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A chi gioverà la depenalizzazione del reato di banda armata

postato il 4 Ottobre 2010

Foto Venezia 2007 di Lega Nord PadaniaTra pochi giorni Berlusconi potrà ringraziare in maniera tangibile i suoi alleati leghisti tramite la depenalizzazione del reato di banda armata, un provvedimento che diverrà operativo il 9 ottobre.

Andiamo con ordine.

Intanto cosa è il reato di banda armata? Citiamo testualmente da Edizioni Giuridiche De Simone: “il reato di banda armata (che figura nel codice penale) è figura criminosa, consistente nel formare o partecipare ad una particolare associazione a delinquere con lo scopo di commettere uno o più tra i più gravi dei delitti contro la personalità dello Stato (art. 306 c.p.). Il reato si differenzia dall’associazione per delinquere per il diverso fine (la commissione di reati contro la personalità dello Stato) e per la presenza di armi che, a differenza della circostanza aggravante di scorrere in armi le campagne o le pubbliche vie prevista dall’art. 416 c.p., nel delitto di banda armata è elemento costitutivo del reato.

Il codice non definisce il concetto di banda armata in senso stretto, che viene pertanto rimesso all’interpretazione giurisprudenziale, secondo la quale consiste in un raggruppamento di persone dotato di un armamento idoneo al raggiungimento di specifici scopi delittuosi.

Il codice punisce tanto chi costituisce una banda armata, quanto chi vi partecipa, prevedendo, peraltro, una pena diversa. E la pena quale è? Per la costituzione di Banda armata la pena è la reclusione da 5 a 15 anni. Per la partecipazione la pena è la reclusione da 3 a 9 anni.”

Questa è la legge fino ad ora.

Cosa accade dal 9 ottobre? Che questo reato, di fatto, scompare. Come è possibile che nessuno se ne accorge?

Il governo è ricorso al solito trucco, che avevamo visto per il lodo Mondadori inserire provvedimenti “pesanti” o discutibili in mezzo a tanti altri di cui non importa nessuno. In questo caso, si tratta del Dl 15.3.2010 n. 66 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’8 maggio col titolo “Codice dell’Ordinamento Militare”, un provvedimento comprendente l’abrogazione di ben 1085 norme tra cui la numero 297, che abolisce il “Dl 14.2.1948 n. 43”: quello che puniva col carcere da 1 a 10 anni “chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici” e si organizzano per compiere “azioni di violenza o minaccia”.


Capito il trucco? Si aboliscono migliaia di norme utili e in mezzo si aboliscono reati penali “pesanti”, soprattutto alla luce degli arresti di questi mesi per le BR e soprattutto della denuncia unanime del clima “pesante” che ormai si respira tra le fazioni più estremiste (un esempio è l’attentato, su cui tanto si discute, subito dal giornalista Belpietro) e che anzi fa paventare il ritorno al terrorismo come dice lo stesso ministro Maroni.

Ma su tutto questo, cosa c’entra la Lega? Perchè parlo esplicitamente di regalo alla Lega?

Perchè l’1 ottobre si doveva aprire un processo per il reato di banda armata, processo che si trascina dal 1996 e vede coinvolti 36 membri della Lega per la costituzione della struttura paramilitare denominata “Guardia Nazionale Padana” per la quale si parlava di tre reati gravissimi: attentato alla Costituzione, attentato all’unità e all’integrità dello Stato italiano, e la costituzione di Banda Armata. I primi due reati sono stati depenalizzati nel 2004, restava in ballo il terzo per il quale si attende il processo che vede imputati: il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo e altri 35 esponenti della Lega nord, tra cui il deputato Matteo Bragantini, dell’ex primo cittadino di Milano Marco Formentini e del consigliere comunale di Verona Enzo Flego.

Perchè si attende ancora l’inizio del processo dopo 14 anni? Perché il procedimento è stato rallentato da richieste di autorizzazioni a procedere rivolte alla Camera e al Senato, perchè in questo processo, erano imputati anche Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, usciti di scena a fine dicembre 2009 in virtù della dichiarazione di inammissibilità, pronunciata lo scorso luglio 2009 dalla Corte Costituzionale. Per gli otto, così come già avvenuto nell’aprile 2009 per i senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni, il gup Caccamo ha quindi decretato a distanza di 13 anni e 2 mesi dai fatti contestati «il non luogo a procedere» motivandolo con la «mancanza della condizione di procedibilità» e quindi finalmente si era stabilita la data di 1 ottobre per l’inizio del processo.

Però nell’udienza preliminare svoltasi la settimana scorsa, l’avvocatessa Patrizia Esposito ha fatto rilevare che anche l’ultimo reato, dal 9 ottobre, cessava di esistere, con la conseguenza che il Tribunale non ha potuto fare altro che prenderne atto e aggiornarsi al 19 Novembre, data in cui il reato non sarà più esistente e quindi automaticamente i leader leghisti verranno salvati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Il “Fascioleghista” e il nuovo incubo politico contemporaneo

postato il 28 Settembre 2010

L’era del pagnottismo che ha creato orribili mostri

Sono oramai due giorni che, tutta la stampa nazionale su web, quotidiani e tv si occupa del “Sono Porci Questi Romani” pronunciato da Umberto Bossi. Un tipo di sfottò che gli stessi abitanti della capitale si auto-attribuiscono da sempre e che, in maniera difficilmente spiegabile se non con la tradizione italica di riuscire a creare caos intorno al nulla e deserto riguardo ciò che conta, detto dal Senatùr ha scatenato uno stuolo irrefrenabile di scandali più o meno ipocriti e di giustificazioni più o meno patetiche.
La stessa “bufera” (definizione che piace tanto a noi giornalisti italiani) non è però scoppiata durante le innumerevoli volte in cui Bossi ha pesantemente e pubblicamente offeso la bandiera e l’inno d’Italia. Un vero è proprio reato, quello del vilipendio ai simboli nazionali, contemplato tra l’altro anche dall’articolo 292 del Codice Penale (come modificato dalle Legge n. 85 del24 febbraio 2006).
Articolo che in tre commi recita testualmente
“Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato.

1. Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.

2. Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni.

3. Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali”

Leggendo le disposizioni di legge, dunque, anche un cittadino italiano comune capirebbe che per Bossi sarebbe stata necessaria la galera. E invece? Invece no: il leader del Carroccio urla, inveisce, insulta e provoca. Poi al massimo, se esagera e non ha bevuto troppo, bofonchia qualche roca scusa stando attendo a non urlare troppo e tutto passa; tutto viene dimenticato e le violazioni recidive del codice penale vengono sorvolate clamorosamente.
Ciò che però lascia maggiormente allibiti, sconfortati ed anche spaventati è la totale sottomissione alla Lega Nord dimostrata da quei personaggi politici di spicco e da quei ministri che, almeno teoricamente, dovrebbero rappresentare i valori della cosiddetta destra italiana. Tuttavia, pur di non scontentare il presidente del Consiglio, i vari La Russa e Alemanno chinano il capo, tollerano e, probabilmente, se ne fregano di ciò che urlano quotidianamente i rappresentanti leghisti. In particolare La Russa, in un’intervista a Repubblica, ha regalato agli italiani il più squallido, vigliacco e lampante esempio di servilismo politico che questo paese possa ricordare.
Difendendo il Senatùr, infatti, il ministro ha di fatto giustificato ogni tipo di propaganda purchè, quest’ultima, non porti all’esecuzione di atti ostili e violenti. In poche parole, seguendo il discorso larussiano, da domani ogni cittadino può parlare da un pulpito contro neri, ebrei, musulmani, settentrionali, meridionali, filippini e via discorrendo ad un patto; anzi ad un doppio patto: che lo faccia per “unire i suoi” e che il suo comizio virulento non scateni reali “reazioni ostili” nei confronti della popolazione insultata. Un vero e proprio inno a saltare a piè pari le leggi ordinarie e costituzionali che vietano non solo le azioni ma anche i discorsi a sfondo razzista e xenofobo.
Altro punto sul quale si potrebbe discutere in maniera sicuramente più interessante riguarda proprio la biografia del Senatùr che, come ancora pochi sanno (soprattutto fra i suoi elettori), non ha lavorato fino all’età di 46 anni. Prima di diventare Senatore, infatti, il numero uno del Carroccio che fa del “vai a lavorare” e del “no all’assistenzialismo” due dei suoi slogan prediletti, è riuscito a campare solo grazie ai “contributi” ricevuti sia dalla ex-moglie (la quale ha confermato la richiesta quasi ossessiva di soldi che ricevava spessisimo) che dai genitori. Insomma: un mantenuto cronico e disoccupato altrettanto pervicace che è poi riuscito ad entrare in politica garantendosi una rendita vitalizia alle spalle dei contribuenti. Questo è il massimo rappresentante del Lega Nord che oggi viene difeso dai nuovi mostri delle politica italiana. Quei mostri che, come orridi ibridi nati dall’unione tra il compromesso e la vigliaccheria, oggi si possono agevolmente definire “fascioleghisti”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Germano Milite, julieNews.it

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Il Veneto è una nazione?

postato il 18 Agosto 2010

Il Governatore Veneto Luca Zaia non più di un paio di giorni fa ha dichiarato che il Veneto è una Nazione, come lo è la Catalunya, sostenendo che i veneti sono stati italianizzati da Roma e che quest’ultima ha molta meno storia di Venezia.

Ad appoggiare l’ex Ministro dell’agricoltura è arrivato anche il Senatùr aggiungendo che i veneti non sono ancora stati italianizzati in quanto nelle famiglie si parla il dialetto e non l’italiano.

Non sono mancate le repliche a queste affermazioni, tra le quali anche quella del vice-governatore della Catalunya Josep- Lluis Carod-Rovira, che in un’intervista al Corriere del Veneto (in un italiano quasi perfetto!) fa notare ai lettori ed al Governatore che tra la regione spagnola che rappresenta e quella italiana le differenze non mancano, anzi, sono molto profonde, sia nella storia che nel modo di essere governata.

In Catalunya si accetta una società multirazziale, ma si da priorità all’ identità nazionale che sta nella storia, nella cultura, nella lingua e nella struttura economica e soprattutto c’è la volontà democratica di un progetto di vita in comune nella legalità. Essere catalano non è altro che una volontà, mentre invece si vuol far passare l’essere veneto come un privilegio, un dono.

Giustamente la propria cultura va preservata, ne andrebbe l’annientamento delle tradizioni e del popolo stesso, ma ciò non deve creare una chiusura verso l’esterno in quanto, paradossalmente porterebbe alle stesse conseguenze.

C’è poi da dire come in Veneto non ci sia una lingua ufficiale come è per il catalano, nel nostro territorio si parlano  decine di dialetti alcuni profondamente diversi fra loro, basti pensare al Ladino oppure al dialetto delle zone di Lamon, solo per citarne un paio delle mie zone. Immagino già le espressioni dei vecchietti di alcuni paesini di montagna, quando gli verrà comunicato che alle poste per ritirare la pensione dovranno parlare all’impiegato in veneziano e non in italiano o nel loro dialetto.

Quello che propone Zaia più che un riconoscimento dello Stato Veneto sembra più il voler imporre un suo modo di pensare anche a chi finora si è sempre sentito  italiano, senza però dimenticare di essere veneto e padovano, rodigino, trevigiano, veronese, vicentino, veneziano o bellunese.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maurizio Isma

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