postato il 28 Febbraio 2016
L’intervista di Paolo Valentino a Pier Ferdinando Casini pubblicata sul Corriere della Sera
«Io non penso affatto che ci sia stato un ordine politico di far fuori Giulio Regeni. Se lo pensassi dovremmo rivedere drasticamente tutti i nostri rapporti con l’Egitto. Credo invece che in un Paese che si sente ed è obiettivo primario del terrorismo, ci siano apparati militari e di sicurezza che hanno mano libera. Nessuno di noi può addentrarsi a capire le loro logiche interne. Però è indubbio che siano loro i responsabili della morte di Regeni: l’autopsia ha mostrato che le torture inflitte a quel povero ragazzo possono essere motivate solo da un gigantesco fraintendimento di chi ha ritenuto che avesse collegamenti con aree che cospiravano contro la sicurezza nazionale. Ma questa è una palese sciocchezza. Regeni non era una spia, era uno studioso attento che agiva in un versante di società civile naturalmente scottante».
Pier Ferdinando Casini chiede la verità sul caso Regeni, «non solo per la sua famiglia, colpita in modo indelebile», ma anche «in nome del decoro e della nostra dignità nazionale».
Il presidente della Commissione Esteri del Senato rivendica i rapporti di amicizia e di alleanza dell’Italia con l’Egitto, dimostrati in questi anni da una cooperazione a tutto campo e in continua crescita: «Grazie all’Eni e al contratto già firmato per sfruttare il giacimento di Zohr l’Egitto potrà passare da Paese importatore a Paese esportatore di gas». Ma proprio per questo, «chiediamo la verità per Giulio Regeni con la determinazione di chi è realmente amico e da un amico non è disposto ad accettare bugie o verità di comodo».
Purtroppo, in un mese, si sono viste solo quelle.
«È così: dall’incidente automobilistico delle ore successive al ritrovamento, alla versione contraffatta che collegava Giulio alla droga, alla cosiddetta manovra per danneggiare al-Sisi. Finora abbiamo avuto dichiarazioni pasticciate e nessuna risposta vera. Il nostro team investigativo ha chiesto inutilmente i filmati della videosorveglianza alla metropolitana e i tabulati delle telefonate. Solo l’autopsia, quella fatta in Italia, ci ha garantito contro possibili depistaggi come quello della tossicodipendenza».
Di fronte a questo muro di gomma, qual è il modo giusto di agire?
«O arrivano entro pochi giorni risposte vere oppure il governo, che pure si è mosso con grande saggezza, per dare valore alle parole inequivocabili del presidente del Consiglio, deve considerare alcuni gesti simbolici forti».
Sta pensando al richiamo in Italia del nostro ambasciatore al Cairo?
«Esattamente. A quel punto dovremmo far capire la gravità della vicenda e che noi non scherziamo».
Non sarebbe anche il caso di bloccare i contratti per la fornitura di tecnologie per la sorveglianza, che aziende italiane hanno con gli apparati di sicurezza egiziani?
«Le modalità pratiche deve deciderle il governo e non possono essere oggetto di dibattito pubblico. Però è chiaro che l’Italia debba mostrare una capacità di reazione. Dopo un mese, o ci sono dei fatti o non possiamo rimanere fermi».
Lei ha parlato di un Paese obiettivo del terrorismo, esiste un pericolo di destabilizzazione dell’Egitto?
«Esiste ed è chiaro che significherebbe far definitivamente esplodere l’intero Mediterraneo, con conseguenze devastanti per l’Europa. La miopia della politica europea, che per anni ha privilegiato la frontiera orientale investendo tutte le sue energie sui Baltici, la Bielorussia, la Georgia, l’Ucraina, senza capire che il tema di fondo era ed è il Mediterraneo, è evidente di fronte alla tragedia di milioni di migranti, problema europeo che rischia di peggiorare nei prossimi mesi, anche e in primo luogo per l’Italia. Ma questo non giustifica affatto quello che è successo. Il cinismo della politica si ferma davanti a un principio: la dignità e il rispetto della persona umana. Per quanto riguarda l’Italia, il rispetto dei propri concittadini».
Qual è il punto di equilibro nei rapporti tra gli Stati, tra le pressioni per far rispettare i diritti umani e la salvaguardia degli interessi strategici ed economici?
«È un equilibrio difficile ed è il tema vero dei prossimi anni nel Mediterraneo. Non sono un ingenuo, la politica estera non si fa solo tra anime pure. Abbiamo visto come la rimozione di un dittatore pericoloso come Gheddafi abbia prodotto la moltiplicazione dei suoi cloni, una sanguinosa guerra civile, la fine della Libia come entità statale. Detto questo, un Paese democratico pone dei limiti invalicabili. In questo caso è la nostra sovranità nazionale, che ha il nome e il volto».