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Albertini e la politica del fare “onestamente”

postato il 20 Novembre 2010

Parliamoci chiaramente: Gabriele Albertini, già sindaco di Milano per due mandati, era l’ospite d’onore della giornata d’oggi. L’europarlamentare, in rotta con il suo partito – il Pdl -, è accreditato come possibile guida di un Terzo Polo fondato sull’alleanza tra Udc, Api e Fli. Per questo, sicuramente, erano in molti quelli che speravano in una sua conferma dei sempre più numerosi rumors: io – non ve lo nascondo – ero uno di questi.

E, invece, nel discorso di Albertini non c’è stato né un passaggio, né un accenno a possibili nuove alleanze: probabilmente qualcuno ne sarà rimasto deluso. Io, invece, no. Perché, come si suol dire, “chi ha orecchie per intendere, intenda”: il discorso dell’ex Sindaco è stato impostato sui temi della concretezza e della Politica del Fare “Onestamente”, dai contorni fortemente riformisti e liberali, con un occhio alla precedente esperienza amministrativa e alle sfide del futuro. Albertini ha lanciato un appello alla ricostruzione di Milano da portare avanti insieme ai partiti più responsabili, a partire proprio dall’Udc, e a una rinnovata alleanza tra Politica e imprenditoria. Un’idea che condivido pienamente, nell’ottica riformatrice della nostra struttura statale: c’è chi si riempie la bocca tanto di federalismo ma non riconosce poi l’importanza di costruire un rapporto solido tra capitale pubblico e capitale privato. Il fatto che la Politica abbia smesso di parlare al mondo dell’imprenditoria e del sociale è sintomatico del fallimento della nostra classe dirigente. Ecco perché, dopo la Marcegaglia e Bonanni stamattina, sentire Albertini lanciare questo appello mi ha molto soddisfatto.

Un Polo riformatore e liberale non può dimenticare queste tematiche e il fatto di tenere la propria assemblea a Milano conferma che da parte nostra, l’attenzione è massima. Come è massima la voglia di dare voce alla “maggioranza silenziosa” del Nord, che è fatta di piccoli e medi imprenditori, di lavoratori autonomi, di impiegati statali, stanca di essere presa in giro ogni giorno da personaggi che urlano a Roma Ladrona e poi pensano solo a presidiare Banche e Fondazioni, Rai e Ministeri. Ma al popolo del Settentrione (e lo dico da meridionale che crede fortemente nell’Unità del nostro Paese) possono interessare questi populismi, queste demagogie? Ovvio che no, come non interessano noi del Sud.

Vorremmo che la Politica parlasse di impresa, di sviluppo, di lavoro, di federalismo solidale, di detassazione, di valorizzazione delle autonomie locali nell’ottica unitaria. Vorremmo una Politica che parli la lingua di Obama, di Cameron, della Merkel: la lingua della concretezza, del bene comune, del fare (ma di quello vero). Una Politica che sia innanzitutto giovane, fresca, pulita. Il nostro Paese è incapace di produrre nuova classe dirigente, nuovi leader, nella politica così come nell’economia o nel sociale. Siamo un Paese senza guida e quindi senza futuro. Un Paese che non pianifica più, che aspetta che gli eventi raggiungano il punto di non ritorno per darsi una mossa.

Dobbiamo dare una scossa a questo sistema malato: il discorso di Albertini è andato proprio in questa direzione (anche su altri temi quali il rapporto con l’Europa, per esempio). Vedremo come andrà a finire, ma di sicuro – viste le premesse – c’è da ben sperare. E che si tratti di Terzo Polo o no, beh, questo è assolutamente secondario.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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I temporeggiatori: la crisi uccide l’agricoltura e loro aspettano

postato il 14 Ottobre 2010

Aratura del terreno di Vito - BariQualche giorno fa, alla Camera dei Deputati, gli onorevoli Mauro Libè, Teresio Delfino e Gian Luca Galletti, hanno presentato all’aula parlamentare alcuni ordini del giorno, che prendendo atto della grave situazione dell’agricoltura italiana, delle aziende agricole, degli alti costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita, che non riescono a ripagare le spese sostenute dagli agricoltori, della crisi del settore bieticolo-saccarifero e della forte incertezza dei mercati mondiali di materie prime. Gli ordini del giorno sono stati approvati, anche con alcuni voti della maggioranza, ed ora impegnano il Governo e il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan ad attivarsi con tutti mezzi, a livello locale, nazionale e comunitario per reperire risorse da investire in questi settori vitali per molte aree d’Italia. Non basta: bisogna cercare concertazione a livello europeo per ridistribuire la ricchezza prodotta nella filiera agroalimentare in maniera più equa e soprattutto guardando al produttore.

Ha ragione il ministro Giancarlo Galan quando dice che l’ordine del giorno dell’onorevole Libè e colleghi è aria fritta. Infatti la situazione è continuamente peggiorata, in un’univoca discesa dei redditi che ha portato all’azzeramento totale dei profitti, fino al sorgere di gravi situazioni di indebitamento degli agricoltori. Ma al ministro ha risposto la Camera dei Deputati, approvando l’odg presentato dagli onorevoli dell’Udc, con 247 voti a favore. Dopo tanti anni di crisi perenne, dopo tanta rabbia degli agricoltori, dopo tante belle parole spese da destra e sinistra, il Governo del Fare, cosa ha fatto? Rappresentato dal ministro competente, il Governo ha rigettato al mittente l’ormai arcinota “questione agricola”, tacciandola come vecchia.

Ma cosa si può fare per rialzare il settore primario? Le risposte potrebbero essere tante. Le vie per il rilancio organico dell’agricoltura sono infinite e tutte potrebbero portare a dei risultati, ma il Governo quale di queste strade ha preso? Per ora è al bivio, in attesa che qualche azienda chiuda, che qualche altra vada in mano alle banche, che qualche agricoltore venda i terreni e la casa, da dove la sua famiglia vive da più di 3-4 generazioni e vada a fare il disoccupato in “città”. Il Governo attende una possibile ripresa interna dei consumi, una nuova politica economica dall’Unione Europea, un rilancio delle esportazioni, un’annata climatica decente. Forse il Governo attende che il mercato faccia la sua parte e che la regola del più forte prevalga anche in agricoltura: pesce grande mangia pesce piccolo.

Gli onorevoli Libè e Galletti chiedono al Governo di investire risorse e tempo nel settore bieticolo-saccarifero, ormai allo stremo dopo anni di completa distruzione attuata dalla Comunità Europea. Io mi chiedo: perché continuare con lo stato comatoso in cui persistono le aziende agricole del comparto bieticolo-saccarifero? I soldi ci sono solo per rottamare le attrezzature delle aziende del settore e per la riconversione di tutte le strutture industriali e produttive che lavorano le barbabietole. Se si tratta di un settore vitale per l’economia locale e per le migliaia di lavoratori che vi sono impiegati, perché riconvertirlo ad altre produzioni, che poi faranno la stessa fine del settore bieticolo-saccarifero tra qualche anno? Perché un settore di 10 mila aziende agricole, in 11 regioni italiane, con 62 mila ettari che riforniscono 4 stabilimenti industriali produttori di zucchero completamente consumato dal mercato italiano, occupando il 30% del mercato nazionale, deve essere dismesso? Perché questo suicidio? Perché i costi superano i ricavi e allora c’è bisogno di soldi pubblici per reggere a galla la barca: contributi, premi, finanziamenti, ecc.

Possibile che la Grande Europa non riesca a trovare un equilibrio ai settori agroalimentari? Possibile che non riesca a difendere le produzioni locali, le produzioni nazionali, le produzioni autoctone? Possibile che non sappia fare altro che concedere a destra e a manca indicazioni di origine protetta e denominazione di origine controllata e altre sigle varie? E bene si: i tanti governi dell’Europa unita non riescono a governare i mercati internazionali di materie prime. L’unico modo sarebbe reintrodurre dazi doganali degni di tale nome e portare ad un aumento consistente del prezzo dei prodotti di consumo alimentare, spostando i problemi dal produttore al consumatore, senza penalizzare i livelli intermedi. Quale la via da intraprendere? Anche l’Europa aspetta. Attende i mercati, la fine della crisi, la ripresa dell’economia. Ma forse attende ancor più il 2013, anno della scadenza dell’attuale Pac (politica agricola comunitaria), per iniziare a discutere di una nuova Pac più equa, meno spendacciona, più mirata alle vere esigenze del settore, più sana. Insomma tutti attendono.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Di Matteo

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Dopo il “Sono Porci Questi Romani”, polenta e vaccinara all’ombra di Montecitorio

postato il 6 Ottobre 2010

coda alla vaccinara di alyssaxwuDopo SPQR, “Sono Porci Questi Romani”, Bossi si deve essere reso conto di averla fatta proprio grossa. A parte Pontida e qualche enclave padana, tutta la nazione italiana si era ribellata a questo indegno trattamento e così il Senatur ha scelto di correre ai ripari. Certo, uscire da questo pantano era proprio difficile, praticamente impossibile.

Per una delle sue “solite” “battute” si era addirittura visto recapitare una mozione di sfiducia dalle opposizioni e – udite, udite – stavolta la possibilità che andasse a buon segno c’era davvero: i lumbard si sono improvvisamente sentiti accerchiati e il timore di rimanere fregati stavolta li ha sul serio terrorizzati. “E come ne usciamo stavolta?” si saranno detti. “Con le ossa rotte!” rispondereste voi. E invece no. Perché l’aiuto insperato ai professionisti dell’insulto (perché di questo si tratta) è venuto niente meno di che dagli “insultati” di professione (o di vocazione?): dai politici di Roma “ladrona”. Che, per un giorno, ha preferito diventare la Roma del Magna-Magna: un Circo, nel vero senso della parola.

In allegra atmosfera da sagra di Paese, c’erano Gasparri che rimescolava un calderone di polenta (o era la pozione magica di Asterix e Obelix?); la Polverini che ha “imboccato” il Senatur (sotto gli sguardi un po’ stralunati della Martini e di Rosy Mauro); la polenta, i maccheroni, la pajata, la coda alla vaccinara e (ovviamente) tanti tarallucci e tanto buon vino; di nuovo la Polverini che ha mangiato soddisfatta accanto a un cuoco che indossava un camice con scritto – a lettere cubitali – “orgoglio padano” (contenta lei); c’era Alemanno che accende il sigaro a Bossi, mentre Cota mangiucchiava qualcosa (ma a proposito, Cota lì cosa ci faceva?); sventolavano ovunque le bandiere d’Italia e della Padania (sì, avete capito bene: quasi fosse già uno stato a sé). E c’era, però, soprattutto lo sfondo di Montecitorio, ridotto per un giorno a diventare il set di un gigantesco banchetto di “riappacificazione”.

Così, dopo “Sono Porci Questi Romani”, oggi abbiamo scoperto che SPQR può anche significare “Sono Pochi Questi Rigatoni”. Che tristezza. Gli eredi di Roma Caput Mundi ben contenti non solo di sopportare le battutacce dei Padani (eredi dei Celti sconfitti) ma anche a riderci su, ad annuire, o addirittura a stare in silenzio, come semplici camerieri. Il ruolo da prima donna, da super star è stato riservato solo a Bossi: sì all’Italia federale, un po’ meno a quella unita; no categorico (con colorito intercalare) al GP di Roma; evocazione di nuove elezioni (zero fantasia, comunque!).

E Alemanno? Impeccabile, sul serio. Sempre accanto al Senatur, ha dato l’impressione di essere solamente una comparsa in una sceneggiatura già scritta. Per carità, una brava comparsa: sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronto a correggere il tiro delle sparate di Bossi (seppur solo con deboli sussurri), ma pur sempre una comparsa.

Eppure, sapete cos’è la cosa che mi ha terrorizzato più di tutto in questa assurda giornata? Che l’ingrato ruolo che oggi è toccato al Sindaco di Roma, un giorno possa diventare anche il nostro, di tutti gli Italiani, sacrificati sull’altare delle alleanze di questo centrodestra snaturato, che si fonda su un’innaturale asse antinazionale e antiunitario. Già mi ci vedo: con la livrea, il vassoio d’argento e l’aplomb anglosassone mentre servo nei nuovi salotti del potere, nei sacri Palazzi della politica. Che non sono più quelli romani, statene certi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Il manuale Cencelli rivisto e corretto dall’Umberto di Pontida

postato il 26 Settembre 2010

IL DIO PO di el burghezC’era un tempo in cui la Lega era il Partito dell’Antisistema, un tempo in cui i suoi dirigenti urlavano “Roma ladrona!”, un tempo in cui gli stipendifici statali erano come fumo negli occhi per i duri e puri della Padania. Era il tempo in cui a deputati, consiglieri regionali, ministri, interessavano solo il mitico Sole delle Alpi e l’ancestrale acqua del Po, simboli della cultura “popolare, operaia, contadina” (come li ha definiti di recente il sindaco di Cividate, Luciano Vescovi) di questa “mitica” terra. Era un tempo felice, per molti di loro.

Ma a qualcuno, questa dimensione della politica cominciava a stare stretta: troppo idealistica, troppo favolistica addirittura. “Teniamo famiglia pure noi, mica solo i terun”, si saranno detti in molti. E potevano forse far vivere gli amati congiunti, riscaldandoli esclusivamente con il verde sole delle Alpi o dissetandoli con un ampolla di acqua del Po? Certo che no. E allora hanno richiesto aiuto al loro Senatur, che evidentemente, se è riuscito a sfrattare Gesù bambino dal presepe di molti comuni del Nord, qualche miracolo deve pur saperlo fare. E pensa e ripensa, all’Umberto l’idea è venuta sul serio: e se si moltiplicassero i pani e i pesci? Ops, pardon, volevo dire le poltrone e le seggiole? L’idea fu prontamente accolta, con scroscianti applausi e piena approvazione: “Viva Bossi, viva Bossi!”, “A noi le banche, a noi i ministeri, a noi le fondazioni”.

Calma, pazienza e sangue freddo, ordinò il Grande Capo: a tempo debito avremo tutto, ha rassicurato. C’è da dire che ha saputo mantenere le sue promesse: se, infatti, in pubblico il Senatur continua a magnificare la luce del Sole Padano, a compiere i riti celtico-pagani e a urlare che Roma non può vivere con le sue tasse, in privato ha abilmente teso una rete da cui difficilmente ci si potrà liberare: gli immigrati ci rubano i posti di lavoro? No problem, lui li moltiplica e se ne necessario, li crea dal nulla! Ce ne sono abbastanza per tutti, per figli, fratelli, sorelle, mogli, nipoti, cugini, cognati, parenti fino alla settima generazione e oltre. Le verdi vallate padane sono diventate peggio di un ufficio di collocamento, e dalla Lombardia al Piemonte, dal Veneto al Friuli, il modello padano di assunzioni rapide ed efficaci dilaga. Basta muoversi con cautela e non ci sarà ostacolo capace di resistervi.

In origine fu il “Trota”, figlio prediletto dell’Umberto, destinato a succedergli al momento opportuno (ma non era Berlusconi quello dei partiti personali?), resosi protagonista, a fronte di una lunga, lunghissima, estenuante carriera scolastica, di una folgorante carriera politica: consigliere regionale al suo primo tentativo, alla faccia di quella santa pratica chiamata “gavetta”. Poi, in ossequio al nuovo verbo di Pontida, il Presidente del Piemonte Roberto Cota ha fatto della Regione il rifugio dei vari figli, mariti, mogli e congiunti vari dei nuovi potenti in canottiera e doppiopetto. A Brescia, in Provincia, abbiamo assistito al più incredibile concorso pubblico nella storia della prima e della seconda Repubblica: 700 concorrenti, 8 vincitori, di cui 5 signore e signorine di fede leghista: la moglie del vicesindaco di Brescia, la nipote dell’assessore all’Istruzione, due assistenti di un altro assessore, la capogruppo leghista nel consiglio comunale di Concesio. Sono sicuro che in pochi sarebbero stati in grado di far di meglio. O forse no. Perché se a Verona la moglie del sindaco leghista Flavio Tosi è stata nominata dirigente e capo della segreteria dell’assessore regionale alla Sanità, è a Milano che si gioca la vera partita. Nella sanità regionale, infatti, gli uomini di Bossi sono pronti a lanciare la più scientifica operazione clientelare che si ricordi. A fine anno scade il mandato dei 45 direttori sanitari di Asl e aziende ospedaliere e il Carroccio, forte della crescita elettorale, ne pretende 20 per insidiare il potere formigoniano di Comunione e Liberazione nella ricca sanità lombarda (senza nascondere di puntare apertamente alla conquista dell’Ospedale di Brescia, il più grande d’Europa).

Come potete ben vedere, amici miei, gli argomenti di cui parlare non mancano. L’importante, però, come ci insegna il nuovo Manuale Cencelli rivisto e corretto da Umberto Bossi, è proprio che non se ne parli, che non si scopra nulla. Perché se, malauguratamente, un “poveretto” come Edouard Ballam dovesse farsi trovare con le mani nel sacco, la via è obbligata: cacciata istantanea, per non macchiare l’“onorabilità” e l’“onesta” di tutto il partito. Ma a chi volete darla a bere, padani?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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La Marcegaglia: sbaglia chi afferma che andiamo meglio delle altre Nazioni

postato il 25 Settembre 2010

23.365 - Money di GilmothAnche Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, si accoda alle critiche che da quest’estate investono il mondo economico italiano e ha affermato testualmente: “Siano entrati nella crisi già in crisi e la percezione che abbiamo è che stiamo uscendo dalla crisi ancora con una capacità di crescita inferiore rispetto alla media europea”, e anzi aggiunge che non è vero che siamo andati meglio di altri paesi, ma che anzi siamo stati fortemente colpiti dalla crisi.

La sua affermazione segue, cronologicamente quanto già rilevato purtroppo da tutti gli italiani, ovvero che le cose non vanno come il governo afferma, ad esempio Bonaiuti ieri ha sostenuto che il Governo ha affrontato la crisi meglio delle altre nazioni.

Per smentire Bonaiuti basta considerare l’andamento dei consumi delle famiglie, o quello che affermano rispettivamente l’OCSE e l’altra grande istituzione internazionale il FMI che sostengono, dati alla mano, che la crescita dell’Italia sta ulteriormente rallentando, anzi si prospetta una diminuzione del PIL nel terzo trimestre, e che il 2011 vedrà una crescita asfittica per economia italiana, mentre le altre nazioni, soprattutto Germania e Francia, stanno accelerando e vanno molto meglio di noi.

La soluzione per rimediare a questa situazione la Marcegaglia la individua nelle riforme da effettuare in campo economico, e siamo perfettamente d’accordo, visto che da tempo denunciamo la mancanza e l’inerzia del governo che addirittura mantiene vacante da quasi 5 mesi il ministero per lo sviluppo economico, che dovrebbe risolvere moltissimi problemi, ad esempio basterebbe considerare la Fincantieri, la Tirrenia, la destinazione del sito industriale di Termini Imerese che nel 2011 verrà abbandonato dalla Fiat, giusto per citarne tre, ma i problemi sul tavolo sono numerosi a cominciare dalla piccola e media impresa del Nord, che paga pegno per l’assenza di un interlocutore presso il ministero.

E il governo che fa?

Per il governo, l’unica cosa realmente importante è stabilire chi governerà Unicredit, visto che la Lega ha focalizzato tutti i suoi obbiettivi nel controllo delle banche tramite la politica e le fondazioni bancarie, senza investire soldi, salvo poi accorgersi che a livello mondiale, quando si parla di finanza e di economia, contano i fatti e i soldi e non le parole, come si è accorto Bossi che, dopo essersi lamentato dei libici in Unicredit, ora teme che siano i tedeschi a controllare la banca.

Evidentemente la Lega non ha imparato nulla dalla sua gestione fallimentare della banca Credieuronord e forse dovrebbe comprendere che il ruolo della politica non è quello di gestire soldi e potere in maniera clientelare.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Fuori i mercanti dal tempio, Pisacane per primo

postato il 15 Settembre 2010

Tempio di Ercole (Sicilia) di Stefano LiboniAndrò dritto al sodo: dopo l’intervista di oggi rilasciata a Le Repubblica, l’espulsione di Michele Pisacane dall’Udc era cosa necessaria. Ulteriori discussioni erano davvero superflue: come si sarebbe potuto accettare di tenere ancora tra le propria fila un personaggio che, intervistato da uno dei principali quotidiani italiani, se ne esce con un “Sto nell’Udc, ma tratto con il Pd e forse voto per il governo”? Per formazione e cultura sono sempre stato un garantista – e non solo in termini giudiziari: il dissenso in un partito non è da guardare come un male assoluto; anzi, in molti casi, è una la prova di lavorare per un organismo ancora democratico e non per un casermone autoritario.

Il dissenso si può manifestare in diverse forme, ma – non dimentichiamolo mai – nasce come atto di “amore” nei confronti della causa, degli ideali, dei valori del Partito che si è scelto di sposare; per questo chi sceglie di coltivarlo, lo fa sempre scegliendo tempistiche e modalità che facciano apparire chiaro il proprio contrasto con alcuni “compagni”, non con l’idea del Partito stesso. Ma, secondo voi, un personaggio come Pisacane, rilasciando dichiarazioni del genere, potrebbe forse essere ancora innamorato dei valori fondanti dell’Udc? E degli elettori tutti di quel Partito che hanno concorso ad eleggerlo?

È la più classica personificazione del peggior trasformismo alla Depretis: nessuno scrupolo nel trattare contemporaneamente con due sponde differenti come quella del Pd o del Pdl; alcuno scampolo di coscienza nel mercificare il proprio voto-stampella; assenza di riguardo nei confronti dei propri elettori. Già me lo immagino, il buon Pisacane, mentre prende agevolmente contatti con Francheschini da una parte e con Nucara dall’altra: che cosa potrebbe promettere, contemporaneamente, ad entrambi, a parte i 18824 voti di cui va tanto fiero? Sta lì, buono buono, ad aspettare che la situazione muti improvvisamente: che muti pure – si sarà detto – l’importante è che muti a suo favore. Tanto il taxi comodo su viaggiare nel frattempo lo aveva. Si è imbarcato sull’Udc subito dopo la dissoluzione dell’Udeur, e appena arrivato ha preteso di contare, e pure molto: ha cominciato a guerreggiare con questo e con quello, e nel frattempo continuava le sue abili manovre con Tizio e con Caio, il tutto gestito con imperturbabile tranquillità e sfrontata sfacciataggine.

Ha preteso di installare un proprio banchetto nel tempio in cui soggiornava, facendo ciò che gli riusciva meglio: il cambia-valute. “Io ho 19 mila voti: sono pronto a barattarlo per questi assessorati, per questo posticino, per questa presidenza di commissione”. Quando ha capito che la sua moneta andava al ribasso, si è fatto un giro veloce degli altri mercati e delle altre piazze e ha scoperto che, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto rilanciare le sue quotazioni. Prima ha provato con il Pd e Dario Franceschini e poi con questo fantomatico “gruppo di responsabilità” (vergognosa pantomima) pare aver trovato la realizzazione che cercava. Ha cercato addirittura di strumentalizzare il dissenso espresso dall’area siciliana (non comprendendo la notevole differenza, di cui parlavo su, tra dissenso costruttivo per il Partito e dissenso costruttivo per il proprio interesse) e ora che si è trovato isolato, dopo le parole di rassicurazione venute dall’isola, ha accesso per primo il cerino e ha aspettato la sua scontata espulsione (“Se Casini mi caccia guardo altrove”: solo se ti caccia, giurin giurello?).

Faccia pure le valigie il Pisacane, se ne vada dall’Udc così come era entrato: senza rimpianti e senza riguardi. L’amore e l’attaccamento agli ideali di un tempo, evidentemente, non fruttano più abbastanza a mercanti come lui. Sarà pure vero che sono solo residui per romantici illusi come me. Ma almeno sparisca dalla nostra vista. Dal nostro Tempio. Grazie Segretario Cesa per avere avviato l’iter di espulsione.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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Mentana intervista Pier Ferdinando Casini

postato il 12 Settembre 2010

Chianciano Terme 12 settembre 2010

Casini, abbiamo visto affluenze, adesioni, amici che sono diventati più amici, c’è un alone positivo, ovviamente. Abbiamo visto anche quali sono gli umori della vostra base, gli umori, gli amori, i disamori. Io sono venuto qui due anni fa, lei aveva appena vinto  la gara per la sopravvivenza in una campagna elettorale fortissima se non sbaglio baciata nel finale anche da un lieto evento familiare! Era riuscito però a superare quella che era stata la morsa che le avevano fatto due ex alleati che si erano dimenticati di essere stati alleati. Avete corso da soli, avete vinto. Allora, due anni fa, l’ha pagata essendo l’unico partito, il leader dell’unico partito che è stato all’opposizione dal 2006 al 2008 e poi ha continuato ad essere un partito di opposizione. Io credo che vi abbia fatto bene stare all’opposizione perché ci si rafforza da un punto di vista di coesione politica.  Adesso la situazione sta cambiando però tutti si chiedono: dove va questo nuovo partito?  Sta lì ad aspettare sulla riva del fiume ma prima o poi dovrà fare delle scelte.  E allora di fronte a tutto questo, innanzitutto come ci si pone?  Ci si pone nell’idea di dire aspettiamo e vediamo oppure prima di tutto i nostri valori? Oppure ci sono delle pietre angolari che sono la legalità, la giustizia, i valori cristiani, che cosa?
Come prima domanda è uno scibile umano! [Continua a leggere]

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Un esempio di ottima politica economica: la Germania

postato il 27 Agosto 2010

In questi giorni si è avuta la conferma che per alcune nazioni, la ripresa è dietro l’angolo: uno di questi è la Germania che sta tornando a correre, occupando di nuovo il suo posto di locomotiva d’Europa.
E’ probabile che la Germania chiuda il 2010 con un numero medio di disoccupati pari a 3,2 milioni, 250mila in meno rispetto al 2009 e oltre 1,5 milioni in meno rispetto a cinque anni fa.
In pratica come se la crisi mondiale non ci fosse stata.

Già da alcuni mesi la Germania, governata da un governo di larghe intese e guidata da Angela Merkel, ha dato segni di un notevole risveglio economico: il PIL è cresciuto del 2,2% contro l’1% dell’Europa, nonostante la Germania abbia varato una manovra correttiva molto più pesante (circa 70 miliardi di euro distribuiti tra tagli e maggiori tasse, nell’ordine di 10 miliardi di euro da ora al 2016) di quella di altre nazioni europee, mentre l’indice IFO ha registrato un rialzo dell’indice di fiducia nelle imprese tedesche a 106,7 punti nel mese di agosto, rispetto ai 106,2 di luglio e contro le attese degli analisti di una soglia pari a 105,7. I dati, inoltre, fanno segnare una forte crescita degli investimenti e una ripresa della domanda dalle principali economie emergenti. La crescita del 2,2 per cento dell’economia tedesca nel secondo trimestre fa sperare le imprese, ma potrebbe andare meglio e la Bundesbank ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il Paese nel 2010 a un più 3 per cento.

Le esportazioni sono aumentate dell’8,2 per cento nella prima metà dell’anno. Su tutto questo, le industrie premono perché il governo liberalizzi le norme per l’immigrazione e il permesso di lavoro degli stranieri qualificati. Il governo è diviso, il ministro dell´Interno si dice contrario, ma la carenza di personale minaccia di frenare la crescita tedesca che si indirizza soprattutto nell’export verso paesi extra UE, come la la Cina e il Brasile, senza dimenticare la Russia, il Sud Africa e altre zone del Far East asiatico.

Come sono stati raggiunti questi risultati?
La Germania ha saputo rafforzare la sua capacità manifatturiera favorendo e sostenendo la capacità di ricerca e innovazione e incoraggiando l’immigrazione di personale qualificato anche da altre nazioni, non solo della UE, ma anche extracomunitari, ottenendo in tal modo grande ammodernamento tecnologico, qualità e la possibilità di essere rapidamente aggiornato sulle nuove tecnologie. Su tutto ciò la Merkel è stata molto abile: nei suoi viaggi ha saputo lanciare al massimo il marchio “Germania” come sinonimo di affidabilità, qualità e serietà, anche grazie alla sua serietà riconosciuta da tutti i leader mondiali.

Ecco la Germania vincente, che incoraggia la ricerca, con la Siemens in Cina e in Brasile (alta velocità ferroviaria, impianti per l’energia rinnovabile), la Bmw e la Volkwagen, e altre aziende. Per fare ciò ci vuole anche il coraggio di prendere delle scelte a volte difficili: la Germania ha deciso, ad esempio, di imporre una tassazione aggiuntiva per le banche con l’obbiettivo di racimolare 1,5 miliardi di euro annui da destinare ad un fondo di sostegno per le stesse banche in crisi.

Investendo moltissimo sulla produttività e con dei sindacati responsabili che hanno partecipato all’operazione, accettando modifiche dei salari e degli orari in cambio di tutela dell’occupazione.
E il resto d’Europa? L’Italia ha delle caratteristiche simili, per certi versi, alla Germania, a partire proprio dall’industria: siamo il secondo paese manifatturiero del continente, dopo i tedeschi, ma a differenza dei tedeschi il sistema pubblico, la politica, i sindacati, sono meno attivi nel sostegno all’industria e alla sua espansione internazionale.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Gli smemorati di Pontida

postato il 25 Agosto 2010

Cari lettori, ma voi lo sapete cos’è “La Padania”?

No, non mi riferisco alla mitica Eldorado del Nord, esistente sin dai primordi della storia e dell’umanità. Stavo parlando del giornale ufficiale della Lega Nord, la “Voce del Nord”, già organo di riferimento per il “Nord unito”, il “Nord mitteleuropeo” (direttori colti, eh?), e addirittura per la “Mitteleuropea” (tutta intera, evidentemente, dalla Padania all’Ungheria, passando per Germania e Polonia). È un giornale che spara a zero contro “Roma Ladrona” e contro il Sud sprecone, ma che poi non disdegna il finanziamento annuale statale di oltre 4 milioni di euro. È un giornale che vanta come direttore politico Umberto Bossi, già reo confesso al processo Enimont, già condannato per vilipendio dello Stato e noto estimatore delle proprietà della carta igienica “Tricolore”. È un giornale piccolino (vende in media 22 mila copie), ma sa sempre come farsi sentire (in osservanza alla legge del “chi ce l’ha più duro vince”).

Tutto ciò è relativo, però. Perché “La Padania” è forse uno dei pochi giornali a poter vantarsi di aver anticipato uno dei cavalli di battagli più famosi de “La Repubblica”. Come? È l’8 luglio 1998 e la Lega Nord ha rotto da tempo i ponti con il Polo delle Libertà e con il suo leader Silvio Berlusconi. Per questo, l’allora direttore Max Parisi, fa del suo giornale, “La Padania” per l’appunto, il primo al mondo a tuonare, contro “Berlusconi mafioso”, pubblicando in prima pagina diverse foto di big dei Cosa Nostra (Riina, Brusca, Badalamenti, Calò), in compagnia proprio del leader di Forza Italia e del suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, numerosi documenti e le dieci domande indirizzate al premier! Sì, proprio le famose e ormai celeberrime “dieci domande”. Domande che vale davvero la pena di rileggere, documentate a dovere, un vero e proprio esempio di giornalismo coraggioso. Max Parisi, poi, concludeva il suo articolo, lanciando un appello a Berlusconi: “Poiché c’è chi l’accusa che quell’oceano di quattrini provenne dalle casse di Cosa Nostra e sta indagando proprio su questo, prego, schianti ogni possibile infamia dicendo semplicemente la verità. Punto per punto, nome per nome. È un’occasione d’oro per farla finita una volta per tutte. Sappia che d’ora in poi il silenzio non le è più consentito né come imprenditore, né come politico, né come uomo.

Dopo 12 anni, immagino, “La Padania”, starà aspettando una risposta. E invece no. Perché si direbbe che invece lì dalle parti di Pontida abbiano cambiato idea: prendete in mano una qualsiasi copia del giornale è leggere che Berlusconi non è più “in combutta con la Mafia”, ma è il “salvatore del Nord”, boicottato (dicono loro: sì, sempre gli stessi) dagli affaristi del Sud (che rispondono ai vari nomi di Casini, Fini, PD e compagnia bella) e dalla magistratura militante. Smemorati? Sbadati? Rassegnati? Oh, no. Gli smemorati de “La Padania” la loro risposta l’hanno trovata. E sapete dove? Nel traffico delle banche, delle quote latte e nella lottizzazione dei vari enti pubblici organizzato dal proprio partito di riferimento. Perché se Roma è e resterà sempre “ladrona”, chi vieta alla Padania (la terra, si intende) di sedersi al tavolo dei commensali e di tenere per sé la fetta migliore di tutto? Come Berlusconi sia riuscito ad accumulare il suo patrimonio non può avere più nessuna importanza, visto che, ora come ora, sono super-impegnati ad accumulare il loro, di patrimonio.

E allora al diavolo le dieci domande a Berlusconi. È la Padania, bellezza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera.

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