Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

La rinascita del Cile e l’anti-risorgimento italiano

postato il 3 Marzo 2011

Il presidente cileno Sebastian Piñera in un’intervista al Corriere ha dichiarato di non sentirsi affatto paragonabile al nostro presidente del Consiglio, l’intramontabile Silvio Berlusconi. In molti avvicinano i due uomini in quanto entrambi sono di centrodestra, entrambi rappresentano il potere esecutivo di due Paesi, entrambi provengono dall’imprenditoria (e la somiglianza si fa più marcata se pensiamo che Piñera, come il nostrano Cavaliere, ha un passato da imprenditore nel calcio).

Piñera è presidente da poco meno di un anno, un novizio del mestiere rispetto al suo termine di paragone, ma ha tenuto a rimarcare le dovute differenze, che sono di natura sostanziale e non solo formale. Innanzitutto l’età. Noi italiani siamo assuefatti ad un mondo politico fatto di vecchi, di dinosauri, di fossili cresciuti e invecchiati nella politica, con scarsa propensione a farsi da parte. Ne conosciamo a memoria i nomi visto che da vent’anni campeggiano con le loro dichiarazioni sulle prime pagine dei giornali, a seconda della fortuna o della visibilità della proposta politica di cui si fanno di volta in volta portavoce. Piñera, già esponente politico di rilievo, è presidente dal 2010. Berlusconi dal 1994 ha già formato quattro governi. Il cileno ha poco più di sessant’anni, l’italiano va per i settantacinque. Piñera ha studiato ad Harvard e ha insegnato per quindici anni, quindi conosce bene il mondo accademico. Per Berlusconi le università e le scuole superiori sono solo feudi della sinistra, e non perde occasione per operare tagli al sistema-istruzione attraverso ministri poco inclini al dialogo con le forze che rappresentano la scuola e l’università. E, last but not least, il presidente cileno ha risolto un nodo che per Berlusconi e l’opinione pubblica italiana pesa come un macigno: il conflitto di interessi, formula ormai accettata nel comune parlare che indica quel grumo di interessi a cavallo tra politica e affari di un leader che rimane imprenditore pur essendo presidente del Consiglio. In Italia Berlusconi continua a possedere tre tv, alcuni giornali, case editrici, imprese finanziarie e società sportive. Un rapporto pericoloso mai affrontato con legge, malgrado le parole spese e le accese proteste delle forze d’opposizione, negli anni in cui il “conflitto di interessi” impazzava sui giornali e portava in piazza persone indignate. Berlusconi è  ancora lì coi suoi grassi dividendi mentre il suo “omologo” cileno, sebbene nessuno glielo abbia chiesto, ha smesso i panni dell’imprenditore per quelli di uomo dello Stato che deve guardare a interessi collettivi e non di parte. Una rarità a cui non siamo abituati. Ma tant’è.

Al confronto la figura di Berlusconi, e dell’Italia, se posso permettermelo, impallidiscono ancora di più, quando Piñera parla delle ultime tappe importanti compiute dal suo popolo, che ha saputo mettere da parte l’asprezza di un passato fatto di divisioni e lotte politiche in vista di un’unità politica e sociale, preludio a uno sviluppo economico convinto che, si spera, porterà il Paese ad affrancarsi dalla povertà. “Il Cile è una società riconciliata”, “siamo tornati alla democrazia in modo unitario, saggio e pacifico” e il leader ha progetti seri e robusti per la crescita.

Il confronto è doloroso. Certo a noi non manca la democrazia, il nostro percorso traumatico lo abbiamo già affrontato decenni or sono, ma è quel clima di divisione a preoccupare.

Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia potrebbe essere, perché  no, l’anno della riconciliazione e al contempo l’anno delle riforme, queste sconosciute, sempre evocate e mai realizzate. Il Paese le aspetta dal lontano 1994 quando il deus ex machina le promise solennemente, ribadendole in occasioni successive. La seconda repubblica non ha invertito la rotta, l’Italia è sempre ferma al palo. Se il 2011 ci porterà in una “terza dimensione” della politica, con la creazione convinta di un piano di riforme condivise sarà già un grande risultato. Ma le premesse non prospettano nulla di buono. Il federalismo che tutti desideriamo ha il bollino della Lega, che ne dispone come se fosse appannaggio personale senza considerare le posizioni delle altre forze politiche e dei veri rappresentanti delle autonomie. Il quadro è desolante ma per invertire la rotta basta poco: più responsabilità da parte di chi governa (perché ognuno ha i suoi ruoli, è bene sottolinearlo) e maggiore ascolto a quei protagonisti della scena pubblica che ci danno tanti suggerimenti, a cominciare dal presidente della Repubblica, figura preziosissima, passando per la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che non perde occasione per chiedere alla politica di far ripartire il Paese, fino ad arrivare alle associazioni, alle aggregazioni civili dell’Italia migliore.

Siamo alla vigilia del vertice italo-cileno, l’unica cosa che mi sento di dire è: prendiamo esempio dal Cile, e il consiglio che rivolgo al presidente del Consiglio (e all’Italia) è di prendere esempio da Sebastian Piñera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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Leggere Socrate e continuare a sperare

postato il 27 Febbraio 2011

In questi giorni mi è capitato di  leggere e apprezzare il libro di Pasquale Tucciariello “Socrate” che, in poche pagine, racchiude il senso dell’esistenza di uno dei più grandi filosofi della storia -anzi, del filosofo per eccellenza-, e ne racconta abilmente gli ultimi momenti di vita.

Un grande spunto di riflessione, per parlare di un personaggio su cui mai nessuno aveva provato a scrivere una tragedia.

Ma possiamo davvero considerarla una tragedia? Certo, si conclude con la “catastrofe”, la morte del grande pensatore tra i gemiti e i lamenti della moglie Santippe e dei suoi fedeli e giovani seguaci ma, ad una più attenta lettura, si scorge infine un barlume di speranza, estraneo ai canoni della tragedia greca. L’eredità lasciata da Socrate non potrà essere certo cancellata dalla decisione di giudici corrotti, di sofisti ignoranti, incalliti paladini delle proprie teorie, di persone false, presuntuose, convinti che uccidendo un uomo, si possa uccidere il suo pensiero.

Oggi sappiamo che ciò non è avvenuto e il messaggio socratico rimane sempre impresso nelle coscienze degli uomini, li spinge a non fermarsi alle apparenze, a scavare nel profondo, a ricercare il vero.

Credo che l’insegnamento di Socrate sia importante per quanti sentono il dovere di partecipare alla vita sociale e politica, anche attraverso il web, per conoscere , comprendere, discutere e, quando necessario, criticare.

Il concetto di “conoscere”, inteso come strumento di “libertà”, è il regalo più grande che Socrate poteva farci.

La partecipazione e il rispetto della legalità, dello Stato, delle leggi, dovrebbero essere i princìpi fondanti di una società civile. Quando manca uno dei due, è la fine.

Spero che la figura di Socrate, dell’uomo giusto, del  grande sapiente che pur sapendo di essere innocente, lascia che la giustizia, non sempre giusta, faccia il suo corso,  possa far riflettere e soprattutto possa farci tornare a sperare in tempi di personaggi che sono lontani anni luce dalla luminosa figura di Socrate.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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L’Unita’ d’Italia va festeggiata da Nord a Sud

postato il 25 Febbraio 2011

Il 150° anniversario dell’Unità d’Italia va festeggiato come si conviene, da Siracusa a Bolzano. Siamo molto rammaricati che per la Lega, che è l’alleato privilegiato del Pdl, questa ricorrenza sia invece un impiccio, qualcosa di cui quasi vergognarsi, o comunque da parlarne sottovoce. E’ il segno che c’è ancora qualche problema serio sul concetto di unità nazionale e di amore per la Repubblica.

Pier Ferdinando

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Il patriottismo da Garibaldi a Benigni: questo matrimonio s’ha da fare!

postato il 22 Febbraio 2011

Se tra cento anni in qualche piazza italiana le future generazioni potranno ammirare una statua equestre di Roberto Benigni al cospetto dell’Eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi, come è già successo a Dante e Petrarca in un bellissimo parco di Arezzo, allora vorrà dire che il Premio Oscar Benigni sarà riuscito a trascinare tutti gli Italiani in quel sogno d’Unità, che è stato anche il leit-motiv di tutto il Festival di Sanremo: il “restiamo uniti” di Gianni Morandi, ripetuto tante volte dal palco dell’Ariston, ecco che già si trasforma in un messaggio carico di significato, un significato molto più ampio e nobile, non solo circoscritto ai suoi compagni d’avventura, Luca e Paolo, Belen ed Elisabetta, bensì estensibile al popolo quasi come un monito.
Ho sempre considerato Roberto Benigni un Genio dei Nostri Tempi, poiché il Genio, proprio come lo è Leopardi o “il su’ Dante”, è colui che sa cogliere il sentire comune degli uomini , ma sa soprattutto carpire lo spirito, ossia il canto dell’anima, degli uomini del suo tempo, sapendone cogliere le ferite, le delusioni, le paure, ma anche i sogni, i sorrisi, le speranze: il genio le conosce meglio di chi ce l’ha dentro certe emozioni e con molta semplicità e naturalezza le carpisce per poi rispedirle al mittente, che non sapeva ci fossero….o che intuiva un’emozione, ma non sapeva come esprimerle. Ed il genio ti sa spiegare pure i tuoi come e perché, che hai nell’anima facendoti da specchio, poiché possiede una virtù che spesso altri non hanno e che, come diceva saggiamente Churchill, è tra le più importanti fra tutte le virtù, poiché senza questa tutte le altre muoiono: il coraggio.
Ecco, grazie al coraggio, Roberto Benigni ci ha fatto da specchio dal palco dell’Ariston e ci ha lasciato di stucco quando, facendo l’esegesi dell’Inno di Mameli, ci ha spiegato il perché ed il come essere uniti. Ciò che un ragazzino pensava gli venisse spiegato da un insegnante o da una voce istituzionale è invece magicamente provenuto dalla TV, dal Festival di Sanremo. E meno male! Ve lo immaginate che tristezza sarebbe stato uno spettacolo diverso o addirittura che avesse banalizzato, minimizzato e ridotto un evento così importante come i 150 anni della nostra Italia? E’stato importante invece, ancor prima che un bello spettacolo, collocare una festa nazione in una piazza nazional-popolare come quella del Festival di Sanremo. Ha ribadito bene questo concetto Roberto Rao, Capogruppo UDC in Commissione di Vigilanza RAI, sottolineando l’importanza della televisione come media fondamentale oggi per trasmettere Cultura ed insegnare.
La Rai ha comunque potuto dimostrare brillantemente a 19 milioni di Italiani (il picco raggiunto durante lo show di Benigni) di essere ”la prima azienda culturale italiana”, rendendo quindi un gran servizio al Paese, ed è auspicabile continuare a percorrere questo binario. Certamente ciò che ci rimarrà ben impresso nella mente non sarà solo l’unicità del nostro Roberto, ma anche il fatto che sia dovuto salire lui sul palco di Sanremo per supplire alle carenze di un Governo a cui non è venuto in mente di celebrare degnamente questa festa. E quindi, come in tanti altri periodi storici un po’ confusi dal punto di vista sociale e politico, ha dovuto farlo un artista, un poeta innamorato dell’Amore come solo Roberto Benigni è.
Meno male che è toccata a lui questa bellissima lezione di storia e di amore sulla nostra Italia. Egli, con una maestria che solo i grandi hanno, ha saputo rispondere all’appello di un altro grande, Antonio Gramsci, letto solennemente da Luca e Paolo, che spiegava ai suoi lettori perché si debba sempre rifuggire dall’indifferenza e come essa sia complice, se non causa addirittura, dei mali più grandi che dilagano tra gli uomini; un concetto ripreso da Alberto Asor Rosa, che parla dell’Indifferenza giudicandola non solo un principio di potere, ma un modo di vita che a lungo andare s’attacca come un morbo schifoso all’esistenza quotidiana di tutti, che ci impedisce di vedere che le questioni dei singoli si legano a quelle di molti, poiché siamo tutti collegati.
Se è innegabile che l’Italia sia un paese caleidoscopico, la cui storia di nazione inizia col mettere insieme (anche forzatamente, come ci insegnano Giordano Bruno Guerri e Pino Aprile) esperienze diverse, questo non può diventare un motivo per alimentare disfattismo e paure che non esistono, se non nelle menti avare e indifferenti di chi dà vita a queste menzogne, spesso servendosi dell’inganno. Alla paura,che paralizza l’uomo e lo distrae dai fini nobili, anzi divini, per cui egli è stato creato, bisogna necessariamente contrapporre la testimonianza vissuta, quella che appartiene a tutti noi italiani quando, viaggiando, ci conosciamo e ci “riconosciamo” negli occhi degli altri e “magicamente” possiamo constatare che non abbiamo nulla da temere gli uni dagli altri. I 150 anni non sono solo un compleanno, una ricorrenza, una data da festeggiare, ma sono soprattutto una GRANDISSIMA OCCASIONE per prendere coscienza della nostra storia, che non è iniziata felicemente sotto il profumo dei fiori d’oro e d’arancio, ma che, grazie a questa presa di coscienza storica amara, può ancora diventare tra le più belle fiabe mai raccontate. Questa fiaba è iniziata con quei ragazzi poco più che ventenni, proprio come Mameli, che morirono per quel sogno, convinti che la loro morte avrebbe dato a noi la vita. Basterebbe poco per un lieto fine però, confermando che la giusta causa non s’è dissolta nel nulla, così come le loro morti. Basterebbe innanzitutto riappropriarsi della facoltà di pensare con la propria testa e leggere, vedere, sentire. Basterebbe pensare che essere DIVERSI MA COMPATIBILI, QUINDI UNITI è una ricchezza, una forza, una marcia in più; quella marcia di cui per esempio abbiamo bisogno se vogliamo vedere l’Italia come nazione-chiave, fondamentale per l’ equilibrio, nel nuovo assetto geopolitico dell’area mediterranea.
I Padri costituenti realizzarono la Costituzione, perché ci amarono…e ci amarono talmente tanto che lo fecero, per nostra fortuna, con lungimiranza, affinché nessun uomo mai più potesse disporre della vita e dei pensieri di un altro uomo, come poteva accadere per questa ricorrenza, sentita innanzitutto dal basso.Se chi scrisse la Costituzione lo fece innanzitutto perché amava il popolo italiano, si capisce perché ogni tanto spunta qualcuno che non riesce ad interpretarla correttamente! E ritornando ai Mazzini,Pisacane,Mameli e Garibaldi, essi morirono per l’Italia, perché il loro sogno era costruire un BENE COMUNE DA TUTELARE, INTESO COME SISTEMA DI VALORI CONDIVISI DA DIFENDERE: questo significa ITALIA UNITA e sfido chiunque a dire che i valori morali siano diversi da Aosta a Cagliari, da Genova a Bari o da Ravenna a Roma.Incostituzionale è semmai affermare che l’Unità debba venire dopo il federalismo.Federalismo, welfare, protezionismo che c’entrano con la Festa di valori condivisi?
Concluderei, citando ancora una volta il pensiero sublime del poeta Benigni, che in un altro suo film capolavoro, “La tigre e la neve”, consiglia a tutto il genere umano di innamorarsi per mettere meglio a fuoco la Verità dell’universo che ci circonda. Ecco, forse l’Innamoramento è il vero antidoto per quell’indifferenza che temeva Gramsci: l’Amore in senso assoluto come unico vaccino efficace contro quel maledetto virus dell’indifferenza. E allora , come grida con gioia e mirabile felicità il nostro Roberto: INNAMORATEVI!!! Innamoratevi Italiani, guardatevi allo specchio della Storia e poi leggete la poesia che è dentro di voi, perché” la poesia non è fuori, ma è dentro”, come afferma Benigni. Dimostrate Italiani a tutto il Mondo che vi mancavano solo le parole per esprimere ciò che sentivate e che sentite, ora più che mai che ne avete preso coscienza: dimostriamo al Mondo che a volte ci vogliono 80 anni per scrivere una poesia d’amore, poiché ci vogliono 8 mesi per trovare ciascuna “parola giusta” che possa esprimere il sentimento dell’amore….Noi ci abbiamo messo un po’ di più, 150 anni, proprio perché siamo italiani e dovevamo trovare le parole giuste, per non far imbarazzare il Sommo Poeta.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Elisabetta Pontrelli

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Libia: per fortuna il governo ha cambiato posizione

postato il 21 Febbraio 2011

Positivo anche se tardivo allineamento a valutazione europea

Mi sembra che la posizione italiana sia sostanzialmente cambiata ed io -poiché sono un patriota – dico per fortuna. Perché non condannare le violenze contro giovani che stanno in piazza a Tripoli e Bengasi sarebbe stata pura irresponsabilità. Non disturbare il colonnello Gheddafi oggi sarebbe stato un atto di viltà e di sostanziale complicità. Sono lieto che ci sia stato questo tardivo ma comunque positivo allineamento alle posizioni europee.
E vorrei ricordare che io sono stato l’unico, insieme al mio gruppo parlamentare, a votare contro il Trattato di amicizia con Gheddafi fatto qualche mese fa. [Continua a leggere]

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L’anelito di libertà che ci deve disturbare

postato il 20 Febbraio 2011

La fine dei governi autoritari di Tunisia ed Egitto sembra aver innescato un movimento di protesta senza precedenti che in questi giorni riempie le piazze di molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Le notizie che giungono da questi paesi sono molto frammentarie e confuse perché le autorità controllano le comunicazioni e hanno messo in atto una strategia di oscuramento che colpisce specialmente la rete internet e i suoi social networks, tuttavia le notizie riescono comunque ad aggirare in qualche modo questo feroce embargo e in queste ore ci raccontano anche delle repressioni nel sangue in particolare in Bahrein e in Libia. Queste serie di sollevazioni dal golfo persico all’oceano Atlantico sono sicuramente il sintomo di un malessere generalizzato nei confronti di regimi autoritari e corrotti che governano grazie alla paura e a complicità svariate, spesso anche internazionali, e che hanno impedito la crescita di questi paesi e in molti casi hanno causato uno spaventoso divario tra poveri e ricchi. Altro particolare di queste rivolte è che le piazze sono piene di giovani e donne dai diritti conculcati e dal futuro incerto che traggono forza e speranza dai contatti che sviluppano attraverso internet con l’Occidente libero e democratico.

Nonostante queste caratteristiche comuni le proteste e le rivolte che sconvolgono il Maghreb e la penisola araba sono molto differenti tra di loro ed ogni paese presenta variabili ed imprevisti che difficilmente consento di identificare il fenomeno e di prevedere sviluppi e possibili scenari. Di certo in questo momento c’è l’insufficienza della politica estera dell’Europa e dell’Italia, al contrario degli Stati Uniti, che pure con evidenti defaiances diplomatiche sono riusciti in qualche modo a far sentire la loro voce, l’Europa è sembrata spiazzata ed afona di fronte al precipitare della situazione in Tunisia, in Egitto e poi negli altri paesi.

L’Unione Europea dei trattati e delle conferenze mediterranee, di Tony Blair e Lady Ashton non è riuscita a prendere una posizione, a intervenire e probabilmente ha deluso le aspettative di quegli uomini e di quelle donne che nelle piazze e nelle strade di questo oriente inquieto speravano almeno in un cenno di approvazione della patria del diritto e della civiltà. Purtroppo non ci si può neanche consolare con le diplomazie nazionali: come ha argutamente notato Ugo Tramballi su il Sole 24 ore se in un motore di ricerca proviamo a cercare qualcosa del tipo “Franco Frattini Medio Oriente” oppure “Alliot-Marie Proche Orient” troveremo poco o niente. E’ probabile che questo silenzio non sia solo il frutto amaro di ministri degli esteri incapaci ma anche di un imbarazzo politico dovuto all’appoggio, non troppo velato, ai tiranni di ieri che hanno governato spesso col consenso e la benevolenza di parecchi stati europei che spesso hanno anche notevoli interessi economici in ballo.

In Italia l’assordante silenzio del ministro Frattini è purtroppo compensato dalle incredibili dichiarazioni del Premier che ha affermato davanti ai giornalisti di non avere sentito Gheddafi e di non permettersi di disturbalo. Peccato che il “non disturbare Gheddafi” del Presidente del Consiglio sia costato al popolo libico più di cento morti negli scontri di Bengasi. Fiumi di sangue e la fine dello status quo in Nord Africa e Medio Oriente dovrebbero spingere Berlusconi a riferire alla Camere, e più in generale dovrebbero costringere l’intera Europa a riflettere sulle conseguenze di questa situazione e ad intervenire per una soluzione non violenta delle crisi che però preservi e sostenga l’anelito di libertà e democrazia che proviene dalle piazze Tahrir di tutto l’Oriente. Un anelito che deve “disturbare”  i satrapi orientali ma anche i sonni tranquilli dei cosiddetti paesi liberi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Ospite di Villaggio Solidale, il salone italiano del volontariato

postato il 19 Febbraio 2011

Tante domande di “vita vera”, Pier Ferdinando Casini intervistato ieri a Lucca dal presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino.

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Il volontariato è una grande questione sociale

postato il 18 Febbraio 2011

Serve alla società italiana come grande valore di riferimento

Istituire un Dipartimento del volontariato presso la Presidenza del Consiglio può essere un’ottima idea, ma soprattutto bisogna cambiare la testa della politica. Il volontariato oggi è  fondamentale: è una grande questione sociale, politica e istituzionale. Noi pensiamo che la società civile debba entrare in campo e che il volontariato serve alla società come grande valore di riferimento. O siamo convinti di questo, o nessun dipartimento potrà fare il lavoro che ci attende.

Pier Ferdinando

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Ospite di ‘Otto e mezzo’

postato il 18 Febbraio 2011

Allo spazio di approfondimento politico de La7 condotto da Lilli Gruber. In studio anche Stefano Folli

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Donne in piazza, Berlusconi impari a rispettare

postato il 14 Febbraio 2011

Berlusconi deve imparare a rispettare gli altri piuttosto che insolentirli sempre.
Quella di ieri mi è sembrata una grande manifestazione di gente che ha espresso le proprie idee di libertà, di dignità in ordine alle donne e alla condizione femminile.

Pier Ferdinando

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