Archivio per Febbraio 2013

Imu, la restituzione impossibile

postato il 4 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Diciamolo subito, la restituzione dell’IMU non è impossibile, ma quasi. Perché?

Premesso che in tutti i paesi si pagano tasse sul possesso della prima casa, a conti fatti nel 2013 lo Stato dovrebbe fare fronte a 8 miliardi : 4 miliardi di euro da restituire (IMU 2012), a cui sommare 4 miliardi di mancato introito (IMU 2013).

Dove trovare questi soldi? Berlusconi ha dato due fonti: l’accordo con la Svizzera, e aumentare altre tasse.

Sono due strade praticabili? Si, ma hanno tali e tante difficoltà che è lecito nutrire ben più di un dubbio.

Iniziamo dall’accordo con la Svizzera.

Premettiamo che se Berlusconi avesse voluto davvero che si facesse tale accordo avrebbe aspettato 4 giorni per fare cadere il governo Monti che aveva quasi stretto l’accordo con la Svizzera. Siccome si tratta di accordo internazionale, bisogna che venga ratificato dal Parlamento; se Berlusconi avesse aspettato 4-5 giorni per fare cadere il governo Monti, avremmo ottenuto l’accordo con la Svizzera. Questo è il primo fatto che mi fa dubitare delle affermazioni di Berlusconi.

Altro punto, è che, contrariamente a quel che dice Berlusconi, la Germania non ha accordo con la Svizzera: l’accordo che era stato stretto tra i due governi, è stato bocciato dal Parlametno tedesco e quindi di fatto è nullo anche alla luce dell’opposizone della UE che non vuole accordi bilaterali, ma arrivare ad un accordo quadro con la Svizzera che riguardi tutta l’Europa.

Tralasciamo queste considerazioni e andiamo sull’aspetto numerico: secondo i dati di Berlusconi si parla di un incasso di 25 miliardi una tantum, cui aggiungere un incasso annuo di circa 3 miliardi di euro ogni anno. E’ credibile? Stando a dati e stime di vari enti, nei forzieri svizzeri ci sarebbero fra i 100 e i 130 miliardi di euro dei contribuenti italiani. In caso di accordo, almeno la metà di questi denari si sposterebbe immediatamente altrove, come a Singapore o alle Cayman. In breve: applicando aliquote simili a quelle inglesi, nella migliore delle ipotesi si potrebbero incassare 10 miliardi una tantum e 1,5 a partire dal secondo anno. Quindi ecco che già i dati risultano ben diversi da quelli ipotizzati dal Cavaliere che si è lasciato una via di fuga, sempre, però a spese degli italiani: i soldi sarebbero “prontati” dalla Cassa depositi e prestiti, ma, e qui è l’inghippo, la CDP deve gran parte della sua liquidità al risparmio postale degli italiani; quindi Berlusconi restituirebbe i soldi degli italiani, usando gli stessi soldi degli italiani. Va da sé, che siamo di fronte ad un corto circuito logico, in pratica è una semplice partita di giro.

E dopo il 2013? Per coprire la cifra di 4 miliardi di euro di mancato introito dal 2014 in poi, Berlusconi indica nuove tasse: due miliardi sarebbero garantiti dai giochi pubblici. Un settore che fra gennaio e novembre del 2012 ha avuto un calo di gettito del 6,3%, più o meno 800 milioni di euro. Berlusconi vorrebbe reperire un altro miliardo dall’aumento dell’accisa sui tabacchi, 240 milioni con l’aumento delle imposte su birra e alcolici, 500 milioni dal taglio dei trasferimenti alle imprese, 260 milioni da un’addizionale di quattro euro a viaggiatore sui diritti di imbarco in aeroporto (e questo andrebbe contro il turismo, ovviamente).

Ma il mio vero dubbio è un altro: non è che Berlusconi sbaglia i conti come già accaduto in passato? Mi viene in mente l’esempio clamoroso del bonus bebè del 2006, di cui poi lo stesso Berlusconi chiese la restituzione nel 2011. La vicenda ha dell’incredibile: il bonus era stato introdotto dalla Finanziaria 2006 (legge 266/2005, articolo 1, commi 331-334) per ogni figlio nato o adottato nel 2005 o per ogni secondo o ulteriore figlio nato o adottato nel 2006. Un bonus annunciato da una lettera del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, inviata ai nuovi nati del 2005, con l’indicazione dell’ufficio postale presso cui i genitori avrebbero potuto riscuotere la somma. In pratica una lettera spedita a casa invita a recarsi in posta, auto-certificare il proprio reddito e ritirare i soldi. Ed è proprio sull’autocertificazione che nascono i problemi. L’allegato alla lettera parla infatti genericamente, come requisito, di «reddito complessivo» non superiore ai 50 mila euro. Non si specifica se lordo o netto. Indotti all’errore dalla formula poco chiara, otto mila famiglie rispondono all’invito del premier credendo di avere i requisiti. Sei anni dopo, a chi non avrebbe avuto diritto di chiedere il bonus, arriva la richiesta di restituire i 1000 euro e pagare 3000 euro di multa. Infatti arriva una comunicazione della Ragioneria dello Stato, sottoforma di lettera perentoria nel tono e nei contenuti: si parla di riscossione «illecita» del bonus bebè e di aver «sottoscritto e utilizzato un’autocertificazione mendace», e ancora, «si comunica che di quanto sopra esposto, sarà fatta apposita segnalazione alla Procura della Repubblica». Lo Stato richiede indietro i 1000 euro di bonus e 3000 euro di sanzione amministrativa. La modalità della lettera intestata ai nuovi nati ha determinato un certo caos. La gente, con reddito, intende quello che porta a casa. Per la fretta di informare le famiglie di questa elargizione, a poche settimane dal voto, il governo intervenne con una lettera a firma di Berlusconi e il governo non disse che nel reddito complessivo andava inclusa anche la rendita catastale. Risultato: molte famiglie superano i requisiti di reddito e si vedono recapitare la lettera di restituzione, e non solo devono restituire i 1000 euro, ma anche 3000 euro di interessi e multa (oltre al rischio del penale se si dimostrava la malafede).

Per fortuna un provvedimento bipartisan sanò questo problema: le famiglie restituirono solo i mille euro senza maggiorazione. Accadrà anche con l’IMU?

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06 febbraio, Pavia

postato il 4 Febbraio 2013

Ore 16.20 a Pavia – Santa Maria Gualtieri – Piazza Vittoria

Conferenza stampa

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06 febbraio, Milano

postato il 4 Febbraio 2013

Ore 15 – Circolo della Stampa – Corso Venezia, 48

Conferenza stampa

 

 

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05 febbraio, Bologna

postato il 4 Febbraio 2013

Ore 18.00 – Hotel Savoia Country House (Via San Donato 159)

Manifestazione pubblica  in vista delle prossime elezioni politiche

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È il momento di passare da Agenda Digitale a Strategia Digitale

postato il 3 Febbraio 2013

di Giuseppe Portonera

In una campagna elettorale importante come quella che sta trascorrendo, si è sottovalutato un tema importante: meglio, fondamentale. Si tratta dell’innovazione tecnologica necessaria al nostro Paese per tirarlo fuori dalle secche in cui la crisi economica e sociale lo ha precipitato. L’Udc, durante tutta questa legislatura, si è impegnato a fondo a difesa della libertà della Rete e a sostegno di “Agenda Digitale”, vero volano per il rilancio della nostra economia: basti ricordare, su tutto, il lavoro del nostro deputato Roberto Rao, che ha firmato un progetto di legge insieme a Gentiloni (PD) e Palmieri (PDL) proprio su questi temi. Il DDL prodotto è stato poi recepito – non in tutto e non in meglio purtroppo – dal DL Sviluppo presentato dal Governo e dal Ministro Passera (e convertito in legge in extremis, a causa della fine anticipata della legislatura). Ciò nonostante, dopo il lavoro svolto dal governo Monti, abbiamo la fortuna di non partire da zero: ora è il momento di dimostrare come una politica nuova per il Paese non possa prescindere da una grande idea di innovazione, non solo tecnologica ma anche e soprattutto sociale e civile.

Come ha sottolineato proprio Rao, oggi, commentando il documento presentato da Confindustria Digitale, è sempre più evidente la necessità di passare da “Agenda Digitale” a “Strategia Digitale”, fissando le tappe di una road map da spuntare da qui al 2020, per garantire al nostro Paese più inclusione sociale, competitività e produttività. Perché l’Italia sia finalmente 2.0, il che vuol dire: spread digitale al minimo, con banda larga e ultralarga per tutti, e punti hotspot wifi diffusi su tutto il territorio; servizi rapidi e efficienti per il cittadino-utente e per burocrazia informatizzata per le aziende; open data per la PA e la politica, perché la trasparenza è il miglior antidoto alla corruzione; nuovi posti di lavoro, moderni e flessibili. In questo una vera Strategia Digitale risulta fondamentale: la filosofia #open, fatta di contenuti chiari e trasparenti, deve pervadere e conquistare le nostre istituzioni.

Basta leggi oscure, incomprensibili, di bassissima qualità tecnica: dobbiamo produrre atti normativi facilmente “condivisibili”, nel senso stretto del termine (che quindi siano comprensibili a tutti, non solo agli esperti del settore) e pure nel senso social (perché possano girare su FB o Twitter, devono necessariamente essere chiare).

Nel nostro programma abbiamo già previsto: di rendere obbligatorio l’uso del non digitale nella PA solo nei casi in cui è provato che sia più conveniente dell’utilizzare il digitale; di impegnare ogni anno tutti i ministeri a produrre un piano di innovazione tecnologica; di spingere sull’introduzione del FOIA, che obbliga la pubblica amministrazione a rendere pubblici i propri atti e rende possibile a tutti i cittadini di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo. Inoltre, l’obbligo di trasparenza riduce di molto la possibilità di evadere e corrompere: negli Stati Uniti il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. A noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno (più di 60 miliardi nel complesso). Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge!

Un’Italia 2.0 è un’Italia con un’economia di mercato più moderna, rapida e efficiente, che abbatta le distanze fisiche e sociali. E un’economia di mercato che funziona meglio porta ad costruire comunità intelligenti e più produttive, che mettano in rete (e in Rete) le loro potenzialità. E vere smart comunities danno l’opportunità di avere maggiore inclusione sociale e più possibilità di crescita e di affermare i veri talenti nostrani.

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Quote latte, una truffa in salsa leghista che ci è costata quanto e più dell’IMU

postato il 2 Febbraio 2013

di Mario Pezzati e Giuseppe Portonera

Tutti sappiamo che il latte è dolce, ma il conto che l’Italia ha pagato sulle quote latte è stato estremamente salato a causa della Lega.

Volete sapere quanto salato? Circa 4,5 miliardi di euro, che pesano sulle tasche dei cittadini italiani

Come si arriva a questa cifra? Da anni, pochi allevatori (stando alla Coldiretti si parla di circa il 5% di tutti gli allevatori italiani e tutti riconducibili all’area dei COBAS) violano sistematicamente il sistema delle quote latte, e per ogni anno di violazione l’UE ha comminato una multa. Lo Stato italiano si è accollato le multe dei primi anni (dal 1984 al 1996), con il patto che il resto sarebbe stato pagato dagli allevatori. Se non fosse stato per la Lega che ha scelto di favorire e sostenere la loro situazione di illegalità.

I numeri parlano chiaro: 1.700 milioni sono stati versati dallo Stato per sanare il periodo 1984-1996. Il prelievo complessivamente richiesto ai produttori per il periodo successivo ammonta a 2.264 milioni di euro: ma di questi solo 246 stati riscossi e altri 346 milioni sono in rateizzazione con la legge n. 119/2003. 175 milioni sono ormai irrecuperabili per fallimento, per incapacità definitiva di versare, per sentenza di annullamento. Restano quindi da riscuotere circa 1.500 milioni, di cui 700 non sono al momento esigibili a causa di sospensive giurisdizionali mentre 800 sono esigibili. L’Agea ha intimato il pagamento del prelievo esigibile ai circa 2.000 produttori coinvolti. 600 di loro devono pagare somme superiori a 300.000 euro, cioè la gran parte del debito. La stragrande maggioranza dei circa 40mila allevatori presenti in Italia, nel corso degli ultimi anni – conclude la Coldiretti – si è invece messa in regola, acquistando o affittando.

A queste cifre sarebbero da aggiungere alcune quote di interessi passivi che si stanno accumulando e portano il totale oltre i 4 miliardi di euro.

Queste cifre vi sorprendono? Bene, sappiate che da anni l’UDC è l’unico partito che ha condotto una battaglia forte perché questa incresciosa e costosissima situazione fosse conclusa: ricordiamo, per fare un solo esempio, la contestazione subita da Pier Ferdinando Casini nel 2009, quando chiese che la legge fosse rispettata, richiesta reiterata nel 2010 e nel 2011 assieme all’onorevole Mauro Libè.

Ma la Lega, che evidentemente ritiene “sprecona” solo la parte d’Italia a sud di Roma, si è sempre opposta alle richieste dell’UDC di fare rispettare la legge, e si è eretta a baluardo dell’illegalità, difendendo gli allevatori legati ai Cobas, loro elettori. Uno di questi è perfino stato eletto prima Senatore e poi Europarlamentare proprio nelle fila della Lega: Giovanni Robusti, che è stato condannato a pagare 182 milioni di euro per evasione (tramite un sistema di società fittizie) e a 4 anni e mezzo di reclusione dalla Corte di Appello di Torino con sentenza dell’estate scorsa, secondo la quale Robusti si è posto come promotore di «un’associazione per delinquere finalizzata alla truffa nei confronti degli enti pubblici».

La Lega è la principale responsabile dei 4,5 miliardi di euro di multe che siamo stati costretti a pagare – tutti, dal Veneto alla Sicilia – per le illegalità perpetrate da pochi agricoltori: sono ben 75 € a cittadino. “Quanto l’Imu e più dell’Imu”, come ha scritto su Twitter proprio Pier Ferdinando Casini. Un salasso che porta la firma e la responsabilità di Berlusconi, Tremonti e Maroni e che è stato pagato da cittadini onesti e incolpevoli. Altro che 75% delle tasse trattenuto al Nord: l’asse PDL-Lega faccia ammenda e la smetta di difendere le pretese di chi viola le leggi e poi accolla il costo all’intera collettività! 

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03 febbraio, Roma

postato il 2 Febbraio 2013

Ore 11, Teatro della Chiesa di S.Raffaele (via Ventimiglia, 1)

Manifestazione pubblica in vista delle prossime elezioni politiche

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