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Expo 2015: altri problemi, solita incapacità a gestirli

postato il 27 Settembre 2010

Milano Expo 2015 di Mattia75Signori, se entro il 19 ottobre, quando si riunirà il Bureau International des Expositions, non si saranno trovate le aree dove fare sorgere l’EXPO 2015, l’Italia dovrà dire addio a questa manifestazione. E la situazione è molto problematica.

Siamo tragici? No, siamo realisti, dopo che questa estate avevamo già denunciato la poca chiarezza e i molti problemi legati alla gestione di EXPO 2015, problemi legati ad una mancanza di capacità manageriali e di problemi politici.

Sembro esagerato? Valutate voi: il 31 marzo 2008, Milano ottiene il privilegio di organizzare l’EXPO 2015, un evento mondiale che dovrebbe rivitalizzare l’aeroporto internazionale di Malpensa e portare soldi e tanti posti di lavoro.

30 mesi dopo, se si va a controllare lo stato dei lavori, ci si accorge che nulla è successo, se non cambiare tre volte l’amministratore delegato: prima Glisenti, voluto dalla Moratti, poi, fatto fuori Glisenti per scarsa produttività, viene nominato Stanca, direttamente dal presidente Berlusconi. Dopo 14 mesi, e 450.000 euro di stipendio annuo, anche Stanca abbandona, e allora il pallino torna nelle mani della Moratti che fa nominare Sala (già direttore generale al comune di Milano, e manager di Pirelli) come nuovo Amministratore Delegato. Nel frattempo, nulla è stato realizzato: la Pedemontana non si sa che fine abbia fatto; erano previste due linee della metropolitana, ma nulla è stato fatto; il centro stampa o la sede Rai sono miraggi; la moschea (su cui insorge la lega), le vie d’acqua, o i nuovi parchi (necessari in una delle città più inquinate d’europa), sono delle fantasie al pari dei folletti e degli unicorni e Maroni e Bossi hanno dichiarato che oramai siamo fuori tempo massimo.

Ma il problema, perchè è sorto? Perchè non si sa come e dove fare sorgere l’EXPO: la Moratti ha cambiato idea e propone di non acquistare i terreni, ma affittarli in comodato d’uso e restituirli dopo avere smontato i padiglioni alla fine della Fiera. Purtroppo a Formigoni l’idea non piace, perchè vuole comprare le aree a tutti i costi, per essere precisi al costo di 200-250 milioni, uno sproposito per un terreno agricolo.

In estate erano iniziate delle trattative per trovare i terreni, ma stando al parere degli studi legali di Ernesto Stajano e Enzo Cardi, che mercoledì scorso il presidente della Regione Roberto Formigoni ha spedito al sindaco Letizia Moratti e al presidente della Provincia Guido Podestà, queste trattative non hanno ragione di esistere. La conseguenza è che durante il consiglio di amministrazione di venerdì scorso alla presidente Diana Bracco è stato affidato il compito di predisporre, insieme a consulenti legali, una lettera che nei prossimi giorni verrà inviata ai soci, per chiedere loro che venga fatto il punto della situazione e per richiamarli sui tempi, ormai incombenti. Il tutto perché, come detto, il 19 ottobre prossimo si riunisce a Parigi il comitato direttivo del Bureau International des Expositions, che dovrà preparare l’assemblea convocata per approvare definitivamente il dossier di Milano e dare il via alla parte operativa, ma questo via libera è vincolato alla disponibilità delle aree in cui fare svolgere la manifestazione.

Purtroppo per comprare le aree ci voglio soldi che Comune e Provincia di Milano non hanno e quindi vorrebbero raggiungere un accordo fra i due proprietari (il gruppo Cabassi e la Fondazione Fiera). In tutte queste settimane, dunque, i fratelli Cabassi hanno trattato con i vertici di largo Domodossola per cedere loro la propria parte di area destinata a ospitare Expo. Una trattativa complessa, soprattutto per la cifra da pagare e le modalità di pagamento. E qui interviene la Regione, che vuole invece comprare le aree: forti del parere del loro studio legale, i rappresentanti della Regione hanno bloccato l’ipotesi di trattativa, facendo rispolverare l’ipotesi di acquisto (ma con quali soldi?) o di esproprio (che però non è detto che sia semplice da perseguire vista l’ipotesi concreta di ricorsi da parte dei proprietari dei terreni).

Nel frattempo anche il resto del mondo politico non sa cosa fare, e ognuno avanza la sua proposta, la lega addirittura ne avanza ben due.

Ma se noi siamo fermi, non altrettanto lo è il resto del mondo e quindi tra Agosto e Settembre è arrivato prima la proposta di Smirne, che si è offerta di indennizzare profumatamente gli enti lombardi e di fare in Turchia l’EXPO, proposta che non è stata ancora ufficialmente rigettata se non da mezze frasi pronunciate dalla Moratti, che ha il pregio di far fare una mezza figuraccia ora, ma di risparmiarne una peggiore tra 5 anni e soprattutto di incassare molti soldi, di cui gli enti locali, dopo i tagli del governo Berlusconi, hanno un disperato bisogno.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Erosione delle coste, il caso di Metaponto

postato il 27 Settembre 2010

Erosione costa metaponto di vinz486Dopo le terribili mareggiate invernali, la spiaggia del lido di Metaponto, fu risistemata nel giugno scorso per accogliere i turisti estivi. Un ripascimento artificiale costato parecchio e che ha modificato l’assetto naturale della spiaggia. Restava comunque un intervento doveroso per non uccidere le strutture ricettive del luogo. Dopo un’estate gioiosa, tra qualche mese arriverà l’inverno e sarà ovvio aspettarsi nuove mareggiate e nuove erosioni della costa.

Bisogna capire che l’erosione è un fenomeno normale. Normale perché è nelle norma delle cose. Le regole della fisica dichiarano espressamente che si tratta di eventi naturali che sono sempre esistiti. La natura è fatta di equilibri e nel nostro caso, l’altro fenomeno che dovrebbe contrastare l’erosione delle coste è l’apporto continuo di detriti fluviali a causa dell’erosione del territorio interno della nostra regione. Le dighe e gli sbarramenti hanno bloccato questo naturale defluire dei fiumi e l’equilibrio si è spezzato.

Dal 1930, la costa ionica ha guadagnato terreno rispetto al mare, circa 432 ettari, cioè 4.320.000 metri quadrati di nuovo terreno si è aggiunto alle precedenti coste. C’è stato un avanzamento di 40 metri a Metaponto, 180 a Scanzano, 300 a Nova Siri e 350 a Policoro. Perché? Perché l’apporto di detriti dai fiumi era maggiore rispetto al fenomeno dell’erosione marina delle coste. Ora però la tendenza si è invertita: prevale l’erosione marina rispetto al continuo defluire dei fiumi. Il geometra Nicola Bonelli di Tricarico, lo diceva già più di 10 anni fa e continua a ricordarcelo.

L’erosione però ha un ottimo alleato: l’uomo, i suoi comportamenti e le sue costruzioni. Infatti tra le cause dell’erosione c’è la forte vicinanza alla battigia delle strutture ricettive turistiche, che si riduce a pochi metri durante le mareggiate. Il lungomare costruito per dividere la spiaggia dagli edifici è il vero colpevole. Tra qualche anno la forza del mare lo distruggerà. E poi passerà alle case, agli alberghi, alle strade a i marciapiedi. Insomma una vera e propria distruzione, sempre più rapida con il passare del tempo. Il tutto si fermerà, quando finalmente la forza del mare non avrà dato una forma “arrotondata” e univoca all’intera costa ionica lucana, eliminando, erodendoli, tutti gli ostacoli, cioè quando le foci dei fiumi lucani saranno allineate al resto della costa. È del tutto naturale e tutto normale. È emblematico il caso della foce dell’Ofanto che è arretrato di parecchie centinaia di metri.

Quale il futuro? L’erosione continuerà e graverà ancor più sulla costa. Quale la soluzione? Barriere artificiali? Naturali? Distruzione delle dighe a monte? Io non sono un esperto e non ho le competenze per azzardare ipotesi. Dico solo che quello che è accaduto al lido di Metaponto deve essere da monito a tutta la costa ionica lucana. Infatti l’erosione da decine di anni minaccia la foce del Sinni, ma ben presto anche quella dell’Agri. Insomma, il futuro è questo e non basta tamponare, risistemare la spiaggia ogni primavera prima che arrivino i turisti, per poi ritrovarsi punto e a capo la primavera successiva.

Occorre trovare il modo migliore e meno costoso per risolvere i problemi è prevenirli. Studi universitari, finanziati con soldi comunitari e promossi dalla Regione Basilicata, hanno raccolto dati sul fenomeno e presto si inizierà la costruzione di barriere sommerse sul fondale marino antistante le spiagge metapontine. Spero solo che possa essere la soluzione migliore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

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Il manuale Cencelli rivisto e corretto dall’Umberto di Pontida

postato il 26 Settembre 2010

IL DIO PO di el burghezC’era un tempo in cui la Lega era il Partito dell’Antisistema, un tempo in cui i suoi dirigenti urlavano “Roma ladrona!”, un tempo in cui gli stipendifici statali erano come fumo negli occhi per i duri e puri della Padania. Era il tempo in cui a deputati, consiglieri regionali, ministri, interessavano solo il mitico Sole delle Alpi e l’ancestrale acqua del Po, simboli della cultura “popolare, operaia, contadina” (come li ha definiti di recente il sindaco di Cividate, Luciano Vescovi) di questa “mitica” terra. Era un tempo felice, per molti di loro.

Ma a qualcuno, questa dimensione della politica cominciava a stare stretta: troppo idealistica, troppo favolistica addirittura. “Teniamo famiglia pure noi, mica solo i terun”, si saranno detti in molti. E potevano forse far vivere gli amati congiunti, riscaldandoli esclusivamente con il verde sole delle Alpi o dissetandoli con un ampolla di acqua del Po? Certo che no. E allora hanno richiesto aiuto al loro Senatur, che evidentemente, se è riuscito a sfrattare Gesù bambino dal presepe di molti comuni del Nord, qualche miracolo deve pur saperlo fare. E pensa e ripensa, all’Umberto l’idea è venuta sul serio: e se si moltiplicassero i pani e i pesci? Ops, pardon, volevo dire le poltrone e le seggiole? L’idea fu prontamente accolta, con scroscianti applausi e piena approvazione: “Viva Bossi, viva Bossi!”, “A noi le banche, a noi i ministeri, a noi le fondazioni”.

Calma, pazienza e sangue freddo, ordinò il Grande Capo: a tempo debito avremo tutto, ha rassicurato. C’è da dire che ha saputo mantenere le sue promesse: se, infatti, in pubblico il Senatur continua a magnificare la luce del Sole Padano, a compiere i riti celtico-pagani e a urlare che Roma non può vivere con le sue tasse, in privato ha abilmente teso una rete da cui difficilmente ci si potrà liberare: gli immigrati ci rubano i posti di lavoro? No problem, lui li moltiplica e se ne necessario, li crea dal nulla! Ce ne sono abbastanza per tutti, per figli, fratelli, sorelle, mogli, nipoti, cugini, cognati, parenti fino alla settima generazione e oltre. Le verdi vallate padane sono diventate peggio di un ufficio di collocamento, e dalla Lombardia al Piemonte, dal Veneto al Friuli, il modello padano di assunzioni rapide ed efficaci dilaga. Basta muoversi con cautela e non ci sarà ostacolo capace di resistervi.

In origine fu il “Trota”, figlio prediletto dell’Umberto, destinato a succedergli al momento opportuno (ma non era Berlusconi quello dei partiti personali?), resosi protagonista, a fronte di una lunga, lunghissima, estenuante carriera scolastica, di una folgorante carriera politica: consigliere regionale al suo primo tentativo, alla faccia di quella santa pratica chiamata “gavetta”. Poi, in ossequio al nuovo verbo di Pontida, il Presidente del Piemonte Roberto Cota ha fatto della Regione il rifugio dei vari figli, mariti, mogli e congiunti vari dei nuovi potenti in canottiera e doppiopetto. A Brescia, in Provincia, abbiamo assistito al più incredibile concorso pubblico nella storia della prima e della seconda Repubblica: 700 concorrenti, 8 vincitori, di cui 5 signore e signorine di fede leghista: la moglie del vicesindaco di Brescia, la nipote dell’assessore all’Istruzione, due assistenti di un altro assessore, la capogruppo leghista nel consiglio comunale di Concesio. Sono sicuro che in pochi sarebbero stati in grado di far di meglio. O forse no. Perché se a Verona la moglie del sindaco leghista Flavio Tosi è stata nominata dirigente e capo della segreteria dell’assessore regionale alla Sanità, è a Milano che si gioca la vera partita. Nella sanità regionale, infatti, gli uomini di Bossi sono pronti a lanciare la più scientifica operazione clientelare che si ricordi. A fine anno scade il mandato dei 45 direttori sanitari di Asl e aziende ospedaliere e il Carroccio, forte della crescita elettorale, ne pretende 20 per insidiare il potere formigoniano di Comunione e Liberazione nella ricca sanità lombarda (senza nascondere di puntare apertamente alla conquista dell’Ospedale di Brescia, il più grande d’Europa).

Come potete ben vedere, amici miei, gli argomenti di cui parlare non mancano. L’importante, però, come ci insegna il nuovo Manuale Cencelli rivisto e corretto da Umberto Bossi, è proprio che non se ne parli, che non si scopra nulla. Perché se, malauguratamente, un “poveretto” come Edouard Ballam dovesse farsi trovare con le mani nel sacco, la via è obbligata: cacciata istantanea, per non macchiare l’“onorabilità” e l’“onesta” di tutto il partito. Ma a chi volete darla a bere, padani?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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La Marcegaglia: sbaglia chi afferma che andiamo meglio delle altre Nazioni

postato il 25 Settembre 2010

23.365 - Money di GilmothAnche Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, si accoda alle critiche che da quest’estate investono il mondo economico italiano e ha affermato testualmente: “Siano entrati nella crisi già in crisi e la percezione che abbiamo è che stiamo uscendo dalla crisi ancora con una capacità di crescita inferiore rispetto alla media europea”, e anzi aggiunge che non è vero che siamo andati meglio di altri paesi, ma che anzi siamo stati fortemente colpiti dalla crisi.

La sua affermazione segue, cronologicamente quanto già rilevato purtroppo da tutti gli italiani, ovvero che le cose non vanno come il governo afferma, ad esempio Bonaiuti ieri ha sostenuto che il Governo ha affrontato la crisi meglio delle altre nazioni.

Per smentire Bonaiuti basta considerare l’andamento dei consumi delle famiglie, o quello che affermano rispettivamente l’OCSE e l’altra grande istituzione internazionale il FMI che sostengono, dati alla mano, che la crescita dell’Italia sta ulteriormente rallentando, anzi si prospetta una diminuzione del PIL nel terzo trimestre, e che il 2011 vedrà una crescita asfittica per economia italiana, mentre le altre nazioni, soprattutto Germania e Francia, stanno accelerando e vanno molto meglio di noi.

La soluzione per rimediare a questa situazione la Marcegaglia la individua nelle riforme da effettuare in campo economico, e siamo perfettamente d’accordo, visto che da tempo denunciamo la mancanza e l’inerzia del governo che addirittura mantiene vacante da quasi 5 mesi il ministero per lo sviluppo economico, che dovrebbe risolvere moltissimi problemi, ad esempio basterebbe considerare la Fincantieri, la Tirrenia, la destinazione del sito industriale di Termini Imerese che nel 2011 verrà abbandonato dalla Fiat, giusto per citarne tre, ma i problemi sul tavolo sono numerosi a cominciare dalla piccola e media impresa del Nord, che paga pegno per l’assenza di un interlocutore presso il ministero.

E il governo che fa?

Per il governo, l’unica cosa realmente importante è stabilire chi governerà Unicredit, visto che la Lega ha focalizzato tutti i suoi obbiettivi nel controllo delle banche tramite la politica e le fondazioni bancarie, senza investire soldi, salvo poi accorgersi che a livello mondiale, quando si parla di finanza e di economia, contano i fatti e i soldi e non le parole, come si è accorto Bossi che, dopo essersi lamentato dei libici in Unicredit, ora teme che siano i tedeschi a controllare la banca.

Evidentemente la Lega non ha imparato nulla dalla sua gestione fallimentare della banca Credieuronord e forse dovrebbe comprendere che il ruolo della politica non è quello di gestire soldi e potere in maniera clientelare.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Teresa e Sakineh: così vicine e così lontane, è sempre pena di morte

postato il 24 Settembre 2010

In Italia l’unica categoria che non risente della crisi è quella degli indignati di professione. Solitamente l’indignato professionista frequenta salotti di un certo livello, scrive su certi giornali, muove abilmente l’opinione pubblica specie sulla rete, ma soprattutto è politicamente corretto.

Sì, perché non ci si può mica indignare per tutto e per tutti, ma ci si indigna solamente secondo le convenienze e gli interessi. Così senza nessun criterio di verità e di giustizia ci si indigna per il terremoto di Haiti e non per le alluvioni che hanno distrutto il Pakistan. Eppure i bambini pakistani come quelli haitiani sono rimasti senza famiglia e senza casa ma non si è visto nessuno precipitarsi in Pakistan o muovere l’opinione pubblica per fornire più aiuti possibili.

Non sarà che i ricchi e i potenti europei ed americani hanno interesse a mettere le mani su Haiti e a tenere quel covo di talebani che è il Pakistan in difficoltà? Forse è solo un pensiero cattivo o forse gli indignati di professione erano solamente in vacanza. Accade però che i nostri eroici indignati cominciano a battersi per la sacrosanta causa di Sakineh, la donna iraniana accusata di adulterio che la legge islamica vigente in Iran condanna alla lapidazione, e così arrivano manifestazioni su manifestazioni in ogni parte d’Europa ed America, reazioni dei governi mondiali, striscioni su monumenti e si scomoda perfino la  première dame francese Carla Bruni per salvare la vita di Sakineh.

Nulla di ineccepibile fin qua, ma dall’altra parte dell’oceano Atlantico, negli Stati Uniti del mito progressista Barack Obama, una donna con un evidente ritardo mentale e che non ha ucciso nessuno viene condannata a morte e uccisa con iniezione letale. Tutto questo nel silenzio pressoché totale dei soliti indignati che, non si sa per quale motivo, hanno ritenuto non opportuno schierarsi a favore di questa povera donna.

Teresa Lewis, così si chiama la donna uccisa in Virginia, non mai ucciso nessuno, la sua colpa, che non ha mai negato, è di essere stata “la mente” dell’omicidio del marito e del figlio del marito eseguito da due sicari che si sarebbero approfittati del ritardo mentale di Teresa per intascare i 350 mila dollari della polizza sulla vita del marito. Il suo ritardo mentale e la confessione dei due sicari, che se la sono cavati con due ergastoli, non sono riusciti a fermare il boia che nella camera della morte del penitenziario femminile di Fluwanna in Virginia ha eseguito le iniezioni letali.

A questo punto è lecito chiedersi perché nessuno degli indignati speciali ha sentito il dovere di spendere una parola per Teresa, donna come Sakineh e condannata a morte come la donna iraniana per una accusa assurda. A pensare male si potrebbe rispondere che è facile, fin troppo facile, indignarsi e fare la voce grossa con il regime di Teheran e che sono tutti bravi a scagliarsi contro Amadinejad e gli ayatollah; meno bravi sono però ad alzare il loro ditino e a dire al signor Presidente Obama che nella sua grande democrazia, nel Paese del “yes, we can” tra le tante cose che si possono fare e, che purtroppo si fanno, c’è anche la pena di morte, la stessa che comminano i tribunali della tanto vituperata teocrazia iraniana.

Ma nessun dito si è alzato, nessun telo e nessuno striscione è stato dispiegato, nessuna cancelleria europea o di qualunque altro paese democratico, neanche quelle che facevano pressione per Sakineh, si è sentita in dovere di mandare una noticina al Segretario di Stato americano, la stessa signora Clinton che si era indignata per la condanna a morte di una donna iraniana.

Chi si è indignato per la condanna a morte di  Sakineh aveva il dovere morale di indignarsi per la condanna a morte di Teresa Lewis e di ogni altro essere umano che ad ogni latitudine viene privato del bene prezioso della vita, perché la pena di morte è una cosa terribile e inumana a Teheran come a Washington, perché la vita è vita indipendentemente dal fatto che il tuo nome sia Teresa o Sakineh.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Coltivare la speranza per non essere vinti dal pessimismo

postato il 23 Settembre 2010

speranza di gigi 62In un Italia, alle prese con lo squallido teatrino della politica, cosi almeno viene ancora chiamata,  di fronte a una scena dominata spesso da gossip e volgarità che genera disaffezione nella maggioranza dei giovani, è urgente una inversione di tendenza e di marcia, è urgente  puntare a un vero e duraturo rinnovamento politico, basato su un forte recupero di legalità e moralità.

Parliamo di una politica assente sia dai palazzi a livello di grande disegno politico, volto a realizzare il bene integrale di ogni cittadino e sia a livello di base, per la mancanza di partecipazione di interesse da parte dei cittadini, i quali si persuadono sempre più che non possono influire sul buon andamento della cosa pubblica.

Lo scenario che si presenta davanti agli occhi è quello di una fuga dall’impegno sociopolitico da parte di tanta gente, i giovani non credono alla politica corrente, dove prevalgono le baruffe personalistiche e si dimentica il senso vero dell’impegno politico, la passione per la polis, per l’Altro, per la vita della città e della nazione. I giovani, vedono la politica con occhi completamente diversi rispetto ai propri genitori e ai fratelli maggiori. Non usano la lente dell’ideologia e si sono resi conto che le logiche clientelari hanno sempre meno potere di indirizzare positivamente le loro vite.

Sono dunque più sensibili e ricettivi rispetto a messaggi politici che sappiano veicolare progetti concreti, che parlino di lavoro, di formazione e di ambiente e che li mettano in condizione di affrontare con consapevole speranza le sfide che una società in rapido mutamento pone loro.

Le giovani generazioni sono molto meglio dell’immagine stereotipata che ne abbiamo. E sapranno riavvicinarsi alla politica quando quest’ultima saprà offrire loro proposte concrete, uomini con la faccia pulita che mettano la propria esperienza al servizio dell’Altro con progetti chiari e realizzabili, capaci di promuovere prospettive di vita oneste e dignitose.

Chiediamo a questo punto a tutti i rappresentanti  della politica italiana, quali esempi di moralità e di legalità possono essere proposti, se avviene, molto spesso, che, ad esempio, personaggi politici, condannati in primo grado per corruzione, per favoreggiamento alla mafia e illegalità varie, festeggiano, con arroganza, le sentenze come se avessero ricevuto un gran premio, e non solo non abbandonano l’attività politica, ma dopo aver lasciato un prestigioso incarico (per dimissioni quasi forzate per le pressioni di molta parte dell’opinione pubblica), ne ricevono un altro, magari più prestigioso.

Abbiamo bisogno di tutti voi ragazzi, per promuovere laboratori e osservatori sparsi in modo capillare sul territorio in cui si possa attuare un attento discernimento sulla vita sociale, incidendo così sulla prassi politica e operando in favore del bene comune. Per bene comune non si può intendere qualcosa di astratto, quanto piuttosto qualcosa di concretizzato di volta in volta nelle diverse mutevoli circostanze socioculturali, economiche e politiche, e che guarda alle future generazioni in un’ottica di solidarietà e comunione di progetti.

Di fronte alla crisi attuale della nostra società che, come sosteneva Giorgio La Pira, è piuttosto “una crisi di attesa” di una stagione migliore, occorre coltivare la speranza per non essere vinti dal pessimismo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Daniele Coloca

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Fincantieri e Tirrenia, due vittime del Ministero per lo Sviluppo Economico

postato il 21 Settembre 2010

Fincantieri Shipyard - Rivatrigoso di Ciccio PizzettaroQuando si parla dell’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico (assenza che dura da 5 mesi), noi parliamo di un gravissimo problema per tutti noi italiani.

E basta considerare due fatti di cronaca per rendersene conto. Il primo riguarda la Fincantieri che in questi giorni sta vivendo un periodo di scioperi e tensioni che vedono protagonisti i lavoratori di tutta Italia, che protestano contro il nuovo piano industriale che prevede oltre 2000 licenziamenti, oltre a ripercusissioni per tutte le aziende dell’indotto (le quali dovrebbero licenziare almeno altri 1500 lavoratori).

Andando più nello specifico, il nuovo piano industriale di Fincantieri prevederebbe la possibilità di chiudere il sito di Riva e Castellammare di Stabia, nonché di ridimensionare quello di Sestri Ponente e di Palermo.

Di contro il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, dichiara di non conoscere l’esistenza di questo piano industriale, ma resta un fatto, il massiccio ricorso alla Cassa Integrazione da parte dell’azienda, mentre sabato scorso, circolava la notizia che la Fincantieri intende chiudere il sito industriale di Riva Trigoso e ridimensionare pesantemente quello di Sestri, mentre Castellammare di Stabia verrebbe chiusa.

L’azienda nega l’esistenza di qeusto piano industriale, ma è chiaro che in questa situazione manca la figura del Ministro per lo Sviluppo Economico che dovrebbe chiamare l’azienda e le parti sociali, verificare quanto c’è di vero nelle notizie riportate dalla stampa e soprattutto lavorare per dare un indirizzo economico, visto che l’azienda lamenta anche la carenza nelle infrastrutture, causa principale, secondo la Fincantieri, della riduzione delle commesse.

Ovviamente si parla di investimenti di varie diecine di milioni di euro, ad esempio a Palermo la ristrutturazione dei bacini di carenaggio da 19mila e 52mila tonnellate prevedono investimenti, da parte della sola Regione Sicilia, di circa 44 milioni di euro (investimenti promessi l’inverno scorso, ma ancora fermi) a cui si vanno ad aggiungere altri investimenti da parte dello Stato e degli enti locali dove i bacini sono situati.

Ci si aspetterebbe una certa disponibilità da parte dell’azienda a sentire le parti sociali, ma, osserviamo con grande stupore, che a Riva Trigoso la direzione Fincantieri ha impedito l’accesso alla fabbrica all’assessore regionale alle Infrastrutture della Liguria Ezio Chiesa che ha dichiarato: “Sono sbigottito e preoccupato per un comportamento senza precedenti. Neanche ai tempi di Piaggio, negli anni Sessanta, non si consentiva ad un esponente istituzionale di entrare”. Chiesa voleva entrare nello stabilimento per assistere all’assemblea dei lavoratori.

Mi chiedo: è accettabile questo comportamento da parte dell’azienda?

Su questa situazione pesa, ovviamente, l’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico, figura deputata a trattare con le aziende e pianificare gli investimenti nelle infrastrutture (ossatura di un moderno sistema produttivo che voglia crescere nel tempo).

Ma se non basta l’esempio di Fincantieri, basti considerare la vicenda della Tirrenia.

La società è in vendita da alcuni mesi, ma a parte la Mediterranea Holding, nessuno si è fatto avanti. Come mai? Perchè la società ha gravissimi problemi di bilancio, le rotte non sono profittevoli e anzi in passato ha fatto investimenti sbagliati (ad esempio comprare 6 navi per un totale di 300 milioni di euro, che però non possono prendere il mare e quindi da anni sono tenute ferme nei porti).

La Mediterranea Holding aveva offerto 20 milioni di euro, l’unica offerta giunta al governo durante l’asta, ma la vendita era stata bloccata a fine agosto. Perchè? Non si sa, ma la cosa curiosa è che la società deve essere venduta entro la data del 30 settembre, altrimenti il governo italiano, ovvero noi cittadini, dovremo pagare una multa astronomica all’Unione Europea.

Stranamente la procedura di vendita è stata riaperta 5 giorni fa, anzi, il commissario Giancarlo D’Andrea con un annuncio a pagamento sui giornali rivolge un invito a “chiunque sia in grado di garantire la continuità del servizio pubblico di trasporto marittimo” a presentare manifestazioni di interesse per l’acquisto del ramo di azienda di Tirrenia di Navigazione Spa. Le manifestazioni dovranno pervenire presso l’adivisor Rothschild entro il 29 settembre e finora l’unica offerta sul tavolo è quella di Mediterrania Holding presentata nelle scorse settimane. La procedura, viene precisato nell’annuncio, prevede una vendita separata fra Tirrenia e Siremar, la controllata siciliana, finita in amministrazione controllata per insolvenza.

Anche in questo caso l’assenza del Ministro per lo Sviluppo Economico si fa sentire, perchè sarebbe suo compito sovrintendere alla procedura di vendita e controllare i piani di sviluppo presentati dalle varie cordate di acquirenti (se ci saranno), la sua assenza è un peso che grava sui conti degli italiani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Crisi della scuola: ripartire dalla libertà di scelta

postato il 19 Settembre 2010

le lezioni viste dai cuccioli do [auro]L’apertura del nuovo anno scolastico evidenzia una scuola sempre più in affanno, con risorse limitate, preoccupanti carenze di organico e, in qualche caso, l’assenza dei beni primari per svolgere la normale attività didattica.

Il caso del nuovo complesso scolastico “leghista” di Adro, in provincia di Brescia, ci porta anche verso una pericolosa politicizzazione della scuola. Su questo tema è giusto riconoscere al Sindaco di Adro, già conosciuto alle cronache qualche mese fa per non voler dare più il servizio mensa ai bambini delle famiglie morose, il merito di aver costruito una scuola all’avanguardia, senza spese per i cittadini. Questo attraverso la cessione gratuita ad una ditta privata di una vecchia scuola, da trasformare in appartamenti, in cambio della realizzazione del nuovo complesso scolastico.

Restavano da acquistare gli arredi per aule, uffici e mensa; problema risolto attraverso un bando pubblico, con il quale è stato chiesto alle famiglie di Adro di versare contributi volontari per coprire il fabbisogno. Obiettivo ampiamente raggiunto tanto che in cassa sono rimaste alcune migliaia di euro.

Quello di Adro, insieme ad altre pratiche di buon governo sparse nel nostro paese, che molte volte non trovano risonanza tra i media, è un esempio che molti amministratori potrebbero seguire, invece di sterili manifestazioni contro tagli che ogni Governo pare destinato a fare. Il sindaco si è fatto poi pubblicità mettendo ad ogni angolo della nuova scuola il simbolo del Sole delle Alpi (a centinaia…), caro ai leghisti, intitolando l’edificio a Gianfranco Miglio e facendo ampio uso del colore verde. Uno sfarzo da evitare più che imitare perché la politica deve sempre rimanere fuori dalle classi.

Purtroppo non è l’unico caso di politicizzazione indebita: la Regione Toscana, ad esempio, dichiara di voler appendere una propria targa in quelle classi “salvate” dai finanziamenti regionali, per evidenziare chiaramente chi sono i buoni (la Regione) e i cattivi (il Governo). Decisamente meglio lasciare perdere.

Tornando alla situazione pessima in cui versa la scuola italiana, vorrei provare a riflettere e rilanciare l’opportunità di costruire un nuovo modello, fondato sulla libertà e sulla centralità della famiglia nella scelta educativa dei propri figli. Secondo me in Italia andrebbe ribaltata completamente la concezione che sta dentro il nostro sistema educativo, composto da scuole simili che si propongono la formazione di cittadini “simili”. Questo andrebbe sostituito con uno nuovo più adatto alle esigenze del paese, teso a selezionare presto, ad esaltare le qualità individuali e la diversità.

In questa prospettiva di diversificazione dell’offerta formativa, sarebbe opportuno riprendere con forza il tema della scuola privata, “libera” o come si vuol definire. Tema dimenticato da tutti, in nome dell’errore dogmatico, tipico dell’Italia, per cui esiste l’equiparazione tra ciò che è pubblico con ciò che è statale; e anche per l’oggettiva situazione italiana per cui parlare di scuole private equivale a dire Chiesa Cattolica.

Per incidere veramente al fine di un sistema pluralistico nell’educazione, la vera rivoluzione da fare è l’introduzione del buono scuola – voucher da dare ai genitori, per poterlo spendere nell’istituto pubblico (statale o non-statale che sia), che giudicano migliore per i propri figli. In questa maniera si dà alle famiglie il diritto di scelta secondo le proprie convinzioni filosofiche, culturali, morali e religiose, così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della nostra Costituzione repubblicana. In questo sistema l’importo dato ai genitori, che all’inizio potrebbe essere soltanto una parte della retta totale, per poi aumentare la quota negli anni, è versato alle istituzioni presso le quali gli aventi diritto si iscriveranno per frequentare i rispettivi percorsi formativi.

In questo modo sono premiate le scuole migliori, perché le persone interessate scelgono quanto vi è di meglio sul mercato, facendo così crescere il numero delle scuole e il loro livello qualitativo, creando una libera, moderna, efficiente e plurale offerta formativa. Una scuola magari più aperta alla creatività, all’arte, alla musica e alla pratica sportiva.

Il sistema esposto viene spesso accusato di creare disuguaglianze, con scuole (e quindi studenti e cittadini) di seria A, B, C; accuse frutto di una prevalente cultura statalista del nostro paese, dalla quale Sturzo non si stancava di metterci in guardia. In realtà il sistema scolastico “pubblico” all’italiana ha portato il nostro paese, insieme a molti meriti che gli vanno riconosciuti, ad un’altissima correlazione tra successo educativo e status della famiglia di origine, con una mobilità sociale particolarmente scarsa, evidenziando quindi un sistema profondamente chiuso e ingiusto. Ma nonostante questi dati, un po’ tutti difendono lo status quo, con lo smacco di vedere i ricchi e i politici (magari di sinistra) difendere ed esaltare la scuola statale, ma mandare i propri figli nella scuola privata.

Fare pagare due volte i genitori, attraverso le tasse e poi attraverso l’eventuale retta, che vorrebbero scegliere la scuola più opportuna per i propri figli, ma non se la possono permettere, è la vera ingiustizia del nostro sistema attuale scolastico. Dare vita ad uno nuovo, incentrato sulla libera scelta educativa, potrebbe essere una buona scossa per renderlo migliore e più giusto. E magari tra qualche anno trovarsi con maggiori risorse, insegnanti più motivati e strutture all’avanguardia (senza scomodare il Sole delle Alpi).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Questo non è un Paese per pendolari

postato il 19 Settembre 2010

ALn 668.3139 di alessandro manfrediSabato 11 Settembre, a Chianciano, si è svolto l’ EstremoCentroCamp, una sorta di conferenza “aperta”, meno schematica e più interattiva, su di un tema quanto mai attuale: “Internet e Politica”. In quest’incontro, si é discusso di vari temi riguardanti il web, abbiamo portato l’esperienza di noi blogger di Estremo Centro, sentinelle del territorio, impegnati a diffondere l’informazione su questioni scottanti nelle nostre regioni.

Durante l’EstremoCentroCamp, per dimostrare che internet possa diventare un mezzo di comunicazione efficace per diminuire le distanze tra cittadini e politica, abbiamo deciso di lasciare spazio agli italiani che, tramite e-mail o sms, avrebbero potuto porre le proprie domande e i propri dubbi ad uno dei maggiori esponenti della politica italiana: Pier Ferdinando Casini.

Tra le varie domande, mi ha toccato particolarmente una richiesta: “Più attenzione per i pendolari”.

Casini, nel rispondere, ha evidenziato una realtà che conosco molto da vicino, in quanto pendolare da quasi 7 anni. Impossibile non condividere l’amara considerazione che, in questo Paese, si corra su due binari di sviluppo troppo diversi tra di loro. Mentre infatti l’innovazione percorre la strada delle grandi città, dove ogni giorno si apportano migliorie tecniche per rendere sempre meno brevi i tempi di viaggio tra le grandi metropoli, in periferia i trasporti pubblici stentano a decollare. La dimostrazione è data dal fatto che, ad esempio, per percorrere la tratta Milano-Roma, con treni che sfiorano i 400km/h, si impieghino meno di 3 ore, e per la tratta Melfi-Potenza occorre un’ora (senza considerare ritardi, o altre cause varie ed eventuali).

L’Italia, però, non vive di sole grandi città: il Paese è soprattutto periferia. C’è un’ immensa rete di persone che gravitano intorno a queste grandi realtà e che, ogni mattina, di buon ora, affrontano tratte che, in molti casi, potrebbero essere definiti “viaggi della speranza”.

Ma i problemi non finiscono mai, per i pendolari.

Infatti, l’anno scolastico in corso, ha significato l’aumento dei disagi per gli studenti e i professori pendolari di tutt’Italia e, in particolare di tutta la Basilicata. E’ entrata in vigore la riforma Gelmini, che prevede significative modifiche all’orario: spariranno le ore “ridotte”, cioè da 50 minuti, a favore delle ore “intere”, cioè da 60 minuti. Dunque, si uniformerà l’orario di inizio delle lezioni per tutti gli studenti di scuole superiori e, dopo una settimana di assestamento, da lunedì i cancelli apriranno alle ore 08.05, con uscita alle 13.05 o 14.05, a seconda del tipo di istituto frequentato.

Ciò comporta la necessità di riadattare gli orari degli autobus scolastici, per garantire il trasporto agli alunni. Ebbene,qui iniziano i problemi. Molte aziende private di trasporti, gestendo anche tratte extra-scolastiche, a causa di questa modifica oraria, si sono ritrovate ad affrontare spese non previste nel bilancio aziendale, così da dover risolvere il problema con tagli alle tratte, e conseguente aumento delle difficoltà. Dunque, per essere più chiari, per tornare a casa dopo la scuola, dal paese dove frequento il Liceo alla mia piccola frazione, del tutto isolata dal resto della Regione, ci sarà soltanto un bus: alle 14.30.

Ma al peggio non c’è mai fine! Basti pensare che su questo stesso bus saliranno i ragazzi che frequentano la Scuola Media, del tutto disinteressati dalla riforma Gelmini, costretti ad adattarsi ad orari che definirei assurdi.

Ecco, l’impressione, ancora una volta, è quella di una riforma calata dall’alto, senza considerazione alcuna delle difficoltà del territorio, della periferia. Come sempre, si ragiona su di una “misura metropolitana”, in tutto il territorio italiano, che ha caratteristiche orograficamente molto varie.

L’Italia è un’insieme di grandi centri, attorno ai quali vi è però una periferia dimenticata dallo Stato. C’è bisogno di ricucire l’Italia anche in questo, di rendere l’Italia un Paese unito sotto ogni punto di vista.

Partire dai trasporti potrebbe essere un’ottima risposta a questa grande sfida.

Pensare ad una rete di trasporti migliore, non significa vaneggiare. Significherebbe sviluppo in ogni ambito dell’economia: dal settore delle imprese, fino al turismo, senza dimenticare il vantaggio che ne deriverebbe per l’Ambiente.

Perché, in realtà, un Paese senza infrastrutture è un Paese senza futuro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Voci libere e minacce: l’altra faccia della locride

postato il 18 Settembre 2010

Ferdinando Piccolo si racconta nella vera San Luca

Chiediamo al ministro Maroni un piano straordinario contro la criminalità in Calabria, perché in quella regione siamo indietro di 50 anni nella lotta alla ‘ndrangheta. Dobbiano reagire con forza…la lotta per la pulizia di un paese non è della Sinistra o solo di Saviano. È anche nostra. Noi regaliamo l’Italia pulita a chi non se la merita…..” (Pier Ferdinando Casini).

Sagge parole quelle di Casini. La lotta per la pulizia di un paese non è della sinistra o di Saviano è anche nostra e di tutti coloro che in democrazia lottano per un mondo migliore. Lottano contro le mafie, per la libertà di parola, baluardo di una terra libera. Libertà di parola, tante volte abbiamo sentito questa frase, da tanti politici che in una terra difficile e bella come quella calabrese si esibiscono in passerelle. Siamo stanchi di tutto questo. Io lotto per questa libertà di parola e di stampa, per questo vengo minacciato dalla ‘ndrangheta. Vengo deriso da chi pensa che la ‘ndrangheta sia dalla parte del cittadino contro il potente tiranno. Vengo anche accusato dalla società civile di avere la colpa di scrivere molto. Perché in parte della Calabria per essere accettato devi essere omertoso, devi essere uno di loro.

La mia storia inizia a 16 anni, quando, armato di buona volontà decido di creare, assieme ad un gruppo di ragazzi, un giornale di controinformazione nel mio pese. Si chiamava Voce Libera. In Calabria basta un articolo di ordinaria amministrazione per ricevere, puntuale, una pallottola in redazione. Nessun timore, nemmeno stavolta riusciranno a farci paura, a farci tirare i remi in barca.

Le minacce non servono a niente, non ci spaventano, le rispediamo al mittente e sulla busta ci mettiamo anche la firma. Proiettili vaganti, buste. Tanti postini che però ci fanno capire una cosa, parte della Calabria non vuole cambiare, e soprattutto ci fanno capire che la strada che abbiamo intrapreso è quella giusta. Scrivere ciò che si vede e si scopre è il nostro mestiere, continueremo a farlo in piena libertà, nella convinzione che così facendo riusciremo a rendere il giusto servizio alla comunità. Abbiamo il diritto di non essere eroi. In questi giorni, il 4 settembre, avevo scritto di una strada che collega Polsi a San Luca. Una strada da sistemare da almeno venti anni. Il primo lotto vinto nel 1996 da una ditta di Crotone e il subappalto a un’impresa sanluchese. Soldi, 12 milioni di euro, che scompaiono nel nulla. Nulla ne sa il proprietario della ditta di San Luca, un incensurato. Nulla si sa di quella crotonese, nel frattempo fallita. La via dei pellegrini devoti che è ancora poco più di una mulattiera. Una bella storia da raccontare. Per un giornalista. Un giovane corrispondente che, quando può, dà una mano al padre barbiere a Bovalino.

Quel giornalista di 23 anni quella storia la racconta, firma il pezzo che viene pubblcato sul Quotidiano della Calabria, il 4 settembre, due giorni dopo il retorico via vai di politici al santuario della “madonna della ‘ndrangheta”. Riti, usi, costumi, tradizione, Osso e Mastrosso. Ma anche, soprattutto, affari, speculazione, ladrocinio di soldi pubblici. Accade così, che in un sabato di settembre, proprio sotto la vetrina del negozio del padre, quel Ferdinando Piccolo trova una busta, cinque pallottole e un messaggio di morte: “la ‘ndrangheta non scherza, continua così e sei un morto che cammina“.

Nel corso degli ultimi anni mi sono sempre occupato di cronaca nera, seguendo i principali fatti della mia terra. In particolare mi sono occupato giorni fa anche del Santuario di Polsi e della Festa della Madonna della Montagna. “Un Santuario – ha dichiarato il vescovo di Locri, Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, – in cui si è consumata l’espressione più terribile della profanazione del sacro ed è stato fatto l’insulto più violento alla tradizione religiosa”. Il riferimento è alle immagini di un summit tra gli uomini delle cosche della ‘ndrangheta nel santuario diffuse qualche mese fa.  Ho scritto, anche del recente “via vai di politici e amministratori pellegrini per un giorno al Santuario, tutti presenti a parole per strappare la madonnina alla ‘ndrangheta e restituirla ai calabresi onesti e devoti”.

Come dico spesso, la voglia di dire no alla ‘ndrangheta ha smarrito la strada, al Bivio tra San Luca e Bovalino ha scelto la terza strada per l’isola che non c’è. Ormai siamo troppo abituati ad alzarci con la puzza di sangue e coricarci con i vestiti impregnati di ‘ndrangheta. Ma la Locride non è solo Spaghetti e Malavita. L’Aspromonte non è il paradiso terrestre dei latitanti, ma è soprattutto una terra che ammalia, strega, con i suoi sentieri intersecati in piccoli paesi. È vita. Trovare una busta con 5 proiettili e una minaccia di morte non è bello.

Come ho già scritto, andrò avanti, anche se questo, in certo senso è andare contro i miei interessi economici, contro gli interessi della mia famiglia. È arrivato il momento di fare una scelta. Scegliere se scrivere le solite cose, o raccontare la verità. Scegliere se tutelarsi, oppure andare contro tutto e tutti, anche contro la famiglia che dice di farmi i fatti miei, anche contro mia madre che piange guardando le macchine del 112 che passano frequentemente davanti a casa. È una scelta difficile che io ho già fatto. E di questo sono pronto ad affrontare le conseguenze.

La voglia di reagire può nascere, come una ginestra che attecchisce dove il terreno non lo permette perché come dice lo scrittore di San Luca Corrado Alvaro: “La disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile. Basta un atto, un gesto, una parola per ricordarti che sei un uomo“.

Ferdinando Piccolo, Bovalino (RC), 23 anni giornalista

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