Tutti i post della categoria: Politica

La nostra priorità è ridurre il cuneo fiscale

postato il 9 Febbraio 2013

Intervista a Pier Ferdinando Casini di Alvise Fontanella per ‘il Gazzettino’.

Da anni “schiacciato” dal dominio in regione della Lega, oggi l’Udc ripone nel Veneto grandi speranze. Fino a ieri -oggi scatta il divieto di pubblicarli – i sondaggi davano in Veneto il partito dello scudo crociato qualche punto sopra la media nazionale. Ma i dirigenti centristi Veneti, a cominciare da Antonio De Poli, non fanno mistero di aspettarsi risultati da ricordare, resi teoricamente possibili dallo sfaldarsi dell’egemonia dei due grandi partiti di centrodestra. Non è certo un caso che il leader nazionale dell’udc, Pier Ferdinando Casini, sia impegnato in un tour elettorale che prese le mosse stamattina a Udine (in via Pracchiuso), farà oggi in Veneto tre tappe, che sembrano scelte da una mappa dei migliori risultati elettorali storici della Lega: Treviso, Vicenza e Verona. L’ex presidente della Camera arriverà a Mareno di Piave (Treviso) alle ore 14 (Centro Sociale, in via Municipio), poi alle ore 16 si sposterà a Vicenza all’Istituto diocesano San Gaetano (Stradella Mora 22) e, infine, concluderà il tour Veneto alle ore 17 a Verona, al Teatro Stimate di piazza Cittadella.

Onorevole Casini, non teme questa grande rimonta di Berlusconi?

No, non ci credo. Non credo alla rimonta del Pdl. Sui sondaggi faremo i conti alla fine. In Sicilia l’ultima volta ci davano al 4, abbiamo preso l’11. Credo che i risultati saranno ben diversi e migliori rispetto a quello che emerge in questi giorni sui giornali.

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L’intervista a La Sicilia

postato il 9 Febbraio 2013

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Berlusconi e il vizio delle sanatorie

postato il 9 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Vincenzo Massimo Pezzuto

A parte la palese incoerenza di Berlusconi (affermò nel 2008 di non voler più sentire parlare di condoni), la questione delle sanatorie ed in generale del modo di porsi dello Stato nei confronti di chi ha trasgredito le regole merita maggiore attenzione affinché non vengano, sull’onda della demagogia e del populismo, ripetuti gli errori deleteri del passato.

Le sanatorie hanno costituito spesso operazioni fallimentari, che hanno registrato un’enorme discrasia tra il gettito atteso e l’incasso reale. Nonostante i 40 anni di condoni, sanatorie e favori di ogni sorta, il Cavaliere impudentemente è ritornato ad estrarre dal cilindro magico delle promesse la solita cialtroneria pur di raccattare qualche voto, magari proprio da chi ha disatteso i propri impegni con il fisco.

Non c’è da meravigliarsi se tra qualche giorno sentiremo parlare di condono edilizio, in barba ad una pianificazione urbanistica oculata e rispettosa dei rischi naturali che il nostro Paese è costretto quotidianamente ad affrontare. Ad i furbetti delle colate di cemento selvagge il Cavaliere, negli anni del suo governo, ha già garantito non una, ma ben due sanatorie (1994, 2003). Ritornando all’ambito fiscale, in base ai dati forniti dall’Istat e da Fisco Oggi, la rivista dell’Agenzia delle Entrate ha potuto appurare che dal 1973 ad oggi, la sfilza di condoni messi in atto ha permesso di recuperare in tutto, in moneta attuale, 123,68 mld di euro.

Un dato molto più basso di quello preventivato dagli artefici dei singoli provvedimenti fiscali. Basti pensare che nel 1976 fu incassato solo il 4% degli incassi previsti. Assolutamente da dimenticare è il dato del 1989: per ogni 100 lire preventivate lo Stato ne incassò solo 6 e mezzo dal condono sugli immobili, 3 da quello sulla tassa dei rifiuti, 2 dalla fiscalità forfettaria. Qualcuno potrebbe affermare che l’ultima sanatoria tombale del 2002 ha procurato un gettito di 20 mld, ma a sottolineare, anche in questo caso, il mancato raggiungimento degli obiettivi prestabiliti è la Corte dei Conti nel 2011, secondo cui mancano all’appello circa 6 mld di euro. In parole povere, lo Stato ha svenduto per pochi spiccioli il rispetto dei contribuenti verso il fisco, creando le solite disparità tra cittadini onesti e disonesti. Un aspetto che desta maggiore preoccupazione e che deve aprire gli occhi e le orecchie di chi ancora crede alle solite promesse elettorali è costituito dal fatto che 40 anni di sanatorie sono servite a recuperare solo 1 anno di evasione.

Ebbene sì, cari lettori (ed elettori): secondo l’Istat e l’Agenzia delle Entrate (chi più di loro…) l’evasione stimata è di 120 mld euro l’anno. La stessa cifra recuperata in… 40 anni di sanatorie. Puntare a individuare i grossi capitali che sfuggono alla tassazione e l’utilizzo obbligatorio della moneta elettronica (per combattere un’evasione che si aggira attorno agli 80 mld l’anno) sono opportunità da cogliere al volo (in verità già oggetto d’attenzione da parte del Governo Monti) e che dovrebbero ispirare le menti di chi conduce campagna elettorale in maniera scellerata in questi giorni delicati per futuro del Paese.

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L’intervista a BlogSicilia

postato il 8 Febbraio 2013

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Una riforma della Giustizia seria, a misura di cittadino

postato il 7 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

L’Italia è stata, a lungo, culla della civiltà giuridica: qui è nato il diritto privato, qui ha mosso i primi passi quello penale, qui Cesare Beccaria ha insegnato al mondo intero il valore della rieducazione del condannato, del suo recupero nella società. Oggi, l’Italia è diventata il regno dell’incertezza del diritto, proprio quando la globalizzazione dell’economia ha posto la necessità di regole certe, chiare, agili per attrarre investimenti e vincere la sfida sui mercati mondiali.

L’inefficienza del settore giustizia, infatti, costa ogni anno un punto di pil di mancata crescita. Le cifre del disastro sono sotto gli occhi di tutti: in Italia pendono 5,4 milioni di cause civili e 3,3 milioni di processi penali. Un processo civile oggi è destinato a durare in media 845 giorni in primo grado e 1032 in appello. Oltre 5 anni. A cui bisogna aggiungerne altri 4 circa per ottenere il giudizio della Cassazione, che in caso di rinvio in appello rimette in moto ulteriormente il meccanismo. Un processo penale tra inizio delle indagini e sentenza d’appello dura mediamente quattro anni. Sono numeri che ci collocano al 160° posto su 185 nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale. A questi ritardi va poi aggiunta la cosiddetta emergenza carceri, che rappresenta lo sfregio e la vergogna più grande della nostra “civiltà” giuridica: i detenuti sono oltre 66 mila, di cui 24 mila stranieri, contro una capienza dei 206 istituti di pena presenti sul territorio nazionale di 45 mila posti.  Il 40,2% della popolazione penitenziaria, peraltro, è costituito da persone in attesa di sentenza definitiva. Ed il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio rappresenta un altro sintomo inequivocabile di una situazione insostenibile, di tradimento del principio posto dall’art. 27 della nostra Costituzione. Il risultato è l’esposizione del Paese ad un numero crescente di condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Archiviati il bipolarismo rissoso e le vagheggiate riforme epocali, è giunto il momento di intervenire sul servizio giustizia in Italia con alcuni chirurgici – ma non per questo meno rilevanti – interventi sui veri gangli inceppati del sistema.

Nel nostro programma sono inseriti, per esempio: la depenalizzazione dei reati minori; la valorizzazione dell’operato della magistratura onoraria e dei Giudici di Pace; la modifica dell’istituto della prescrizione (che costa ogni anno un enorme spreco di risorse umane e materiali e un inaccettabile resa dello Stato di fronte alla domanda di giustizia dei cittadini) e del sistema di carcerazione preventiva (diventata un insopportabile abuso); una lotta senza quartiere al fenomeno della corruzione (che costa circa 60 miliardi l’anno, il triplo dell’IMU) e alla criminalità organizzata.

Una vera riforma della Giustizia, che metta da parte una volta per tutte leggi ad o contra personam, e che abbia come target di riferimento solo ed esclusivamente il cittadino e il consumatore: la nostra economia riparte anche da qui.

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Una nuova politica economica, con più libertà e concorrenza

postato il 7 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

La crescita economica è una cosa seria. Il nostro Paese non cresce praticamente da oltre vent’anni e in quei rari e rapidi momenti in cui lo ha fatto è stato solo grazie a congiunture internazionali favorevoli o a iniezioni di spesa pubblica e debito. Proprio l’enorme debito pubblico che ci ritroviamo (oltre 2 mila miliardi €, più di 33 mila € a cittadino – neonati compresi) rappresenta il principale freno della nostra economia. In questo anno sono state fatte diverse riforme strutturali che, a nostro avviso, rappresentano l’unico vero mezzo per rilanciare il sistema produttivo e lavorativo.

Serve quindi una nuova politica economica, che riduca il peso dello Stato e liberi l’iniziativa privata. Per riuscirci servono, prima di tutto, meno tasse e meno spesa pubblica, accompagnate da più dismissioni di patrimonio pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni nei mercati non ancora concorrenziali. La spending review, poi, deve diventare, per lo Stato, Regioni, Province e Comuni, uno strumento permanente: nel 2012 ci ha già fatto risparmiare 12 miliardi, quando entrerà a regime saranno ancora di più.

Per questo la nostra coalizione, che vuole proseguire sulla strada del rigore intelligente, si impegna: ad attuare in modo rigoroso, a partire dal 2013, il principio di pareggio di bilancio (il nuovo articolo 81 cost.), ribadendo che ogni punto di debito pubblico in meno oggi è un pezzo di futuro riguadagnato per le nuove generazioni; a ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati, in misura pari a 1/20 ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del PIL.

È necessario poi attuare politiche di liberalizzazione che introducano competitività e concorrenza in quei settori del mercato ancora chiusi e ingessati. Ma il vero obiettivo deve essere quello di ridurre il peso dello Stato, che con la sua manomorta continua a rappresentare un fardello troppo grande. Per questo le Pubbliche Amministrazioni devono impegnarsi: nell’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze e nel riconsiderare la continuazione di  programmi di spesa non più attuali; nella ricerca sui risultati dell’attività svolta, in particolare rilevando l’esito dei servizi in termini di ricaduta per la collettività; nella ricerca sui margini di miglioramento in presenza di investimenti.

Il Presidente Mario Monti fa spesso riferimento al concetto di “economia sociale di mercato”, dottrina economica inventata nella Germania post-guerra e ingrediente principale del successo dell’economia tedesca: in Italia, finora, ogni tentativo di importarla si è risolto molto mediocremente, visto che si è puntato molto sul “sociale” e poco sul “mercato”. A noi tocca applicarla nella sua interezza. Vale allora la pena ricordare le parole che Ludwing Erhard pronunciò il 28 aprile 1948, da responsabile dell’amministrazione nella zona della Germania occupata dagli anglo-americani: “Bisogna liberare l’economia dai vincoli statali ed evitare sia l’anarchia sia lo Stato-termite. Solo uno Stato capace di stabilire al contempo la libertà e la responsabilità dei cittadini può legittimamente parlare in nome del popolo”. Lo Stato, come ben spiega Michel Foucault nelle sue stupende lezioni del 1978-79, era caduto preda dell’esperienza storica del nazismo, ma finché non si sarebbe liberato dalla vocazione dirigistica e totalizzante, sarebbe continuato ad essere una dittatura (morbida, ma pur sempre tale). Fallito lo Stato, quindi, solo la libera economia poteva – e può – ricostituirlo: “la storia aveva detto no allo Stato, ma d’ora in poi sarà l’economia a consentirgli di affermarsi”. A noi tocca recuperare quella lezione, per costruire una nuova politica economica, fatta di libertà e concorrenza.

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Contro il populismo becero ed arrogante: Luigi Coppola

postato il 6 Febbraio 2013
Luigi Coppola, sposato, papà di Alessia e Caterina è residente a Piombino (Livorno) ma ha studiato a Berlino diritto, economia e lingue. Operatore turistico dell’Isola dell’Elba e dirigente regionale Faita è capogruppo Udc al Comune di Piombino e segretario provinciale dello scudocrociato livornese. E’ candidato alla Camera nel collegio della Toscana.Luigi, come hai deciso di candidarti ?

Sinceramente me lo ha chiesto il partito ed io mi sono sentito onorato di mettermi a disposizione, come del resto ho sempre fatto.

Il mio impegno in politica è sempre stato coerente con i miei valori e fino ad oggi ho seguito sempre senza dubbio alcuno o sbandamento lo “Scudocrociato”. Per questo ho preferito candidarmi alla Camera dei Deputati e non al Senato, pur sapendo che in termini di consenso avrei avuto maggiore difficoltà, vista la doppia presenza del simbolo di Monti alla Camera ed al Senato.

Nonostante vi siano delle novità nel processo politico che ci vede protagonisti, ho preferito, visto che è ancora possibile, continuare con la coerenza che ha sempre contraddistinto la mia esperienza politica. Non ho mai ceduto alle sirene liberali o progressiste, peraltro ho militato solo in due partiti, prima nella DC e poi al mio rientro in Italia nell’UDC.

 

 Perché proprio nell’UDC ?

E’ facile rispondere, in primis perché sono un dirigente UDC, in secondo luogo perché nonostante tutto è l’unico partito che ha mantenuto saldamente la barra al centro, tentando di non far spegnere quella flebile fiammella che ha tenuto in vita i valori del popolarismo in Italia. Nonostante tutto siamo stati gli artefici del processo politico che oggi ha messo in discussione il populismo becero ed arrogante.

 

Perché votare UDC ?

Il nostro impegno politico è stato improntato esclusivamente all’interesse generale e al bene del Paese. Se l’Italia non è fallita, ma è ancora in piedi è perché noi siamo stati protagonisti di questa operazione. Credo che dobbiamo nel poco tempo a disposizione spiegare le ragioni del nostro impegno e dobbiamo farlo con la sobrietà che ci contraddistingue, poiché vincere con le bugie e con l’inganno non è una vittoria, ma una sconfitta per tutti.


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Imu, la restituzione impossibile

postato il 4 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Diciamolo subito, la restituzione dell’IMU non è impossibile, ma quasi. Perché?

Premesso che in tutti i paesi si pagano tasse sul possesso della prima casa, a conti fatti nel 2013 lo Stato dovrebbe fare fronte a 8 miliardi : 4 miliardi di euro da restituire (IMU 2012), a cui sommare 4 miliardi di mancato introito (IMU 2013).

Dove trovare questi soldi? Berlusconi ha dato due fonti: l’accordo con la Svizzera, e aumentare altre tasse.

Sono due strade praticabili? Si, ma hanno tali e tante difficoltà che è lecito nutrire ben più di un dubbio.

Iniziamo dall’accordo con la Svizzera.

Premettiamo che se Berlusconi avesse voluto davvero che si facesse tale accordo avrebbe aspettato 4 giorni per fare cadere il governo Monti che aveva quasi stretto l’accordo con la Svizzera. Siccome si tratta di accordo internazionale, bisogna che venga ratificato dal Parlamento; se Berlusconi avesse aspettato 4-5 giorni per fare cadere il governo Monti, avremmo ottenuto l’accordo con la Svizzera. Questo è il primo fatto che mi fa dubitare delle affermazioni di Berlusconi.

Altro punto, è che, contrariamente a quel che dice Berlusconi, la Germania non ha accordo con la Svizzera: l’accordo che era stato stretto tra i due governi, è stato bocciato dal Parlametno tedesco e quindi di fatto è nullo anche alla luce dell’opposizone della UE che non vuole accordi bilaterali, ma arrivare ad un accordo quadro con la Svizzera che riguardi tutta l’Europa.

Tralasciamo queste considerazioni e andiamo sull’aspetto numerico: secondo i dati di Berlusconi si parla di un incasso di 25 miliardi una tantum, cui aggiungere un incasso annuo di circa 3 miliardi di euro ogni anno. E’ credibile? Stando a dati e stime di vari enti, nei forzieri svizzeri ci sarebbero fra i 100 e i 130 miliardi di euro dei contribuenti italiani. In caso di accordo, almeno la metà di questi denari si sposterebbe immediatamente altrove, come a Singapore o alle Cayman. In breve: applicando aliquote simili a quelle inglesi, nella migliore delle ipotesi si potrebbero incassare 10 miliardi una tantum e 1,5 a partire dal secondo anno. Quindi ecco che già i dati risultano ben diversi da quelli ipotizzati dal Cavaliere che si è lasciato una via di fuga, sempre, però a spese degli italiani: i soldi sarebbero “prontati” dalla Cassa depositi e prestiti, ma, e qui è l’inghippo, la CDP deve gran parte della sua liquidità al risparmio postale degli italiani; quindi Berlusconi restituirebbe i soldi degli italiani, usando gli stessi soldi degli italiani. Va da sé, che siamo di fronte ad un corto circuito logico, in pratica è una semplice partita di giro.

E dopo il 2013? Per coprire la cifra di 4 miliardi di euro di mancato introito dal 2014 in poi, Berlusconi indica nuove tasse: due miliardi sarebbero garantiti dai giochi pubblici. Un settore che fra gennaio e novembre del 2012 ha avuto un calo di gettito del 6,3%, più o meno 800 milioni di euro. Berlusconi vorrebbe reperire un altro miliardo dall’aumento dell’accisa sui tabacchi, 240 milioni con l’aumento delle imposte su birra e alcolici, 500 milioni dal taglio dei trasferimenti alle imprese, 260 milioni da un’addizionale di quattro euro a viaggiatore sui diritti di imbarco in aeroporto (e questo andrebbe contro il turismo, ovviamente).

Ma il mio vero dubbio è un altro: non è che Berlusconi sbaglia i conti come già accaduto in passato? Mi viene in mente l’esempio clamoroso del bonus bebè del 2006, di cui poi lo stesso Berlusconi chiese la restituzione nel 2011. La vicenda ha dell’incredibile: il bonus era stato introdotto dalla Finanziaria 2006 (legge 266/2005, articolo 1, commi 331-334) per ogni figlio nato o adottato nel 2005 o per ogni secondo o ulteriore figlio nato o adottato nel 2006. Un bonus annunciato da una lettera del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, inviata ai nuovi nati del 2005, con l’indicazione dell’ufficio postale presso cui i genitori avrebbero potuto riscuotere la somma. In pratica una lettera spedita a casa invita a recarsi in posta, auto-certificare il proprio reddito e ritirare i soldi. Ed è proprio sull’autocertificazione che nascono i problemi. L’allegato alla lettera parla infatti genericamente, come requisito, di «reddito complessivo» non superiore ai 50 mila euro. Non si specifica se lordo o netto. Indotti all’errore dalla formula poco chiara, otto mila famiglie rispondono all’invito del premier credendo di avere i requisiti. Sei anni dopo, a chi non avrebbe avuto diritto di chiedere il bonus, arriva la richiesta di restituire i 1000 euro e pagare 3000 euro di multa. Infatti arriva una comunicazione della Ragioneria dello Stato, sottoforma di lettera perentoria nel tono e nei contenuti: si parla di riscossione «illecita» del bonus bebè e di aver «sottoscritto e utilizzato un’autocertificazione mendace», e ancora, «si comunica che di quanto sopra esposto, sarà fatta apposita segnalazione alla Procura della Repubblica». Lo Stato richiede indietro i 1000 euro di bonus e 3000 euro di sanzione amministrativa. La modalità della lettera intestata ai nuovi nati ha determinato un certo caos. La gente, con reddito, intende quello che porta a casa. Per la fretta di informare le famiglie di questa elargizione, a poche settimane dal voto, il governo intervenne con una lettera a firma di Berlusconi e il governo non disse che nel reddito complessivo andava inclusa anche la rendita catastale. Risultato: molte famiglie superano i requisiti di reddito e si vedono recapitare la lettera di restituzione, e non solo devono restituire i 1000 euro, ma anche 3000 euro di interessi e multa (oltre al rischio del penale se si dimostrava la malafede).

Per fortuna un provvedimento bipartisan sanò questo problema: le famiglie restituirono solo i mille euro senza maggiorazione. Accadrà anche con l’IMU?

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I valori della buona politica: Gianna Galzignato

postato il 1 Febbraio 2013

Gianna Galzignato, 47 anni, originaria di Montebelluna (Tv) è una insegnante e attualmente svolge l’attività di vice preside presso l’istituto Comprensivo di Cornuda, in provincia di Treviso. E’ stata consigliere comunale assessore alle politiche giovanili, al bilancio, alla cultura e di vicesindaco del suo paese natio, dal 2008 è anche segretaria provinciale dell’Udc. E’ candidata per la Camera nella lista dell’Udc nel collegio Veneto 2.

Gianna, come hai deciso di candidarti?

Ho deciso di candidarmi perchè credo, malgrado la legge elettorale espropri di fatto dal diritto di esprimere la preferenza al candidato, che la rappresentanza politica nazionale debba essere anche una rappresentanza dei territori e per questo è giusto seguire la strada battuta dall’Udc, quella cioè di mettere, nei collegi alla Camera, rappresentanti del territorio in posizione eleggibile. La mia scelta sulla candidatura è in realtà il frutto di un percorso di riflessione collettiva con tutto il partito di Treviso che mi ha indicato  come figura di sintesi dell’Udc provinciale trevigiana.

Credo in una politica che debba proseguire sulla strada del risanamento della finanza pubblica come pre-requisito alla ripresa del Paese, ma le misure di rigore e riqualificazione della spesa devono essere funzionali ad un nuovo slancio riformista, che metta come priorità un programma che ristrutturi e potenzi il welfare, in primis per la famiglia e sul lavoro,  che ponga le condizioni per lo sviluppo del sistema economico e la ripresa del reddito dei lavoratori, la riduzione ragionevole del carico fiscale a partire dagli investimenti privati e  le imposte sulle famiglie a più basso reddito e numerose,  una inversione di tendenza sulla stretta agli enti locali, che sono i primi erogatori di servizi alle comunità e che oggi vivono una drammatica difficoltà che non può essere risolta con nuove tasse. Penso che l’investimento sulle infrastrutture sociali, sanità, scuola e tutela dei più deboli, non sia mai uno spreco di denaro pubblico ma, appunto, un investimento e anche un priorità etica. Così come ritengo ineludibile una riforma del sistema politico, oggi troppo distante dalla gente di cui spesso non riesce accogliere i veri bisogni e le vere necessità, a partire da un maggior collegamento fra eletto e territorio.

Perché proprio nell’Udc?

Nell’Udc ritrovo la storia della mia esperienza, i valori di una buona politica che deve essere riscoperta perché protagonista degli anni migliori di una Italia a cui è stata garantita prosperità e libertà. Nell’Udc, poi, perché mi ritrovo convintamente nella difesa dei valori della tutela della persona umana, della sua dignità anche economica e quindi nella visione dell’economia sociale di mercato, caposaldo della visione di società dei popolari italiani e europei.
Perché votare l’Udc?
Votare per l’Unione di Centro, nell’ambito dell’alleanza che ruota intorno alla figura di Mario Monti, significa dare seguito alle buone politiche che hanno salvato l’Italia dal tracollo greco puntando però, oltre al rigore, a iniziative fortemente improntante alla dimensione della difesa del sociale come cemento della comunità, alla centralità della persona umana e alla sua primazia rispetto all’economia. Basandosi su valori autentici che vanno oltre il relativismo e il materialismo di visioni laiciste, moralmente ed eticamente indifferenti e anche ad un eccessivo tecnicismo che spersonalizza la politica e l’economia e che rischia di considerare il cittadino solo come fattore di produzione o consumatore.

 

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Pier Ferdinando Casini presenta i Candidati

postato il 1 Febbraio 2013

L’intervento alla Casa dell’Architettura a Roma

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