno dell’imprenditore venuto a modernizzare un Paese vecchio, stanco e disilluso: 18 anni dopo, se si esclude il fatto che ora parlo e cammino e che tu hai più capelli di prima, a me sembra non sia cambiato niente. Proprio niente. I programmi elettorali si sono susseguiti come tante fotocopie in ogni campagna elettorale; il richiamo alla Rivoluzione Liberale (e allo spirito del 94) è diventato un refrain obbligato e ridicolo; il Paese che tu avevi promesso di cambiare (e che dicevi di “amare”), è ancora più vecchio, più stanco e più disilluso di prima.

Caro Silvio, sei entrato in politica con a fianco intellettuali come Martino e Urbani e saggi consiglieri come Letta o Confalonieri. Guarda chi ti è rimasto accanto: ti professavi “liberista” e la politica economica del tuo governo è in mano a Tremonti, o a Sacconi o a Cicchitto (questi ultimi due non me ne vogliano, io sono pure troppo giovane, ma sbaglio o erano socialisti?); ti definivi “moderato” e in televisione vanno a rappresentarti moderatissimi del calibro di Santanché, La Russa o Stracquadanio; vogliamo parlare dei tuoi consiglieri d’oggi, poi? Finito in un cantuccio Letta (per colpe anche sue, chiaro) e sparito Confalonieri, l’eminenza grigia che ti sostiene, ti consiglia, mette a punto le strategie politiche con te è diventato Lavitola, uno sborone che si divide tra improbabili exit strategy e dichiarazioni di millantato credito.

Caro Silvio, diciamocelo: la situazione ti è sfuggita di mano (ammesso che tu e il tuo governo l’abbiate mai avuta, tra le mani). E va bene che c’è la crisi, ma non ci voleva poi mica tanto a provare a sterzare, a rimettersi in carreggiata: prima di scoprire l’amore per il nostro Paese, facevi l’imprenditore, dovresti sapere che in situazione difficili o si riemerge o si affoga, o si torna su o si va giù. Tu non hai fatto né l’uno e né l’altro: complice un’ambigua situazione e un ovvio deficit di competitività da parte delle opposizioni, sei riuscito in un capolavoro politico, quello di “galleggiare, galleggiare, galleggiare” (avrei voluto ripetere tre volte “resistere”, ma mi sono ricordato che per te sarebbe stata una citazione ostile). E dire che la BCE, diversi mesi fa, ti aveva mandato una bella letterina, con cinque punti assai interessanti di riforme economiche e sociali: non avresti dovuto fare altro che convertirli in legge, invece di barcamenarti in un teatrino delle parti osceno sulla manovra finanziaria estiva. Sei riuscito invece a scontentare tutti: dai sindacati alla Confindustria, dagli indignati ai tuoi elettori, fino ad arrivare ai tuoi partner europei. Hai dimostrato una piena inaffidabilità e hai demolito l’autorevolezza e il credito esteri di questo Paese – e, credimi, io non te lo dico con il sorriso sulle labbra, come ha fatto un tuo (ex?) amico. Io te lo dico, ribadendo quanto scritto su: con sincerità e sfrontatezza, come un ragazzo che alla prossima tornata elettorale voterà per la prima volta e che è stanco di doversi accontentare di fiumi di parole.

Caro Silvio, potresti anche ribattermi che se stiamo a questo punto la colpa non è solo o tutta tua. E sono d’accordo. Ma se questi 17 anni di Seconda Repubblica sono stati i più inutili e fallimentari possibili, la responsabilità è soprattutto tua. Tu hai permesso che le cose prendessero questa piega, tu hai radicalizzato lo scontro portandolo ai massimi livelli, tu hai fatto sì che il marketing pubblicitario si sostituisse alla politica. È con te che è nata la Seconda Repubblica ed è con te che morirà. E io, se permetti, vorrei umilmente occuparmi della ricostruzione dalle macerie, insieme a tanti Italiani di buona volontà.

Ciao Silvio, è stato un piacere.

 

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Gheddafi, fine di una dittatura

postato il 24 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Il primo settembre 1969, mentre re Idris si trovava a Bursa, in Turchia, in un complesso termale con la moglie e il suo seguito, un giovane militare di tendenze progressiste e nazionaliste sancisce con un pacifico colpo di stato la fine della monarchia libica istituendo il Comando della Rivoluzione. A poco più di ventisette anni, è il più giovane capo di stato del mondo e fa sognare una “repubblica araba, libera e democratica”.

42 anni dopo. Il Colonnello ha la testa appoggiata alla gamba di una persona. Sanguina. In un secondo frammento appare riverso sul cofano di una jeep. Lo tirano giù e lui sta in piedi, anche perché dei guerriglieri gli fanno da stampella. Si sente gridare due volte: «Tenetelo in vita». Poi gli spari e un cadavere trascinato nella polvere.

Finisce così, tra sangue e calcinacci, la vita di Muammar Gheddafi, il giovane profeta dell’Africa unita rivelatosi uno dei più crudeli assassini e dittatori d’Africa.

Immagini da macelleria messicana trasmesse su tutte le reti nazionali e i telegiornali senza alcun filtro, una scelta sicuramente opinabile, forse mediata da poco buon senso. Molte altre testate e reti internazionali come l’inglese BBC hanno scelto invece di mostrare solo le scene precedenti alla morte del dittatore, lasciando disponibili i frammenti successivi sul proprio sito internet dopo aver avvisato della gravità della scena. Chissà se per ogni bambino che ha visto le immagini di Gheddafi morente ci fosse anche vicino un adulto in grado di spiegarli la realtà dei fatti e il significato di tanta violenza! Non si tratta di censura ma unicamente di buonsenso, come espresso nella dichiarazione Capogruppo dell’Udc in Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Rao.

Non si può gioire per la morte di un essere umano, di un qualsiasi essere umano, perché non è lecito a un uomo uccidere un altro uomo. La sua scomparsa non cancella le sofferenze che ha inflitto a migliaia e migliaia di libici. Ci auguriamo che la morte di Gheddafi, che si porta nella tomba anche molti misteri come il massacro di Lockerbie- il più grave attentato aereo terroristico dopo l’11 settembre- non segni solo la morte di un dittatore, ma la morte di un intero sistema di amicizia e di potere che ha coinvolto tutto l’Occidente, troppo spesso preoccupato dai suoi affari economici ed energetici per poter guardare all’inesprimibile sete di libertà presente nel cuore umano e al desiderio di democrazia dei popoli mediorientali e nordafricani schiacciati da soprusi e regimi. Questa è la nostra vera gioia e speranza.

Molti altri Gheddafi, sconosciuti ai più e volutamente ignorati dai media occidentali, avvelenano la grande terra africana: una terra dal respiro millenario dove l’uomo è nato e dove oggi regimi e dittature allattano i loro figli al seno sterile della morte fustigando la libertà come preda ringhiosa sanguinante al sole.

E’ ora di voltare pagina, di costruire una nuova politica mediterranea e africana perché questi popoli possano volgere i loro visi d’ebano alla brillantezza del sole e all’ alba di una notte che sembra infinita.

 

 

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