Tutti i post della categoria: Media e tecnologia

Internet sia un diritto Costituzionale (il libero WiFi resta un miraggio)

postato il 3 Dicembre 2010

In occasione dell’ultimo voto di fiducia al Senato Berlusconi, illustrando i suoi cinque punti programmatici, ha annunciato, ancora una volta, l’inizio dei lavori per il ponte sullo Stretto e il completamento della Salerno-Reggio Calabria. Questo annuncio, per ovvie ragioni, è stato accolto dalle risate ironiche dei senatori che hanno incarnato il sentimento profondo degli italiani davanti alle promesse di questo governo. Del resto l’elenco delle promesse non mantenute, dalla rivoluzione liberale al problema rifiuti a Napoli, è così lungo che ragionevolmente nessuno si azzarda a scommettere su un inaspettato slancio riformatore e innovatore di questo governo.

Eppure un piccolo barlume di speranza era stato dato lo scorso 5 novembre dal ministro Roberto Maroni che in una affollata conferenza stampa annunciò orgoglioso il WiFi libero dal primo gennaio 2011. Il Governo prospettava una celere rimozione delle complicate procedure previste dalle norme antiterrorismo introdotte dall’ex ministro Pisanu per monitorare e identificare gli accessi al Web, norme che a dire il vero si sono rivelate poco efficaci e che costituirono un vero ostacolo alla diffusione di internet senza fili in Italia. Una riforma piccola ma di immensa portata per gli effetti, che aveva fatto esultare gran parte della blogosfera italiana, anche se qualche (illuminato) commentatore aveva classificato la cosa come una non notizia o peggio una presa in giro.

Ad oggi bisogna registrare un nulla di fatto: il Governo non ha sin qui disposto nessun provvedimento per abrogare o sostituire  le norme del decreto Pisanu, e considerate le cattive acque in cui naviga l’esecutivo possiamo a ragione prevedere che dal primo gennaio non cambierà assolutamente nulla in Italia in tema di WiFi libero.

E’ sempre triste quando uomini politici e in particolare uomini di governo fanno delle promesse che poi non mantengono, e la delusione è ancora più grande se la promessa non mantenuta riguarda una materia che vede l’Italia clamorosamente in ritardo rispetto al resto del mondo. L’indolenza del Governo diventa ancor più evidente davanti al vasto consenso che raccoglie la proposta di Wired Italia e del prof. Stefano Rodotà di far diventare internet un diritto costituzionale integrando l’articolo 21.

Malgrado questo ampio consenso nel Paese sembra però prevalere nel governo e nella maggioranza una sorta di paura della libertà della rete ( e per il Popolo della libertà è il colmo…), ampiamente riscontrabile nelle reazioni alla vicenda Wikileaks e nelle dichiarazioni internetfobiche dell’on. Jannone e di Emilio Fede. E’ una paura giustificata quella del governo? Assolutamente no, un governo non  può avere paura della verità, della libertà e della democrazia e dunque non può avere paura della rete perché non può non comprenderla, come ha giustamente sottolineato l’on. Roberto Rao (Udc), come indispensabile strumento per una democrazia partecipata. E la democrazia in Italia non è facoltativa. Per fortuna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Cosa ci insegna la vicenda WikiLeaks

postato il 2 Dicembre 2010

Le rivelazioni del sito Wikileaks a detta di alcuni sono al momento deludenti (personalmente non ne sono convinto), ma sicuramente hanno raggiunto almeno tre risultati: hanno fatto arrabbiare di brutto la signora Clinton, hanno fatto ridere Berlusconi, ma soprattutto hanno fatto piangere i giornalisti. Ed è questo ultimo punto che mi sembra assolutamente importante in questa intricata vicenda che vede protagonista il sito di Julian Assange: la rete internet e nello specifico Wikileaks ha messo in crisi, dopo l’intelligence americana, l’informazione mondiale che è stata spiazzata da un concorrente sconosciuto e assolutamente libero.

Il sito di Assange si è limitato a diffondere delle informative diplomatiche di cui è venuto in possesso, in fondo in maniera semplice, e ha consentito a livello mondiale la formazione di una coscienza critica rispetto a degli eventi e a dei personaggi che troppo spesso rimangono volutamente oscuri. La rabbia di diplomatici e politici che si vedono letteralmente “messi in mutande” è comprensibile, mentre mi sembra meno comprensibile la sufficienza del mondo dell’informazione e del giornalismo  rispetto a questa vicenda. L’Italia, e l’informazione italiana in particolare, si è chiaramente distinta in questa incomprensione del fenomeno Wikileaks e per giorni abbiamo assistito a servizi televisivi e a prime pagine di giornale a dir poco incredibili: sembravano tutte dettate dall’allarmato ministro Frattini che immagina Wikileaks alla stregua di Al Qaeda. Comprensibilmente molte redazioni sono rimaste disorientate dal fatto che nel mondo qualcuno è stato capace di trovare e dare una notizia senza apprenderla da un programma tv, da una  delle tante veline inviate dai potenti o, peggio, dallo stato Facebook del famoso di turno, e così istintivamente si sono difese da quel “cattivone” di Assange e dalla sua banda parlando di Wikileaks come sito pirata e nel libro paga di qualche organizzazione dedita alla destabilizzazione del mondo.

Non ci si poteva aspettare altra reazione da un sistema di questo tipo che, secondo Luca Sofri, è “una palude che si autoalimenta”, dove  “la mediocrità e l’anacronismo si nutrono di se stessi: si parla di Porta a porta, si va a Porta a porta, la gente guarda Porta a porta e quindi si riparla di Porta a porta”. Qualcuno forse, magari tra i soloni del giornalismo, storcerà il naso davanti a queste critiche eppure penso che un minimo dubbio sull’incapacità della nostra informazione e sulla sua compromissioni con poteri più o meno grandi verrebbe a tutti dopo la semplice osservazione di Massimo Mantellini: come mai nessun grande giornale italiano è stato scelto per ricevere e diffondere i dati di Wikileaks?

Il dubbio viene, eccome, specie se mentre i quotidiani The Guardian, The New York Times, Le Monde ed El Pais e il  settimanale Der Spiegel diffondono i cablogrammi di Wikileaks (con precisi accordi sulla sicurezza)  sui giornali italiani dobbiamo sorbirci patetiche prediche paternalistiche sulla democrazia planetaria in pericolo. Come se la verità fosse un pericolo. Forse la verità è veramente un pericolo, perché la verità, come dice il Vangelo, rende liberi e libertà e verità in coppia hanno sempre fatto paura ai signori di questo mondo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Nel Pdl scoprono che Facebook è peggio dei comunisti

postato il 29 Novembre 2010

Mentre le cancellerie di mezzo mondo tremano per le rivelazioni del sito Wikileaks, in Italia (considerato che Assange non ci ha detto niente di nuovo) il vero nemico è rappresentato da Facebook

Il social network fondato da  Mark Zuckerberg è stato infatti oggetto di ben tre interrogazioni parlamentari rivolte al Ministero della Salute, al Presidente del Consiglio e al Ministero della Difesa dell’on. Giorgio Jannone (Pdl).  Le interrogazioni dell’onorevole Jannone meritano un’attenta lettura, non tanto perché possono risultare esilaranti, ma perché sono un significativo esempio di scollamento della classe politica rispetto al Paese reale. Sì, perché mentre ci sono famiglie che non arrivano alla fine del mese, immigrati abbarbicati sulle gru e operai e studenti che protestano nelle piazze, l’onorevole Jannone è più preoccupato di “aiutare persone affette da comportamenti compulsivi nei confronti dei social network”.

Indubbiamente la preoccupazione del deputato del Pdl è apprezzabile e sicuramente originale, ma mi chiedo se in questo momento storico non ci siano cose un tantino più urgenti da discutere.

Un’altra perla fornita dalle interrogazioni parlamentari di Jannone è la richiesta al Premier di tutela dei minori rispetto ai “pericoli incombenti dall’eccessivo utilizzo di Internet e dei social network”. Preoccupazione anche questa legittima, ma per un buon padre di famiglia e non certo per il Presidente del Consiglio. E però bisogna dare il merito all’onorevole Jannone di aver contribuito significativamente a evolvere il linguaggio politico della destra berlusconiana: se prima i comunisti mangiavano i bambini, adesso ci pensa Facebook. Il deputato del Pdl non se la prenderà se per questa bonaria presa in giro, ma sinceramente è sembrato un po’ esagerato scomodare il Governo per trattare una materia che può, più semplicemente, essere oggetto di riflessione delle agenzie educative e di ogni singola persona di buonsenso.

Jannone però si può consolare perché grazie a Emilio Fede le sue interrogazioni parlamentari sono passate in secondo piano: il direttore del Tg4, dopo un incontro “amaro” (è proprio il caso di dirlo) con l’imprenditore Giuliani, nel corso del suo tg ha lanciato una durissima invettiva contro Facebook, dove in quelle ore si festeggiavano i pugni di Giuliani al povero Fede.

Contro i tripudi di Facebook Emilio Fede ha sentenziato: “una società civile dovrebbe chiudere Facebook, che è una realtà delinquenziale all’origine di episodi drammatici”.  Urge ricordare al direttore del Tg4 che i cretini che incontriamo per strada e che dicono cretinate ai quattro venti sono gli stessi che le scrivono su Facebook e giustamente vanno esecrati nel mondo reale come in quello virtuale, tuttavia la proliferazione di cretini non legittima in nessun modo commenti di questo tipo: “Rossi, incappucciati, questa è gentaglia. Un popolo civile dovrebbe intervenire e menarli, perché capiscono solo quando vengono menati”.

Mi consenta dottor Fede, ma queste  affermazioni  fatte nel corso di un telegiornale da un direttore di lungo corso come lei sono ben più gravi di qualunque cretinata scritta su Facebook. Stia tranquillo direttore, nessuno si sognerà di chiedere la chiusura del Tg4, al massimo si potrebbe ricordare che dovrebbe andare sul satellite.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Caro Fazio, la tua risposta è vergognosa

postato il 26 Novembre 2010

La risposta di Fazio è vergognosa perchè confonde le mele con le pere e lo fa deliberatamente. Che io vada o meno ospite in una trasmissione di Fabio Fazio non ha nulla a che vedere con la voce che chiediamo venga data ai disabili gravissimi che scelgono di vivere e alle loro famiglie.
Non ho condotto una battaglia per chiedere spazi televisivi che ho a sufficienza. Ho fatto sentire la mia voce non per promuovere il mio partito ma perchè il servizio pubblico televisivo parlasse di almeno uno fra le decine di migliaia di drammatici casi di malati lasciati tra mille difficoltà nel disinteresse generale e che ogni giorno innalzano, insieme alle loro famiglie, un meraviglioso inno alla vita. Non è questo il Fabio Fazio che ho conosciuto, spero abbia parlato la sua controfigura.

Pier Ferdinando

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Router e Governo: un’iniezione di burocrazia per l’accesso a internet

postato il 26 Novembre 2010

Il governo italiano, in data 22/10/2010, ha recepito la direttiva europea 2008/63/CE della Commissione, del 20 giugno 2008, relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. 162 del 21 giugno 2008, arrivando a complicarla e, probabilmente, anche stravolgerla.

Cosa dice la direttiva comunitaria? La direttiva comunitaria voleva liberalizzare il mercato dell’accesso a internet e alle telecomunicazioni muovendosi in due passaggi: da un lato abolendo i diritti speciali o esclusivi di importazione e commercializzazione delle apparecchiature, dall’altro rendendo pubblici le caratteristiche tecniche dell’interfaccia della rete pubblica.

Cosa significa ciò?

In passato, alcuni Stati europei avevano concesso ad alcune aziende in via esclusiva o tramite diritti speciali, la commercializzazione e l’importazione delle apparecchiature per connettersi alla rete pubblica. Ma questo era in contraddizione con lo spirito dell’articolo 3 lettera g, del Trattato dell’UE che prevede la libera circolazione di merci e prodotti, e il divieto di norme che ledono la libera concorrenza e che proibiscono di favorire determinate aziende a scapito di altre.

Questo era solo un primo passo, perchè con l’abolizione dei suddetti diritti, l’utente poteva decidere di servirsi dei prodotti e dei servizi che ritenesse più convenienti. Tutto ciò è reso vano perchè i prodotti sul mercato sono tanti, ma non tutti permettono, per caratteristiche tecniche, una connessione soddisfacente.

Ciò era solo un primo passo, perchè con l’abolizione dei suddetti diritti l’utente poteva decidere di servirsi dei prodotti e dei servizi che ritenesse più convenienti.

Ed ecco quindi il secondo passaggio: rendere pubblici e accessibili i dati tecnici delle reti pubbliche, in modo che conoscendoli l’utente potesse trovare la soluzione tecnica più idonea per i suoi bisogni.

Tutto ciò era possibile perchè i dati tecnici dovevano essere resi pubblici dagli operatori medesimi, mentre il compito dei singoli Stati era quello di vigilare affinchè gli operatori si comportassero in maniera adeguata a alla legge.

Riassumendo quanto detto: l’obbiettivo della norma europea era liberalizzare e facilitare l’accesso al mercato delle telecomunicazioni, permettendo la libera concorrenza e facendo si che gli utenti potessero confrontare le offerte e le caratteristiche tecniche delle aziende produttrici di apparecchiature e terminali.

Ovviamente, il termine “rete pubblica” non deve trarre in inganno nessuno, perchè è la terminazione che giunge nelle nostre case attraverso il doppino, la fibra ottica o altri mezzi trasmissivi. Quindi il termine “rete pubblica” non deve far pensare a rete utilizzata dalla pubblica amministrazione, o rete a cui accede il pubblico o ambiti lontani da quelli domestici, si tratta semplicemente della classica “borchia telefonica”.

Cosa ha fatto il governo italiano?
Nel recepire questa norma, ha inutilmente complicato la faccenda e anzi ha trovato un modo per mantenere un controllo sull’accesso alla rete pubblica, infatti la norma approvata il 22 ottobre riporta il vincolo, per gli utenti, di servirsi di imprese abilitate (che verranno inserite in un registro di futura creazione) per “installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali”.

E’ sempre necessario servirsi di queste imprese? Non è detto, infatti la norma all’art.2 lettera F riporta che “i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1.”

Il problema sorge perchè il governo si riserva 12 mesi per istituire il registro e stabilire i requisiti di competenza per le imprese abilitate.

Distinguere tra imprese registrate e non registrate potrebbe portare ad una restrizione del mercato, che era proprio quello che voleva evitare la direttiva comunitaria, e in questo caso saremmo di fronte ad un palese aggiramento delle norme comunitarie.

Cosa succede a chi decide di installarsi un router o una apparecchiatura senza rivolgersi a ditte specializzate? Il Governo ha previsto una multa che va da 15.000 a 150.000 euro.

E’ facile immaginare che i piccoli operatori del settore si troveranno di fronte ad altra burocrazia e che potrebbero vedere lievitare i costi per continuare ad operare, mentre i colossi del settore non avranno problemi non solo a mantenere la loro posizione di dominio, ma, possibilmente, espanderla ancora di più a spese dell’utente finale.

A questo punto possiamo osservare che, se è vero che tutto parte da una direttiva europea, il governo, nel recepirla, è riuscito ad aggirarla. Mantenere rigido l’accesso a internet e alle reti pubbliche di comunicazione, demoralizzando coloro che vogliono avviare una propria attività legata all’accesso e alla commercializzazione di prodotti e strumenti legati ad internet, va invece a vantaggio dei soliti big del settore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Quali domande vorreste porre a Casini?

postato il 21 Novembre 2010

Vorresti porre una domanda a Pier Ferdinando Casini? Scrivi un tweet con il tag #piunord, invia un SMS al numero 331.8421871, oppure lascia qui un commento (max 140 caratteri).

Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, sceglierà le migliori e le porrà a Pier Ferdinando Casini durante l’intervista conclusiva dell’Assemblea “-promesse +Nord per far ripartire l’Italia” che potrete seguire qui in diretta dalle 11.30.

La Redazione

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I giovani padani costretti alla “clandestinità”

postato il 20 Novembre 2010

In questo mondo globalizzato e sempre più straripante di terroni ed extracomunitari pronti ad invadere la paradisiaca ed eterea Padania, arriva la drammatica legge del contrappasso a punire quei ragazzotti nordici che adorano (adoravano?) il partito Leghista. Il forum ufficiale dei giovani padani, infatti, è stato oscurato in seguito alla mole considerevole di messaggi negativi comparsi nelle ultime settimane nei vari topic.

Critiche, asprissime, al sempre meno tollerato governo Berlusconi ed allo stesso Carroccio, hanno spinto gli admin del forum ed il coordinatore dell MGP Massimo Grimoldi a decidere per la chiusura dello spazio virtuale (senza alcun preavviso, nè spiegazione). Del resto “i panni sporchi si lavano in famiglia”: meglio evitare di apparire all’esterno come deboli e litigiosi; meglio censurare le critiche al buon Renzo “trota” Bossi ed alle escort del Premier.

E così, i giovani padani, infame ironia della sorte, sono passati essi stessi allo status di clandestini; costretti cioè ad “emigrare” su questo nuovo spazio web aperto tramite forumfree. Il tutto, ovviamente, per continuare ad essere “padroni a casa nostra”; come si sloganeggia gagliardamente sul sito dei giovani padani di Saronno (dotato di un trashissimo sottofondo midi che richiama melodie celtiche).

In ogni caso, dopo aver visto in rete il video che ritrae alcuni consiglieri leghisti mentre ruttano, dicono parolacce e bestemmiano mezzi ubriachi nella cattedrale di Monaco di Baviera, sorge automatico e pressante il dubbio che i giovani padani, pensando agli adulti che dirigono il partito, hanno molto più da censurare che da essere censurati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Germano Milite

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Ma è solo un programma tv

postato il 18 Novembre 2010

“Vieni via con me” è sicuramente un evento televisivo, una buona trasmissione che viene premiata dai telespettatori con ascolti altissimi, eppure c’è in giro la volontà, nemmeno tanto velata, di trasformare questo programma in qualcos’altro. Da una parte c’è chi vede nella trasmissione di Fazio e Saviano una sorta di “25 aprile” televisivo che sconfigge le insulse trasmissioni del biscione e segna il trionfale ritorno di una certa intellighenzia, dall’altra c’è chi considera “Vieni via con me” qualcosa ai limiti dell’eversivo, una sorta di grimaldello televisivo delle sinistre per logorare un Berlusconi in difficoltà.

E’ necessario davanti a queste prese di posizione abnormi ricordare ai tanti che si affannano ad attaccare e difendere che ci troviamo di fronte ad una trasmissione televisiva, e che dunque Fazio e Saviano non sono né due coraggiosi capi partigiani né due pericolosi terroristi di sinistra. Se “Vieni via con me” rimane un programma televisivo allora si può decidere di guardarlo o non guardarlo, lo si può apprezzare o criticare senza correre il rischio di essere arruolati in una parte politica o di compiere azioni sacrileghe. Ci si può anche arrabbiare come il ministro Maroni e dissentire pubblicamente, senza però fare il diavolo a quattro, specie se si è il ministro dell’Interno e si ha qualche problema più grosso da gestire.

Fatta questa doverosa premessa si può tranquillamente dire che la trasmissione di Fazio e Saviano è un buon prodotto che giustamente spicca nella mediocrità televisiva, ma che corre il rischio, come ha ben scritto Marco Travaglio, di diventare il “perfetto presepe progressista”. A dire il vero è una specificità dei programmi di Fabio Fazio quella di squadernare nei programmi tv le introvabili figurine panini veltroniane davanti alle quali stupirsi e compiacersi, ma non bisogna avere la presunzione di presentare questo idilliaco quadretto come il Paese reale, perché l’Italia è assolutamente più complessa, grazie a Dio.

Così ci possiamo ritrovare nel talento di Benigni o nella denuncia delle mafie fatta da Saviano e contemporaneamente storcere il naso davanti ai valori della destra e della sinistra declinati non brillantemente da Fini e Bersani o al monologo sull’eutanasia con impennata anticlericale di Saviano che ha persino scomodato Giordano Bruno. Lunedì tornerò a guardare “Vieni via con me” e continuerò a fare l’elenco, come buona abitudine della trasmissione, delle cose che mi sono piaciute e di quelle che non mi sono piaciute senza la paura di commettere nessun sacrilegio o lesa maestà e alla fine andrò a letto né euforico né con travasi di bile alla Masi, consapevole di aver guardato un programma televisivo come tanti, anzi come pochi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Le promesse mancate del Governo sono ormai un capitolo in continuo aggiornamento: web radio e alluvionati

postato il 14 Novembre 2010

Il governo Berlusconi ormai ci ha abituati a cambi di rotta che lasciano sconcertati e sinceramente non credevo fosse possibile andare oltre, eppure c’è riuscito. Lo ha fatto su due questioni su cui si era espresso a favore: rendere più libero e fruibile il web e gli aiuti al Veneto allagato.

Ma andiamo con ordine.

Tutti sanno che è possibile farsi una propria emittente radio che trasmetta su Internet a costi praticamente nulli. Quel che non tutti sanno è che l’AGCOM, l’autorità garante delle comunicazioni, si appresta a rendere molto più difficile e oneroso potere fare la propria “stazione radio”: chi vorrà aprire una radio web dovrà prima di tutto fare una dichiarazione di inizio attività, poi pagare una autorizzazione pari a 750 euro (cifra che raddoppia arrivando a 1.500 per le web tv lineari, quelle cioè con palinsesto). Tutto questo grazie ad un provvedimento approvato dall’Agcom (Autorità garante delle comunicazioni), che deve trasformare in regolamento attuativo il decreto Romani sui servizi media audiovisivi.

Ma non si fermano solo a questo, perché l’AGCOM sta anche valutando nuove misure anti pirateria, che sono di una ferocia inaudita e che di fatto bloccheranno il peer to peer. Intendiamoci, la pirateria deve essere stroncata, ma non si può neanche bloccare la rete e la libertà solo per zittire alcuni, si passa così da un estremo all’altro. Ciò che non torna è che il Governo, che pure aveva garantito di sbloccare il web per renderlo più fruibile, aveva previsto nella bozza orginaria una imposta di 3000 euro e la richiesta di una autorizzazione alla AGCOM che doveva essere data da quest’ultima entro 60 giorni dalla richiesta. In pratica si parla di provvedimenti assurdi, che nessun altro paese ha.

Sull’argomento, l’on.le Rao (UDC) ha dichiarato che “nonostante gli annunci del Ministro Maroni, ancora non c’è nessun atto concreto del governo che vada nella direzione del superamento dell’art 7 del decreto Pisanu. Nel frattempo l’Agcom sta elaborando il regolamento attuativo del decreto Romani sui servizi media audiovisivi, e nella sua prima stesura prevede l’introduzione di una serie di passaggi burocratici e oneri finanziari capaci di frenare lo sviluppo delle radio web libere, oltre ad una serie di assurdi tecnicismi e filtri inapplicabili nella rete, a meno di non ipotizzarne il suo spegnimento. Nel nostro paese si conferma una questione che è generazionale e culturale al tempo stesso: molti di coloro che sono deputati a prendere decisioni nel campo delle comunicazioni e dello sviluppo tecnologico sembrano avere timore di uno strumento potente, sempre on-line, libero e gratuito come è internet, non comprendendo che proprio questi tre fattori rappresentano un volano di sviluppo sociale ed economico di enormi dimensioni”.

L’altra promessa mancata potrebbe essere quella di aiutare il Veneto allagato.

Sembra assurdo, ma pare che sia così. E quel che è peggio, pare che la bocciatura sia avvenuta con l’imprimatur della Lega. Possibile?
Secondo il Corriere parrebbe di sì. Si apprende infatti che in Commissione bilancio, proprio con i voti determinanti dei deputati leghisti, è stata bocciata una mozione che prevedeva il congelamento del pagamento delle imposte per gli alluvionati.

Sembra incredibile, ma pare che sia così. La proposta prevedeva il congelamento fino al 30 giugno prossimo le imposte per gli alluvionati del Veneto, ma stranamente la Lega si è opposta. I maligni potrebbero pensare che questo è funzionale alle ipotetiche future elezioni, visto che la Lega da sempre è di lotta e di governo, ma sinceramente non credo che i deputati leghisti siano così cinici, e preferisco pensare che la bocciatura sia dovuta o per incomprensione o perchè preferiscono un provvedimento organico.

Certo, l’approvazione di quel provvedimento sarebbe stata una prima risposta alle richieste di aiuti dei veneti che si sentono abbandonati dallo Stato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Caterina Catanese

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Libero accesso WiFi? C’è ancora molto da fare

postato il 11 Novembre 2010

Partiamo dal principio, per non perderci nulla. Dunque, viviamo in un Paese, l’Italia, che ha trascorso beatamente un sacco di tempo con una norma retrograda e assolutamente inutile (una delle tante, direte voi: avete ragione) che è stata in grado di bloccare sul nascere la nascita di una Rete libera, indipendente e facilmente accessibile anche da noi. Ricordarvi di quale legge stiamo parlando, è finanche eccessivo, ma tant’è, fatto trenta facciamo trentuno: si tratta dell’ormai celeberrimo Decreto Pisanu, famoso – suo malgrado – per aver impedito all’Italia di essere al pari dei propri cugini europei in materia di accessi wireless ad Internet. Con i disastrosi effetti che ben conosciamo: se il Wi-fi fosse stato liberalizzato molto tempo fa, probabilmente oggi vedremmo, davanti ai tavolini dei bar, giovani che avrebbero la possibilità di restare connessi semplicemente con un portatile e con zero fili. Una vera e propria rivoluzione culturale, perché l’aver confinato Internet nelle abitazioni ha reso la Rete un mezzo esclusivamente privato, da utilizzare solo – magari – per chattare e controllare la posta.

E invece no, perché il World Wide Web è ben altro: è un mezzo di emancipazione sociale, una delle più alte conquiste democratiche della nostra storia; non luogo di solo svago, ma di vita attiva. Ma volete mettere la possibilità di poter conoscere le ultime notizie in tempo – veramente – reale, di poter leggere i giornali quando e come ci pare, di poter stare “on-line” 24 ore su 24?

Succede, però, che a un certo punto – dopo una lunga e serrata protesta da parte degli esperti e una proposta di legge targata Api-Fli-Pd-Udc (ne abbiamo parlato qui) – dalle parti del Governo ci sia reso conto che avanti così, proprio non si poteva andare. E così si è corsi ai ripari: dopo un iniziale gioco dello scaricabarile tra Vito, Brunetta e Maroni, alla fine il CDM si è deciso di “abrogare” il Decreto Pisanu. Cioè, un attimo: “abrogare” è una parolona grossa. Infatti, come ci spiegano bene Fabio Chiusi sul Nichilista, Massimo Mantellini su Il Post e Guido Scorza sul blog de Il Fatto, il tutto potrebbe rivelarsi un gigantesco bluff.

L’articolo 7 del Decreto Pisanu prevedeva tre obblighi per chi intendesse fornire un collegamento Wi Fi o collegarsi a una rete WiFi in Italia:

  1. l’obbligo di chiedere “la licenza al questore” (comma 1)
  2. l’obbligo di monitorare “le operazioni dell’utente” e “l’archiviazione dei relativi dati” (comma 4)
  3. l’obbligo di attivare “misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità” (comma 4)

Ora, dei tre punti soltanto il primo è a scadenza (nel decreto è indicata la data 31 dicembre 2007, poi prorogata di anno in anno). Per gli altri due, e lo afferma il deputato del Pdl Roberto Cassinelli, sarà invece «necessaria una nuova legge che vada a modificare la singola disposizione». Inoltre (come spiega laconicamente il sito del Governo), da oggi in poi “pur mantenendo adeguati standard di sicurezza, è previsto il superamento delle restrizioni al libero accesso alla rete WiFi”. Ora, domandina semplice semplice: in che modo si vogliono mantenere “adeguati” questi standard di sicurezza? L’ipotesi più probabile pare sia l’introduzione di un sistema di identificazione via sms: l’utente immette on line il proprio numero di cellulare e a quel punto riceve una password con cui può accedere alla Rete. È vero, già l’abolizione di alcune parti del Decreto Pisanu permetterà di sburocratizzare e facilitare l’accesso ad Internet, ma che senso ha mantenere validi sempre laccioli e legacci vari? Mi sembrano assolutamente inutili e fuori luogo e dello stesso parere è Alessandro Giglioli, che scrive“Curioso tuttavia che queste «esigenze di identificazione», motivate con ragioni di prevenzione antiterrorismo, non vengano avvertite in tutti gli altri Stati occidentali dove la navigazione senza fili è libera, sebbene ci siano stati casi molto significativi di attentati, a partire dagli Stati Uniti”. Curioso, eh? In sostanza, il Governo ha avviato l’iter di “liberalizzazione” della Rete, ma si tratta ancora solo di un timidissimo passo. Resta ancora moltissimo da fare e prima che dall’emendare le leggi, bisognerebbe partire dal rivoluzionare la cultura di alcuni di noi. Per far capire, finalmente, che Internet non morde. Anzi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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