Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Giovani, è ora di cambiare passo.

postato il 29 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Anna Giunchi

Qualche giorno fa è arrivato un messaggio molto chiaro, a firma del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: “Il capitale umano e l’investimento in conoscenza rappresentano una variabile chiave nella nostra azione di politica economica”.

“I giovani”, e a pronunciare queste parole è lo stesso Visco: “sono stati i più danneggiati dall’introduzione dell’Euro”. “Non c’è una ricetta per uscire dalla crisi”, conferma lo stesso Visco, “se non quella di ascoltare i giovani, di dare loro concrete speranze”.

I giovani che attualmente si affacciano sul mercato sono infatti esclusi dai benefici della crescita del reddito degli ultimi decenni: non vengono infatti valorizzate le risorse umane, ovvero quegli aspetti di valore racchiusi nella professionalità e nelle competenze del personale operante.

In Italia i differenziali salariali a parità di livello di istruzione non solo sono inferiori a quelli degli altri Paesi, ma coinvolgono in misura maggiore i giovani lavoratori che non gli anziani.

I nostri ragazzi hanno retribuzioni ferme da almeno dieci anni: non vengono valorizzati, insomma, come capitale umano.

La situazione dell’istruzione in Italia è tristemente nota: negli ultimi anni si è investito il 2,4% del Pil in scuola e università, contro il 4,9% degli altri paesi. Nel 2010 in Italia, inoltre, gli insegnanti con meno di 40 anni erano solo il 9%, a differenza del 25% in Germania, del 34% in Francia e dell’oltre 40% del Regno Unito.

Già il Consiglio Europeo di Lisbona, nel 2000, ribadì che la più importante economia dell’Unione Europea sarebbe stata possibile soltanto se l’istruzione e la formazione avessero avuto ruolo preponderante come fattori di crescita economica, nonché di ricerca, innovazione, competitività, sviluppo sostenibile e cittadinanza attiva.

Il contributo dell’istruzione e della formazione alla crescita è stato ampiamente riconosciuto dal Consiglio di Lisbona: le stime suggeriscono che investimenti nell’istruzione e nella formazione producono tassi di ritorno agli individui (ritorno privato) e alla società (ritorno sociale) comparabili all’investimento nel capitale fisico.

La crescente quota di servizi economici, i continui cambiamenti tecnologici, l’aumento di conoscenze/informazioni insite nel valore della produzione, nonché la ristrutturazione socio-economica renderebbero oggettivamente ancor più proficuo un simile investimento.

Un invito, dunque, ad un cambio di passo, verso un’ Europa che non aspetta.

 

 

9 Commenti

Il cuore di piazza Tahrir

postato il 28 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Piazza Tahrir è un simbolo. E’ il cuore pulsante di una lotta per il pane e di una sete inestinguibile basata sull’inesprimibile desiderio di umanità, libertà e dignità presente nell’animo umano. Piazza Thair è diventata un simbolo quando  i giovani blogger e le donne del movimento 6 aprile sono riusciti a portare migliaia di persone in piazza a protestare contro il regime trentennale di Hosni Mubarak.  Piazza Tahrir è diventata un simbolo quando  musulmani e cristiani si sono uniti per una preghiera interreligiosa per la prosperità e il futuro dell’Egitto.

In prossimità delle elezioni legislative di nuovo Piazza Tahrir è occupata. L’approvazione, pur in via referendaria, della nuova costituzione, è uno dei motivi che ha deluso il cuore dei giovani di Piazza Tahrir, impauriti che la modifica di qualche emendamento della vecchia costituzione non fosse abbastanza per dimenticare trent’anni di regime e non segnasse una vera svolta, come invece poteva essere l’abolizione dell’articolo 2 richiesto da molti giovani islamici moderati e dai cristiani copti e cioè l’abolizione di una nazione di ispirazione islamica in cambio di un entità statale laica. La nuova piazza Tahrir  ha conosciuto 41 morti secondo le stime ufficiali tra cui un bambino di dieci anni colpito alla testa da un proiettile e  un giovani con il cranio schiacciato.  Bothaina Kamel, la prima donna dopo Cleopatra ad aspirare a guidare la terra delle Piramidi è stata arrestata e poi rilasciata. Ma in Egitto in queste ore è soprattutto polemica per il presunto uso di gas tossici. Il premio Nobel ed ex direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica Mohammed El Baradei ha accusato il governo, che ha risolutamente negato,  del possibile uso del lacrimogeno Cr, sostanza dal forte impatto immediato che causa spasmi muscolari e può avere nel tempo effetto cancerogeno, gas vietato nel 1993 dalla convenzione sulle armi chimiche di Parigi.

Oggi si svolgeranno le elezioni legislative in un Egitto guidato da una giunta militare che comunque resterà al potere fino alla primavera del 2013, data delle elezioni politiche presidenziali. Le elezioni legislative di oggi, se si svolgeranno, potranno essere un’opportunità per avviarsi sul cammino difficile di una pacificazione e di una democrazia che noi tutti auguriamo all’Egitto. Prima di concludere, vorrei ringraziare la giornalista di Radio Popolare Marina Petrillo e il suo impegno nel riportare minuto per minuto l’Egitto e la Primavera Araba con l’utente twitter AlakaRp che invito a seguire, quasi più efficiente della nostra Farnesima ma attenzione perché adesso il nuovo ministro Giulio Terzi ha deciso di cinguettare con noi e chissà che non possa stupirci.

 

Commenti disabilitati su Il cuore di piazza Tahrir

La colletta alimentare, grande spettacolo di carità

postato il 27 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Ci sono delle esperienze e delle presenze che a volte si fanno tangibili. L’uomo non può che aprirsi ad esse e riconoscerle. Ieri, 26 novembre 2011 è stata  la giornata nazionale della Colletta Alimentare, un gesto significativo di solidarietà  giunto alla quindicesima edizione che si è svolto in oltre 7.600 punti vendita su tutto il territorio nazionale, con circa 120.000 volontari e una raccolta stimata in 9.000 tonnellate di cibo che sarà distribuita ai 3 milioni di famiglie italiane che risultano sotto le soglie Istat della Povertà. Un pacco di pasta, una scatola di legumi o di zucchero,  per noi una spesa insignificante, per molti una realtà fondamentale. Tutto parte quindici anni fa dal coraggio di un sacerdote, Don Mauro Inzoli, presidente del Banco Alimentare.

Ho avuto l’occasione di ascoltare direttamente la testimonianza di Don Mauro in una recente conferenza svoltasi all’auditorium di Cernusco. Raccontava Don Mauro che anni fa aveva presentato in Parlamento l’iniziativa della colletta alimentare e si era diretto a Montecitorio abbastanza spaventato: in un posto dove spesso capita, purtroppo, che un gruppo proponga un’idea e necessariamente questa idea venga rappresentata sotto una luce negativa da un altro gruppo, si aspettava di certo di ricevere qualche critica o qualche “ah”. Improvvisando, si mise a parlare dell’Educazione impartita da sua nonna. “Quando qualcuno bussava alla mia casa a chiedere qualche elemosina, mia nonna dal portico mi diceva “Corri”. Solamente la parola “Corri” e nient’altro. Io mi precipitavo in cucina e preparavo una misura di farina, ma non come faceva il venditore, scuotendo gli strumenti perché ce ne andasse giusto il necessario, ma anzi schiacciando la farina con le mie manine di bimbo perché potesse andarcene sempre di più”. Inaspettatamente, da ogni ala del palazzo, indipendentemente dal colore politico, si era levato un coro di applausi.

C’è dunque qualcosa  nei cui confronti l’uomo non può che piegarsi e riconoscere una Presenza. Attenzione: non illudiamoci che carità significhi  dare una monetina all’indigente “Se anche dessi tutti i miei beni ai poveri, ma non avessi la Carità non sono nulla” (Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi) essa in realtà è un atteggiamento di vita!  Valore che in tempo di crisi economica è segno di una volontà e di un futuro come  presente nella magistrale enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI, che vi invito a rileggere. Il manifesto della colletta alimentare così recita: “La confusione e lo smarrimento, in questo tempo di crisi, sembrano diventati lo stato d’animo più diffuso tra la gente. Imbattersi, però, in volti lieti e grati, per la sorpresa di essere voluti bene, scatena un desiderio e un interesse che trascinano fuori dal cinismo e dalla disperazione. Per questo anche quest’anno proponiamo di partecipare alla Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, perché anche un solo gesto di Carità Cristiana, come condividere la propria spesa con i più poveri , introduce nella società un soggetto nuovo, capace di vera solidarietà e condivisione del destino dei nostri fratelli uomini”.

PER APPROFONDIRE

Colletta alimentare: cosa è.

Testimonianze.

INVITO ALLE LETTURA

Articolo di Giorgio Vittadini, presidente Fondazione Sussidiarietà: la ragione profonda della Carità.

Commenti disabilitati su La colletta alimentare, grande spettacolo di carità

Perché #lacquadelsudnonsivede? Per un uso responsabile di Twitter

postato il 26 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Avevo, colpevolmente, mancato la lettura dell’ultimo post che Dino Amenduni ha scritto per il suo blog sul Fatto Quotidiano. As usual, si tratta di un interessante approfondimento sul rapporto che intercorre tra l’uso dei social network e il loro corrispettivo “buon utilizzo”: è un tema che merita un’analisi completa e attenta. Per Dino, è necessario utilizzare “responsabilmente” i vari strumenti che il Web ci mette a disposizione, Twitter e Fb in primis, perché “i social media offrono possibilità inedite e questo non può essere mai ignorato dagli utenti. Eppure accade molto spesso. Specie quando si usano gli strumenti della Rete in modo istintivo, irrazionale, im-mediato”. La “responsabilità” sta proprio in questo, quindi, nel rendersi conto che Twitter, insieme agli altri social network, è ormai “lo strumento ideale per rendere visibili sentimenti collettivi” e che pertanto non può essere utilizzato in modo decontestualizzato, quasi fosse solo un sfogatoio o un pensatoio raccogli pensieri. Del resto, come abbiamo sempre sostenuto anche noi, i social media – come ogni altro mezzo di comunicazione – sono di per sé “neutri”: è l’utilizzo che il proprio bacino di utenza ne fa, a caratterizzarli come strumenti utili e innovativi o come inutili e passivi o addirittura pericolosi.

Già in occasione della tragica alluvione di Genova di qualche settimana fa, proprio su questo blog, avevo sottolineato come, in situazioni difficili e di emergenza, un uso maturo e responsabile dei social network fosse, oltre che utile, anche “positivamente impressionante” (per riprendere la definizione di @robertorao). Twitter aveva agito da acceleratore, catalizzando tutta la tensione emotiva dei vari utenti e spianando la strada alla libera e rapida circolazione di informazioni dirette (anche se, come ha sottolineato @_arianna, il rischio di “autoreferenzialità” era forte) e dando l’opportunità a ciascuno di noi di “renderci utili”. Lo stesso virtuoso meccanismo, purtroppo, non si è ripetuto con l’altrettanto terribile alluvione di qualche giorno fa in Sicilia e Calabria: il flusso di tweets è stato notevolmente inferiore e l’unico hashtag che è arrivata in TT, rimanendoci tra l’altro per pochissimo tempo, è stata #Saponara; mentre è nata un’altra hashtag (giustamente?) polemica, #lacquadelsudnonsivede. Ci troviamo, in sostanza, di fronte a due casi (quasi) paralleli: due terribili inondazioni, due terribili occasioni di morte, ma due – purtroppo – trattamenti mediatici differenti. Perché? Ha ragione Francesco Merlo, che – su Repubblica – ha sostenuto che è tutto passato inosservato perché “non c’è persona che non pensi che aiutare il Sud possa risultare pericoloso”? Davvero la tragedia di Genova ci ha coinvolti perché ha colpito una terra “virtuosa”, mentre quella che ha colpito Messina no, perché il nostro Sud è visto come un “luogo dove la disgrazia è considerata endemica”?

Io continuo ad augurarmi di no. Mi sforzo di pensare che ci siano altri motivi, altre spiegazioni. In attesa di trovarli, voglio però riflettere su un dato a mio parere fondamentale: l’alluvione messinese è passata inosservata non solo sui “newmedia”, ma anche su quelli tradizionali, sui giornali, sui tg; l’esatto opposto era invece avvenuto per Genova: migliaia di tweet, grandi paginate e lunghi servizi. Esiste dunque un rapporto di reciproca influenza tra new e old media? Ecco, secondo me questo si inscrive perfettamente nella discussione di cui sopra: l’utilizzo responsabile dei social media dovrebbe misurarsi anche sui parametri dell’indipendenza che questi dimostrano di avere nei confronti degli altri canali di comunicazione. Sono convinto, infatti, che se gli utenti twitter avessero puntato la loro attenzione su #Saponara, i quotidiani e i telegiornali se ne sarebbero dovuti accorgere, per forza (per quella celebre storiella del “popolo-della-rete”). E invece questo non è successo. L’acqua del Sud, per l’appunto, non si è vista, è finita in secondo piano. Ma gli utenti twitter italiani non l’hanno considerata meritevole di attenzione fino in fondo di loro sponte o perché sono state, prima di loro, le principali agenzie comunicative a relegarle a terza o quarta notizia?

Questo è una domanda che giro a voi. Di una cosa sono certo, però: la Rete non può essere “regolamentata” da agenti esterni; il processo di “responsabilizzazione” deve essere interno e automatico, deve nascere direttamente dagli stessi utenti. La consapevolezza di avere tra le mani uno strumento dalle potenzialità infinite deve essere accompagnata dalla comprensione che il suo utilizzo deve essere “competente”, deve essere “attento”. È indubbiamente difficile, però, come spiega bene Dino, “bisogna provarci, sapendo che i social media costruiscono e distruggono con la stessa potenza e facilità”.

Commenti disabilitati su Perché #lacquadelsudnonsivede? Per un uso responsabile di Twitter

Germania, Usa e Cina hanno il fiato corto? Qualche preoccupazione nei mercati finanziari.

postato il 23 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni le cronache finanziarie hanno presentato molte notizie negative che hanno riguardato tre economie che sembravano in piena ripresa: Stati Uniti, Germania e Cina. Ovviamente questo avrebbe ripercussioni sull’Italia e sui nostri risparmi.

Volendo riassumere, quali notizie hanno colpito i mercati?

Intanto, l’asta dei BUND a 10 anni, i titoli di stato tedeschi, è andata male tanto che hanno fatto registrare una quota di invenduto pari al 35% e rendimenti sottilissimi (1,98%), ed infatti la Bundesbank e’ stata costretta a intervenire per evitare esiti negativi clamorosi.

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sostenuto che è stato effetto solo del nervosismo dei mercati finanziari e probabilmente è vero, ma nulla vieta di ipotizzare che questo nervosismo sia legato ai problemi che potrebbe vivere a breve la Deutsche Bank, la più grande banca tedesca. Secondo un articolo di Simon Johnson apparso su Bloomberg, proprio la banca tedesca potrebbe essere il veicolo definitivo del contagio della crisi facendola. Cosa dice l’articolo, ripreso anche da Wall Street Italia? La Deutsche Bank presenta due rischi: da un lato possiede moltissimi titoli di stato altamente rischiosi, come quelli della Grecia, dall’altro lato è anche esposta in maniera rilevante al settore immobiliare statunitense. Eppure se si pensa alla Deutsche Bank, la gente pensa ad un colosso finanziario, in realtà si tratta di un gigante dai piedi di argilla: a fine settembre 2011 i suoi asset totalizzavano 2,28 trilioni di euro, ma aveva una capitalizzazione esigua (ovvero aveva poco capitale proprio rispetto a tutto il capitale detenuto e investito) inoltre in America è un fiduciario importante di mutui, tramite la Taunus, che però ha bisogno di circa 20 miliardi di dollari per soddisfare i requisiti patrimoniali richiesti dalle Authority americane. Per evitare questo esborso finanziario, hanno cercato di declassare lo status della sua filiale da banca a holding, ma nessuno sa come sia finita la vicenda. Fa anche pensare la posizione assunta da Paul Achleitner, direttore finanziario della compagnia assicurativa Allianz nonché ex dirigente di Goldman Sachs, che ha recentemente ammesso  di essere preoccupato per questa situazione.

Altra fonte di preoccupazione per i mercati è la Cina: l’indice Hsbc che misura l’andamento del settore manifatturiero cinese è sceso al di sotto del livello che demarca la recessione e questa notizia segue altre notizie di analoghi rischi per la Cina pubblicati nei giorni scorsi . Da mesi la congiuntura del Dragone deve fare i conti con una serie di fattori domestici e internazionali che rischia di rallentarne lo sviluppo: la politica monetaria restrittiva promossa dalla banca centrale negli ultimi 18 mesi; la profonda incertezza che grava sul settore immobiliare; il raffreddamento della domanda mondiale che penalizza l’export del made in China. Quest’ultimo fattore è sicuramente quello che preoccupa maggiormente Pechino perché sfugge al suo controllo, e perché lo stato di salute dell’economia cinese dipende dal quadro clinico del ciclo globale.

Ma quello che preoccupa davvero in Cina è il rischio contemporaneo di due bolle: quella immobilaire e quella finanziaria. Quella immobiliare è particolarmente grave perché il mattone offre lavoro alla manodopera non specializzata che ancora abbonda in Cina, contribuendo così a garantire l’ordine sociale. La bolla immobiliare cinese tende a gonfiarsi e a diventare cronica per la mancanza di alternative d’investimento: i “nuovi ricchi” non investono in borsa e si sono buttati sul mattone, ma oggi i cinesi benestanti si rendono conto che il loro investimento sta perdendo valore. Si prefigura una nuova ragione di attrito tra il governo e il blocco sociale che, arricchendosi alla sua ombra, l’ha finora sostenuto, tanto che ad ottobre una quarantina di proprietari hanno protestato presso la sede del gruppo immobiliare Greenland di Shanghai. Chi protestava ce l’aveva con la svalutazione delle proprie case (-28%) e con la svendita a minor prezzo di appartamenti uguali ai loro da parte della società. A questi rischi si aggiungono i moniti del FMI che recentemente ha messo in guardia la Cina su possibili “fragilità” del suo sistema finanziario, in quanto le banche cinesi, che sono abbastanza robuste da sostenere crisi isolate, non riuscirebbero a sostenere crisi composte derivate da sovraesposizione ai crediti, bolle immobiliari, valore della moneta.

Infine i problemi degli Usa, dove gli esperti dell’Università del Michigan e di Reuters hanno deciso di rivedere al ribasso l’indice sulla fiducia dei consumatori statunitensi del mese di novembre a 64,1 punti dai 64,2 della lettura preliminare. Il dato è inferiore alle attese degli analisti che si aspettavano una revisione al rialzo a 64,5 punti, mentre la spesa per consumi ha registrato una crescita dello 0,1% rispetto al mese precedente, inferiore dunque alle attese degli analisti (+0,3%). Da registrare anche la resa della super commissione bipartisan Usa, che doveva approvare i provvedimenti di rilancio dell’economia statunitense, ma che ha gettato la spugna perchè non ha trovato un accordo al suo interno.

 

7 Commenti

Da Madrid a Roma, le responsabilità dei moderati.

postato il 22 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

L’era Zapatero si chiude con una storica debacle socialista e un ex premier fischiato anche all’uscita del seggio. Sembrano lontanissimi i fasti dell’effimero boom economico e gli encomi per l’enfant prodige del socialismo spagnolo, il popolo spagnolo stremato e preoccupato dalla crisi economica ha deciso di consegnare le chiavi della Moncloa al popolare Mariano Rajoy che dopo tre tentativi falliti riesce a conquistare il governo. Ma la svolta degli spagnoli non deve stupire, non è un banale cambio della guardia o un’alternanza costruita solamente sul fallimento socialista. C’è in realtà un sottile filo rosso che lega la schiacciante maggioranza ottenuta dal Partido Popular e l’alto gradimento che in questi giorni i sondaggi registrano il governo di Mario Monti e per i partiti centristi, Udc in testa.  La gente, a Madrid come a Roma, ha percepito la gravità del momento e ha preferito dare fiducia a chi, rifuggendo ogni forma di populismo, preferisce affrontare con coraggio la dura realtà. Mario Monti non ha dietro di sé un mandato elettorale come Mariano Rajoy, ma è arrivato a Palazzo Chigi con il consenso determinante delle forze moderate, che percependo la difficile congiuntura politico-economica hanno spinto per affidare ad una compagine governativa di alto profilo supportata da una vasta maggioranza parlamentare  le sorti del Paese. La vittoria elettorale dei popolari spagnoli e la fiducia degli italiani nel governo Monti sono due dati che devono far pensare e che indicano chiaramente una certa propensione dell’opinione pubblica europea ad affidare la grave responsabilità di tirare il vecchio continente fuori dalle secche della crisi alle forze moderate. In Italia dove i moderati patiscono una dolorosa scomposizione politica, è necessario ritrovare le ragioni di una unità per tradurre lo spirito e le idealità che hanno consentito la formazione del governo Monti in una proposta politica permanente capace di misurarsi nelle urne. Non si tratta banalmente di tirare per la giacca Monti e i suoi ministri, bensì di concretizzare lo spirito di responsabilità e di coesione in un progetto politico di ampio respiro. I moderati italiani sono chiamati a dare una risposta politica, sono chiamati in altri termini a cogliere nella difficoltà della crisi, l’opportunità di avere un nuovo ruolo sulla scena politica italiana ed europea.

3 Commenti

Perché qui si rifà l’Italia

postato il 21 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Le nebbie si sono diradate, materialmente e idealmente. Le nebbie del Nord leghista, ingiustamente trascinato nel baratro concettuale di una forza che vuole dividerlo dal resto del Paese, hanno lasciato il campo a un sole caldo e splendente che ha baciato Verona, dove il Terzo Polo si trovava per dire agli italiani: il futuro passa di qui. Passa da quest’area politica che ha fatto della responsabilità (quella vera) il suo vessillo, passa da quest’area geografica che si sta accorgendo dell’errore madornale che ha fatto consegnandosi alla Lega, passa dal “governo dei professori”, l’unica chance che ha lo stivale per uscire indenne, o tutt’al più un po’ ammaccato, da questa tempesta economica.

Alla fiera di Verona erano attesi 1500 ospiti, ci siamo ritrovati in quattromila. L’entusiasmo era palpabile, simpatizzanti e onorevoli, amministratori e giovani militanti accomunati dallo stesso ottimismo – l’Italia ce la farà – e dalla stessa consapevolezza – con il Terzo Polo c’è di nuovo la buona politica – hanno sostenuto i discorsi dei leader. Discorsi brevi, concisi e concludenti, l’ideale per un’aggregazione che vuole interpretare il cambiamento. Sano gusto per le cose concrete: abolizione dei vitalizi agli ex-parlamentari, interventi a favore dell’occupazione giovanile, prelievi sui grandi patrimoni. La platea non poteva che esultare a un programma di questo genere.

Verona è stata una manifestazione snella e partecipata, risoluta e moderna, vicina al Nord tradito dagli imbonitori in camicia verde, quei trombettieri dai cattivi pensieri che fanno politica per dividere il Paese e non per arricchire economicamente (culturalmente, manco a parlarne) le regioni di cui si fanno portavoce. Le esigenze del Nord come sono state interpretate da una formazione, la Lega, che ora sta all’opposizione dell’unico governo tra tanti che si sono succeduti la cui compagine è quasi totalmente settentrionale? Chiediamolo ai sindaci del Veneto, chiediamolo agli imprenditori dei distretti del Nord-est o delle aree industriali lombardo-piemontesi, chiediamolo ai deputati Gava e Destro che si sono sfilati da una maggioranza che non era più in grado di operare per il bene del Paese. Le risposte sono univoche: la Lega ha fatto soltanto propaganda e il federalismo che ha ottenuto sortisce l’unico effetto di moltiplicare i centri di spesa, i comuni sono dissestati (e meno male che la culla della Lega erano le amministrazioni!), i servizi ridotti all’osso. E gli unici che nella marea verde riescono a distinguersi per esperienza, indipendenza di giudizio, moderazione, vengono messi alla porta: nel granitico Carroccio è solo il volere del leader che conta. Questo leader stanco si è lasciato sfuggire il suo Nord di mano, e ora questo Nord stufo delle ricette miracolose mai attuate guarda da un’altra parte, e trova una nuova attenzione per la comunità, un rinnovato amore per il bene comune, un ritrovato orgoglio patrio.

Già perché da Verona lo sguardo va a un grande gigante stanco: l’Italia. L’Italia intera, l’Italia unita, l’Italia coesa, l’Italia che si cementa in questa fase critica, criticissima, che fa tremare le istituzioni, le aziende, le famiglie. L’Italia che si salva da sola, ma solo se tutta insieme, Nord e Sud. Non ci devono essere sommersi e salvati, la difficoltà è comune ma anche la via d’uscita. In questo momento il sostegno al nuovo premier deve essere incondizionato. Dal palco come dalla grande sala il parere è unanime: lasciamolo lavorare. Sospensione della politica? Forse, ma sarebbe meglio dire che la politica è stata rimandata, se non bocciata, perché è stata incapace di far fronte alla crisi come una classe dirigente avrebbe dovuto fare. Sono arrivati i professori per raccogliere i cocci di un’economia che ha ancora dei grandi squarci di sereno, ma le riforme sono improrogabili se vogliamo riagganciare la crescita. E poi, come ricordava Curzio Maltese qualche giorno fa su Repubblica, era politica la Gelmini con la sua ferma convinzione che ci fosse un tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso? E non è politica mettere all’Istruzione un soggetto tagliato apposta per quell’incarico, Francesco Profumo che alla guida del Politecnico di Torino ha portato l’ateneo ai massimi livelli di prestigio? Forse dobbiamo chiarirci le idee.

E poi i giovani: tanti, veramente tanti a Verona. Di tutte le componenti del Terzo Polo, armati di grande carica, di tanto entusiasmo, di voglia di riprendersi il futuro. I leader che si sono succeduti sul palco hanno citato a turno i giovani. Ci hanno elogiato, ci hanno proiettato verso un nuovo protagonismo in politica. Qui si rifà l’Italia, dobbiamo essere pronti.

2 Commenti

La lotta all’evasione fiscale conviene a tutti. Partecipa anche tu!

postato il 20 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La soluzione per risanare l’Italia passa da una lotta dura e seria all’evasione fiscale, e questa lotta deve essere combattuta da tutti i cittadini ogni giorno, chiedendo scontrini, fatture e accettando di pagare il giusto, perché l’evasione è un danno che ci colpisce tutti.

Se le tasse in Italia sono alte è anche colpa dell’evasione fiscale, perché se vi è del reddito sommerso, se vi sono persone che non pagano quanto devono, allora gli onesti si troveranno a pagare di più, e questo è inaccettabile sia per una questione etica, che per una questione di responsabilità. In uno studio del Centro Studi di Economia e Finanza è stato accertato da Francesco Flaviano Russo, tramite i dati del sito evasori.info, che dove l’atteggiamento è più indulgente, l’evasione è più diffusa.

Da quanto detto, discende che, anche solo ipotizzare un condono, o una sorta di “accettazione” dell’evasione, permette a questo comportamento illecito di prosperare e di diffondersi.

Ma quanto è grande questo fenomeno?

In pratica siamo il paese dove si evade di più, dopo la Grecia, ed è pari al 18% del PIL Italiano. E’ una cifra astronomica che ci permetterebbe, se ridotta della metà, non solo di procedere all’azzeramento del debito pubblico in pochi anni, ma anche di potere investire nello sviluppo economico e nella riduzione delle tasse.

Nello specifico, la tassa più evasa è l’IVA, che in base ai calcoli della Corte dei Conti ha un tasso di evasione che arriva al 36%. L’IVA raccoglie meno fondi di quanto faccia lo stesso tipo d’imposta in ambito medio europeo perché il rendimento dell’imposta italiana risulta intaccato dal livello e dall’estensione delle basi imponibili diverse da quella ordinaria, oltreché dai regimi speciali e di esenzione.

D’altronde che l’evasione fosse estremamente diffusa si sapeva da tempo, ma forse non si sa quanto, non chiedere lo scontrino o permettere l’evasione, costi al cittadino onesto. Secondo Giampaolini, presidente della Corte dei Conti, le effettive “implicazioni del fenomeno emergono ancora più nettamente quando si va a calcolare la pressione fiscale “effettiva”, rapportando il carico impositivo solo al Pil “dichiarato” al fisco: la pressione fiscale effettiva va corretta verso l’alto, di circa 10 punti rispetto a quella “apparente”, con l’effetto, così, anche di un ampliamento della distanza dai partners europei, a causa del nostro più alto tasso di evasione”.

Ovvero, se la pressione fiscale “teorica” è del 43%, quella reale per il cittadino onesto è pari al 53%, e per questo motivo siamo pienamente d’accordo con Monti quando, nel suo programma di governo, dichiara che uno dei primi punti è la lotta all’evasione fiscale.

15 Commenti

Il Terzo Polo scaccia le nebbie del Nord

postato il 20 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

La sala da 1.500 posti già piena un’ora prima dell’inizio e cioè praticamente prima dell’arrivo dei pullman; la rimozione delle pareti modulari per raggiungere la capienza di 2.500 persone e nonostante tutto ciò vedere ancora persone assiepate in piedi fino sulle scale.

Alla fine sono state circa 4.000 persone, moltissimi i giovani, quelle accorse alla Fiera di Verona per l’assemblea del Terzo Polo “Viaggio nel Nord tradito” ed una tale affluenza ha sorpreso in primis gli organizzatori.

In una terra poco incline a certe manifestazioni, la sorpresa più grande è stato vedere la grande e convinta partecipazione e la passione dei presenti che hanno continuato a seguire e sottolineare con fragorosi applausi tutti gli interventi che si sono susseguiti sul palco.

Anche qui ci sono state delle piacevoli novità, ad aprire i discorsi sono stati i giovani delle forze politiche che costituiscono il Terzo Polo e tocca dire che non hanno minimamente sfigurato nel confronto con i più rodati leader nazionali.

Altra nota positiva è stato il livello degli interventi, in ognuno di essi si sono sentite finalmente solo parole di responsabilità e concordia, impegni propositivi e sincere valutazioni non prive di qualche mea culpa.

Un modo diverso, più sincero e concreto di fare politica, un modo in definitiva migliore che può finalmente riconquistare anche quanti dalla politica si sono allontanati stanchi di promesse non mantenute ed impegni traditi.

All’arrivo la città di Verona era avvolta dalla nebbia, al termine dell’assemblea in cielo splendeva il sole ma ad essere raggianti erano anche i visi della gente uscita dalla Fiera. E, di questi tempi, non è davvero poco.

1 Commento

Seconde generazioni, italiani come noi.

postato il 17 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

È riuscito persino a far scendere una lacrima al duro e ribelle Mario Balotelli. Impresa compiuta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha ricevuto al Quirinale la nazionale di calcio. Una nazionale in cui giocano ormai quattro italiani di seconda generazione, quei figli di immigrati che sono nati in Italia o vi si sono stabiliti da piccolissimi, crescendo insieme a noi, crescendo italiani a tutti gli effetti. Napolitano ha parlato a lungo della causa che da anni alcune associazioni e raggruppamenti di seconde generazioni portano avanti, per spingere l’Italia ad andare incontro a questi giovani che si sentono italiani come noi, ma agli occhi della legge lo sono di serie B. Il presidente ha ancora una volta, pubblicamente, sostenuto questa battaglia, rivolgendosi da uomo di Stato che si rende conto dei bisogni dei suoi cittadini. Davanti aveva il bomber ex-interista di origini ghanesi che oggi gioca in azzurro, assieme ad altri tre oriundi, in un clima di grande vicinanza umana. E aveva davanti anche tanti ragazzi e ragazze figli di immigrati.

In Italia se ne contano decine di migliaia, frequentano le nostre scuole, i nostri luoghi di ritrovo, hanno le nostre abitudini, conducono un’esistenza molto simile alla nostra, eppure devono aspettare i 18 anni per essere cittadini italiani e quindi essere titolari di diritti e doveri.

È una società variegata, multicolore ed eterogenea la nostra, l’integrazione è l’unica strada percorribile. Ma è davvero integrazione senza questo passo fondamentale, nelle relazioni tra persone che vivono sullo stesso territorio? Viviamo fianco a fianco, noi italiani da sempre e loro, italiani che lo sono da un po’ meno, ma pienamente inseriti nell’ambiente dove sono cresciuti. Perché negare a queste persone fino al compimento della maggiore età i diritti legittimi di cui godiamo noi tutti? Il Parlamento non dovrebbe intervenire per porre fine a questa disparità di trattamento che viene riservata loro? Sono nostri concittadini di fatto ma non di diritto, e allora come Napolitano anche noi nel nostro piccolo dobbiamo sposare la causa di questi giovani di seconda generazione: modificare le leggi e favorire la vera integrazione.

Al Parlamento chiediamo di intervenire, non fosse altro per riconoscere la straordinaria risorsa che rappresentano: mantengono giovane la demografia, arricchiscono la nostra società e talvolta diventano anche dei grandi sportivi che compiono grandi imprese. L’Anolf, la rete G2 e altre organizzazioni spingono per un riconoscimento che non è mai avvenuto, ci mettono di fronte storie di giovani che vogliono essere italiani ma non possono perché la legge glielo impedisce. Interpellano la nostra sensibilità di cittadini aperti alle differenze, di persone che superano le frontiere. La politica che guarda al futuro deve sposare questa corale battaglia.

Ricordando le parole di Balotelli: “Sono italiano, mi sento italiano, giocherò sempre con la Nazionale italiana”. E quelle pronunciate dal nostro presidente Napolitano, rivolgendosi ai nuovi cittadini: “Siete parte integrante dell’Italia di oggi e di domani”. Che il nostro futuro sia il loro futuro.

 

Commenti disabilitati su Seconde generazioni, italiani come noi.


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram