Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Nessun bavaglio al web, #noSopa

postato il 24 Gennaio 2012

di Giovanni Villino

Mettere il bavaglio alla rete per tutelare il diritto d’autore o per difendere da truffe e aggressioni gli utenti di Internet significa voler guardare, ancora una volta, al dito e non alla luna. Una soluzione miope e, come ha sottolineato Roberto Rao, capogruppo dell’Udc in Commissione Giustizia, “tipica di una mentalità da regime totalitario”. Oggi si torna a discutere del cosiddetto “Sopa italiano”, un emendamento presentato dal deputato della Lega, Gianni Fava. Si tratta di una norma che consente la rimozione immediata di contenuti online su qualsiasi piattaforma sulla base della richiesta di «qualunque soggetto interessato». Immediata la levata di scudi in rete. Timori e malumori sono stati intercettati da diverse forze politiche che hanno presentato emendamenti soppressivi. Tra i promotori di un controemendamento l’Udc che ha presentato il documento oggi nel corso di una conferenza stampa alla Camera. “Metteremo letteralmente nel cestino una norma che rappresenta di fatto una Sopa italiana – afferma Roberto Rao – Grazie ad alcune sentinelle della Rete, che si sono accorte meglio e prima di noi, del rischio che stava correndo il web, abbiamo affrontato la questione. Con questo, tuttavia, non mettiamo da parte i problemi legati al diritto d’autore, alle truffe o alle aggressioni in rete. Sono temi che vanno affrontanti in un provvedimento ad hoc e su cui tutti iparlamentari sono chiamati, senza paura e senza pregiudizi, a confrontarsi”.


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La rivoluzione del Project financing

postato il 24 Gennaio 2012
 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Per l’economia di un paese il capitolo infrastrutture è molto importante, non solo per l’incidenza diretta sul PIL, ma anche perché permettono di creare quelle condizioni affinchè possano sorgere nuove imprese e quelle esistenti vedano migliorata la produttività (pensiamo agli effetti che può avere una migliore rete stradale nel trasporto merci, o una migliore rete elettrica nei costi di energia per una azienda).

In tal senso il pacchetto liberalizzazioni di Monti contiene delle importanti novità e mi preme sottolineare in particolare quelle che vanno dall’articolo 42 all’art. 44 e che riguardano la partecipazione dei privati nella realizzazione di infrastrutture (tramite il project financing) e nel finanziamento delle medesime tramite i project bond (emessi dai comuni).

Il primo punto in Italia non ha mai sfondato davvero, come si vede da una indagine della Banca Europea in cui si afferma che tra il 1990 e il 2009 in Europa sono stati realizzati in project financing 1.340 progetti; di questi il 53% è stato realizzato nel Regno Unito, il 12% in Spagna, e solo il 3% in Italia.

Come mai questo ritardo in Italia? Intanto in Italia, spesso ci si aggiudica le gare, senza che però poi vi siano i finanziamenti dalle banche, con il risultato che le opere vengono bloccate, inoltre, in Italia il Project Financing è sempre stato visto come una soluzione di ripiego cui ricorrere solo in caso di mancanza di risorse pubbliche. In questo senso ha deciso di operare Monti che optato per facilitare l’apporto di risorse delle assicurazioni nel Pf, consentendo di farle rientrare tra “le riserve tecniche”, mentre nell’articolo 41 comma 5 bis i promotori privati sono obbligati a coinvolgere le banche dalla fase di presentazione del progetto. Infine, nell’articolo 42 C.2, il decreto permette al privato di avere introiti immediati tramite la gestione di opere connesse.

Tutto questo però non era sufficiente e quindi vi sono altre novità, ovvero i project bond: la nuova norma stabilisce che le società costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere obbligazioni per finanziare l’opera (project bond). Questa norma riguarda anche l’ambito pubblico, infatti comuni, province, città metropolitane e altri enti locali potranno attivare, per il finanziamento di singole opere pubbliche, prestiti obbligazionari di scopo garantiti da un apposito patrimonio destinato (che potrebbe essere costituito anche dai beni stessi del comune o dell’ente locale coinvolto). Inoltre il testo prevede il contratto di disponibilità per la realizzazione di opere, con l’obiettivo di favorire ulteriormente il partenariato pubblico-privato, applicabile sia alle opere ordinarie che alle opere di interesse strategico. Infine è stata introdotta una nuova disciplina in materia di concessioni che individua il partenariato pubblico-privato quale strumento da privilegiare per la realizzazione di nuove strutture carcerarie. I costi di realizzazione saranno finanziati interamente con capitale privato reperito attraverso strutture bancarie, che potrà essere integrato, in misura non inferiore al 20%, con il finanziamento da parte di investitori istituzionali, come le fondazioni.

 

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Imprenditoria giovanile, un euro per sognare

postato il 22 Gennaio 2012

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Uno dei punti più importanti del pacchetto di liberalizzazioni varate da Monti sono le società a responsabilità limitata (Srl) in una forma semplificata, formula riservata alle persone fisiche che non abbiano compiuto i 35 anni di età alla data della costituzione della società. In pratica, per chi ha meno di 35 anni, si apre la strada di potere fondare una Srl (società a responsabilità limitata) senza i limiti previsti per le società di capitali, come la soglia del capitale minimo e le spese notarili necessarie per la costituzione mediante atto pubblico (spese e vincoli che di fatto impediscono la nascita di molte attività da parte dei giovani), ma con un capitale sociale limitato simbolicamente ad un solo euro e la semplice comunicazione unica dell’atto costitutivo al registro delle imprese, esente da diritti di bollo e di segreteria (e senza le spese del notaio). Al verificarsi del raggiungimento del limite di età di 35 anni l’imprenditore viene escluso di diritto ex art. 2473-bis del codice civile e dovrebbe subentrare un altro socio; oppure si può trasformare la società in una diversa società di capitali ma in tal caso il socio assente o dissenziente alla delibera avrà il diritto di recedere. Non è prevista, invece, la possibilità di trasformare tale modello societario in una società di persone.

Alla luce della qualificazione di tale modello societario nel novero delle Srl si rendono applicabili alle nuove società semplificate le regole concernenti l’articolo 14 della legge n. 183/2011, il quale ha tratteggiato le regole di bilancio semplificato destinato a tale modello societario.

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Sicilia, un pericoloso balletto sull’orlo del precipizio

postato il 19 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giovanni Villino

Ci sono le bandiere della Trinacria che sventolano su tir e rimorchi.Ci sono blocchi nei porti e nei punti strategici dell’Isola.C’è tensione ma soprattutto c’è l’impressione che la protesta possa diventare ingovernabile. Parliamo del fenomeno “Forza d’Urto” che da quattro giorni ha messo sotto scacco l’intera Sicilia: niente carburante nei distributori, supermercati senza alcuni generi alimentari. Ma soprattutto tanta rabbia. In chi protesta e in chi subisce. “Il costo eccessivo del carburante, la mancanza di regolamentazione dei pagamenti della committenza, il cartello imposto dalle compagnie assicurative e una rete infrastrutturale inadeguata”. Sono questi i motivi originari della protesta. Motivi che rischiano adesso di confondersi al malumore diffuso. Se da una parte si punta il dito contro una classe politica definita inadempiente, dall’altra le associazioni che raggruppano il mondo imprenditoriale e produttivo temono eventuali infiltrazioni mafiose ocondizionamenti politici nella stessa protesta. Di certo oggi in Sicilia c’è rabbia, da parte di chi subisce e di chi protesta. Siamo di fronte all’esasperazione di un intero sistema che rischia di precipitare. Un pericoloso ballo sull’orlo del precipizio.

 

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“Al miglior avvenire della nostra Italia”. Da 93 anni il programma dei popolari.

postato il 19 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Il 18 gennaio del 1919 con l’appello “ai liberi e forti”, Luigi Sturzo annunciava la costituzione del Partito Popolare Italiano. Oggi è doveroso ricordare il primo giorno del glorioso Ppi non per banale nostalgia ma perché quell’evento storico segnò l’impegno dei cattolici nella vita politica italiana; un impegno costruttivo e fecondo, storia viva della nostra Italia.

Quanti in qualche modo si riconoscono nell’esperienza del popolarismo oggi devono rivendicare con fierezza il legame con questo movimento, ribadendo, a prescindere dall’attuale collocazione politica, la propria fedeltà ai principi di libertà, di giustizia e di pace che costituirono la ragione d’essere del Partito Popolare.

A novantatré anni di distanza dall’appello “ai liberi e forti” c’è un passaggio di quell’appello/programma che è più che mai attuale:

Al migliore avvenire della nostra Italia dedichiamo ogni nostra attività con fervore d’entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi.

Oggi come ieri i popolari,consapevoli della propria ispirazione e delle origini cristiane, sono impegnati per il miglior avvenire dell’Italia insieme a quanti hanno a cuore le sorti del Paese. Questo impegno che ha sempre caratterizzato popolari e democratici cristiani non è solo una ragione storica, ma è anche la speranza di una presenza rinnovata, un compito per tutti coloro che si richiamano a questa tradizione politica che può, e deve, trovare nuovo spazio e nuove ragioni.

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Riforma della giustizia: non per la crisi, ma per la persona.

postato il 18 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Fino a pochi mesi fa parlare di riforma della giustizia era impensabile. Il dibattito intorno alla giustizia era stato ridotto ad una puerile disputa intorno ai guai giudiziari dell’ex Presidente del Consiglio: era tutto un parlare di lodo Alfano, prescrizione breve ed intercettazioni. Ieri come d’incanto tutte queste cose sono sparite, ma purtroppo sono rimasti sotto i riflettori i veri mali del nostro sistema giustizia fino ad ora passati sempre in secondo piano. L’occasione è stata data dalla relazione che il ministro della Giustizia Paola Severino ha tenuto alla Camera sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2011 e sugli interventi prioritari. Il ministro Severino ha posto all’attenzione dei parlamentari quattro emergenze e cioè il sovraffollamento nelle carceri, l’efficenza degli uffici giudiziari, lo smaltimento dei procedimenti arretrati e l‘aggiornamento tecnologico della struttura amministrativa e dei servizi giudiziari. Ma un altro dato rilevante in tempi difficili e di crisi economica è il costo dell’emergenza giustizia. La sola entità degli indennizzi liquidati, ad esempio, è ormai stratosferica e sempre crescente: si è passati dai 5 milioni di euro del 2003, ai 40 del 2008 per giungere ai circa 84 del 2011. Il dato che, a detta del ministro Severino, rende più l’idea è quello fornito dalla Banca d’Italia secondo cui l’inefficienza della giustizia civile italiana può essere misurata in termini economici come pari all’1% del PIL.  In altri termini: è giusto dilapidare le casse dello Stato per trattenere per tre giorni in carcere  21.093 persone o per risarcire vittime di errore giudiziario ed ingiusta detenzione? Il ministro Severino ha giustamente detto che questo è il momento più opportuno per mettere mano ad una seria riforma della giustizia e un incoraggiamento in questo senso è stato il semaforo verde per Largo Arenula arriva anche dalla Camera dove è stata votata una mozione congiunta Pd-Pdl-Terzo Polo. Tuttavia è necessario dire una cosa fondamentale sui motivi della riforma della giustizia: non si riforma la giustizia perché semplicisticamente non funziona o peggio perché c’è la crisi economica, si riforma la giustizia perché in un Paese civile, che si vanta di essere culla del diritto, non sono giustificabili detenzione disumana e tempi biblici per i procedimenti giudiziari. La difficile congiuntura economia e la necessità di rigore possono essere solo un altro motivo per spingere verso una riforma del sistema giudiziario ormai improcrastinabile, la giustizia si riforma solamente perché deve essere giusta ed è giusta quando vengono rispettati il valore e la dignità della persona umana.

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Sei tempi cambiano, anche il sindacato si deve adeguare: il “caso” Luxottica

postato il 16 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo”

Notizia di questi giorni è stato raggiunto un ottimo accordo tra la società Luxottica e i sindacati. Vi chiederete dove sia la novità: ebbene la novità è nel “come” è stato raggiunto questo accordo.

La Luxottica aveva la necessità di aumentare la produttività di Sedico facendo girare gli impianti non più solo dalle 8 alle 17 ma dalle 5 del mattino alle 20. Il turno è stato ampliato senza un’ora di sciopero e attraverso una consultazione efficace e diretta tra azienda e lavoratori. Il risultato: accordo in poco tempo sottoscritto con tutti i sindacati, nessuno sciopero e produzione di cinque milioni di occhiali con un giorno di anticipo.

Per la prima volta i sindacati, prima di avanzare proposte, hanno consultato preventivamente i lavoratori che hanno scelto di fare girare gli impianti non più solo dalle 8 alle 17, ma dalle 5 del mattino alle 20 di sera, in quanto alcuni lavoratori hanno scelto di lavorare dalle 5 alle 12 e dalle 13 alle 20. In pratica hanno prima parlato con i lavoratori, poi hanno raccolto indicazioni su orari ed esigenze personali di questi ultimi e infine hanno esaminato con i lavoratori i risultati delle consultazioni. L’accordo è stato poi siglato in “maniera tradizionale” tra sindacati e azienda.

La novità è, quindi, nel metodo che ha portato alla consultazione preventiva dei lavoratori, con i sindacati che hanno ridato centralità ai loro assistiti e non hanno negoziato da “soli”, preferendo la consultazione preventiva.

Questo metodo, a mio avviso, potrebbe e dovrebbe essere usato in tutta Italia: da un lato i sindacati ridarebbero centralità ai lavoratori ed eviterebbero di arroccarsi su posizioni che, in alcuni casi, non sono gradite nemmeno dai lavoratori; dall’altro i lavoratori parteciperebbero attivamente alla vita produttiva maturando il radicamento con il posto di lavoro; l’azienda avvierebbe un percorso collaborativo con i sindacati che eviterebbe trattative estenuanti e scioperi.

Questo mutamento nel modo di agire dei sindacati dovrebbe essere seguito con attenzione perché eviterebbe delle contrapposizioni spesso ideologiche, che danneggiano solo i lavoratori e le aziende, e a tal proposito non possiamo non pensare alla lotta estenuante ingaggiata tra la Fiat e i sindacati Cisl, UIL e CGIL da un lato e la FIOM dall’altro, che ha portato il sindacato guidato da Landini ad essere escluso da tutte le trattative future.

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Le liberalizzazioni sono una battaglia di civiltà

postato il 14 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ho sempre ritenuto l’assenza di concorrenza come il sintomo di una Paese malato, nel mercato, così come nella vita di ogni giorno. Sono sempre stato convinto che lì dove c’è concorrenza (e quindi l’opportunità di scegliere tra almeno due offerte diverse e magari alternative), ci siano libertà e migliori condizioni di vita. Ho sempre pensato che – per dirla con Einaudi – “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”: per questo sono sempre stato un avversatore di quelle corporazioni che godono fino ad oggi di un trattamento privilegiato sul mercato, attraverso una rigida e inflessibile difesa del proprio status quo, e che si stanno opponendo, in questi giorni, al piano di liberalizzazioni messo a punto dal Governo Monti. L’introduzione, infatti, di una maggiore concorrenza all’interno di questo sistema, finirebbe con lo scardinare le varie lobbies e trusts, costringendo quelli che finora sono stati i produttori unici di un dato servizio a confrontarsi con le leggi del mercato e con i diritti del consumatore.

Non mi stupisco quindi delle proteste dure e selvagge che alcune di queste corporazioni stanno mettendo in atto contro il pacchetto di liberalizzazioni. Non me ne stupisco, principalmente perché comprendo l’errore ideologico che sta alla base di questo genere di reazioni: rinunciare ai propri privilegi è sicuramente indigesto, specie poi se si pensa che le liberalizzazioni siano una sorta di punizione nei propri confronti. Dimenticandosi, quindi, che un regime concorrenziale è favorevole per tutti: per ovvi motivi per i consumatori, ma anche per i produttori, che avrebbero tutto da guadagnare da un adeguamento della loro offerta e competitività. Anche perché, così come hanno sottolineato lo stesso Monti e il sottosegretario Catricalà più volte, le liberalizzazioni non riguarderanno solo una professione: saranno a 360° e interesseranno tutte le castine che vanno eliminate. Per questo bisogna agire, in profondità, dai tassisti ai farmacisti, dai notai agli avvocati, dall’energia ai servizi pubblici locali. Come ha anche ricordato Casini, le liberalizzazioni «devono essere fatte non solo per i soliti noti, ma anche per i poteri forti. Serve più concorrenza, più vantaggi per i consumatori, le liberalizzazioni non devono riguardare solo taxi e farmacie o giornali, ma anche i servizi pubblici locali e i poteri forti».

Le liberalizzazioni – secondo la stima fornita dall’Adiconsum – porterebbero a un risparmio medio di più di 1000 euro a famiglia e a un aumento del Pil tra l’1 e il 2% e rappresenterebbero un altro importante intervento strutturale – dopo quello sulla riforma previdenziale e quello atteso sul mercato del lavoro – che contribuirebbe ad ammodernare il nostro sistema Paese. Per questo non possiamo accettare di arrenderci di fronte alla minaccia di scioperi preventivi o senza scadenza: bisogna ascoltare la maggioranza silenziosa d’Italia (che ha cominciato ad alzare la voce, però) che è stanca di subire ricatti e di dover capitolare di fronte alla difesa degli interessi particolari. Le liberalizzazioni sono una battaglia di civiltà, una battaglia di libertà. Per questo dobbiamo vincerla.

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Come raccogliere un milione di firme per nulla e continuare a far finta di niente

postato il 13 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Confesso che ho sorriso il giorno prima della sentenza della Consulta sui quesiti referendari quando ho letto sui giornali che secondo “indiscrezioni” la suprema Corte era orientata a respingerli, così come ho sorriso nel leggere lo stupore di certi membri del comitato referendario. Tuttavia non ho sorriso per niente alla reazione scomposta di Antonio Di Pietro. Ho sorriso di questa vicenda per la finta indignazione di alcuni membri del comitato referendario: che i quesiti presentati fossero inammissibili dalla Corte Costituzionale era chiaro anche ad uno studente al primo anno di giurisprudenza, ma era stato facile profeta un fine giurista come Cesare Salvi che in un articolo su il Riformista aveva ampiamente previsto il no della Corte. I membri del comitato referendario potrebbero a questo punto scrivere un manuale completissimo dal titolo: “Come raccogliere un milione di firme per nulla e continuare a far finta di niente”. Sì, il rammarico più grande è per tutti quei cittadini che in buona fede hanno sottoscritto il referendum per cancellare il Porcellum, ma che invece sono stati abilmente utilizzati da alcuni per raggiungere fini esclusivamente politici. Il comitato referendario non aveva infatti in animo la riforma della legge elettorale, ma voleva solamente ottenere una legge elettorale ben precisa con il contorno di una redditizia, ai fini elettorali, campagna referendaria. I referendari con i loro quesiti puntavano a ritornare senza troppe seccature e con il consenso popolare al cosiddetto Mattarellum, la legge elettorale precedentemente in vigore, cioè un sistema elettorale che non solo mantiene le liste bloccate (nella quota proporzionale) ma che con i collegi uninominali a turno unico gli stessi deleteri effetti del premio di maggioranza e cioè coalizioni troppo ampie e incapaci di governare. In altri termini il vero obiettivo di Di Pietro, Vendola, Parisi e Veltroni era quello di continuare ad assicurare ai partiti il potere di scegliere gli eletti, con un evidente ritorno personale, e di mantenere in piedi il falso bipolarismo. Spiace che per piccoli interessi di bottega siano stati presi in giro i cittadini e sia stato anche boicottata la seria raccolta di firme di Stefano Passigli, Giovanni Sartori e Domenico Fisichella che proponeva dei quesiti che erano realmente in grado di abolire il Porcellum e consentire l’elaborazione di una nuova legge elettorale in senso proporzionale che restituisca ai cittadini il voto di preferenza. Ora che la decisione della Consulta ha bloccato la strategia dei “referendari” la palla ritorna alla politica e al Parlamento che devono, come auspicato dalla suprema Corte e anche dal Quirinale, occuparsi della riforma della legge elettorale. La riforma della legge elettorale potrebbe essere una straordinaria occasione per la politica, una grande prova di maturità per la classe politica del nostro Paese, e la stagione aperta dal governo Monti potrebbe essere proprio il tempo propizio per ridare dignità alla politica attraverso scelte condivise e responsabili mirate a cercare il bene del Paese e non l’interesse personale e di parte.

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Taxi, sì alle liberalizzazioni ma senza penalizzare gli operatori.

postato il 13 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo Monti ha deciso di sbloccare vari settori in Italia procedendo sulla strada delle liberalizzazioni, e tra questi settori vi è quello dei taxi. Ovviamente

gli operatori del settore stanno protestando, motivando le loro rimostranze con il fatto che hanno dovuto comprare, spesso con cifre molto elevate fonte, le singole licenze. L’Antitrust ha invocato un confronto civile tra le organizzazioni e il governo, ma al momento sembra prevalere la linea dura dei conducenti.

Personalmente capisco sia le ragioni dei tassisti che hanno pagato somme cospicue per potere avere le licenze necessarie allo svolgimento delle loro attività (si parla di 200mila euro per una singola licenza), sia le ragioni di chi invoca una maggiore libertà nel settore.

La situazione sembrerebbe destinata ad una soluzione di “forza”, eppure credo che si potrebbe trovare un compromesso valido per tutti.

La mia idea parte dalla considerazione che il tassista può, a ben diritto, essere considerato una “impresa individuale”, e se partiamo da questo assunto, si può considerare la spesa per la licenza, come una spesa per “avviamento dell’attività imprenditoriale”.

Se proseguiamo su questo ragionamento, diventa logico, allora, che, come accade per le imprese, anche i tassisti possano portare in detrazione fiscale il costo dell’avviamento, quindi le licenze: in altre parole la mia proposta è che i tassisti che hanno comprato la licenza, possano portare in detrazione fiscale (per un certo periodo di anni e fino all’esaurimento dell’importo totale) la spesa sostenuta per l’acquisto della licenza.

Ovviamente vi sono tassisti che hanno iniziato parecchi anni fa e possiamo considerare che hanno ammortizzato in pieno l’investimento fatto (quindi l’importo da considerare per loro è minore); mentre i tassisti che hanno avuto recentemente questo esborso monetario si vedrebbero riconosciuta in pieno la detrazione fiscale.

In questo modo si potrebbe procedere ad una liberalizzazione del settore senza penalizzare gli operatori del settore.

 

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