Tutti i post della categoria: I 9 punti

L’Italia? Un “Paese per vecchi”. Sempre meno matrimoni e meno nascite

postato il 19 Maggio 2011

L’Italia? È un ‘Paese per vecchi’, in cui ci si sposa sempre meno, si fanno sempre meno figli e si continuano a perdere posti di lavoro. È un ritratto a tinte fosche quello che emerge dal rapporto Istat “Il matrimonio in Italia“. In particolare, lo studio evidenzia come negli ultimi due anni ci sia stato un netto calo dei matrimoni, quasi 30 mila in meno.

Ci si sposa meno e più tardi e si rimane in famiglia più a lungo. Giovani bamboccioni penserete. Ma i dati parlano di una difficoltà sempre maggiore a trovare un lavoro stabile, ad affrontare le spese per andare a vivere da soli. Ed ecco che, al giorno d’oggi, chi decide di compiere il grande passo ha già in media 35 anni, almeno dieci in più rispetto all’età delle nozze dei propri genitori.

Le ragioni per le quali si fatica a crearsi una propria famiglia sono quindi strettamente legate al maggior tempo che si impiega nel raggiungere una stabilità economica, alla precarietà del lavoro accentuata dalla crisi. Ma, come sostiene il quotidiano Avvenire, dipendono anche dalla mancanza di politiche a favore della famiglia, tante volte annunciate e poi cadute nel dimenticatoio. Tanto che, come ha rivelato un recente rapporto Ocse e come più volte da noi sottolineato, l’Italia è in fondo alle classifiche degli aiuti alla famiglie nell’area dei paesi occidentali.

L’Udc ha più volte ribadito l’esigenza che per le famiglie ci sia una politica concreta, non fatta di spot ma di provvedimenti seri.

E allora la domanda da porre al governo, anche alla luce di questa nuova fotografia dell’Italia di oggi è sempre la stessa: quando politiche per la famiglia?

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Sono fiero della scuola pubblica italiana

postato il 10 Maggio 2011

La scuola pubblica italiana è una realtà che include e non esclude e io ne sono fiero, al contrario di Berlusconi.
Sono inaccettabili i tagli che questo governo sta praticando sul futuro dei giovani: come la riduzione del numero degli insegnanti di sostegno, che permettono ai ragazzi disabili di avanzare nel loro percorso insieme ai propri compagni, o i tagli al tempo pieno, un attacco alla libertà delle donne spesso costrette a dover rinunciare al lavoro o a scegliere un part-time. Le vere politiche sulla famiglia passano dal non tagliare questi servizi.

Pier Ferdinando

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Fine vita e dignità dei bambini

postato il 7 Maggio 2011

Si è ripreso a discutere in Parlamento di testamento biologico e di regolamentazione del fine vita. La discussione non può prescindere dal dovere da parte delle istituzioni di rendere dignitoso ogni istante di vita di coloro che si ritrovano a convivere con una malattia incurabile. Recentemente, in occasione di un meeting di lavoro, ho avuto modo di sentire un intervento che riguardava un aspetto molto delicato di tale questione: la malattia incurabile pediatrica.

Se la parola “inguaribile”, riferita alla malattia di un adulto, è difficile da accettare, quando riguarda un bambino è straziante. Eppure in Italia sono oltre 11000 bambini a dover affrontare il calvario di una malattia incurabile (1/3 delle quali di natura neoplastica, le altre di natura degenerativa o dismetabolica), e sentire le difficoltà dei genitori durante quella terribile esperienza fa capire quanto le istituzioni facciano davvero poco per sostenerli. Esistono genitori che imparano procedure mediche avanzate perché non c’è nessuno che lo possa fare a domicilio; esistono genitori perennemente angosciati perché se il loro bambino ha una crisi cardiaca durante la notte non c’è un medico di riferimento ma solo il pediatra di famiglia che ti lascia il suo cellulare pur non essendo obbligato a farlo; esistono genitori che fanno sforzi immani per far si che il loro bimbo abbia una vita normale nonostante tutto. Tutto questo, anche se straordinario, è inaccettabile.

Per un bimbo malato esiste il qui e ora, non ha la percezione che fra un anno non ci sarà più. Il bambino percepisce il dolore fisico, ma forse gli fa più male il non poter andare più a scuola o non poter più giocare con altri bambini. Un bambino in queste condizioni non vuole solamente non sentire più dolore, ma vuole non sentirsi emarginato dagli altri bambini per via della sua malattia, vuole poter continuare a studiare e giocare. Accanto a questi bisogni esistono le esigenze dei genitori: sostegno psicologico, assistenza medico-infermieristica a domicilio, strutture socio-assistenziali adatte a un bambino(spesso vengono mandati in una RSA per adulti perchè non ne esistono di pediatriche, assistenza qualificata a domicilio durante l’orario di lavoro. Sono evidenti a tutti i doveri delle istituzioni, doveri che non possono più procrastinare: assistenza medica, psicologica e sociale del fine vita pediatrico, sia in ospedale che nel territorio.  In questo l’Università di Padova, con il suo Hospice pediatrico nel Dipartimento di Pediatria, sta facendo da apripista. Ma non basta.

La politica forse continuerà ad accapigliarsi sui principi e sui dogmi,  ma di sicuro c’è che uno stato civile deve rendere dignitoso ogni istante di vita, anche l’ultimo, di un individuo. E ciò vale a maggior ragione per i più piccoli.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

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I giovani cristiani ripartono dal lavoro

postato il 1 Maggio 2011

In una società che ha sostituito alla centralità del lavoratore la centralità del consumatore, il lavoro corre il rischio di perdere la propria importanza in sé per assumere la funzione di mero strumento di procacciamento di reddito. Quest’anno, però, la giornata dei lavoratori sembra ri-acquistare nuova centralità alla luce della concomitante cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II, il cui Magistero ha sempre reso omaggio al lavoro dell’uomo, “qualunque esso sia e ovunque si compia”, sottolineandone il “legame estremamente profondo” del problema del lavoro con quello del senso della vita umana; il lavoro, dunque, come problema di natura spirituale. Davanti alle ingiustizie che gridano vendetta – ingiustizie da ricercarsi ai giorni nostri, in primo luogo, nella frammentazione (e la precarizzazione) del lavoro nei lavori, i nuovi lavori e le innovazioni che ne mutano la natura stessa – rimane ancora valida l’indicazione della Laborem exercens, ovvero la necessità di “sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà cogli uomini del lavoro”. Questa esigenza di solidarietà e di partecipazione, così come la possibilità stessa di governare questi radicali cambiamenti, trovò in Giovanni Paolo II la sua formula più alta, quasi profetica, nella proposta di costituire  nel mondo “una globale coalizione a favore del lavoro dignitoso”; a favore di quel “lavoro decente” riaffermato anche da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate.

Proprio su quest’ultimo concetto, come giovani  cristiani – ricordando la missione affidataci da Giovanni Paolo II: dare testimonianza a Cristo davanti agli altri, chiamati ad essere anzitutto “sentinelle del mattino” – vogliamo dar vita, con le altre associazioni giovanili di ispirazione cristiana, ad una piattaforma generazionale intorno a cui possa svilupparsi un dibattito e confronto pubblico sui problemi che ci premono, innanzitutto quelli del precariato e della disoccupazione giovanile.  La prima occasione utile per concretizzare questa nostra volontà di reagire “contro la degradazione dell’uomo come soggetto del lavoro” è rappresentata dalle veglie di preghiera per i giovani e il lavoro – organizzate, nelle diocesi italiane, da Acli, Cisl e Mcl – a cui parteciperemo senza simboli di partito ma con l’ambizione di poter essere parte di quella generazione di laici cristiani impegnati – auspicata da Benedetto XVI – “capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia e della politica”.

Francesco Coviello – Uff. Politico Nazionale UdC Giovani

Francesco Nicotri – vice Coordinatore Nazionale UdC Giovani

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Primo maggio, prima il lavoro

postato il 30 Aprile 2011

Troppe parole inutili e troppi silenzi sul primo maggio. La festa dei lavoratori, come purtroppo tante feste italiane, è stata come al solito preparata da una polemica sterile, questa volta sulle aperture degli esercizi commerciali nel giorno di festa. Polemica sterile non per l’oggetto ma per il modo di squisitamente ideologico di condurla. Bene ha fatto il Post a rilevare che: «è difficile vedere nella chiusura obbligatoria per i negozi una reale battaglia per i diritti dei lavoratori, così come è difficile ignorare l’evidenza che si tratti di una tappa delicata nella ridiscussione del funzionamento del lavoro nell’epoca contemporanea e che quindi la questione non si riduca semplicemente a un giorno di lavoro in più o in meno». C’era dunque e c’è un modo diverso per affrontare la questione e più in generale il problema lavoro. Di certo il modo non è la battaglia ideologica che appare sempre più fiacca quasi quanto l’identità della festa del primo maggio. Una volta la festa dei lavoratori celebrava con orgoglio il lavoro, la sua dignità e vitalità, oggi in tempi di disoccupazione crescente e diritti conculcati, per celebrare il primo maggio rimane solo il vacuo “Concertone”, una manifestazione ormai criticata anche a sinistra, una festa sbiadita dove confluiscono soprattutto i giovani che, come notò argutamente Ilvo Diamanti, sono “normalmente invisibile come il lavoro”. Ma è il silenzio a fare tanto male quanto le parole inutili, il silenzio di chi si occupa della cosa pubblica, il silenzio di chi dovrebbe, con uno straordinario sforzo di unità e concertazione, dare una risposta ad un Paese che ha fame di lavoro. Anche quest’anno dobbiamo penosamente rilevare una crescente disoccupazione e un impegno assolutamente scadente del governo su questo fronte. Cosa rimane del primo maggio se eliminiamo parole e silenzi? Rimane il lavoro che ripulito dalle ipocrisie e dalle scorie ideologiche deve tornare una priorità, per le forze politiche, sociali e per tutti gli italiani. Occorre tornare a pensare al lavoro, e se è il caso a ripensarlo, occorre credere veramente nel primo articolo della nostra Costituzione perché, come ha ricordato il Presidente Napolitano, l’Italia è più che mai una Repubblica fondata sul lavoro e deve tentare di “esserlo di più e non di meno”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Berlusconi dirà che giudici Ue sono comunisti?

postato il 28 Aprile 2011

Fanno demagogia e poi le loro norme vengono bocciate

Aspettiamo solo che Berlusconi ci venga a dire che i giudici europei che hanno bocciato il reato di immigrazione clandestina sono comunisti. Questa presa di posizione del premier ancora non e’ ancora arrivata, ma l’aspettiamo entro sera visto che la maggioranza non trova altro modo di giustificare i pasticci che fa se non individuando nemici riconducibili al Terzo Polo o ai comunisti.
Questa norma è stato bocciata dalla Corte Europea come avevamo previsto. Il governo, essendo in stato confusionale, fa provvedimenti demagogici che puntualmente vengono smentiti.
Questo è indicativo di come si sta procedendo. Così non si puo’ andare avanti.

Pier Ferdinando

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Disoccupazione e dintorni: osservazioni e proposte

postato il 19 Aprile 2011

La disoccupazione è solo il risultato di una difficile congiuntura economica e sociale, oppure si possono individuare anche delle “colpe personali”? C’è chi è disoccupato perché la crisi ha creato un vuoto in alcuni settori dell’economia ma c’è anche chi è disoccupato per colpa propria. In molti quando hanno cominciato il percorso formativo hanno scelto la via più semplice e lo hanno fatto senza nemmeno leggere gli annunci di lavoro, senza la minima coscienza di quali fossero le figure professionali più ricercate pretendendo però di trovare lavoro con il pezzo di carta che hanno ottenuto. Si tratta di irresponsabilità pura, scaricata sul sistema politico e formativo.

Ma al di là delle colpe personali occorre riflettere seriamente sul sistema della formazione: università, scuola e formazione professionale hanno delle carenze notevoli, e molto spesso quando si esce da quelle esperienze non si è pronti. Un imprenditore che volesse assumere si trova in molti casi  a dover formare al lavoro in neoassunto per mesi o anni con costi assurdi. È chiaro che c’è qualcosa che non va.

Nel mondo del lavoro poi, imprenditori e lavoratori devono avere il coraggio di aggiornarsi. Dieci fa non esistevano Apple e il suo I-phone, Google, Facebook e il resto della “moderna” new economy. Oggi, ragazzini di 12 o 13 anni programmano per questi colossi internazionali creando delle loro micro imprese, il loro lavoro è produttivo e navigano in un mercato che raggiungerà quest’anno 35mld di dollari. Quanti ingegneri elettronici, informatici, periti e figure simili percorrono questa strada? Hanno questi il coraggio di rischiare o si aspettano che la STM di turno faccia un’infornata di assunzioni?

Altra piccola osservazione: quel “lavorano tutti” del ministro Tremonti sugli immigrati voleva semplicemente indicare che questi si adattano meglio e più in fretta dei nostri giovani alle esigenze del mercato. Non si vuole paragonare un immigrato non in possesso di titolo di studio riconosciuto con un qualsiasi laureato italiano, però bisogna anche dirsi alcune “verità”: oggi non c’è modo di assorbire quella massa di competenze acquisite nei nostri atenei, ma restano accessibili i posti come banconista al supermercato. Così essendo inutile il titolo per accedervi, il datore di lavoro guarderà alla puntualità e alla serietà del lavoratore. In questo caso il migrante si adatterà senza pretese, mentre il giovane italiano, con laurea in comunicazione e tante aspirazioni non lo farà.

Ma oltre le osservazioni ci sono anche delle vie da percorrere? Chi è già nel mondo del lavoro, a breve, dovrà adattarsi a tutto, mentre nel lungo periodo dovrà pensare a modi di riqualificazione. La politica deve concordare con le parti interessate e fare le riforme necessarie a garantire una migliore vivibilità delle aziende nel sistema economico internazionale e deve incentivare la loro crescita ed il loro sviluppo.

Chi ancora è in fase di formazione o la deve iniziare deve avere il coraggio di scegliere  percorsi difficili e scomodi ma di “sicura” occupabilità all’università o nella formazione specialistica tecnica: aiuterà a lavorare con continuità e a soffrire meno nelle fasi di recessione.

Chi ha un titolo di eccellenza, lo dico a malincuore, deve andare dove può esprimersi. Tocca all’Italia non farvi scappare.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

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Sla, una società sana si occupa dei malati

postato il 16 Aprile 2011

E’ trascorso quasi un anno ormai dal 21 giugno 2010, giornata dedicata al malato di sclerosi laterale amiotrofica, quando i malati insieme ai propri familiari, fecero un sit-in in piazza Montecitorio per chiedere ciò che non dovrebbe essere elemosinata: l’assistenza domiciliare  24 ore su 24. L’ On. Pier Ferdinando Casini nella interrogazione parlamentare fatta due giorni dopo la manifestazione ricordò con forza che l’assistenza sanitaria per queste persone non può essere inferiore alle 24 ore. In quei giorni si sperò che potesse avvenire ”tutto in fretta”, perché finalmente lo Stato si era ricordato di noi, come persone e come cittadini. Così non è stato, ma è solo l’ultima di tante promesse non mantenute.

Ricordo perfettamente quando in campagna elettorale il Premier sostenne la buona idea di abolire Province e Comuni, lì dove fosse stato possibile per avere subito risparmi da indirizzare nel sociale.L’abolizione delle provincie non c’è stata perché a una fetta importante del Governo non è sembrata una proposta utile. Ma la malattia non aspetta, i malati non hanno i tempi lunghi della Politica, i malati, mentre a Montecitorio si azzuffano e si insultano, continuano a morire. Tanto lenti i tempi politici quanto velocissimi quelli di malattie gravi, tanto che in molti casi sono le “soluzioni improvvisate “ dai familiari dei malati a prendere il campo,  familiari che si trasformano in veri e propri eroi, che rischiano tutto  per diventare infermieri dei loro cari o  per racimolare i soldi necessari a pagare l’ assistente socio-sanitario e/o l’ infermiere.

Per questa ragione ho apprezzato il monito lanciato recentemente dall’ on. Paola Binetti,  affinché non si giunga all’amara constatazione che persino nella tragedia della malattia vi siano Malati di serie  A e  Malati di serie B: questo non solo  sarebbe frutto di una mentalità umiliante per tutti, malati e sani, credenti e non, cristiani e laici, illuminati da Gesù o da Voltaire, ma diventerebbe  il marchio a fuoco di una società malsana,  inquinata da chi è troppo distratto dai propri affari per potersi occupare dei più deboli, degli ultimi perché improduttivi, degli indifesi poiché privi di parola e di gambe che funzionano ma che esistono e gridano con i loro assordanti silenzi.

Una società civile non può consentire di essere rappresentata da chi non crede ancora che sia giunto il momento di volgere lo sguardo agli ultimi, soprattutto se chi detiene il potere si professa convintamente cristiano e cattolico. Sono d’ accordo  con la Binetti quando afferma che di questo tema se ne potrebbe occupare il Ministero delle Pari Opportunità, proprio perché è necessario dare ai malati di Sla e a tutti coloro che soffrono l’opportunità di una vita degna di essere vissuta, proprio come chiunque altro. Quello che è un augurio per la crescita civile del nostro Paese, è anche una speranza concreta per un malato di Sla.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Elisabetta Pontrelli

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Immigrazione, Berlusconi venga in Aula

postato il 12 Aprile 2011

Berlusconi venga a riferire sulla linea di politica internazionale che il governo ha deciso di adottare. Si faccia un dibattito in Parlamento sull’Europa, perché abbiamo sentito troppe voci discordanti. Spiegare quello che sta succedendo dopo le dichiarazioni surreali di ieri sarebbe un fatto di dignità e serietà del Parlamento e dell’intero governo.

Pier Ferdinando

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Immigrazione, ultimatum di Berlusconi? Non è credibile

postato il 11 Aprile 2011

Sull’immigrazione ci vorrebbe un fronte comune in Europa. Non c’è certo bisogno di ultimatum, soprattutto se non si ha credibilità per farlo, e la credibilità di Berlusconi è sotto gli occhi di tutti.
Dobbiamo invece fare quello che ha detto il Presidente della Repubblica, e cioè chiedere una corresponsabilità all’Europa con la serenità di chi non cambia opinione ogni giorno.

Pier Ferdinando

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