Lavoro, il difficile connubio tra flessibilità e garanzie
postato il 31 Ottobre 2011“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
Pier Ferdinando Casini ha affermato che si può avere flessibilità sul lavoro, purchè prima si prevedano degli adeguati paracaduti sociali, mentre il governo afferma che maggiore libertà di licenziare equivale a fare investire le aziende in Italia.
Personalmente dubito di quanto affermato dal ministro Sacconi perché il mercato del lavoro è già ampiamente flessibile, inoltre tutti parlano dell’occupazione giovanile, ma a quegli italiani che si trovano nella fascia d’età tra i 35 e i 60 anni, chi ci pensa? Dare libertà di licenziare alle aziende, anche se in “stato di crisi”, comprime in modo insopportabile le garanzie per i lavoratori proprio di quella fascia d’età. Per altro, ritengo che questa libertà sono un “di più”, perché le aziende in crisi possono già ridurre la forza lavoro tramite la cassa integrazione.
E allora il mercato del lavoro non deve essere toccato? Ecco, io penso che si possa intervenire, con una riforma a costo zero per lo Stato italiano e dando le maggiori garanzie richieste dal leader dell’Udc Casini.
La mia proposta segue la legislazione spagnola, cioè quella di un paese molto simile all’Italia: alta disoccupazione (la media ufficiale della Spagna è di circa il 23% di disoccupati), alto ricorso ai contratti a tempo determinato (circa il 30% degli occupati spagnoli, lavorano con il nostro equivalente dei contratti a progetto), e che ha introdotto inutilmente le stesse liberalizzazioni in tema di licenziamento, che vuole introdurre questo governo.
La proposta verte su una lotta all’utilizzo del contratto a progetto come forma di assunzione “mascherata” per evitare il contratto a tempo indeterminato, ciò si può ottenere con la trasformazione in indeterminato di un rapporto temporaneo quando si raggiunge una durata determinata, che è il presupposto per stabilire se l’azienda ha bisogno “strutturalmente” di un lavoratore.
Il vero punto diventa stabilire un limite temporale massimo, assoluto e insuperabile, attraverso la successione di contratti a tempo determinato, per eseguire un medesimo lavoro dalla stessa persona o mediante rotazione di lavoratori, di modo che se si è superato, si dovrà ritenere che siamo davanti ad un posto di lavoro strutturale. A mio avviso, tale limite di tempo può fissarsi in 24 mesi cumulativi di lavoro nell’arco di complessivi 36 mesi: in tal modo, non basterà, per azzerare i conteggi dei mesi, che l’azienda tenga scoperto il posto di lavoro per uno o due mesi (come è accaduto fino ad ora).
Si tratta , in definitiva, di evitare quella pratica che vede parte dei posti di lavoro di un’impresa permanentemente occupati da lavoratori precari , disponendo l’azienda di un organico fisso inferiore a quello necessario per affrontare la sua normale attività produttiva.
Questa norma sicuramente servirebbe a garantire e proteggere l’abuso da parte delle aziende dei contratti a tempo, inoltre è ovvio che il conto dei 24 mesi avviene anche se tra un contratto e l’altro vi è una interruzione breve (che potremmo quantificare in 3-6 mesi). In altre parole, al conteggio non si sfuggirebbe neanche se l’azienda tra i vari contratti mettesse delle interruzioni brevi.