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Meno tasse sulla produttività, ma dove troviamo le risorse?

postato il 16 Settembre 2010

E’ chiaro a tutti che Berlusconi stia entrando nella modalità da campagna elettorale, ma soprattutto sa che se non agisce in qualche modo, rischia di essere politicamente contestato, magari non in Parlamento, ma sicuramente da larga parte del Paese.

Non è un mistero che da Giugno a oggi vi siano stati già molti scioperi, e molti altri se ne preannunciano, soprattutto considerando che in autunno vi farà la discussione della nuova Finanziaria 2011.

A riprova di quanto detto, pare che Berlusconi e Tremonti abbiano intenzione di iniziare una manovra tesa a isolare la CGIL, e nel frattempo dare una prima risposta agli altri sindacati e soprattutto al mondo di Confindustria, sempre più critico verso il governo, come testimoniato dalle parole della presidentessa Emma Marcegaglia che ha sostenuto che, forse, il governo oramai non c’è più.

Nel concreto, cosa ha intenzione di fare Berlusconi?

Accogliere in parte le richieste dei sindacati e di Confindustria, in modo tale da potere avere un atteggiamento più conciliante da parte delle parti sociali ed evitare un autunno di contestazioni (o quanto meno ridurle), soprattutto alla luce delle proteste che già animano il mondo della scuola e i vari settori produttivi italiani.

Sostanzialmente si vuole inserire in agenda la proroga per il 2011 della detassazione dei premi di produzione, di prorogare la tassazione agevolata per i premi produttività, ovvero la “parte flessibile” del salario.

Attualmente l’aliquota e’ fissata al 10% e vi si accede se si ha una soglia di reddito pari a 30 mila euro l’anno. La proposta di Cisl e Uil, che piace anche al governo, e’ quella di confermare lo sconto innalzando però a 40 mila euro la franchigia.

Il risultato è quello di rendere meno pesante una parte del salario, e al contempo di agevolare le aziende che pagano meno contributi e vedono stimolata la produttività, in linea con quanto richiesto da Emma Marcegaglia.

Questo non significa che tutte le proposte dei sindacati verranno accettate, infatti dalle volontà del governo sono escluse le proposte per una riduzione immediata della pressione fiscale ed un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.

Sicuramente questo provvedimento, se verrà confermato dal governo, sarebbe un passo importante per aiutare le famiglie, ma, se Berlusconi è contento per questa decisione, il problema passa al ministro Tremonti, che dovrà reperire le risorse finanziarie necessarie.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Perché non c’è ancora il Ministro per lo Sviluppo Economico?

postato il 13 Settembre 2010

‘Riceviamo e pubblichiamo’
di Gaspare Compagno
E’ chiaro a tutti che l’Italia, in economia, naviga a vista, nonostante le affermazioni di Tremonti, che anzi vengono sbugiardate dall’OCSE e dal FMI.
Certo, poi pare che Tremonti si incontra segretamente proprio con Strauss-Kahn, presiente del FMI, a proposito della situazione economica non rosea dell’Italia, e allora sorge spontanea la domanda: perché da ormai 4 mesi e mezzo manca il responsabile del Ministero per lo Sviluppo Economico?
Possibile che non ci sia una persona competente in tutta Italia, per questa carica? [Continua a leggere]

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Per l’OCSE l’Italia va indietro, si vede che non parlano con Berlusconi

postato il 10 Settembre 2010

money it's a crime di kiki99L’OCSE ha dichiarato che nel terzo trimestre di quest’anno si potrebbe avere un calo del PIL pari allo 0,3% su base trimestrale annualizzata, mentre la media dei paesi del G7 sarà pari all’1,4%, e quindi noi siamo tra gli ultimi come crescita, anzi noi bruciamo ricchezza.
Eppure il governo dice che andiamo benissimo e i conti sono a posto, e quindi viene spontanea la domanda: chi sbaglia?
Con un po’ di cattiveria si potrebbe dire che il governo si esprime e valuta le parole, mentre l’OCSE valuta i numeri, e siccome in economia contano i numeri che pesano più delle parole, ha ragione l’OCSE.

Questa affermazione, quantunque contenga un fondo di verità, è, però, troppo semplicistica.
Giustamente chi legge, avrebbe da ridire sulle affermazioni di Tremonti, perchè, guardando al proprio portafoglio, si rende conto di avere sempre meno soldi, e sempre più spese e tasse.
E allora?
Intanto premettiamo che le affermazioni dell’OCSE sono corrette e nessuno si è azzardato a smentirle, ma la cosa più importante da rilevare è che Tremonti, furbescamente, parla sempre di conti pubblici, che sono cosa ben diversa dai conti delle singole famiglie che si ritrovano ad essere sempre più povere.

L’OCSE parla del PIL che è un indicatore della ricchezza prodotta, mentre Tremonti, quando parla dei conti pubblici, si riferisce esclusivamente a quanti soldi entrano ed escono dalle casse dello Stato. Si potrebbe dire che, mentre Tremonti parla di “una parte della ricchezza”, l’OCSE, con il PIL, va a guardare tutta la ricchezza dell’Italia, ma anche così non basta, perchè, a peggiorare la situazione, Tremonti guarda una situazione statica, come se mostrasse una fotografia, mentre il PIL e l’OCSE parlano di una realtà dinamica, come un filmato, e infatti anche per il futuro l’OCSE vede nero, affermando che nel quarto trimestre, quindi nei prossimi mesi, l’Italia crescerà di un misero 0,1%, mentre la media dei paesi del G7 sarà dieci volte tanto, ovvero l’1%.

Questo mostra il grosso limite di questo governo, che, andando oltre alle dichiarazioni di Tremonti e Berlusconi, bada solo ai conti, ma non guarda alla crescita, non punta allo sviluppo, non guarda ai giovani, e a riprova di ciò, basta osservare che da più di 4 mesi manca il Ministro per lo Sviluppo Economico.
Il risultato di quanto detto è nell’assenza, in questi anni, di una politica economica tesa alla crescita, assenza che viene rimarcata nei 5 punti su cui Berlusconi vuole la fiducia, che riportano la totale assenza di una politica volta a fare crescere economicamente l’Italia e che sia a favore delle famiglie, creando un handicap per l’economia italiana che invece sarebbe, con i giusti stimoli, molto più vivace e dinamica.
A riprova di ciò basta consultare l’ISTAT, che registra per i primi 6 mesi, un grande dinamismo dell’economia privata, nonostante il governo.
Infatti l’ISTAT registra un aumento delle esportazioni, nei primi 6 mesi dell’anno, e anzi questi dati riservano parecchie sorprese.

Chi esporta di più non è il Veneto o la Lombardia, ma l’Italia Meridionale e le Isole come la Sicilia e la Sardegna se andiamo a considerare i settori che contribuiscono maggiormente alle esportazioni nazionali, osserviamo che gli incrementi più significativi si hanno per coke e prodotti petroliferi raffinati (piu’ 62,3 per cento), sostanze e prodotti chimici (piu’ 29,6 per cento), articoli farmaceutici, chimico-medicali e botanici (piu’ 18,7 per cento) e computer, apparecchi elettronici e ottici (piu’ 17,4 per cento). Chi invece segna il passo, anzi ha una flessione del 3,3% è il settore dell’abbigliamento.

Se vediamo i dati a livello regionale, osserviamo che viene facilmente confutata la tesi leghista che vuole il Sud, come una regione parassita che non produce nulla, infatti notiamo che per il coke e prodotti petroliferi raffinati le regioni che contribuiscono maggiormente alle vendite dirette verso l’estero e che registrano i maggiori incrementi settoriali sono Sardegna (piu’ 95 per cento), Liguria (piu’ 58,3 per cento), Lazio (piu’ 50,8 per cento), Lombardia (piu’ 49,5 per cento) e Sicilia (piu’ 42,4 per cento). Per le sostanze e prodotti chimici, i maggiori incrementi riguardano Sicilia (piu’ 82,1 per cento), Toscana (piu’ 41,5 per cento), Emilia Romagna (piu’ 33,7 per cento), Piemonte (piu’ 31,9 per cento), Veneto (piu’ 28,8 per cento) e Lombardia (piu’ 26,8 per cento).
Per il settore farmaceutico, che produce una parte importante del PIL italiano, osserviamo che per gli articoli farmaceutici, chimico-medicali e botanici le regioni con i maggiori incrementi sono Toscana (piu’ 98,6 per cento), Emilia-Romagna (piu’ 58,4 per cento), Lazio (piu’ 30,6 per cento), Piemonte (piu’ 18,1 per cento), Campania (piu’ 17,2 per cento) e Marche (piu’ 15,7 per cento); flessioni si registrano invece per la Lombardia (meno 1,2 per cento). Le esportazioni di computer, apparecchi elettronici e ottici sono particolarmente dinamiche da Emilia-Romagna (piu’ 25,1 per cento), Lombardia (piu’ 23,8 per cento), Piemonte (piu’ 16,3 per cento) e Toscana (piu’ 9,9 per cento); per il Veneto invece si registra una flessione (meno 2,4 per cento).

Come si vede quindi abbiamo una Italia estremamente dinamica, anche al Sud che, anzi, ha contribuito grandemente ai conti dello Stato con le sue esportazioni, anche se una parte importante di questo governo, vorrebbe cancellarlo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Fondazioni bancarie, perché la Lega può controllare le banche

postato il 1 Settembre 2010

dollar$ and ¢ents di fpsurgeonQuando Bossi, pochi mesi fa, disse che dopo le regionali voleva le banche, molti la presero come una boutade, una battuta, abituati a pensare che per controllare le banche bisogna investirci e diventare azionisti. Ebbene, non è così, la Lega può controllare le banche senza spendere un euro e, anzi, vede come una minaccia l’ingresso pesante dei libici nel capitale di Unicredit e di altre istituzioni finanziarie ed industriali italiane (va da se, che se si controllano le banche che erogano il credito si controlla il territorio e le aziende che hanno bisogno di questo credito).

Certo, l’esperienza leghista con le banche non è stata molto positiva in passato, basti ricordare il fallimento della Credieuronord, ma stavolta la Lega sembra muoversi in maniera strategica e soprattutto dimostra di avere perfettamente capito la logica di spartizione delle poltrone, come dimostra l’annuncio fatto da Bossi di avere inserito un suo uomo, Ponzellini (ex braccio destro di Prodi all’IRI e presidente di Impregilo) al vertice della Banca Popolare di Milano.

E questo è solo l’inizio.

A breve scadranno altri consigli di amministrazione di varie banche e la Lega conta di inserire i suoi uomini. Ma come potrà riuscirci senza spendere un euro?

Tramite le fondazioni bancarie, nate negli anni 90, quando si spinsero le banche a diventare Società per Azioni. Allora consistenti pacchetti di controllo furono dati appunto alle Fondazioni, degli enti che complessivamente controllano partecipazioni bancarie per un controvalore di 50 miliardi di euro, oltre al 30% della importantissima Cassa Depositi e Prestiti (quella, per intenderci, che dovrebbe finanziare i progetti di infrastrutture del governo italiano) che a sua volta è un socio forte nelle Poste Italiane (con il 35%), Eni (10%, secondo azionista dopo il Tesoro), Enel (di cui è il primo azionista con il 17,4%) e Terna (30%, primo azionista).

Quindi riassumendo: le fondazioni bancarie hanno quote azionarie importanti per controllare le banche, e per controllare la Cassa Depositi e Prestiti. A loro volta le banche e la Cassa Depositi e Prestiti controllano altre banche (Unicredit controlla, ad esempio, Banco di Roma, Banco di Sicilia e così via, e soprattutto ha una grossa quota azionaria di Mediobanca), Assicurazioni ( Generali in primis), le Poste Italiane, Enel. ENI, Terna e così via.

Quante sono queste Fondazioni? Circa 88, ma quelle realmente importanti e grosse sono 5: Fondazione Cariplo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.

E chi nomina i consigli di amminstrazione di queste 5 fondazioni (ma anche delle altre)? Sono i Sindaci, i presidenti delle Regioni, delle Province, Vescovi e così via.

Pe rintenderci, i consigli di amministrazione delle 5 fondazioni sopra menzionate sono composti complessivamente da 133 persone: 64 di loro sono di nomina politica (29 dai Comuni come quello di Torino o di Verona; 30 da Province, e 5 da Regioni); 44 sono scelti da enti vari (camere di commercio, vescovi come quello di Verona, università); 25 sono nominati direttamente per cooptazione dai componenti già in carica.

Quanto durano in carica queste persone? Molto a lungo, basti considerare ad esempio, il dott. Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, che è stato nominato nel 1997 e resterà al suo posto almeno fino al 2013. La sua nomina, per altro, fu oggetto di una battaglia “politica”: nel 1997 i leghisti, con l’appoggio di Marco Formentini, allora sindaco di Milano, provarono a nominare una loro perosna di fiducia: Stefano Preda, ma la nomina toccò a Guzzetti che è anche alla guida dell’Acri (l’associazione che raccoglie le casse di Risparmio e le Fondazioni Bancarie) da dieci anni. Ancora più lungo il periodo di “reggenza” di Paolo Biasi, imprenditore e banchiere, che dirige dal 1992 la Fondazione della Cassa di Verona, ma il suo mandato scadrà nell’Ottobre del 2010 e il Carroccio già promette battaglia per il rinnovo del cda.

A questo punto cosa accade? I cda delle Fondazioni bancarie, ovviamente, possono nominare alcuni membri dei cda delle banche e delle società sopra menzionate, condizionandone, quindi, le strategie, ma i giochi possono essere sparigliati dagli altri soci di queste società, soprattutto se sono soci forti, con grossi capitali e slegati dalla vita politica ed economica italiana.

Da questa considerazione, si capisce perchè la Lega abbia visto molto male e anzi abbia “protestato” quando è stato reso noto che la Libia vuole arrivare al 20% dell’ENI e al 10% del capitale di Unicredit, diventando così il primo socio di riferimento di questi colossi, proteste veementi da parte di alcuni suoi membri, ad uso del loro elettorato, mentre altri membri come Zaia si dimostrano molto più malleabili e disponibili a scendere a patti con i nuovi soci forti, dimostrando che al di là dei proclami, ciò che conta è il business.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Il sostegno che manca alla famiglia

postato il 30 Agosto 2010

Paternità, di GeomangioLo avevano detto tempo fa vari istituti come Banca d’Italia, Istat e altri ancora: le famiglie sono sempre più povere e sono poco sostenute economicamente.

Adesso anche il ministero del Tesoro certifica questa triste realtà, come si evince questa notizia ANSA: WELFARE: TESORO, ITALIA ULTIMA IN UE-15 PER SPESA FAMIGLIA

CON PORTOGALLO E SPAGNA FANALINO CODA PER SOSTEGNO MATERNITA’ (ANSA) – ROMA, 28 AGO – Per la famiglia e la maternita’ l’Italia spende solo l’1,2% del prodotto interno lordo, mentre nell’Unione europea si spende decisamente di piu’ (2,1% nella Ue a 15 e 2,0% nella Ue a 27). Nella classifica dell’Europa a 15 l’Italia risulta, assieme alla Spagna e il Portogallo, ultima per la spesa in rapporto al Pil. Per quanto riguarda invece la quota di spesa nell’ambito di tutte le prestazioni di protezione sociale, l’Italia tra i 27 Paesi europei precede solo la Polonia: nel nostro Paese la quota per la famiglia e la maternita’, nell’ambito della spesa per welfare, pesa il 4,7% (in Polonia il 4,5%). Ma la media complessiva dei Paesi europei e’ dell’8%. E’ quanto risulta dall’ultima ‘Relazione Generale sulla situazione economica del Paese’ del ministero dell’Economia.

Come si vede la situazione non è allegra, anzi è drammatica per le famiglie, e i numeri non mentono, nulla di nuovo, una realtà che la gente vive ogni giorno.

Una realtà triste, che denota la totale assenza del governo su questo capitolo importante, assenza che si ritrova anche nei famosi 5 punti di Berlusconi, che non presentano interventi a favore delle famiglie, tanto che lo stesso Sacconi, ieri al Corriere della Sera ha dichiarato testualmente: ”meno Stato, piu’ societa’. Non piu’ ‘mercato’, piu’ societa”’. ”Con la crisi mondiale finisce il Leviatano. Finisce lo Stato pesante e invasivo”, facendo prefigurare che lo Stato “più leggero” si tradurrà anche in futuro in meno sostegno all’economia e alle famiglie.

Anche se in linea con sue affermazioni passate, in cui ad esempio incoraggiava la chiusura di ospedali in Veneto (gelando così i costruttori veneti che così si ritrovano con 4 miliardi in meno di investimenti pubblici e 20.000 posti di lavoro in meno nel solo Veneto), la formula “meno Stato” appare di per sé preoccupante; non c’è bisogno di azzerare lo Stato ma di uno Stato più equo, che faccia rispettare la legge, e che sia oculato nello spendere le sue risorse avendo come obbiettivo il sostegno delle famiglie e la crescita economica dell’Italia.

Soprattutto, le dichiarazioni di Sacconi, e l’assenza della famiglia nelle manovre di Tremonti e nei 5 punti di Berlusconi, stridono con l’iniziale programma di governo in cui era stata inserita la promessa di una politica organica di aiuto alle famiglie.

Bisogna, invece, rilanciare una politica del lavoro e una politica di sostegno verso le famiglie, anche portando avanti la proposta del quoziente familiare, come sostenuto dall’on. Volontè che ha testualmente detto: “L’Italia e’ ultima nella Ue per le spese a favore delle famiglie, quindi e’ la prima in ingiustizia fiscale. Il Ministero del Tesoro certifica la drammatica realta’. Ora il Governo mantenga impegni su fisco familiare. Il ‘quoziente’ e’ una urgenza indifferibile”.

Ma cosa è il quoziente familiare?

Si tratta di modificare le traadizionali fasce ISEE (acronimo per Indicatore Situazione Economica Equivalente) in base al nuovo parametro, infatti, si otterrebbe che i nuclei con due o più figli possano avere una diminuzione dei costi dei vari servizi, con benefici in termini concreti anche di un centinaio di euro all’anno per ogni figlio.

Una proposta di facile esecuzione, e con un impatto limitato sui conti pubblici, ma che permetterebbe di dare un sostegno concreto alle famiglie, che sono non solo sostegno sociale, ma anche economico dell’Italia intera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Un esempio di ottima politica economica: la Germania

postato il 27 Agosto 2010

In questi giorni si è avuta la conferma che per alcune nazioni, la ripresa è dietro l’angolo: uno di questi è la Germania che sta tornando a correre, occupando di nuovo il suo posto di locomotiva d’Europa.
E’ probabile che la Germania chiuda il 2010 con un numero medio di disoccupati pari a 3,2 milioni, 250mila in meno rispetto al 2009 e oltre 1,5 milioni in meno rispetto a cinque anni fa.
In pratica come se la crisi mondiale non ci fosse stata.

Già da alcuni mesi la Germania, governata da un governo di larghe intese e guidata da Angela Merkel, ha dato segni di un notevole risveglio economico: il PIL è cresciuto del 2,2% contro l’1% dell’Europa, nonostante la Germania abbia varato una manovra correttiva molto più pesante (circa 70 miliardi di euro distribuiti tra tagli e maggiori tasse, nell’ordine di 10 miliardi di euro da ora al 2016) di quella di altre nazioni europee, mentre l’indice IFO ha registrato un rialzo dell’indice di fiducia nelle imprese tedesche a 106,7 punti nel mese di agosto, rispetto ai 106,2 di luglio e contro le attese degli analisti di una soglia pari a 105,7. I dati, inoltre, fanno segnare una forte crescita degli investimenti e una ripresa della domanda dalle principali economie emergenti. La crescita del 2,2 per cento dell’economia tedesca nel secondo trimestre fa sperare le imprese, ma potrebbe andare meglio e la Bundesbank ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il Paese nel 2010 a un più 3 per cento.

Le esportazioni sono aumentate dell’8,2 per cento nella prima metà dell’anno. Su tutto questo, le industrie premono perché il governo liberalizzi le norme per l’immigrazione e il permesso di lavoro degli stranieri qualificati. Il governo è diviso, il ministro dell´Interno si dice contrario, ma la carenza di personale minaccia di frenare la crescita tedesca che si indirizza soprattutto nell’export verso paesi extra UE, come la la Cina e il Brasile, senza dimenticare la Russia, il Sud Africa e altre zone del Far East asiatico.

Come sono stati raggiunti questi risultati?
La Germania ha saputo rafforzare la sua capacità manifatturiera favorendo e sostenendo la capacità di ricerca e innovazione e incoraggiando l’immigrazione di personale qualificato anche da altre nazioni, non solo della UE, ma anche extracomunitari, ottenendo in tal modo grande ammodernamento tecnologico, qualità e la possibilità di essere rapidamente aggiornato sulle nuove tecnologie. Su tutto ciò la Merkel è stata molto abile: nei suoi viaggi ha saputo lanciare al massimo il marchio “Germania” come sinonimo di affidabilità, qualità e serietà, anche grazie alla sua serietà riconosciuta da tutti i leader mondiali.

Ecco la Germania vincente, che incoraggia la ricerca, con la Siemens in Cina e in Brasile (alta velocità ferroviaria, impianti per l’energia rinnovabile), la Bmw e la Volkwagen, e altre aziende. Per fare ciò ci vuole anche il coraggio di prendere delle scelte a volte difficili: la Germania ha deciso, ad esempio, di imporre una tassazione aggiuntiva per le banche con l’obbiettivo di racimolare 1,5 miliardi di euro annui da destinare ad un fondo di sostegno per le stesse banche in crisi.

Investendo moltissimo sulla produttività e con dei sindacati responsabili che hanno partecipato all’operazione, accettando modifiche dei salari e degli orari in cambio di tutela dell’occupazione.
E il resto d’Europa? L’Italia ha delle caratteristiche simili, per certi versi, alla Germania, a partire proprio dall’industria: siamo il secondo paese manifatturiero del continente, dopo i tedeschi, ma a differenza dei tedeschi il sistema pubblico, la politica, i sindacati, sono meno attivi nel sostegno all’industria e alla sua espansione internazionale.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Il Decreto incentivi e il caso Mondadori

postato il 21 Agosto 2010

Il decreto legge n. 40 del 25 marzo, e convertito in legge dal parlamento in data 22 maggio, ha già un soprannome: legge salva-Mondadori.

Perchè?

La norma in realtà, è generica, ma sembra essere tagliata sulle esigenze di Mondadori.

Se andiamo a studiare la Legge, osserviamo che questa inizia bene, si prefigge di combattere attivamente l’evasione e l’elusione fiscale attuata tramite le cosiddette “cartiere” e i “caroselli”, ovvero la creazione di società fittizie e di comodo, poi però presenta all’art. 3 comma 2 bis il seguente dispositivo: “le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalita’: (…) b) le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia (…)”.

Che significa?

Che se una azienda ha un contenzioso con l’amministrazione finanziaria per avere evaso tasse, o per reati similari, e la vertenza dura da almeno dieci anni con due gradi di giudizio già conclusi positivamente per l’azienda, quest’ultima paga solamente il 5% di quanto dovuto e la vertenza si chiude.

E qui entra in pieno la Mondadori: nel 1991 la guardia di finanza commina una multa di 200 miliardi di imposte da versare (circa 100 milioni di euro), a cui la Mondadori oppone immediato ricorso che, tra alterne vicende, si trascina fino ai gironi nostri, quando sta per concludersi il terzo grado di giudizio.

Nel frattempo la multa, comprensiva di interessi, spese giudiziali e altro, è lievitata fino a 350 milioni di euro, ma, grazie alla nuova la legge, tutto il procedimento si chiuderà con una multa di soli 8,6 milioni di euro (il famoso 5%, che viene calcolato non sulla cifra totale, 350 milioni appunto, ma su una cifra molto inferiore, ovvero 180 milioni di euro, togliendo interessi maturati e altre spese).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Condono Fiscale: un ulteriore sconto agli evasori

postato il 18 Agosto 2010

Il Condono Fiscale del 2002-2004 riserva ulteriori sorprese: stando ai dati raccolti dall’associazione “Legalità ed Equità fiscale” (LEF) chi ha aderito a quel condono fiscale, ottenendo il perdono fiscale e penale, ha versato solo una parte di quanto pattuito con l’agenzia delle Entrate.

Ciò era già stata denunciata dalla Corte dei Conti che nel 2008 aveva valutato in 5,2 miliardi di euro la cifra mancante all’appello. Dal 2008 ad oggi la situazione è cambiata di poco, infatti la LEF ha dichiarato che lo Stato italiano attende ancora 4,6 miliardi di euro (ovvero 1/5 della manovra correttiva di Tremonti) nonostante sia stata semplificata la procedura per la riscossione coattiva da parte del fisco.

In pratica, chi ha aderito al condono fiscale del 2002 doveva versare al fisco una percentuale dei capitali non dichiarati, ottenendo in cambio non solo il “perdono fiscale”, ma anche il “perdono penale”, limitandosi a pagare solo una parte di quanto dovuto, e poi “scordandosi” di pagare il resto.

Ma come si è potuti arrivare a ciò?

Stando all’associazione, la responsabilità è del governo Berlusconi che, avrebbe elaborato un meccanismo con una grossa “dimenticanza”: prevedere l’inefficacia del “perdono” per gli evasori che avessero mancato di pagare interamente l’importo stabilito per l’accesso al condono. Con questo meccanismo, chi già aveva violato la legge evadendo le tasse, ha incassato il condono sul piano tributario e penale, pur senza aver chiuso i conti con il Fisco.

Andando più nello specifico, l’ammanco è reso possibile dalla normativa che aveva stabilito che per gli importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche, e 6.000 per le società, era sufficiente versare la prima rata per rendere valido il condono. Dopo l’analisi della Corte dei conti si era cercato di rimediare facilitando la riscossione delle somme dovute permettendo al concessionario della riscossione di agire direttamente in via di espropriazione immobiliare per i debiti da condono iscritti a ruolo di importo superiore a 5.000 euro, senza dovere prima procedere all’iscrizione di ipoteca ed attendere ulteriori 6 mesi per l’esecuzione ( art. 16 bis della L.189/2002, introdotto dall’art. 32 del Dl. 185/2008). Inoltre, per attingere notizie sulla situazione finanziaria del debitore, è stato consentito all’agente della riscossione, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale di pagamento, di accedere ai dati relativi ai rapporti bancari del contribuente moroso.

Il provvedimento non ha sortito un effetto di rilievo, infatti risulta che fino a fine gennaio 2010 il recupero delle somme riscosse in via coattiva si è fermato a 786 milioni di euro, portando le somme ancora dovute, e a questo punto di improbabile esazione, a 4,6 mld, pari a circa il 18% del totale delle somme dovute.

Come mai il governo non aveva previsto tutto ciò? Per il semplice motivo che il governo Berlusconi, per rendere più appetibile l’adesione alla sanatoria fiscale e fare cassa, non ha vincolato l’efficacia del condono al versamento dell’intera somma dovuta. Infatti, nel caso di importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche e a 6.000 euro per gli altri soggetti passivi ( società, enti, etc.), il governo ha consentito di godere dei benefici del condono con la presentazione della relativa dichiarazione, se prevista, ed il versamento della sola prima rata.

In pratica, quando la somma da versare eccedeva gli importi sopra menzionati, la parte eccedente poteva essere versata in due rate successive di pari importo, senza però che l’omesso pagamento di esse determinasse l’inefficacia del condono. In caso di mancato o insufficiente versamento delle somme rateizzate si sarebbe proceduto al loro recupero in via di riscossione coattiva, mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo ex art. 14 del dpr. 602/73 assieme agli interessi legali e alla sanzione amministrativa pari al 30 % delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento nei 30 giorni dalla scadenza.

Quindi, bastava pagare la prima rata di 3.000 euro per avere i benefici di legge, anche se nelle altre rate si dovevano pagare importi milionari, ottenendo “la definizione dell’accertamento in sede fiscale e l’esclusione della punibilità per i reati tributari e per quelli non tributari connessi, in relazione ai quali non avesse avuto ancora formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale”.

Ma quali sono questi reati penali, per i quali l’evasore che ha aderito, ha ottenuto l’impunibilità?

Si tratta dei reati di: dichiarazione fraudolenta o altri documenti per operazioni inesistenti ( art. 2, dlgs. 74/2000), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ( art. 3,..), dichiarazione infedele ( art. 4..), omessa dichiarazione ( art. 5..), occultamento o distruzione di documenti contabili ( art. 10..), nonché ai reati di falsità materiale commessa dal privato ( art. 482 c.p.), falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ( art. 483 c.p.), falsità in registri e notificazioni ( art. 484 c.p.), falsità in scritture private ( art. 485 c.p.), uso di atto falso ( art. 489 c.p.), soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (art. 490 c.p.), falsità concernenti documenti informatici ( 490 bis c.p.), falsità concernenti copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti ( art. 492 c.p.), false comunicazioni sociali ( art. 261 c.c.), false comunicazioni sociali in danno dei soci e dei creditori ( art. 2622 c.c.), falso in prospetto ( art. 2623 c.c.).

In pratica con il pagamento di soli 3.000 euro, gli evasori hanno ottenuto un ulteriore sconto rispetto a quanto dovuto e il decadimento di tutti i reati penali.

Direi un ottimo affare per loro, molto meno per i cittadini onesti.

“Riceviamo e pubblichiamo”, di Gaspare Compagno

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Gli Italiani senza soldi non vanno in vacanza, ma il PIL cresce

postato il 9 Agosto 2010


di Gaspare Compagno.

Stando al Censis 6 italiani su dieci non andranno in vacanza. Eppure i telegiornali ci mostrano code interminabili sulle autostrade, città d’arte piene, come anche le spiagge e a questo si aggiunge la crescita del PIL, che, ci spiegano, significa un aumento di ricchezza.

Ma è davvero così? I dati bisogna saperli leggere e mettere in relazione. Intanto partiamo dai dati del Censis: solamente poco più del 40% degli italiani potrà permettersi di andare in vacanza a causa della crisi economica che ha fatto perdere il lavoro a centinaia di migliaia di persone. Più nello specifico: meno del 18% delle famiglie italiane a basso reddito potrà permettersi di partire per una vacanza anche breve, mentre per le famiglie a reddito medio il discorso è leggermente migliore, infatti il 46% delle famiglie potranno godersi una breve vacanza.

Il segreto di tutto è proprio nel termine “breve”: a causa dei costi e della minore disponibilità finanziaria, gli italiani riducono i giorni dedicati alla villeggiatura, riducendosi per di più ad una sola settimana. E le città d’arte e le spiagge prese d’assalto? Semplice, spesso si tratta dei residenti medesimi: considerando che la maggior parte degli italiani vive in città considerate “d’arte” o in prossimità di località di montagna o di mare, è facile che i servizi facciano vedere tantissime persone, le quali però non sono turisti.

Sembra strano, ma non lo è, se consideriamo che, secondo il Censis, circa il 58% di cittadini non potrà andare in vacanza e quindi si accontenterà di passare il week end in giro per la propria città. Questi dati sono in linea con i precedenti studi pubblicati dall’ISTAT e da Banca d’Italia che disegnano un quadro di progressivo impoverimento.


Come si spiega questo con la notizia della crescita del PIL? Semplice, l’aumento del PIL non misura la ricchezza degli italiani come soggetti, ma misura quanto viene “prodotto” da una nazione, con il risultato che si può produrre moltissimo e destinare tutto all’esportazione (perché magari il mercato interno è inesistente), o la produzione può essere slegata all’aumento di occupazione.

Un controsenso? Non tanto, se consideriamo il progresso tecnologico che permette di produrre sempre di più con minore personale. Gli esempi sono tantissimi: il più noto è, per noi, la Fiat che in Italia produce lo stesso numero di auto che produce in Brasile, ma con il triplo di impiegati, e anche la STMicroelectronics, ad esempio, produce molto di più con meno dipendenti. In tal senso sono da leggere le dichiarazioni di Telecom che annuncia 3900 licenziamenti anche se mascherati da “messa in mobilità”; o di Unicredit che annuncia 4700 esuberi, come anche la chiusura della Bialetti in Piemonte, della Glaxo in Veneto o della Omsa in Romagna. Quindi, spiace per chi canta “vittoria” nel governo leggendo le stime del PIL, ma gli Italiani sanno bene quale è la realtà economica che attanaglia l’Italia per ora.

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Cedolare secca al 25% e imposte comunali, batosta per i cittadini

postato il 3 Agosto 2010

“Riceviamo e pubblichiamo”

di Gaspare Compagno

Domani si avrà l’ufficialità definitiva, ma pare che il Consiglio dei ministri darà vita alla cedolare secca e a una variante della Imu (Imposta Municipale Unica).

Contrariamente a quanto auspicato, questi provvedimenti minacciano di agevolare i redditi alti ed essere un salasso per i redditi bassi, come si può vedere da un rapido calcolo e vedendo le cifre in ballo.

Si parlava di una cedolare secca al 20%,  che sarebbe stata, quanto meno, equa per i redditi bassi (se non una agevolazione per chi è in affitto, vista la deducibilità), ma adesso si parla apertamente di una cedolare secca al 25%, introdotta a partire da Gennaio 2011, che significa un salasso per i redditi bassi, perché, come dice Confedilizia, per i piccoli proprietari di casa, la rendita da affitto è quasi nulla, considerando tasse e balzelli vari. [Continua a leggere]

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