Tutti i post della categoria: Economia

Sull’aumento dell’IVA

postato il 25 Giugno 2013

5889082-paniere-riempito-con-frutta-fresca-e-ortaggi-640x571Riceviamo e pubblichiamo di Mario Pezzati

La prima cosa da specificare è che questo aumento non riguarda i generi alimentari prima necessità e tutti i beni che hanno IVA agevolata al 4% e che sono ritenuti fondamentali e di prima necessità. Certo l’auto avrà questo aumento, ma mentre il pane o il latte sono imprescindibili, lo stesso non si può dire per l’auto nuova.

Nei giorni precedenti le varie parti politiche e i rappresentanti del governo hanno parlato di questo aumento, e a mio avviso uno dei più chiari è stato il ministro dello Sviluppo Economico Zanonato quando ha affermato: “Non è che non voglio bloccare l’aumento dell’IVA. Dico che è molto difficile trovare le coperture, visto il poco tempo a disposizione”. Ma quanto servirebbe per coprire il mancato aumento dell’IVA? Circa 4 miliardi, ragione per la quale, l’aumento può essere posticipato, ma non evitato.

L’emendamento è stato approvato dal governo Berlusconi il 17 settembre 2011, per rimediare al pareggio di bilancio nel 2013, come da impegni presi con l’Unione Europea. Per questo motivo, al testo della legge venne inserita nell’agenda di governo l’aumento dell’IVA, attraverso una “rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa” in sostituzione della revisione. A mettere tutto in pratica, Mario Monti, che nel decreto salva-Italia stabilì l’aumento di due punti delle aliquote del 10 e del 21 per cento, dal primo ottobre 2012, e di altro mezzo punto dal 2014, per un importo del valore di 16,4 miliardi a regime dal 2014.
Finora, attraverso i tagli sulla spesa pubblica e altre manovre, nessuno di questi aumenti è scattato, tranne la questione dell’aumento dell’Iva che vale 4,2 miliardi l’anno

Ma davvero non vi sono alternative? Secondo alcuni la soluzione ci sarebbe, ma anche qui impone di trovare risorse non indifferenti: come è stato detto in passato anche qui, la Pubblica Amministrazione ha un debito verso fornitori privati pari a circa 60-80 miliardi di euro, e si sta provando a saldare questo debito; purtroppo la procedura è lenta (anche per non creare tensioni nelle uscite di cassa del Ministero del Tesoro).

Come si lega questo debito all’aumento dell’IVA? Molto semplicemente, se acceleriamo sul pagamento della pubblica amministrazione dei debiti alle imprese e oltre ai 40 miliardi già stanziati, ne rimborsiamo altri 15, otteniamo Iva aggiuntiva per almeno un paio di miliardi.

Questo provvedimento permetterebbe di bloccare l’aumento dell’IVA per tutto quest’anno e forse eliminarlo definitivamente con la legge di stabilità in autunno.

Purtroppo anche questa soluzione non è esente da problemi, e presenta alcuni rischi.

La Ragioneria Generale dello Stato ha già esaminato la questione nella relazione tecnica del decreto sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Il primo ostacolo da superare è che lo Stato non ha in cassa i 15 miliardi necessari a finanziare questa spesa aggiuntiva, a meno che non si vada sul mercato ed emettere Bot e Btp. Insomma, se è vero che il deficit non aumenta, è vero anche ad aumentare sarebbe il debito. I 40 miliardi già messi in pagamento, costeranno alle casse pubbliche circa 2 miliardi in più di interessi passivi. Il governo ha recuperato le risorse per pagare queste somme dalla contabilità 1778 dell’Agenzia delle Entrate, quella con la quale il Fisco rimborsa ai contribuenti i crediti d’imposta.

La seconda difficoltà è convincere i mercati che l’Italia può ancora indebitarsi senza mettere a rischio la tenuta dei suoi conti. Le tensioni sullo spread stanno tornando, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Bernanke che di fatto ha vanificato in questi giorni l’obbiettivo di portare lo spread sotto quota 200.

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Ilva, Parlamento chiamato a un attento esame. Lettera al direttore Roberto Napoletano, pubblicata sul Sole24Ore.

postato il 6 Giugno 2013

Caro Direttore,

sarebbe fatale se le imprese estere che sono presenti in Italia o che potrebbero investire nel nostro Paese avessero da temere da una forma non chiara di intervento dello Stato che limiti la libertà economica. Il provvedimento del governo su Ilva rappresenta un “brutto precedente” come denunciato ieri da queste colonne? Una ipotesi simile non può neppure essere presa in considerazione. L’interesse nazionale è una categoria politica che stenta ad affermarsi nel dibattito ma non può sfuggire a nessuno che abbia ruoli nelle istituzioni repubblicane. Il compito del governo non è quello di intromettersi in un procedimento giudiziario (ancora nella fase delle indagini preliminari). Piuttosto, l’esecutivo deve garantire che i soggetti economici operanti in Italia corrispondano ai loro doveri senza che vengano calpestati i loro diritti. In questo senso, i contenuti del decreto legge varato dal governo dovranno essere esaminati con particolare attenzione dal Parlamento. Va sventato il rischio dell’esproprio di fatto e anche quello della manleva per decreto. Soprattutto è doveroso per il legislatore evitare che per inseguire un presunto beneficio sul presente si determini un danno sicuro per il futuro. Chi potrebbe garantire che un domani, con motivazioni ambientali non supportate neppure da una sentenza, si determini un vulnus così grave del principio della libertà di impresa? La tutela dell’ambiente e della salute è un valore sul quale non si discute, ma non si può accettare che questi valori siano utilizzati come un grimaldello per minare la capacità produttiva del Paese.
Le imprese estere, così come quelle italiane, è giusto che sappiano che il governo – nel rispetto delle leggi – non è disponibile a vedere compromesso il suo Pil ed il suo tesoro che deriva dall’essere fra le prime potenze manifatturiere in Europa. È stata la linea del governo Monti (sostenuta a larghissima maggioranza dal Parlamento) e deve essere la linea del governo Letta, senza ingenerare equivoci di sorta. Chi investe da noi può avere consapevolezza che non resterà in mezzo al guado e che la difesa e la promozione dell’interesse nazionale passa anche dal riconoscimento dei settori economici strategici, come è appunto lo stabilimento Ilva di Taranto.
Il decreto deve essere oggetto di una riflessione critica e non escludo che il Parlamento possa intervenire con una indagine conoscitiva ad hoc su quanto accaduto a Taranto.
Intanto, è fondamentale che il nostro Paese ponga, anche e soprattutto in sede europea, il tema di una più efficace ed armonica regolamentazione degli aspetti ambientali e sanitari nell’ambito delle attività produttive. Il principio che deve essere chiaro è doppio: senza imprese non può esserci nè sviluppo nè occupazione e, allo stesso modo, Italia e Ue non possono competere sui mercati globali se non scommettendo sulla sostenibilità. Ilva deve essere, in questo senso, l’occasione di un bel precedente. Oggi può sembrare una illusione ma dobbiamo crederci e riuscirci.

Pier Ferdinando Casini, presidente Commissione Affari esteri – Senato

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UE, ringrazio Polenz per la presa di distanza da Oettinger

postato il 30 Maggio 2013

Il commissario europeo Guenther Oettinger ha espresso giudizi superficiali e ingiusti sulla capacità, dimostrata, dell’Italia di rimettere i propri conti apposto. Non è giusto disconoscere in questo modo la capacità di governo dei Paesi membri dell’UE, faccio mie le parole del presidente della Commissione Esteri del Bundestag, Ruprecht Polenz, che ringrazio pubblicamente per questa sua presa di distanza dal commissario europeo Guenther Oettinger.
In un momento così delicato per la costruzione europea credo che sarebbe utile per tutti e soprattutto per chi ha responsabilità importanti, astenersi da dichiarazioni estemporanee e improprie. Ho appena mandato una lettera al presidente Polenz invitandolo in Italia per confrontarci sugli sviluppi della difficile situazione economica del nostro continente.

Pier Ferdinando Casini
Presidente della Commissione Esteri – Senato della Repubblica

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Anche gli svizzeri scaricano Berlusconi: niente soldi per l’Imu.

postato il 24 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Berlusconi aveva detto che avrebbe restituito l’Imu grazie ad un accordo con la Svizzera. Peccato che nessuno abbia avvisato il governo svizzero che ,in maniera garbata,  ha fatto sapere che non è disponibile ad un accordo.

E soprattutto hanno anche specificato che il gettito di un eventuale accordo non potrà essere usato per rimborsare l’Imu 2012. E sapete perché?

Intanto perché le trattative sono ad un punto morto e non si sa se e quando verranno chiuse; ma soprattutto, fa sapere Eveline Widmer Schlumpf, ministro delle finanza svizzero, che anche se per magia si riuscisse a firmare gli accordi quest’anno (cosa ritenuta altamente improbabile dagli svizzeri), i soldi arriveranno molto dopo.

Anzi, precisa il ministro svizzero “è difficile prevedere un’entrata in vigore prima del 1 gennaio 2015”.

A questo punto la domanda è scontata: come farà Berlusconi a rimborsare l’Imu prima casa e coprire i costi delle mancate entrate per il 2013?

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Una valutazione oggettiva sui programmi dei candidati: Monti, Pdl e Pd a confronto

postato il 19 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

All’estero hanno provato a stilare una classifica per valutare pregi e difetti dei vari programmi dei candidati alle elezioni. Dalle analisi è stato escluso Grillo e non per cattiveria, ma perché come al solito il comico genovese ha escluso ogni contradditorio e non ha fornito cifre concrete sul suo programma, preferendo evitare di rispondere, mentre il PD ha preferito rispondere senza mettere dati (che sono stati desunti dalle dichiarazioni dei loro rappresentanti nell’ultimo mese).

Cosa viene fuori?

Secondo Oxford Economics il risultato è assolutamente interessante (in questo link è consultabile tutto il rapporto che è in inglese: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_Oxford-Economics.shtml ,mentre in quest’altro link potete vedere sinteticamente i dati numerici: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_candidati.shtml).

Viene fuori che il punto cardine del programma del PDL, ovvero la cancellazione contabile di 400 miliardi di debito pubblico tramite vendita di immobili, non è facilmente realizzabile. Perché? Perché difficilmente l’Unione Europea la accetterebbe nei termini proposti da Berlusconi e soprattutto non sarebbe accettata dai mercati che non è detto farebbero diminuire i tassi d’interesse sul debito italiano in base a un accorgimento tecnico. Resta anche il dubbio sulla possibilità per il mercato  di assorbire queste vendite (400 miliardi non sono una bazzecola) e di pagare le cifre ipotizzate da Berlusconi (che succede se le aste vanno deserte? Ricordo a tutti che Tremonti ci ha provato due volte con le SCIP 1 e 2, ottenendo solo ingenti perdite per il governo). Questo mette a rischio il resto del programma del PDL che punta decisamente a PIL e occupazione, ma mettendo a spese del deficit pubblico italiano e basterebbe che qualche previsione non si avverasse per fare dichiarare fallimento all’Italia. Insomma risulta un programma molto rischioso. Inoltre il reddito delle famiglie, nelle previsioni del PDL, crescerebbe meno che con il programma di Monti.

Intendiamoci anche gli altri programmi prevedono massicce privatizzazioni, ma non ne hanno fatto il punto centrale del programma come nel caso del PDL, e non raggiungono le dimensioni vagheggiate da Berlusconi risultando più prudenti e quindi più “sicuri”

Il problema del PD è di natura diversa. Il programma di Bersani prevede una crescita modesta del PIL nel 2014 (+0,4%), e u poco più alto negli anni successivi (+1,4%), ma non sarebbe sufficiente a fare scattare una riduzione significativa della disoccupazione (attualmente poco sopra il 12%). Di contro il deficit pubblico scenderebbe progressivamente dal 2,2 per cento del Pil nel 2013 all’1,1 per cento del 2018: un miglioramento rispetto all’andamento a politiche correnti dello 0,2 per cento. Il debito calerebbe dal 126,5 per cento del Pil nel 2013 al 117,4 per cento nel 2018.

E Monti?

Anche il suo programma ha alcune ombre che sono all’inizio: questo programma porta a una crescita piuttosto bassa del Pil nel 2013-2014, ma negli anni successivi si avrebbe la crescita economica più vigorosa (rispetto agli altri programmi) e addirittura nel 2018 il PIL con le misure di Monti crescerebbe dell’1,8 per cento annuo. La disoccupazione si ridurrebbe lentamente nel corso degli anni, già dall’anno prossimo vi sarebbe un netto miglioramento del reddito delle famiglie grazie ad una diminuzione delle tasse. Il deficit è sotto controllo più di quanto non lo sia nei programmi delle altre liste: scende sotto l’1% del Pil nel 2018 (lo 0,5% meglio dello scenario di base di Oxford Economics). Il debito scende dal 125,7% del 2013 al 112,1% nel 2018. Insomma il programma di Monti viene giudicato più “serio” degli altri, e porterebbe ad un netto miglioramento dei conti pubblici e della situazione delle famiglie.

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Caro Grillo, dove prendi questi soldi?

postato il 12 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Grillo ha deciso di seguire il suo maestro Berlusconi, in tutto e per tutto: prima nella gestione del partito (entrambi non tollerano il dissenso interno e chi non esegue gli ordini è estromesso dal partito), entrambi organizzano eventi show in televisione (Grillo pare che stia trattando per fare una serata a Porta a Porta la settimana prima delle elezioni), e soprattutto entrambi si lanciano in mirabolanti promesse irrealizzabili.

Quella di Grillo è semplice: dare soldi.

A parte che Grillo si confonde tra “reddito di cittadinanza” e “sussidio di disoccupazione” (e non è solo una questione semantica perché l’uno è aperto a tutti i cittadini, l’altro solo ai disoccupati), la sua ultima proposta prevede di dare 1000 euro al mese per 3 anni ai disoccupati.

E’ stupendo. Ma irrealizzabile.

Perché? Intendiamoci, a me piace questa proposta, ma mi si deve dire concretamente dove prendere i soldi. Grillo dice dai 98 miliardi che Berlusconi regalò alle aziende di slot machine, peccato che ormai non siano più esigibili e anzi vi sono sentenze di tribunale che ci impediscono di richiedere questi soldi.

Quindi torno a chiedere: da dove prendiamo i soldi?

Domanda fondamentale, perché non parliamo di spiccioli, e Grillo non può uscirsene con delle idee (le slot machine di cui sopra) bislacche e irrealizzabili. Dimostra solo la sua totale e assoluta ignoranza di quello che parla e propone, fermandosi solo alla superficie.

Facciamo due conti.

In Italia abbiamo 3 milioni di disoccupati. Se ad ognuno diamo 1000 euro, significa che lo stato italiano dovrebbe spendere 3 miliardi di euro (prendete una calcolatrice e fate 3 milioni * 1000).

Ma non è finita, perché la proposta di grillo prevede che questa cifra sia mensile, e quindi dobbiamo moltiplicare 3 miliardi per 12 mensilità: totale 36 miliardi di euro.

In pratica, seguendo la proposta di Grillo, lo Stato ogni anno dovrebbe tirare fuori circa 36 miliardi di euro.

Vista l’enormità della cifra, io torno a chiedere: dove prendiamo questi soldi? Mistero.

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90 miliardi di bugie

postato il 11 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Quale mirabolante idea hanno partorito ultimamente Bersani e Berlusconi? Pagare i debiti della pubblica amministrazione tramite altri debiti. Dimostrando sprezzo della credibilità e della contabilità dello stato (di cui, evidentemente, ignorano i fondamenti) hanno deciso di azzerare il debito che la Pubblica amministrazione ha verso le aziende private: si tratta di circa 90-100 miliardi di euro.

Si tratta di un “debito fuori perimetro” non rilevato da Eurostat e in parte già coperto da fondi ed ecco perché Bersani probabilmente parla di 50 miliardi su 90, mentre Berlusconi. che era forse troppo impegnato per studiare la contabilità di Stato, parla di 90 miliardi rivelando la sua ignoranza in materia.

Bersani e Berlusconi non pensano proprio a risparmiare, preferiscono spendere e continuare ad aumentare il debito pubblico (seppur con lodevoli intenzioni).

Intendiamoci: saldare il debito e dare ossigeno alle aziende, come abbiamo detto nei mesi scorsi, è un atto doveroso e giusto, il problema è come si vuole realizzare questo atto. L’UDC aveva portato avanti, assieme a Monti, una duplice azione: sbloccare i fondi già previsti (quindi eliminando le pastoie burocratiche) e con forme di compensazioni erariali in modo da dare ossigeno alle aziende senza aggravare la situazione debitoria dell’Italia.

Invece cosa pensano i due gemellini Bersani e Berlusconi?

Pensano di fare altri debiti, e quindi Berlusconi pensa di saldare il debito con la Cassa Depositi e Prestiti e con l’emissione di nuovi bond, almeno stando a quanto scrive Libero (e, se lo dice Libero, non è improbabile pensare che abbia delle fonti vicine al leader del Pdl). Quindi con soldi dei pensionati e con nuovi debiti.

Bersani, invece, stando a quanto riportato da numerose agenzie di stampa, vorrebbe emettere 10 miliardi di euro l’anno di titoli pubblici (BTP) per i prossimi cinque anni, esclusivamente dedicati al pagamento dei crediti commerciali delle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione.

Comunque sia il risultato è disastroso, perché invece di togliere burocrazia (come vuole fare UDC e Monti), i due soggettoni preferiscono sfondare abbondantemente il muro del 130% del rapporto Debito/Pil, se non peggio. Circostanza che, oltre ad avvicinare significativamente l’Italia verso i parametri greci, contrasterebbe abbondantemente anche con gli obblighi del Fiscal Compact che, come noto, dal 2014, impone all’Italia una riduzione del rapporto Debito/Pil, fino al 60% entro i prossimi 20 anni; in soldoni circa 50 miliardi all’anno.

In pratica siamo nel regno dell’assurdo e della illogicità: da un lato vogliono diminuire i debito pubblico, e dall’altro avanzano proposte di aumento della spesa e del debito pubblico.

Inoltre entrambi parlano di vendere parti del patrimonio immobiliare italiano, e allora che bisogno c’è di fare altri debiti?

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Una nuova politica economica, con più libertà e concorrenza

postato il 7 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

La crescita economica è una cosa seria. Il nostro Paese non cresce praticamente da oltre vent’anni e in quei rari e rapidi momenti in cui lo ha fatto è stato solo grazie a congiunture internazionali favorevoli o a iniezioni di spesa pubblica e debito. Proprio l’enorme debito pubblico che ci ritroviamo (oltre 2 mila miliardi €, più di 33 mila € a cittadino – neonati compresi) rappresenta il principale freno della nostra economia. In questo anno sono state fatte diverse riforme strutturali che, a nostro avviso, rappresentano l’unico vero mezzo per rilanciare il sistema produttivo e lavorativo.

Serve quindi una nuova politica economica, che riduca il peso dello Stato e liberi l’iniziativa privata. Per riuscirci servono, prima di tutto, meno tasse e meno spesa pubblica, accompagnate da più dismissioni di patrimonio pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni nei mercati non ancora concorrenziali. La spending review, poi, deve diventare, per lo Stato, Regioni, Province e Comuni, uno strumento permanente: nel 2012 ci ha già fatto risparmiare 12 miliardi, quando entrerà a regime saranno ancora di più.

Per questo la nostra coalizione, che vuole proseguire sulla strada del rigore intelligente, si impegna: ad attuare in modo rigoroso, a partire dal 2013, il principio di pareggio di bilancio (il nuovo articolo 81 cost.), ribadendo che ogni punto di debito pubblico in meno oggi è un pezzo di futuro riguadagnato per le nuove generazioni; a ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati, in misura pari a 1/20 ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del PIL.

È necessario poi attuare politiche di liberalizzazione che introducano competitività e concorrenza in quei settori del mercato ancora chiusi e ingessati. Ma il vero obiettivo deve essere quello di ridurre il peso dello Stato, che con la sua manomorta continua a rappresentare un fardello troppo grande. Per questo le Pubbliche Amministrazioni devono impegnarsi: nell’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze e nel riconsiderare la continuazione di  programmi di spesa non più attuali; nella ricerca sui risultati dell’attività svolta, in particolare rilevando l’esito dei servizi in termini di ricaduta per la collettività; nella ricerca sui margini di miglioramento in presenza di investimenti.

Il Presidente Mario Monti fa spesso riferimento al concetto di “economia sociale di mercato”, dottrina economica inventata nella Germania post-guerra e ingrediente principale del successo dell’economia tedesca: in Italia, finora, ogni tentativo di importarla si è risolto molto mediocremente, visto che si è puntato molto sul “sociale” e poco sul “mercato”. A noi tocca applicarla nella sua interezza. Vale allora la pena ricordare le parole che Ludwing Erhard pronunciò il 28 aprile 1948, da responsabile dell’amministrazione nella zona della Germania occupata dagli anglo-americani: “Bisogna liberare l’economia dai vincoli statali ed evitare sia l’anarchia sia lo Stato-termite. Solo uno Stato capace di stabilire al contempo la libertà e la responsabilità dei cittadini può legittimamente parlare in nome del popolo”. Lo Stato, come ben spiega Michel Foucault nelle sue stupende lezioni del 1978-79, era caduto preda dell’esperienza storica del nazismo, ma finché non si sarebbe liberato dalla vocazione dirigistica e totalizzante, sarebbe continuato ad essere una dittatura (morbida, ma pur sempre tale). Fallito lo Stato, quindi, solo la libera economia poteva – e può – ricostituirlo: “la storia aveva detto no allo Stato, ma d’ora in poi sarà l’economia a consentirgli di affermarsi”. A noi tocca recuperare quella lezione, per costruire una nuova politica economica, fatta di libertà e concorrenza.

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Imu, la restituzione impossibile

postato il 4 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Diciamolo subito, la restituzione dell’IMU non è impossibile, ma quasi. Perché?

Premesso che in tutti i paesi si pagano tasse sul possesso della prima casa, a conti fatti nel 2013 lo Stato dovrebbe fare fronte a 8 miliardi : 4 miliardi di euro da restituire (IMU 2012), a cui sommare 4 miliardi di mancato introito (IMU 2013).

Dove trovare questi soldi? Berlusconi ha dato due fonti: l’accordo con la Svizzera, e aumentare altre tasse.

Sono due strade praticabili? Si, ma hanno tali e tante difficoltà che è lecito nutrire ben più di un dubbio.

Iniziamo dall’accordo con la Svizzera.

Premettiamo che se Berlusconi avesse voluto davvero che si facesse tale accordo avrebbe aspettato 4 giorni per fare cadere il governo Monti che aveva quasi stretto l’accordo con la Svizzera. Siccome si tratta di accordo internazionale, bisogna che venga ratificato dal Parlamento; se Berlusconi avesse aspettato 4-5 giorni per fare cadere il governo Monti, avremmo ottenuto l’accordo con la Svizzera. Questo è il primo fatto che mi fa dubitare delle affermazioni di Berlusconi.

Altro punto, è che, contrariamente a quel che dice Berlusconi, la Germania non ha accordo con la Svizzera: l’accordo che era stato stretto tra i due governi, è stato bocciato dal Parlametno tedesco e quindi di fatto è nullo anche alla luce dell’opposizone della UE che non vuole accordi bilaterali, ma arrivare ad un accordo quadro con la Svizzera che riguardi tutta l’Europa.

Tralasciamo queste considerazioni e andiamo sull’aspetto numerico: secondo i dati di Berlusconi si parla di un incasso di 25 miliardi una tantum, cui aggiungere un incasso annuo di circa 3 miliardi di euro ogni anno. E’ credibile? Stando a dati e stime di vari enti, nei forzieri svizzeri ci sarebbero fra i 100 e i 130 miliardi di euro dei contribuenti italiani. In caso di accordo, almeno la metà di questi denari si sposterebbe immediatamente altrove, come a Singapore o alle Cayman. In breve: applicando aliquote simili a quelle inglesi, nella migliore delle ipotesi si potrebbero incassare 10 miliardi una tantum e 1,5 a partire dal secondo anno. Quindi ecco che già i dati risultano ben diversi da quelli ipotizzati dal Cavaliere che si è lasciato una via di fuga, sempre, però a spese degli italiani: i soldi sarebbero “prontati” dalla Cassa depositi e prestiti, ma, e qui è l’inghippo, la CDP deve gran parte della sua liquidità al risparmio postale degli italiani; quindi Berlusconi restituirebbe i soldi degli italiani, usando gli stessi soldi degli italiani. Va da sé, che siamo di fronte ad un corto circuito logico, in pratica è una semplice partita di giro.

E dopo il 2013? Per coprire la cifra di 4 miliardi di euro di mancato introito dal 2014 in poi, Berlusconi indica nuove tasse: due miliardi sarebbero garantiti dai giochi pubblici. Un settore che fra gennaio e novembre del 2012 ha avuto un calo di gettito del 6,3%, più o meno 800 milioni di euro. Berlusconi vorrebbe reperire un altro miliardo dall’aumento dell’accisa sui tabacchi, 240 milioni con l’aumento delle imposte su birra e alcolici, 500 milioni dal taglio dei trasferimenti alle imprese, 260 milioni da un’addizionale di quattro euro a viaggiatore sui diritti di imbarco in aeroporto (e questo andrebbe contro il turismo, ovviamente).

Ma il mio vero dubbio è un altro: non è che Berlusconi sbaglia i conti come già accaduto in passato? Mi viene in mente l’esempio clamoroso del bonus bebè del 2006, di cui poi lo stesso Berlusconi chiese la restituzione nel 2011. La vicenda ha dell’incredibile: il bonus era stato introdotto dalla Finanziaria 2006 (legge 266/2005, articolo 1, commi 331-334) per ogni figlio nato o adottato nel 2005 o per ogni secondo o ulteriore figlio nato o adottato nel 2006. Un bonus annunciato da una lettera del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, inviata ai nuovi nati del 2005, con l’indicazione dell’ufficio postale presso cui i genitori avrebbero potuto riscuotere la somma. In pratica una lettera spedita a casa invita a recarsi in posta, auto-certificare il proprio reddito e ritirare i soldi. Ed è proprio sull’autocertificazione che nascono i problemi. L’allegato alla lettera parla infatti genericamente, come requisito, di «reddito complessivo» non superiore ai 50 mila euro. Non si specifica se lordo o netto. Indotti all’errore dalla formula poco chiara, otto mila famiglie rispondono all’invito del premier credendo di avere i requisiti. Sei anni dopo, a chi non avrebbe avuto diritto di chiedere il bonus, arriva la richiesta di restituire i 1000 euro e pagare 3000 euro di multa. Infatti arriva una comunicazione della Ragioneria dello Stato, sottoforma di lettera perentoria nel tono e nei contenuti: si parla di riscossione «illecita» del bonus bebè e di aver «sottoscritto e utilizzato un’autocertificazione mendace», e ancora, «si comunica che di quanto sopra esposto, sarà fatta apposita segnalazione alla Procura della Repubblica». Lo Stato richiede indietro i 1000 euro di bonus e 3000 euro di sanzione amministrativa. La modalità della lettera intestata ai nuovi nati ha determinato un certo caos. La gente, con reddito, intende quello che porta a casa. Per la fretta di informare le famiglie di questa elargizione, a poche settimane dal voto, il governo intervenne con una lettera a firma di Berlusconi e il governo non disse che nel reddito complessivo andava inclusa anche la rendita catastale. Risultato: molte famiglie superano i requisiti di reddito e si vedono recapitare la lettera di restituzione, e non solo devono restituire i 1000 euro, ma anche 3000 euro di interessi e multa (oltre al rischio del penale se si dimostrava la malafede).

Per fortuna un provvedimento bipartisan sanò questo problema: le famiglie restituirono solo i mille euro senza maggiorazione. Accadrà anche con l’IMU?

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È il momento di passare da Agenda Digitale a Strategia Digitale

postato il 3 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

In una campagna elettorale importante come quella che sta trascorrendo, si è sottovalutato un tema importante: meglio, fondamentale. Si tratta dell’innovazione tecnologica necessaria al nostro Paese per tirarlo fuori dalle secche in cui la crisi economica e sociale lo ha precipitato. L’Udc, durante tutta questa legislatura, si è impegnato a fondo a difesa della libertà della Rete e a sostegno di “Agenda Digitale”, vero volano per il rilancio della nostra economia: basti ricordare, su tutto, il lavoro del nostro deputato Roberto Rao, che ha firmato un progetto di legge insieme a Gentiloni (PD) e Palmieri (PDL) proprio su questi temi. Il DDL prodotto è stato poi recepito – non in tutto e non in meglio purtroppo – dal DL Sviluppo presentato dal Governo e dal Ministro Passera (e convertito in legge in extremis, a causa della fine anticipata della legislatura). Ciò nonostante, dopo il lavoro svolto dal governo Monti, abbiamo la fortuna di non partire da zero: ora è il momento di dimostrare come una politica nuova per il Paese non possa prescindere da una grande idea di innovazione, non solo tecnologica ma anche e soprattutto sociale e civile.

Come ha sottolineato proprio Rao, oggi, commentando il documento presentato da Confindustria Digitale, è sempre più evidente la necessità di passare da “Agenda Digitale” a “Strategia Digitale”, fissando le tappe di una road map da spuntare da qui al 2020, per garantire al nostro Paese più inclusione sociale, competitività e produttività. Perché l’Italia sia finalmente 2.0, il che vuol dire: spread digitale al minimo, con banda larga e ultralarga per tutti, e punti hotspot wifi diffusi su tutto il territorio; servizi rapidi e efficienti per il cittadino-utente e per burocrazia informatizzata per le aziende; open data per la PA e la politica, perché la trasparenza è il miglior antidoto alla corruzione; nuovi posti di lavoro, moderni e flessibili. In questo una vera Strategia Digitale risulta fondamentale: la filosofia #open, fatta di contenuti chiari e trasparenti, deve pervadere e conquistare le nostre istituzioni.

Basta leggi oscure, incomprensibili, di bassissima qualità tecnica: dobbiamo produrre atti normativi facilmente “condivisibili”, nel senso stretto del termine (che quindi siano comprensibili a tutti, non solo agli esperti del settore) e pure nel senso social (perché possano girare su FB o Twitter, devono necessariamente essere chiare).

Nel nostro programma abbiamo già previsto: di rendere obbligatorio l’uso del non digitale nella PA solo nei casi in cui è provato che sia più conveniente dell’utilizzare il digitale; di impegnare ogni anno tutti i ministeri a produrre un piano di innovazione tecnologica; di spingere sull’introduzione del FOIA, che obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo. Inoltre, l’obbligo di trasparenza riduce di molto la possibilità di evadere e corrompere: negli Stati Uniti il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. A noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno (più di 60 miliardi nel complesso). Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge!

Un’Italia 2.0 è un’Italia con un’economia di mercato più moderna, rapida e efficiente, che abbatta le distanze fisiche e sociali. E un’economia di mercato che funziona meglio porta ad costruire comunità intelligenti e più produttive, che mettano in rete (e in Rete) le loro potenzialità. E vere smart comunities danno l’opportunità di avere maggiore inclusione sociale e più possibilità di crescita e di affermare i veri talenti nostrani.

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