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Impegnati per l’Italia, impegnati per l’Europa.

postato il 30 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

L’Italia uscì dalla guerra stremata e piena di rovine: nelle grandi città tutto era da ricostruire e le vie di comunicazioni erano danneggiate. Gli italiani furono colpiti da una pesante inflazione, i prezzi aumentarono di venti volte e la svalutazione della lira rendeva impossibile la ripresa. Eppure proprio allora successe qualcosa. Fu proprio questo lo stimolo, come magnificamente racconta Carlo Maria Cipolla nella sua “Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo a oggi” il trampolino di lancio di quella che sarebbe diventata una delle sette potenze mondiali,  l’Italia provò a produrre di tutto,  dalla Vespa alla Lambretta, dalle macchine per cucire ai frigoriferi, dalle lavatrici alle gelaterie, dalla macchine per il caffè ai ventilatori con un notevole successo per i prezzi contenuti e per l’ingegno e il design di alta qualità. E vennero uomini come Giulio Natta che con il suo ingegno rivoluzionò la chimica scoprendo un’ampia classe di catalizzatori  per facilitare la polimerizzazione del polipropilene ideale per la nascita di fibra tessile e articoli di plastica. E vennero uomini come Alcide de Gasperi che capirono che affidarsi all’Europa non era una limitazione di potere e dignità della propria sovranità ma una conquista per una stabilità comune e più forte: nel 1951 l’Italia fu in prima linea nella costituzione della CECA – Comunità Europea per il Carbone e per l’Acciaio – istituzione antesignana nel metodo e nella composizione delle successive tappe di integrazione europea. Nel metodo perché, come sottolinea sempre il prof. Cipolla, si trattava di un’istituzione con potere decisionale e  nella composizione perché vide il superamento del contrasto franco-tedesco simboleggiato nelle figure di Bismarck e di Napoleone III che aveva bagnato di sangue l’Europa nei due secoli precedenti, formando ora un’asse  duraturo bilanciato dall’Italia e dai floridi paesi del Benelux (Belgio-Paesi Bassi-Lussemburgo) .  La Gran Bretagna si autoescluse e fu ammessa solo due decenni dopo.

Sessanta anni dopo, ancora si agitano i venti di crisi. Ma a differenza di quegli anni non si vedono sotto i riflettori grandi uomini e grandi imprese, e soprattutto sembra mancare la speranza di una rinascita. E in molti si augurano il crollo dell’Europa e della sua moneta unica invocando la sovranità nazionale molto spesso dimenticando o tralasciando in malafede che inevitabilmente essa sarà legata a un’inflazione paurosa, all’aumento di povertà e di disoccupazione. E’ invece il momento di compiere il grande passo: quello di trasformare un Europa burocratica e finanziaria nella grande Europa dei popoli. Un’Europa che porti in primo piano una politica comune per lo sviluppo e per la crescita, un’Europa che possa dare impulso alla ricerca e all’innovazione per diventare “l’economia della conoscenza più sviluppata del mondo” (Rocco Buttiglione).

Nei primi giorni di gennaio alcuni grandi passi sono stati compiuti:  il primo è  il trattato intergovernativo per la stabilità economica firmato dai 27 paesi dell’Unione Europea , ad esclusione della Gran Bretagna che ancora una volta si è autoesclusa . La stabilità economia, che passa per il pareggio di bilancio che il governo italiano si prefigge di raggiungere nel 2013, è fondamentale ma è un mezzo: il fine è il lavoro, l’occupazione, il benessere, la vita buona per le cittadine e i cittadini dell’Europa. E potremmo fare questo solo se non avremo paura ancora una volta di mettere in gioco il nostro ingegno, se non avremo paura di cedere la nostra sovranità nazionale con la speranza e la consapevolezza di incentivarla in una grande sovranità che possa passare per l’Europa federale prendendoci tutti per mano. Il secondo passo, che forse ha avuto poca diffusione e risalto nei media, merita una pari considerazione: è la mozione unitaria firmata dai partiti , tra cui l’Udc, che sostengono l’attuale governo italiano che è giusto conoscere e diffondere:

“ L’Italia si impegna a perseguire con determinazione il rafforzamento del tradizionale ruolo dell’Italia quale membro fondatore dell’Unione Europea con l’obiettivo di riaffermare il metodo comunitario quale asse centrale del processo di integrazione, riducendo il peso, oggi eccessivo, del metodo intergovernativo e rilanciando la prospettiva di un’unione federale; ad illustrare ai Paesi membri ed alle autorità istituzionali dell’Unione europea la portata delle misure adottate a più riprese nel corso del 2011 dall’Italia per il risanamento finanziario e recentemente per la competitività e la crescita, evidenziando in modo particolare l’impegno costituzionale in corso di attuazione in materia di pareggio di bilancio e l’impegno del Parlamento e di tutte le maggiori forze politiche per una scelta strategica di lungo periodo a favore di politiche di serietà e di rigore e per l’adozione del modello europeo dell’economia sociale di mercato, scelte che vengono in tal modo sottratte al variare delle contingenze mutevoli della politica, offrendo un impegno strategico e di lungo periodo

Avete sentito ragazzi? E’ ora di mettersi di gioco, è ora di tornare protagonisti, perché l’ingegno e la speranza dell’Italia e dell’Europa del futuro possano sorgere.

 

 

 

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Agenda digitale, la modernizzazione del Paese passa da qui

postato il 28 Gennaio 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

In Italia il rapporto tra politica e web non è mai stato, giusto per usare un eufemismo, dei migliori. Anziché comprendere tutte le immense potenzialità offerte da uno sviluppo consapevole della Rete e sfruttarle adeguatamente, in tutti questi anni abbiamo assistito al concepimento e all’approvazione – o tentata tale – di mostruosi decreti che rappresentano la cifra ideale dell’arretratezza culturale di larga parte della nostra classe dirigente. Decreto Pisanu, di Comma 29, di Emendamento Fava: cambiano i nomi, non la sostanza. Il problema è a monte: i difensori della libertà, anche sul Web, si trovano sempre sulla difensiva, costretti a rintuzzare gli attacchi sferrati da lobby o da parlamentari poco attenti e svegli; se si vuole invertire questa tendenza, quindi, occorre che alla difesa del principio di libertà e di neutralità sul Web, vada aggiunta l’impegno per rendere consapevole il Paese che la modernizzazione e il miglioramento del nostro sistema passano proprio da Internet. Che non è solo un canale di comunicazione alternativo, ma è uno strumento rivoluzionario.
In Italia c’è un ostacolo enorme al libero sviluppo di Internet: un divario che è infrastrutturale, economico e culturale. Infrastrutturale, perché chi vorrebbe accedere a Internet non può per l’assenza della banda larga. Economico, perché quasi il 20% delle famiglie che non ha accesso a Internet trova troppo costoso il computer o l’accesso a Internet, o entrambe le cose. Culturale, perché il 23% di chi non accede a Internet la considera inutile e non interessante, mentre il 41% vorrebbe accedere, ma non ritiene di averne le capacità. Ecco a cosa serve un’Agenda Digitale. Bisogna colmare il digital device italiano creando una nuova e diffusa consapevolezza (o meglio ancora, un vero e proprio processo di alfabetizzazione) nel Paese che Internet migliora la qualità della nostra vita e il fatto che nel Decreto Semplificazioni sia stato inserito questo riferimento è già un’ottima notizia. Nel decreto sono già inserite importante novità: dal finanziamento delle infrastrutture per la banda larga e ultra-larga (in Italia ci sono 5,6 milioni di cittadini che soffrono di gravi disagi a causa del “divario digitale”); dalla condivisione attraverso la rete dei dati in possesso delle istituzioni pubbliche, per garantire la piena trasparenza nei confronti dei cittadini e la sburocratizzazione delle pratiche (visto che i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni saranno condivisi al loro interno, senza bisogno di inutili duplicazioni); dalla creazione di spazi virtuali sul web in cui i cittadini possono scambiare opinioni, discutere dei problemi e stimolare soluzioni condivise con la pubblica amministrazione; dall’incentivazione dell’e-commerce e delle transazioni finanziarie sul Web.
È sicuramente un grande passo in avanti, ma non è ancora abbastanza. Perché – come recita la mozione di Agendadigitale.org – “il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall’elettricità. Il XXI secolo è il secolo digitale”. Finora questo principio non è riuscito a fare breccia in Italia, conservatrice per sua natura e abbastanza diffidente nei confronti di qualsiasi novità: abbiamo fiducia, invece, nel fatto che questo Governo saprà superare anche questi ostacoli e contribuire ancor di più a modernizzare il nostro Paese.
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Giorno della memoria, la necessità di purificare gli sguardi.

postato il 27 Gennaio 2012

Riceviamo e pubblichiamo di Jakob Panzeri

“Perché quello sguardo non corse fra due uomini, e se io sapessi spiegare a fondo la natura di quello sguardo avrei spiegato l’essenza della grande follia della Terza Germania” (Primo Levi, Se questo è un uomo)

Questo è ciò che pensa Primo Levi durante l’esame di chimica per passare nel nuovo commando quando il suo esaminatore, il dottor Paulitz, alzò gli occhi e lo guardò. Quello sguardo era molto diverso da quelli che solitamente un prigioniero riceveva nel campo dai kapò, non c’era odio, non c’era disprezzo, era uno sguardo tra due specie diverse scambiato come attraverso le pareti di un acquario tra due esseri che abitano mezzi diversi.

Sei milioni di vittime: è questo il tragico bilancio dello Shoa e dello sterminio degli ebrei perpetuato dal nazismo, senza dimenticare i prigionieri politici, gli omosessuali, i rom e i sinti, i portatori di handicap e i  disturbati mentalmente che ricordiamo oggi, 27 gennaio,  Giorno della Memoria, giorno in cui i cancelli di Auschwithz furono abbattuti.

Ricordare è un dovere, soprattutto ora che i sopravvissuti della deportazione ci stanno lasciando, siamo ormai  l’ultima generazione che potrà  sentire testimonianze dirette  della Shoa ed è proprio per questo che dobbiamo ancor più impegnarci a ricordare.

Porterò sempre nella mia mente e nel mio cuore il video realizzato in 3°media dopo aver letto insieme in classe “Se questo è un uomo” di Primo Levi e la visita al campo di Mauthausen , grande santuario di pietra dell’orrore umano.  E per questo non finirò mai di ringraziare i protagonisti di questo cammino che mi hanno educato ad entrare nella mia umanità.  Quel video ancora mi commuove.

Ricordare e vigilare, perché il nostro sguardo non sia come quello del dottor Paulitz, “uno sguardo tra due specie diverse scambiato come attraverso le pareti diverse di un acquario tra due esseri che abitano mezzi diversi”

 

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Risorse e merito per non essere “sfigati”

postato il 26 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marika Li Causi

Come era prevedibile l’affermazione del viceministro Martone “chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato” è stata sommersa dalle feroci critiche delle associazioni studentesche. Personalmente sono certa che l’obiettivo delle dichiarazioni del viceministro Martone era quello di incitare e stimolare i non più tanto giovani studenti ad affrettarsi a condividere i frutti derivanti dal loro impegno accademico con il mercato del lavoro e, più in generale, a infondere nei giovani la voglia di impegnarsi a “bruciare le tappe” come i coetanei europei. C’è però anche qualcosa di vero nelle lamentele dei tanti giovani che con difficoltà immani portano a termine gli studi universitari. Ad esempio una delle problematiche più diffuse che i cosiddetti  fuori corso si trovano ad affrontare è  l’obsolescenza degli insegnamenti derivante dal continuo cambiamento dei programmi dei corsi di facoltà.
Più in generale c’è dunque un problema delle università che unito agli altri problemi del mondo giovanile diventa una miscela deleteria per le nuove generazioni . Diciamocelo chiaramente: tutti questi fuori corso non saranno anche il segno che gli atenei italiani hanno bisogno di un rinnovamento finalizzato al raggiungimento di un’armonia organizzativa? Una prima soluzione al problema atavico delle università potrebbe arrivare  dagli investimenti: più investimenti creeranno più stimoli, più stimoli svilupperanno la competizione studentesca che è quanto di più auspicabile per il miglioramento dell’istruzione italiana attuale. Perché l’università, come ha ricordato Pier Ferdinando Casini, dovrebbe essere anche questione di merito.

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Digital divide, se il censimento non censisce

postato il 26 Gennaio 2012

Per il censimento del governatore Quirino in Siria e Giudea anche la Sacra Famiglia dovette scomodarsi per tornare a farsi registrare nell’oscura Betlemme, ma allora i censimenti erano una cosa seria e soprattutto i romani ci sapevano fare. Oggi nell’era di internet i censimenti sono un po’ più difficili e forse anche incompleti. Sembrerà un paradosso ma è quanto ammette la stessa Istat nel sito del censimento 2011:

Sono state predisposte due versioni di questionario, una contenente tutti i quesiti previsti dal piano di rilevazione censuaria e una in forma ridotta, allo scopo di ridurre al massimo l’onere sui rispondenti.
Il questionario ridotto viene distribuito ai due terzi delle famiglie residenti nei centri abitati dei Comuni capoluogo di provincia o con almeno 20 mila abitanti al 1° gennaio 2008, nei quali è stato possibile costruire campioni di famiglie significativi per aree sub comunali (Aree di Censimento).
Nei restanti Comuni viene utilizzato unicamente il modello in forma completa.

Se si parla di “campioni” anche un profano della materia potrebbe capire che non si tratta più di censimento della popolazione ma di un sondaggio piuttosto approfondito. Ma non è questo il punto, un’operazione statistica di questo tipo per quanto importante non mette nelle condizioni di intervenire su dei settori cruciali per lo sviluppo del Paese. Il riferimento ad esempio è ad una materia importante come il digital divide, cioè il divario esistente tra chi ha accesso al computer e ad internet e chi ne è escluso, che in base ai dati di questa rilevazione non sarebbe determinato correttamente dato che nella forma ridotta del questionario non c’è alcuna domanda sull’uso del Pc e di Internet. Ciò significa che ai due terzi delle famiglie residenti nei centri abitati dei Comuni capoluogo di provincia o con almeno 20 mila abitanti non sono state rivolte tali domande. Il censimento 2011 sarebbe stata un’ottima occasione per fare il punto sul digital divide italiano e prendere tutte le misure del caso per un’intervento senza precedenti, purtroppo in questa maniera i dati saranno ancora approssimativi con un danno evidente per i centri più piccoli che spesso sono quelli che soffrono di più del divario digitale. Una questione di rilievo visto che il governo Monti si sta muovendo per l’agenda digitale italiana, certo ci sarebbe anche la domanda sulla gestione del censimento e quindi sull’utilizzo di soldi pubblici per un’indagine incompleta, ma questa è un’altra storia.

di Adriano Frinchi

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Cari candidati sindaco che promettete di rinunciare all’indennità

postato il 26 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giovanni Villino

Sono un cittadino palermitano che ama Palermo e che riconosce il ruolo insostituibile della politica nell’amministrazione della Cosa pubblica. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un teatrino per nulla edificante. Inutile negarlo: pochi gli uomini di valore seduti tra gli scranni, molti i mediocri a urlare.

Una reazione fisiologica, in un sistema malato, è il risveglio delle coscienze. Un risveglio etichettato, a mio parere in modo errato, come antipolitica.

Ho letto su diversi siti l’annuncio fatto da alcuni candidati di rinunciare, nel caso di avvenuta elezione a primo cittadino, alla propria indennità. Queste affermazioni non risuonano per nulla nuove alle mie orecchie.

Negli ultimi anni si è fatta confusione tra gli sprechi della politica e i costi della democrazia. Il pagamento di una persona chiamata ad amministrare è quanto di più giusto possa avvenire. Questo consente, anche a chi non dispone di patrimoni o grossi redditi, di candidarsi per amministrare la cosa pubblica senza dover preoccuparsi di non potere sostenere gli oneri di un simile incarico.

Posso intuire il nobile intento che ha guidato questi candidati nell’affermare simili promesse: una scelta simbolica di rigore e solidarietà. Ma occorre, a mio modesto parere, guardarsi dai rischi che si corrono percorrendo una sottile corda: da una parte c’è il populismo, dall’altro la demagogia. E non tutti possono vantarsi di essere abili acrobati.

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Ius soli, l’inutile populismo di Grillo

postato il 25 Gennaio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

I primi a rimanerci di stucco sono stati i suoi stessi sostenitori, quelli che da alcuni anni lo seguono su internet e si sono affidati alle sue profezie. Anche Beppe Grillo non è il sant’uomo che si credeva, avranno pensato, non è il guru che rappresenta gli interessi degli indifesi, non è (più) quello che non le manda a dire ai potenti, ma sembra essersi allineato alle peggiori sparate leghiste. Il comico genovese ha preso una sua posizione sul diritto di cittadinanza ai nati in Italia, tema che tiene banco in questo periodo con diverse proposte di legge in Parlamento, campagne popolari come “L’Italia sono anch’io” e altre iniziative istituzionali, a partire dall’impegno del Presidente della Repubblica su questo fronte.

Per il Grillo nazionale, “la cittadinanza a chi nasce in Italia, anche se i genitori non ne dispongono, è senza senso”: questo perché metterebbe di fronte le opposte tifoserie, i buonisti terzomondisti della sinistra contro i leghisti alla “fora di bal”, e tanto basta per chiudere il discorso su questa battaglia di civiltà. Ma come? Proprio da Grillo dobbiamo sentire queste parole? A meravigliarsi sono stati per primi proprio i grillini del Movimento 5 stelle, quel popolo che sta crescendo, stando a quello che affermano i sondaggi, e che sullo ius soli ha idee diverse da quelle del suo leader.

In un Paese che guarda al domani e non al passato, con gli scontri ideologici e le barricate, è un dovere approfondire il discorso sulla cittadinanza agli stranieri (che poi stranieri non sono, visto che nascono e crescono insieme agli italiani). Molte forze politiche sono favorevoli a quest’apertura, il Capo dello Stato da tempo promuove questa causa, con iniziative e dichiarazioni pubbliche. Pier Ferdinando Casini ha sostanzialmente liquidato la poco commendevole uscita di Grillo come una (nuova) forma di populismo. Di queste nuove sparate populiste di Grillo non ne sentivamo il bisogno, sono ampiamente sufficienti quelle quotidiane della Lega.

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Nessun bavaglio al web, #noSopa

postato il 24 Gennaio 2012

di Giovanni Villino

Mettere il bavaglio alla rete per tutelare il diritto d’autore o per difendere da truffe e aggressioni gli utenti di Internet significa voler guardare, ancora una volta, al dito e non alla luna. Una soluzione miope e, come ha sottolineato Roberto Rao, capogruppo dell’Udc in Commissione Giustizia, “tipica di una mentalità da regime totalitario”. Oggi si torna a discutere del cosiddetto “Sopa italiano”, un emendamento presentato dal deputato della Lega, Gianni Fava. Si tratta di una norma che consente la rimozione immediata di contenuti online su qualsiasi piattaforma sulla base della richiesta di «qualunque soggetto interessato». Immediata la levata di scudi in rete. Timori e malumori sono stati intercettati da diverse forze politiche che hanno presentato emendamenti soppressivi. Tra i promotori di un controemendamento l’Udc che ha presentato il documento oggi nel corso di una conferenza stampa alla Camera. “Metteremo letteralmente nel cestino una norma che rappresenta di fatto una Sopa italiana – afferma Roberto Rao – Grazie ad alcune sentinelle della Rete, che si sono accorte meglio e prima di noi, del rischio che stava correndo il web, abbiamo affrontato la questione. Con questo, tuttavia, non mettiamo da parte i problemi legati al diritto d’autore, alle truffe o alle aggressioni in rete. Sono temi che vanno affrontanti in un provvedimento ad hoc e su cui tutti iparlamentari sono chiamati, senza paura e senza pregiudizi, a confrontarsi”.


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La rivoluzione del Project financing

postato il 24 Gennaio 2012
 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Per l’economia di un paese il capitolo infrastrutture è molto importante, non solo per l’incidenza diretta sul PIL, ma anche perché permettono di creare quelle condizioni affinchè possano sorgere nuove imprese e quelle esistenti vedano migliorata la produttività (pensiamo agli effetti che può avere una migliore rete stradale nel trasporto merci, o una migliore rete elettrica nei costi di energia per una azienda).

In tal senso il pacchetto liberalizzazioni di Monti contiene delle importanti novità e mi preme sottolineare in particolare quelle che vanno dall’articolo 42 all’art. 44 e che riguardano la partecipazione dei privati nella realizzazione di infrastrutture (tramite il project financing) e nel finanziamento delle medesime tramite i project bond (emessi dai comuni).

Il primo punto in Italia non ha mai sfondato davvero, come si vede da una indagine della Banca Europea in cui si afferma che tra il 1990 e il 2009 in Europa sono stati realizzati in project financing 1.340 progetti; di questi il 53% è stato realizzato nel Regno Unito, il 12% in Spagna, e solo il 3% in Italia.

Come mai questo ritardo in Italia? Intanto in Italia, spesso ci si aggiudica le gare, senza che però poi vi siano i finanziamenti dalle banche, con il risultato che le opere vengono bloccate, inoltre, in Italia il Project Financing è sempre stato visto come una soluzione di ripiego cui ricorrere solo in caso di mancanza di risorse pubbliche. In questo senso ha deciso di operare Monti che optato per facilitare l’apporto di risorse delle assicurazioni nel Pf, consentendo di farle rientrare tra “le riserve tecniche”, mentre nell’articolo 41 comma 5 bis i promotori privati sono obbligati a coinvolgere le banche dalla fase di presentazione del progetto. Infine, nell’articolo 42 C.2, il decreto permette al privato di avere introiti immediati tramite la gestione di opere connesse.

Tutto questo però non era sufficiente e quindi vi sono altre novità, ovvero i project bond: la nuova norma stabilisce che le società costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere obbligazioni per finanziare l’opera (project bond). Questa norma riguarda anche l’ambito pubblico, infatti comuni, province, città metropolitane e altri enti locali potranno attivare, per il finanziamento di singole opere pubbliche, prestiti obbligazionari di scopo garantiti da un apposito patrimonio destinato (che potrebbe essere costituito anche dai beni stessi del comune o dell’ente locale coinvolto). Inoltre il testo prevede il contratto di disponibilità per la realizzazione di opere, con l’obiettivo di favorire ulteriormente il partenariato pubblico-privato, applicabile sia alle opere ordinarie che alle opere di interesse strategico. Infine è stata introdotta una nuova disciplina in materia di concessioni che individua il partenariato pubblico-privato quale strumento da privilegiare per la realizzazione di nuove strutture carcerarie. I costi di realizzazione saranno finanziati interamente con capitale privato reperito attraverso strutture bancarie, che potrà essere integrato, in misura non inferiore al 20%, con il finanziamento da parte di investitori istituzionali, come le fondazioni.

 

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Imprenditoria giovanile, un euro per sognare

postato il 22 Gennaio 2012

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Uno dei punti più importanti del pacchetto di liberalizzazioni varate da Monti sono le società a responsabilità limitata (Srl) in una forma semplificata, formula riservata alle persone fisiche che non abbiano compiuto i 35 anni di età alla data della costituzione della società. In pratica, per chi ha meno di 35 anni, si apre la strada di potere fondare una Srl (società a responsabilità limitata) senza i limiti previsti per le società di capitali, come la soglia del capitale minimo e le spese notarili necessarie per la costituzione mediante atto pubblico (spese e vincoli che di fatto impediscono la nascita di molte attività da parte dei giovani), ma con un capitale sociale limitato simbolicamente ad un solo euro e la semplice comunicazione unica dell’atto costitutivo al registro delle imprese, esente da diritti di bollo e di segreteria (e senza le spese del notaio). Al verificarsi del raggiungimento del limite di età di 35 anni l’imprenditore viene escluso di diritto ex art. 2473-bis del codice civile e dovrebbe subentrare un altro socio; oppure si può trasformare la società in una diversa società di capitali ma in tal caso il socio assente o dissenziente alla delibera avrà il diritto di recedere. Non è prevista, invece, la possibilità di trasformare tale modello societario in una società di persone.

Alla luce della qualificazione di tale modello societario nel novero delle Srl si rendono applicabili alle nuove società semplificate le regole concernenti l’articolo 14 della legge n. 183/2011, il quale ha tratteggiato le regole di bilancio semplificato destinato a tale modello societario.

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