Tutti i post della categoria: Economia

Bce: le scelte sui crediti deteriorati aumentano l’incertezza

postato il 10 Ottobre 2017

La mia lettera al Direttore Mario Calabresi, pubblicata su La Repubblica 

Caro Direttore,

in un articolo pubblicato ieri, Ferdinando Giugliano riporta alcune affermazioni con le quali, in riferimento a recenti interventi della Bce, ho definito la stretta della Banca centrale “preoccupante” e invitato il governo a “prendere il toro per le corna”. Confermo e ribadisco quello che ho detto.
Nella mia esperienza parlamentare, ho costatato che l’efficacia del legislatore non dipende tanto dal numero delle leggi approvate, quanto piuttosto dalla loro qualità, dalla capacità di assicurare stabilità normativa soprattutto in settori sensibili, come quello finanziario e creditizio.

Per queste ragioni ho espresso le mie riserve su alcune scelte compiute dalla Banca centrale europea, la quale, recentemente, è intervenuta due volte sulla stessa materia, il 20 marzo approvando un corposo e dettagliato documento sul tema dei crediti deteriorati; il 4 ottobre con un “addendum”, che in parte contraddice quanto previsto nel documento di marzo. Tali scelte, a mio avviso, accrescono l’incertezza e contribuiscono a rallentare il processo di ripresa in atto.
Non si tratta di prestarsi al solito “gioco dello cerino”, imputando all’Europa ogni responsabilità, così alimentando la retorica sovranista che si sta diffondendo in molti Paesi. Si tratta semplicemente di assicurare stabilità al quadro normativo, nel segno della coerenza e della fiducia. Inoltre, nel concreto, occorre un impegno affinché la ripresa in atto, che coinvolge la vita di famiglie e imprese, già provate da una lunga crisi economica e finanziaria, sia accompagnata da adeguate garanzie.
Quanto all’invito ad impegnarsi per un reale miglioramento del funzionamento della giustizia civile, condivido pienamente. In questa legislatura molto è stato fatto: sono state adottate normative per rendere più efficiente l’escussione delle garanzie; in questi giorni, la Commissione Giustizia del Senato ha approvato senza modifiche il testo del disegno di legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, già approvato dalla Camera dei deputati; contestualmente è all’attenzione del Senato anche il disegno di legge delega per l’efficienza del processo civile. Certamente, ancora molto resta da fare, nella consapevolezza di quanto sia essenziale, anche in campo finanziario e creditizio, una riforma che assicuri snellezza dei procedimenti e rapidità delle decisioni.

Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario

 

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Banche: Commissione per verità ai risparmiatori, non palcoscenico campagna elettorale

postato il 28 Settembre 2017

Eletto alla Presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario

Mai, nella mia vita parlamentare, mi sono trovato a non ricercare un incarico come quello che oggi avete deciso di conferirmi. Ma credo che prima delle inclinazioni personali, vengano i doveri istituzionali.

Non vi nascondo che sono preoccupato per il compito che abbiamo davanti, con tempi limitati e con una campagna elettorale per alcuni versi già cominciata.
È necessario dare una prima risposta di verità ai risparmiatori italiani che sono stati coinvolti, verificando l’eventuale esistenza di manipolazioni o truffe: lo dovremo fare in tempi limitati e indagando su un periodo di tempo che andrà prioritariamente definito dalla Commissione stessa.
Fermo restando l’autonomia delle indagini giudiziarie che sono in corso e in uno spirito di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, guiderò la Commissione senza timidezze nell’individuare responsabilità personali o istituzionali che dovessero emergere.
Allo stesso modo, se qualcuno ritiene che questa sede debba diventare l’ideale palcoscenico di una lunga campagna elettorale in corso in Italia, non pensi di trovare nel presidente alcuna complicità: una Commissione come questa o lavora con serietà o diventerà un altro elemento di discredito della politica.
Abbiamo poco tempo, e non possiamo perderne. A cominciare dal primo adempimento che è quello del regolamento, che sarà la nostra bussola.
Evidentemente questa Commissione dovrà lavorare anche il lunedì e il venerdì, giorni inconsueti per l’attività parlamentare. Ma o si lavora così, o nei prossimi mesi si potrà fare ben poco.

 

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Sull’aumento dell’IVA

postato il 25 Giugno 2013

5889082-paniere-riempito-con-frutta-fresca-e-ortaggi-640x571Riceviamo e pubblichiamo di Mario Pezzati

La prima cosa da specificare è che questo aumento non riguarda i generi alimentari prima necessità e tutti i beni che hanno IVA agevolata al 4% e che sono ritenuti fondamentali e di prima necessità. Certo l’auto avrà questo aumento, ma mentre il pane o il latte sono imprescindibili, lo stesso non si può dire per l’auto nuova.

Nei giorni precedenti le varie parti politiche e i rappresentanti del governo hanno parlato di questo aumento, e a mio avviso uno dei più chiari è stato il ministro dello Sviluppo Economico Zanonato quando ha affermato: “Non è che non voglio bloccare l’aumento dell’IVA. Dico che è molto difficile trovare le coperture, visto il poco tempo a disposizione”. Ma quanto servirebbe per coprire il mancato aumento dell’IVA? Circa 4 miliardi, ragione per la quale, l’aumento può essere posticipato, ma non evitato.

L’emendamento è stato approvato dal governo Berlusconi il 17 settembre 2011, per rimediare al pareggio di bilancio nel 2013, come da impegni presi con l’Unione Europea. Per questo motivo, al testo della legge venne inserita nell’agenda di governo l’aumento dell’IVA, attraverso una “rimodulazione delle aliquote delle imposte indirette, inclusa l’accisa” in sostituzione della revisione. A mettere tutto in pratica, Mario Monti, che nel decreto salva-Italia stabilì l’aumento di due punti delle aliquote del 10 e del 21 per cento, dal primo ottobre 2012, e di altro mezzo punto dal 2014, per un importo del valore di 16,4 miliardi a regime dal 2014.
Finora, attraverso i tagli sulla spesa pubblica e altre manovre, nessuno di questi aumenti è scattato, tranne la questione dell’aumento dell’Iva che vale 4,2 miliardi l’anno

Ma davvero non vi sono alternative? Secondo alcuni la soluzione ci sarebbe, ma anche qui impone di trovare risorse non indifferenti: come è stato detto in passato anche qui, la Pubblica Amministrazione ha un debito verso fornitori privati pari a circa 60-80 miliardi di euro, e si sta provando a saldare questo debito; purtroppo la procedura è lenta (anche per non creare tensioni nelle uscite di cassa del Ministero del Tesoro).

Come si lega questo debito all’aumento dell’IVA? Molto semplicemente, se acceleriamo sul pagamento della pubblica amministrazione dei debiti alle imprese e oltre ai 40 miliardi già stanziati, ne rimborsiamo altri 15, otteniamo Iva aggiuntiva per almeno un paio di miliardi.

Questo provvedimento permetterebbe di bloccare l’aumento dell’IVA per tutto quest’anno e forse eliminarlo definitivamente con la legge di stabilità in autunno.

Purtroppo anche questa soluzione non è esente da problemi, e presenta alcuni rischi.

La Ragioneria Generale dello Stato ha già esaminato la questione nella relazione tecnica del decreto sul pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Il primo ostacolo da superare è che lo Stato non ha in cassa i 15 miliardi necessari a finanziare questa spesa aggiuntiva, a meno che non si vada sul mercato ed emettere Bot e Btp. Insomma, se è vero che il deficit non aumenta, è vero anche ad aumentare sarebbe il debito. I 40 miliardi già messi in pagamento, costeranno alle casse pubbliche circa 2 miliardi in più di interessi passivi. Il governo ha recuperato le risorse per pagare queste somme dalla contabilità 1778 dell’Agenzia delle Entrate, quella con la quale il Fisco rimborsa ai contribuenti i crediti d’imposta.

La seconda difficoltà è convincere i mercati che l’Italia può ancora indebitarsi senza mettere a rischio la tenuta dei suoi conti. Le tensioni sullo spread stanno tornando, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Bernanke che di fatto ha vanificato in questi giorni l’obbiettivo di portare lo spread sotto quota 200.

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Ilva, Parlamento chiamato a un attento esame. Lettera al direttore Roberto Napoletano, pubblicata sul Sole24Ore.

postato il 6 Giugno 2013

Caro Direttore,

sarebbe fatale se le imprese estere che sono presenti in Italia o che potrebbero investire nel nostro Paese avessero da temere da una forma non chiara di intervento dello Stato che limiti la libertà economica. Il provvedimento del governo su Ilva rappresenta un “brutto precedente” come denunciato ieri da queste colonne? Una ipotesi simile non può neppure essere presa in considerazione. L’interesse nazionale è una categoria politica che stenta ad affermarsi nel dibattito ma non può sfuggire a nessuno che abbia ruoli nelle istituzioni repubblicane. Il compito del governo non è quello di intromettersi in un procedimento giudiziario (ancora nella fase delle indagini preliminari). Piuttosto, l’esecutivo deve garantire che i soggetti economici operanti in Italia corrispondano ai loro doveri senza che vengano calpestati i loro diritti. In questo senso, i contenuti del decreto legge varato dal governo dovranno essere esaminati con particolare attenzione dal Parlamento. Va sventato il rischio dell’esproprio di fatto e anche quello della manleva per decreto. Soprattutto è doveroso per il legislatore evitare che per inseguire un presunto beneficio sul presente si determini un danno sicuro per il futuro. Chi potrebbe garantire che un domani, con motivazioni ambientali non supportate neppure da una sentenza, si determini un vulnus così grave del principio della libertà di impresa? La tutela dell’ambiente e della salute è un valore sul quale non si discute, ma non si può accettare che questi valori siano utilizzati come un grimaldello per minare la capacità produttiva del Paese.
Le imprese estere, così come quelle italiane, è giusto che sappiano che il governo – nel rispetto delle leggi – non è disponibile a vedere compromesso il suo Pil ed il suo tesoro che deriva dall’essere fra le prime potenze manifatturiere in Europa. È stata la linea del governo Monti (sostenuta a larghissima maggioranza dal Parlamento) e deve essere la linea del governo Letta, senza ingenerare equivoci di sorta. Chi investe da noi può avere consapevolezza che non resterà in mezzo al guado e che la difesa e la promozione dell’interesse nazionale passa anche dal riconoscimento dei settori economici strategici, come è appunto lo stabilimento Ilva di Taranto.
Il decreto deve essere oggetto di una riflessione critica e non escludo che il Parlamento possa intervenire con una indagine conoscitiva ad hoc su quanto accaduto a Taranto.
Intanto, è fondamentale che il nostro Paese ponga, anche e soprattutto in sede europea, il tema di una più efficace ed armonica regolamentazione degli aspetti ambientali e sanitari nell’ambito delle attività produttive. Il principio che deve essere chiaro è doppio: senza imprese non può esserci nè sviluppo nè occupazione e, allo stesso modo, Italia e Ue non possono competere sui mercati globali se non scommettendo sulla sostenibilità. Ilva deve essere, in questo senso, l’occasione di un bel precedente. Oggi può sembrare una illusione ma dobbiamo crederci e riuscirci.

Pier Ferdinando Casini, presidente Commissione Affari esteri – Senato

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UE, ringrazio Polenz per la presa di distanza da Oettinger

postato il 30 Maggio 2013

Il commissario europeo Guenther Oettinger ha espresso giudizi superficiali e ingiusti sulla capacità, dimostrata, dell’Italia di rimettere i propri conti apposto. Non è giusto disconoscere in questo modo la capacità di governo dei Paesi membri dell’UE, faccio mie le parole del presidente della Commissione Esteri del Bundestag, Ruprecht Polenz, che ringrazio pubblicamente per questa sua presa di distanza dal commissario europeo Guenther Oettinger.
In un momento così delicato per la costruzione europea credo che sarebbe utile per tutti e soprattutto per chi ha responsabilità importanti, astenersi da dichiarazioni estemporanee e improprie. Ho appena mandato una lettera al presidente Polenz invitandolo in Italia per confrontarci sugli sviluppi della difficile situazione economica del nostro continente.

Pier Ferdinando Casini
Presidente della Commissione Esteri – Senato della Repubblica

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Anche gli svizzeri scaricano Berlusconi: niente soldi per l’Imu.

postato il 24 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Berlusconi aveva detto che avrebbe restituito l’Imu grazie ad un accordo con la Svizzera. Peccato che nessuno abbia avvisato il governo svizzero che ,in maniera garbata,  ha fatto sapere che non è disponibile ad un accordo.

E soprattutto hanno anche specificato che il gettito di un eventuale accordo non potrà essere usato per rimborsare l’Imu 2012. E sapete perché?

Intanto perché le trattative sono ad un punto morto e non si sa se e quando verranno chiuse; ma soprattutto, fa sapere Eveline Widmer Schlumpf, ministro delle finanza svizzero, che anche se per magia si riuscisse a firmare gli accordi quest’anno (cosa ritenuta altamente improbabile dagli svizzeri), i soldi arriveranno molto dopo.

Anzi, precisa il ministro svizzero “è difficile prevedere un’entrata in vigore prima del 1 gennaio 2015”.

A questo punto la domanda è scontata: come farà Berlusconi a rimborsare l’Imu prima casa e coprire i costi delle mancate entrate per il 2013?

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Una valutazione oggettiva sui programmi dei candidati: Monti, Pdl e Pd a confronto

postato il 19 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

All’estero hanno provato a stilare una classifica per valutare pregi e difetti dei vari programmi dei candidati alle elezioni. Dalle analisi è stato escluso Grillo e non per cattiveria, ma perché come al solito il comico genovese ha escluso ogni contradditorio e non ha fornito cifre concrete sul suo programma, preferendo evitare di rispondere, mentre il PD ha preferito rispondere senza mettere dati (che sono stati desunti dalle dichiarazioni dei loro rappresentanti nell’ultimo mese).

Cosa viene fuori?

Secondo Oxford Economics il risultato è assolutamente interessante (in questo link è consultabile tutto il rapporto che è in inglese: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_Oxford-Economics.shtml ,mentre in quest’altro link potete vedere sinteticamente i dati numerici: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_candidati.shtml).

Viene fuori che il punto cardine del programma del PDL, ovvero la cancellazione contabile di 400 miliardi di debito pubblico tramite vendita di immobili, non è facilmente realizzabile. Perché? Perché difficilmente l’Unione Europea la accetterebbe nei termini proposti da Berlusconi e soprattutto non sarebbe accettata dai mercati che non è detto farebbero diminuire i tassi d’interesse sul debito italiano in base a un accorgimento tecnico. Resta anche il dubbio sulla possibilità per il mercato  di assorbire queste vendite (400 miliardi non sono una bazzecola) e di pagare le cifre ipotizzate da Berlusconi (che succede se le aste vanno deserte? Ricordo a tutti che Tremonti ci ha provato due volte con le SCIP 1 e 2, ottenendo solo ingenti perdite per il governo). Questo mette a rischio il resto del programma del PDL che punta decisamente a PIL e occupazione, ma mettendo a spese del deficit pubblico italiano e basterebbe che qualche previsione non si avverasse per fare dichiarare fallimento all’Italia. Insomma risulta un programma molto rischioso. Inoltre il reddito delle famiglie, nelle previsioni del PDL, crescerebbe meno che con il programma di Monti.

Intendiamoci anche gli altri programmi prevedono massicce privatizzazioni, ma non ne hanno fatto il punto centrale del programma come nel caso del PDL, e non raggiungono le dimensioni vagheggiate da Berlusconi risultando più prudenti e quindi più “sicuri”

Il problema del PD è di natura diversa. Il programma di Bersani prevede una crescita modesta del PIL nel 2014 (+0,4%), e u poco più alto negli anni successivi (+1,4%), ma non sarebbe sufficiente a fare scattare una riduzione significativa della disoccupazione (attualmente poco sopra il 12%). Di contro il deficit pubblico scenderebbe progressivamente dal 2,2 per cento del Pil nel 2013 all’1,1 per cento del 2018: un miglioramento rispetto all’andamento a politiche correnti dello 0,2 per cento. Il debito calerebbe dal 126,5 per cento del Pil nel 2013 al 117,4 per cento nel 2018.

E Monti?

Anche il suo programma ha alcune ombre che sono all’inizio: questo programma porta a una crescita piuttosto bassa del Pil nel 2013-2014, ma negli anni successivi si avrebbe la crescita economica più vigorosa (rispetto agli altri programmi) e addirittura nel 2018 il PIL con le misure di Monti crescerebbe dell’1,8 per cento annuo. La disoccupazione si ridurrebbe lentamente nel corso degli anni, già dall’anno prossimo vi sarebbe un netto miglioramento del reddito delle famiglie grazie ad una diminuzione delle tasse. Il deficit è sotto controllo più di quanto non lo sia nei programmi delle altre liste: scende sotto l’1% del Pil nel 2018 (lo 0,5% meglio dello scenario di base di Oxford Economics). Il debito scende dal 125,7% del 2013 al 112,1% nel 2018. Insomma il programma di Monti viene giudicato più “serio” degli altri, e porterebbe ad un netto miglioramento dei conti pubblici e della situazione delle famiglie.

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Caro Grillo, dove prendi questi soldi?

postato il 12 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Grillo ha deciso di seguire il suo maestro Berlusconi, in tutto e per tutto: prima nella gestione del partito (entrambi non tollerano il dissenso interno e chi non esegue gli ordini è estromesso dal partito), entrambi organizzano eventi show in televisione (Grillo pare che stia trattando per fare una serata a Porta a Porta la settimana prima delle elezioni), e soprattutto entrambi si lanciano in mirabolanti promesse irrealizzabili.

Quella di Grillo è semplice: dare soldi.

A parte che Grillo si confonde tra “reddito di cittadinanza” e “sussidio di disoccupazione” (e non è solo una questione semantica perché l’uno è aperto a tutti i cittadini, l’altro solo ai disoccupati), la sua ultima proposta prevede di dare 1000 euro al mese per 3 anni ai disoccupati.

E’ stupendo. Ma irrealizzabile.

Perché? Intendiamoci, a me piace questa proposta, ma mi si deve dire concretamente dove prendere i soldi. Grillo dice dai 98 miliardi che Berlusconi regalò alle aziende di slot machine, peccato che ormai non siano più esigibili e anzi vi sono sentenze di tribunale che ci impediscono di richiedere questi soldi.

Quindi torno a chiedere: da dove prendiamo i soldi?

Domanda fondamentale, perché non parliamo di spiccioli, e Grillo non può uscirsene con delle idee (le slot machine di cui sopra) bislacche e irrealizzabili. Dimostra solo la sua totale e assoluta ignoranza di quello che parla e propone, fermandosi solo alla superficie.

Facciamo due conti.

In Italia abbiamo 3 milioni di disoccupati. Se ad ognuno diamo 1000 euro, significa che lo stato italiano dovrebbe spendere 3 miliardi di euro (prendete una calcolatrice e fate 3 milioni * 1000).

Ma non è finita, perché la proposta di grillo prevede che questa cifra sia mensile, e quindi dobbiamo moltiplicare 3 miliardi per 12 mensilità: totale 36 miliardi di euro.

In pratica, seguendo la proposta di Grillo, lo Stato ogni anno dovrebbe tirare fuori circa 36 miliardi di euro.

Vista l’enormità della cifra, io torno a chiedere: dove prendiamo questi soldi? Mistero.

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90 miliardi di bugie

postato il 11 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Quale mirabolante idea hanno partorito ultimamente Bersani e Berlusconi? Pagare i debiti della pubblica amministrazione tramite altri debiti. Dimostrando sprezzo della credibilità e della contabilità dello stato (di cui, evidentemente, ignorano i fondamenti) hanno deciso di azzerare il debito che la Pubblica amministrazione ha verso le aziende private: si tratta di circa 90-100 miliardi di euro.

Si tratta di un “debito fuori perimetro” non rilevato da Eurostat e in parte già coperto da fondi ed ecco perché Bersani probabilmente parla di 50 miliardi su 90, mentre Berlusconi. che era forse troppo impegnato per studiare la contabilità di Stato, parla di 90 miliardi rivelando la sua ignoranza in materia.

Bersani e Berlusconi non pensano proprio a risparmiare, preferiscono spendere e continuare ad aumentare il debito pubblico (seppur con lodevoli intenzioni).

Intendiamoci: saldare il debito e dare ossigeno alle aziende, come abbiamo detto nei mesi scorsi, è un atto doveroso e giusto, il problema è come si vuole realizzare questo atto. L’UDC aveva portato avanti, assieme a Monti, una duplice azione: sbloccare i fondi già previsti (quindi eliminando le pastoie burocratiche) e con forme di compensazioni erariali in modo da dare ossigeno alle aziende senza aggravare la situazione debitoria dell’Italia.

Invece cosa pensano i due gemellini Bersani e Berlusconi?

Pensano di fare altri debiti, e quindi Berlusconi pensa di saldare il debito con la Cassa Depositi e Prestiti e con l’emissione di nuovi bond, almeno stando a quanto scrive Libero (e, se lo dice Libero, non è improbabile pensare che abbia delle fonti vicine al leader del Pdl). Quindi con soldi dei pensionati e con nuovi debiti.

Bersani, invece, stando a quanto riportato da numerose agenzie di stampa, vorrebbe emettere 10 miliardi di euro l’anno di titoli pubblici (BTP) per i prossimi cinque anni, esclusivamente dedicati al pagamento dei crediti commerciali delle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione.

Comunque sia il risultato è disastroso, perché invece di togliere burocrazia (come vuole fare UDC e Monti), i due soggettoni preferiscono sfondare abbondantemente il muro del 130% del rapporto Debito/Pil, se non peggio. Circostanza che, oltre ad avvicinare significativamente l’Italia verso i parametri greci, contrasterebbe abbondantemente anche con gli obblighi del Fiscal Compact che, come noto, dal 2014, impone all’Italia una riduzione del rapporto Debito/Pil, fino al 60% entro i prossimi 20 anni; in soldoni circa 50 miliardi all’anno.

In pratica siamo nel regno dell’assurdo e della illogicità: da un lato vogliono diminuire i debito pubblico, e dall’altro avanzano proposte di aumento della spesa e del debito pubblico.

Inoltre entrambi parlano di vendere parti del patrimonio immobiliare italiano, e allora che bisogno c’è di fare altri debiti?

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Una nuova politica economica, con più libertà e concorrenza

postato il 7 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

La crescita economica è una cosa seria. Il nostro Paese non cresce praticamente da oltre vent’anni e in quei rari e rapidi momenti in cui lo ha fatto è stato solo grazie a congiunture internazionali favorevoli o a iniezioni di spesa pubblica e debito. Proprio l’enorme debito pubblico che ci ritroviamo (oltre 2 mila miliardi €, più di 33 mila € a cittadino – neonati compresi) rappresenta il principale freno della nostra economia. In questo anno sono state fatte diverse riforme strutturali che, a nostro avviso, rappresentano l’unico vero mezzo per rilanciare il sistema produttivo e lavorativo.

Serve quindi una nuova politica economica, che riduca il peso dello Stato e liberi l’iniziativa privata. Per riuscirci servono, prima di tutto, meno tasse e meno spesa pubblica, accompagnate da più dismissioni di patrimonio pubblico, privatizzazioni e liberalizzazioni nei mercati non ancora concorrenziali. La spending review, poi, deve diventare, per lo Stato, Regioni, Province e Comuni, uno strumento permanente: nel 2012 ci ha già fatto risparmiare 12 miliardi, quando entrerà a regime saranno ancora di più.

Per questo la nostra coalizione, che vuole proseguire sulla strada del rigore intelligente, si impegna: ad attuare in modo rigoroso, a partire dal 2013, il principio di pareggio di bilancio (il nuovo articolo 81 cost.), ribadendo che ogni punto di debito pubblico in meno oggi è un pezzo di futuro riguadagnato per le nuove generazioni; a ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati, in misura pari a 1/20 ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del PIL.

È necessario poi attuare politiche di liberalizzazione che introducano competitività e concorrenza in quei settori del mercato ancora chiusi e ingessati. Ma il vero obiettivo deve essere quello di ridurre il peso dello Stato, che con la sua manomorta continua a rappresentare un fardello troppo grande. Per questo le Pubbliche Amministrazioni devono impegnarsi: nell’eliminazione degli sprechi e delle inefficienze e nel riconsiderare la continuazione di  programmi di spesa non più attuali; nella ricerca sui risultati dell’attività svolta, in particolare rilevando l’esito dei servizi in termini di ricaduta per la collettività; nella ricerca sui margini di miglioramento in presenza di investimenti.

Il Presidente Mario Monti fa spesso riferimento al concetto di “economia sociale di mercato”, dottrina economica inventata nella Germania post-guerra e ingrediente principale del successo dell’economia tedesca: in Italia, finora, ogni tentativo di importarla si è risolto molto mediocremente, visto che si è puntato molto sul “sociale” e poco sul “mercato”. A noi tocca applicarla nella sua interezza. Vale allora la pena ricordare le parole che Ludwing Erhard pronunciò il 28 aprile 1948, da responsabile dell’amministrazione nella zona della Germania occupata dagli anglo-americani: “Bisogna liberare l’economia dai vincoli statali ed evitare sia l’anarchia sia lo Stato-termite. Solo uno Stato capace di stabilire al contempo la libertà e la responsabilità dei cittadini può legittimamente parlare in nome del popolo”. Lo Stato, come ben spiega Michel Foucault nelle sue stupende lezioni del 1978-79, era caduto preda dell’esperienza storica del nazismo, ma finché non si sarebbe liberato dalla vocazione dirigistica e totalizzante, sarebbe continuato ad essere una dittatura (morbida, ma pur sempre tale). Fallito lo Stato, quindi, solo la libera economia poteva – e può – ricostituirlo: “la storia aveva detto no allo Stato, ma d’ora in poi sarà l’economia a consentirgli di affermarsi”. A noi tocca recuperare quella lezione, per costruire una nuova politica economica, fatta di libertà e concorrenza.

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