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Ma il problema dei cattolici non è solo Berlusconi

postato il 26 Agosto 2010

La polemica sull’editoriale di Famiglia Cristiana è una di quelle polemiche inutili che distraggono dalle questioni importanti. E’ una polemica inutile perché il settimanale dei paolini è una rivista cattolica, e non dunque la rivista rappresentativa di tutti i cattolici italiani, che esercita legittimamente come qualunque altro organo di stampa il diritto di critica nei confronti del governo di questo Paese.

Risultano così sproporzionate le reazioni dei pretoriani berlusconiani  che sembrano vivere in un mondo dove esiste il crimine di lesa maestà per quanti dissentono dal Premier  e dove i giornali cattolici si occupano solo del fatto se è meglio accendere le candele a san Francesco o a san Giuseppe. Fortunatamente viviamo in un paese libero e democratico dove criticare il Presidente del Consiglio è legittimo e a volte doveroso anche per un giornale cattolico che, ricordiamocelo, ha il compito di cercare la verità e di guardare alla realtà sub luce Evangelii. Fatta questa premessa necessaria per sgombrare il campo dalle sterili polemiche è giusto occuparsi dell’editoriale di Beppe Del Colle che pur facendo delle importanti sottolineature sembra perdere di vista lo sfondo più vasto della vicenda dei cattolici italiani in politica.

Del Colle si muove sulla scia di un bell’editoriale di Gian Enrico Rusconi su La Stampa, dove si invitano i cattolici italiani a fare autocritica sulla recente esperienza politica, e attribuisce alla discesa in campo del Cavaliere il “demerito” di aver iniziato la diaspora del voto cattolico. Il “fenomeno Berlusconi” è sicuramente un elemento chiave per comprendere la vicenda recente dei cattolici in politica ma non esaustivo perché la crisi della presenza politica dei cattolici in Italia viene da lontano: non è stato Berlusconi a spaccare il voto cattolico ma la storia.

Il cambiamento e le fibrillazioni della Chiesa Cattolica sempre meno monolite e più sinfonia, il crollo delle ideologie, la crisi irrisolta della Democrazia Cristiana hanno progressivamente “liberato” il voto cattolico in Italia (è sufficiente guardare il progressivo assottigliarsi dell’elettorato democristiano) che orfano della Balena Bianca si è disperso tra le nuove formazioni politiche con una innegabile, e incoraggiata dalle gerarchie ecclesiastiche, preferenza per le forze del cento destra guidato da Silvio Berlusconi. Solo a questo punto si può accettare il rilievo di Del Colle sul problematico rapporto con il berlusconismo che da un lato, supportato da schiere di atei devoti, solletica e ammalia i cattolici con la difesa ad oltranza della vita ma dall’altro opera una progressiva estromissione dei valori dalla vita personale e comunitaria.

C’è dunque un rapporto problematico dei cattolici con il berlusconismo, ma c’è soprattutto un problema della presenza dei cattolici nella vita politica e nella società civile che le vicende di questi anni, incluso il berlusconismo, non fanno altro che confermare. Questa crisi della presenza politica dei cattolici rientra nel più grande travaglio della Chiesa Cattolica che nel nostro caso non riesce a far passare capillarmente al suo interno la convinzione che l’impegno per la cultura e per l’educazione e la formazione della persona umana costituisce la prima sollecitudine dell’azione sociale dei cristiani. Mancano, per usare una immagine quasi milaniana, quei preti che ti volevano davvero bene e dunque ti  mettevano il Vangelo in una mano e il giornale nell’altra e ti insegnavano che la “Buona Notizia” delle pagine evangeliche può e deve essere anche nelle pagine del tuo giornale. Ecco perché ha ragione Rusconi quando dice che i cattolici “non possono limitarsi a scaricare la responsabilità sulla cattiva politica del presente” ma devono compiere una seria autocritica su questi ultimi anni, una critica che colpisca specialmente ogni appiattimento deferente verso i potenti finalizzato a lucrare favori o vantaggi, una critica che sostenuta dalla radicalità evangelica ridia spazio e vigore alle voci profetiche capaci di denunciare ma anche di annunciare gioia grande, capaci di ripetere le parole isaiane: “per amore del mio popolo non tacerò”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Quella DC nata al nord e l’esigenza di un federalismo autenticamente solidale

postato il 26 Agosto 2010

Il Sole 24 Ore” di ieri, con un interessante articolo a firma di Dino Pesole, cerca di rinfrescare le nozioni del Ministro Bossi sulla storia della Democrazia Cristiana, probabilmente da rivedere (assieme a tante altre questioni).

La DC, contrariamente all’analisi del “senatur”, nasce nel pieno del secondo conflitto mondiale (1942) come un partito decisamente legato al territorio del Nord, in particolare a quel Nord profondo, contadino, cattolico e lavoratore che faceva della triade “casa – chiesa – bottega” il proprio punto di riferimento (i racconti di Guareschi con la parabola del Bene Comune portato avanti, nonostante le divergenze, dal pretone della Bassa Don Camillo e dal sindaco comunista Peppone sono eloquenti al riguardo).

Molta parte di quel Nord oggi in camicia verde (si pensi all’epopea del “mitico” Nordest tra gli anni ’80 e ’90) nasce indubbiamente da questo sostrato sociale. Territori vocati ad una tragica emigrazione che, partita alla fine dell’Ottocento, si protrarrà anche durante il regime fascista, nonostante i proclami mussoliniani. Quei territori trovarono un importante punto di riferimento nel rassicurante pensiero democristiano, nella sua azione moderata, nel valore della sua classe dirigente che aveva fatto la Resistenza, pagando anche a caro prezzo l’adesione alla democrazia (si pensi a Porzus e alle vicende del “Triangolo della Morte”, con l’uccisione di molti sacerdoti e politici moderati solo colpevoli di aver invocato una pace sociale) e nell’adesione all’Alleanza Atlantica e al Piano Marshall.

Riforma agraria, Piano Casa, riforma fiscale, provvedimenti messi in campo negli anni del centrismo segnato dall’impronta della figura di De Gasperi, strizzavano certamente l’occhio a questi stati sociali, gettando le basi di quel “boom” che poi caratterizzerà l’Italia degli anni ’60. Certo, la progressiva meridionalizzazione di apparati dirigenti e di governo, esasperata alla fine degli anni ’80, ma già iniziata nei tragici “anni di piombo”, porterà ad un certo distacco e alla nascita dei primi fermenti anti – centralisti.

Non posso qui non citare, a tal proposito, l’intelligente intuizione di un grande politico della terra veneta quale Antonio “Toni” Bisaglia (1929 – 1984), morto prematuramente all’apice della sua carriera : creare un partito federato, sul modello della CSU bavarese, per stare realmente accanto agli interessi e alle priorità del territorio, di fronte ad un progressivo distacco di una partitocrazia crescente da quella borghesia che aveva appoggiato la nascita della DC. Una lezione importante, che esaltava un federalismo solidale, nel solco della tradizione dei Comuni italiani (di là viene non a caso il motto “Libertas”) come indicato nel lontano 1919 da Don Sturzo in prima persona, per prevenire quei fermenti che già agitavano le acque del Nord d’Italia, nel generale riflusso ideologico degli anni ’80. Un modello che forse, nel progetto di un nuovo soggetto politico legato alla coesione e responsabilità nazionale, avrebbe senso riprendere, per dare, come sottolineato recentemente anche dalla CEI, un senso solidale e non egoistico alla riforma dello Stato in atto, da non ridurre a mero slogan propagandistico di qualche soggetto politico, o, peggio, a paravento per parole d’ordine dure e contro l’interesse della nostra “povera Patria” (Battiato docet).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marco Chianaglia.

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Gli smemorati di Pontida

postato il 25 Agosto 2010

Cari lettori, ma voi lo sapete cos’è “La Padania”?

No, non mi riferisco alla mitica Eldorado del Nord, esistente sin dai primordi della storia e dell’umanità. Stavo parlando del giornale ufficiale della Lega Nord, la “Voce del Nord”, già organo di riferimento per il “Nord unito”, il “Nord mitteleuropeo” (direttori colti, eh?), e addirittura per la “Mitteleuropea” (tutta intera, evidentemente, dalla Padania all’Ungheria, passando per Germania e Polonia). È un giornale che spara a zero contro “Roma Ladrona” e contro il Sud sprecone, ma che poi non disdegna il finanziamento annuale statale di oltre 4 milioni di euro. È un giornale che vanta come direttore politico Umberto Bossi, già reo confesso al processo Enimont, già condannato per vilipendio dello Stato e noto estimatore delle proprietà della carta igienica “Tricolore”. È un giornale piccolino (vende in media 22 mila copie), ma sa sempre come farsi sentire (in osservanza alla legge del “chi ce l’ha più duro vince”).

Tutto ciò è relativo, però. Perché “La Padania” è forse uno dei pochi giornali a poter vantarsi di aver anticipato uno dei cavalli di battagli più famosi de “La Repubblica”. Come? È l’8 luglio 1998 e la Lega Nord ha rotto da tempo i ponti con il Polo delle Libertà e con il suo leader Silvio Berlusconi. Per questo, l’allora direttore Max Parisi, fa del suo giornale, “La Padania” per l’appunto, il primo al mondo a tuonare, contro “Berlusconi mafioso”, pubblicando in prima pagina diverse foto di big dei Cosa Nostra (Riina, Brusca, Badalamenti, Calò), in compagnia proprio del leader di Forza Italia e del suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, numerosi documenti e le dieci domande indirizzate al premier! Sì, proprio le famose e ormai celeberrime “dieci domande”. Domande che vale davvero la pena di rileggere, documentate a dovere, un vero e proprio esempio di giornalismo coraggioso. Max Parisi, poi, concludeva il suo articolo, lanciando un appello a Berlusconi: “Poiché c’è chi l’accusa che quell’oceano di quattrini provenne dalle casse di Cosa Nostra e sta indagando proprio su questo, prego, schianti ogni possibile infamia dicendo semplicemente la verità. Punto per punto, nome per nome. È un’occasione d’oro per farla finita una volta per tutte. Sappia che d’ora in poi il silenzio non le è più consentito né come imprenditore, né come politico, né come uomo.

Dopo 12 anni, immagino, “La Padania”, starà aspettando una risposta. E invece no. Perché si direbbe che invece lì dalle parti di Pontida abbiano cambiato idea: prendete in mano una qualsiasi copia del giornale è leggere che Berlusconi non è più “in combutta con la Mafia”, ma è il “salvatore del Nord”, boicottato (dicono loro: sì, sempre gli stessi) dagli affaristi del Sud (che rispondono ai vari nomi di Casini, Fini, PD e compagnia bella) e dalla magistratura militante. Smemorati? Sbadati? Rassegnati? Oh, no. Gli smemorati de “La Padania” la loro risposta l’hanno trovata. E sapete dove? Nel traffico delle banche, delle quote latte e nella lottizzazione dei vari enti pubblici organizzato dal proprio partito di riferimento. Perché se Roma è e resterà sempre “ladrona”, chi vieta alla Padania (la terra, si intende) di sedersi al tavolo dei commensali e di tenere per sé la fetta migliore di tutto? Come Berlusconi sia riuscito ad accumulare il suo patrimonio non può avere più nessuna importanza, visto che, ora come ora, sono super-impegnati ad accumulare il loro, di patrimonio.

E allora al diavolo le dieci domande a Berlusconi. È la Padania, bellezza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera.

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Caro Veltroni…

postato il 24 Agosto 2010

Caro Veltroni,

sono uno di quegli italiani a cui ha indirizzato la sua lettera aperta dalle pagine del Corriere delle Sera e che dopo la lettura è rimasto assolutamente perplesso. La sua è una bella lettera non solo perché scrive molto bene, ma  perché  è un’ottima fotografia dell’attuale situazione socio-politica, tuttavia la sua missiva si limita al momento presente dimenticando di dire qualcosa sul passato e soprattutto sul futuro. E lei, caro Veltroni, non si può permettere di essere un osservatore disincantato, uno di quelli che negli ultimi tempi, come disse amaramente Bettino Craxi, sono stati sulla Luna.

Mi sarei aspettato qualche parola in più sul recente passato perché lei ne è stato protagonista e direi responsabile, non solo perché è stato candidato premier nelle ultime elezioni politiche ma perché è stato protagonista insieme a Romano Prodi della stagione dell’Ulivo. Il presente è sempre risultato del passato e nel nostro passato non c’è solo Berlusconi, ma ci sono anche i due esecutivi guidati da Romano Prodi, entrambi di vita breve, con maggioranze rissose quanto quella attuale che non hanno saputo interpretare pienamente le istanze di cambiamento degli italiani , che non hanno saputo o voluto prendere dei provvedimenti necessari come la legge sul conflitto di interesse o la riforma della legge elettorale all’indomani delle politiche del 2006. Lei nella sua lettera critica il bipolarismo dell’era Berlusconi ma debbo ricordarle che è un bipolarismo che il centrosinistra ha sempre alimentato ondeggiando tra antiberlusconismo e legittimazione di Berlusconi: la fortuna più grande di Berlusconi probabilmente è stata avere voi come avversari e la straordinaria maggioranza ottenuta dal Cavaliere nelle politiche del 2008 è stata determinata proprio da quella inutile corsa al bipartitismo italiano iniziata da lei e Berlusconi, che l’ha costretta ad una inutile mattanza dei suoi alleati e delle voci libere di questo Paese.

Bipolarismo, bipartitismo, partitismo diventano solo alchimie politiche se mancano progetti e programmi e se soprattutto gli italiani non sono liberi di scegliere, di esprimere la propria preferenza. Se nella sua lettera manca questa consapevolezza del passato, e soprattutto degli errori commessi,manca anche la progettualità per il futuro. Lei conclude la missiva al suo Paese con un “è possibile” che ricorda tanto il suo recente “si può fare” e naturalmente l’obamiano “yes, we can”.  Ma c’è una differenza fondamentale tra il suo slogan e quello di Obama: mentre il suo “si può fare” o il suo “è possibile” rimane assolutamente generico e indeterminato, le parole d’ordine obamiane si sono concretizzate sin dal primo momento nella promessa e nell’impegno della riforma del sistema sanitario americano. Il “change” di Obama non era una bella parola, una poesia ma era la riforma sanitaria che sarà poco poetica ma è qualcosa di concreto, è soprattutto il mantenimento di una promessa che gli ha permesso di conquistare la Casa Bianca. Il suo “è possibile” alla fine della lettera agli italiani è sicuramente una apertura al futuro, ma oggi non basta aprire porte sul futuro, occorre indicare una via ed avere il coraggio di percorrerla.

Caro Veltroni, personalmente sono convinto della sua buona fede e delle sue alte aspirazioni e se le ho fatto questi rilievi è solo perché sono convinto che sia giunto il tempo della franchezza, della responsabilità, della concretezza e del coraggio. Berlusconi uscirà di scena solo quando sarà possibile costruire una alternativa basata su un serio e concreto progetto di cambiamento che non sia illustrato in un programma di mille pagine ma in soli tre punti realizzabili, che permetta alla fine di una legislatura di poter dire: “abbiamo fatto questo”, “abbiamo mantenuto questa promessa”. Questa è la strada per l’alternativa a Berlusconi ed anche per chi si candida ad occuparne lo spazio politico. Questa è la strada per far uscire il nostro Paese dalla palude.

Adriano Frinchi, 28 anni, studente

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Elezioni anticipate: quanto costano al Paese?

postato il 23 Agosto 2010

Che il Paese viva un periodo critico, è sotto gli occhi di tutti. Che la politica italiana sia totalmente disinteressata a questo, anche.

Sono ormai mesi e mesi che prosegue la telenovela Berlusconi-Fini, condita dalle sparate di Bossi, sui rapporti all’interno della maggioranza, sull’entità dello strappo nel PDL, sui problemi all’interno della coalizione. Insomma, si parla di tutto, meno che della salute del nostro povero bel Paese.

Oggi l’ultima novità, arriva dal leader della Lega: “Andare al voto comunque”.

Naturalmente, in un Paese già di per sé in condizioni economiche molto precarie, dove il debito pubblico è alle stelle, e la ripresa stenta a decollare, non c’è nulla di più utile di elezioni anticipate!

Forse il sole, il caldo e l’afa, hanno azzerato la memoria degli uomini del Carroccio, che dimenticano quanto costino al Paese le elezioni, specialmente se anticipate. Infatti il Paese dovrebbe spendere, in caso di elezioni, circa 350 milioni di euro (cifra stanziata per le elezioni del 2006), senza dimenticare che a marzo si voterà in molti comuni, con un’ ipotetica spesa di 250 milioni di euro. Incalcolabili invece i danni dovuti alla vacanza di un Governo.

Ora, permettetemi di fare una riflessione su questi dati.

L’Italia non può continuare a sprecare soldi per pagare le elezioni volute soltanto dai signori di Palazzo. Sono passati soltanto due anni dalle ultime elezioni politiche, pochi mesi da quelle regionali. Ci sarebbero 3 anni senza “interruzioni elettorali”. Tempo prezioso, durante il quale il premier Berlusconi potrebbe portare avanti numerose riforme importanti, avendo una buona maggioranza (nonostante lo strappo con Fini), e una frangia di opposizione pronta ad esaminare in modo responsabile e serio le proposte.

Le elezioni sarebbero per Berlusconi un’ancora di salvezza, per il Paese un’ulteriore sconfitta.

Perciò, un monito arriva dal Paese intero: noi italiani siamo stanchi di questa telenovela, adesso è l’ora di portare sugli schermi della politica italiana un film d’autore.

Ci sarà un regista capace di girarlo?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Rimini, trentunesimo meeting per l’amicizia tra i popoli

postato il 23 Agosto 2010

Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore
‘Riceviamo e pubblichiamo’, di Jacob Panzeri

Chissà quante volte ci sarà capitato, dopo una camminata su sentieri impervi, di rivolgere lo sguardo al sole che faceva lievemente capolino dietro al bruno e al verde della selva, in uno splendido tramonto di montagna. O magari,curiosi come bimbi, di rivolgere il nostro indice verso l’orizzonte celeste del mare, domandandoci se quello fosse il punto in cui l’azzurro del cielo e quello del mare si fondessero come in una tavolozza di un pittore fiammingo (la loro era una tecnica speciale: mescolavano i pigmenti al rosso d’uva e al lattice di fico per ottenere le varie e possibili sfumature coloristiche).

Ebbene, tutto questo afferma che la natura, le cose, le persone, a ben vedere, sono capaci di stupirci per la loro bellezza. Proprio questa constatazione spinse il pensiero greco a sostenere che la filosofia nasce dalla meraviglia, mai disgiunta dal fascino della bellezza. Ricordate le parole di Aristotele? Nel bello traspare il vero, che attrae a sé attraverso il fascino inconfondibile che emana dai grandi valori. Ed è proprio per questo che il cuore dell’uomo è un mendicante, un eterno viaggiatore che desidera cose grandi come Ulisse e Camus, emblema della filosofia esistenzialista che ha spesso enunciato in saggi come “Il mito di Sisifo” l’assurdità della nostra vita materiale di cui ricorre proprio quest’anno il cinquantenario della morte. D’altronde, diceva Eraclito, se giudicassimo la nostra felicità solo dai piaceri materiali, allora dovremmo giudicare felici i buoi quando trovano le veccie da mangiare.

Ma il cuore, l’eterno viaggiatore, pretende di più; è “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi”. Proprio questo è lo slogan del trentunesimo Meeting per l’Amicizia tra i Popoli. Il Meeting stesso è a sua volta una manifestazione di questa ricerca, è giunto alla trentunesima edizione dopo che nel 1980 un gruppo di sette amici guidati da Emilia Guarnieri, oggi presentazione della Fondazione del Meeting di Rimini, desiderava creare un evento fieristico, una manifestazione di diffusione culturale, valoriale e di incontri tra i popoli.

La prima edizione del Meeting fu orientata a conoscere meglio L’Europa Orientale: parteciparono alcuni dissidenti russi come Vladimir Bukovskj e Tatiana Goritcheva e il giornalista polacco Tadeusz Mazowiecki destinato a diventare nove anni dopo il primo presidente non comunista della repubblica di Polonia. E’ vero quanto riporta il sito ufficiale: “Sin dal suo esordio, il Meeting di Rimini è una manifestazione con un carattere marcatamente internazionale che lo rende un crocevia di testimonianze ed esperienze, unico nel panorama culturale del nostro Paese”.

Il Meeting di Rimini è oggi il più importante evento fieristico italiano, un festival di incontri, arte, musica, riflessione, spettacolo; un festival che ha ospitato filosofi come Carmine di Martino (straordinaria la sua lezione sulla Conoscenza Umana che è stata anche l’ispirazione della mia tesina di maturità) e Fabrjce Hajdadj, mostre come l’Infinito della matematica e Caravaggio in occasione del suo quattrocentesimo, spettacoli come il “Caligola” di Camus o le liriche di Leopardi e la sua sete di infinito recitate da Giancarlo Giannini. La storia inoltre è passata per il Meeting di Rimini: nel 1983, in un contesto europeo che sta affrontando la lenta metaformosi da comunità meramente economica (Ceca) a piattaforma e istituzione civile e valoriale, interviene a Rimini Hans Dietrich Genscher, ministro degli Esteri della Germania Ovest che delinea l’Europa dei sogni, in parte oggi realizzata.
E come non ricordare la recente presenza di Tony Blair e il suo doppio annuncio di conversione al Cristianesimo e di missione in Medio Oriente come operatore di pace ?

Il Meeting è una manifestazione umana e culturale che raccoglie oggi anni circa 800.000 visitatori e 3.000 giovani volontari disposti a usare il proprio tempo libero per rendere efficiente la macchina del meeting. Un grande evento nato sicuramente dalla condivisione e dall’amicizia della Fede Cristiana che fortifica il movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione.

Credo sia necessario prima di parlare di Comunione e Liberazione liberarsi di tutti gli stereotipi accidiosi che come hanno fatto del comunista “un mangiabambini” e del democristiano “un ipocrita e arguto doppiogiochista” hanno reso il ciellino “membro di una setta, della lobby economica, colta e più integralista di Santa Romana Chiesa”. Liberiamoci dei luoghi comuni e parliamo davvero di Comunione e Liberazione.

L’approccio di Comunione e Liberazione è un approccio che ti coinvolge direttamente, non ti viene presentata la fede come un sentimento o peggio un sentimentalismo, né come un codice di valori o di regole da applicare nella società, ma come un Fatto e un Fatto che coinvolge direttamente la tua Persona che ti fa comprendere che Dio non è un entità straordinaria assisa nell’alto dei cieli ma fonte pura e disinteressata di vero amore che ha scelto di donarsi per noi e che noi dobbiamo donare a nostra volta con il dovere di renderci manifesti nella società civile. Senza di questo non si capisce un Ciellino e non si capisce il Meeting, ricordatevelo. Ecco perché questo sguardo affascinante deve essere non “integralista” (mi raccomando) ma “integrale” e deve essere un sentimento che coinvolge ogni cosa:ecco perché ad esempio il Meeting darò spazio anche alla politica e all’incontro tra sulla ripresa economica tra il Ceo di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, ed il segretario della Cisl Raffaele Bonanni.

E’ questo lo spirito del Meeting, spirito che ha guidato inizialmente sette amici guidati dal carisma di Don Giussani ad aprire il primo piccolo padiglione ed oggi raccoglie gente da tutto il mondo, spinti da che cosa? Dal cuore, quella grande natura che ci spinge a desiderare cose grandi.
Io mi faccio guidare dal mio cuore e partecipo all’incontro. E voi???

Per approfondire:

http://www.meetingrimini.org/

http://www.clonline.org/primait.htm

http://www.ilsussidiario.net/News/

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Il Decreto incentivi e il caso Mondadori

postato il 21 Agosto 2010

Il decreto legge n. 40 del 25 marzo, e convertito in legge dal parlamento in data 22 maggio, ha già un soprannome: legge salva-Mondadori.

Perchè?

La norma in realtà, è generica, ma sembra essere tagliata sulle esigenze di Mondadori.

Se andiamo a studiare la Legge, osserviamo che questa inizia bene, si prefigge di combattere attivamente l’evasione e l’elusione fiscale attuata tramite le cosiddette “cartiere” e i “caroselli”, ovvero la creazione di società fittizie e di comodo, poi però presenta all’art. 3 comma 2 bis il seguente dispositivo: “le controversie tributarie pendenti che originano da ricorsi iscritti a ruolo nel primo grado, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, da oltre dieci anni, per le quali risulti soccombente l’Amministrazione finanziaria dello Stato nei primi due gradi di giudizio, sono definite con le seguenti modalita’: (…) b) le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia (…)”.

Che significa?

Che se una azienda ha un contenzioso con l’amministrazione finanziaria per avere evaso tasse, o per reati similari, e la vertenza dura da almeno dieci anni con due gradi di giudizio già conclusi positivamente per l’azienda, quest’ultima paga solamente il 5% di quanto dovuto e la vertenza si chiude.

E qui entra in pieno la Mondadori: nel 1991 la guardia di finanza commina una multa di 200 miliardi di imposte da versare (circa 100 milioni di euro), a cui la Mondadori oppone immediato ricorso che, tra alterne vicende, si trascina fino ai gironi nostri, quando sta per concludersi il terzo grado di giudizio.

Nel frattempo la multa, comprensiva di interessi, spese giudiziali e altro, è lievitata fino a 350 milioni di euro, ma, grazie alla nuova la legge, tutto il procedimento si chiuderà con una multa di soli 8,6 milioni di euro (il famoso 5%, che viene calcolato non sulla cifra totale, 350 milioni appunto, ma su una cifra molto inferiore, ovvero 180 milioni di euro, togliendo interessi maturati e altre spese).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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Il declino delle Istituzioni Repubblicane e gli insulti alla Costituzione

postato il 18 Agosto 2010

Certo questa è una estate atipica. In questi caldi mesi fatti di botte e risposte, di piromani, di incendi e di pompieri, di acqua e benzina gettate sul fuoco spesso quasi contemporaneamente, non mancano gli spunti per poter ribadire quello che un Poeta scrisse oltre 700 anni fa: “ahi serva Italia di dolore ostello/ nave senza nocchiere in gran tempesta/ non donna di province ma bordello!”

Negli ultimi tempi ormai questo nostro bel Paese è diventato un letamaio di critiche, ingiurie e infamità senza paragoni. Ma la cosa peggiore è che il letamaio ha ormai imbrattato, se non addirittura inglobato, le istituzioni democratiche. La guerra giornalistica ha deciso che le pagine dei giornali devono essere il ring su cui si sfidano tutti gli attori di questa pietosa scena politica. Ma quale Parlamento, ma quale confronto, oggi si tira dritti per una strada che è sempre più quella sbagliata.

Si perde ormai il conto di tutte le interpretazioni fantasiose della Costituzione. È indubbio che la legge va interpretata, ma è altrettanto chiaro che non deve essere stravolta. È riduttivo appellarsi ora a questo ora a quell’articolo in maniera assolutistica, come se quel comma fosse la chiave di volta, salvo poi rinnegarlo o reinventarlo perché non più utile. Troppe volte in questi giorni si fa appello alla Costituzione per evitare o favorire scelte politiche e per trovare una giustificazione, o meglio ancora una pezza, a dichiarazioni fatte per puro interesse servile. Dov’è finita la dignità dei parlamentari? Dove la libertà di coscienza? Dove il senso civico e soprattutto la coerenza istituzionale?

La legge prevede che le accuse mosse al Presidente della Repubblica o sono fondate o devono essere perseguite, dal momento che lui rappresenta lo Stato e l’unità nazionale. Se le accuse sono vere, se il presidente agisce in modo incostituzionale allora è doveroso metterlo in stato di accusa, al contrario se le accuse sono fantasiose e soprattutto infondate è categorico che, chi ha il compito di rappresentare i cittadini nelle Istituzioni e si macchia di affermazioni demolitive contro le stesse Istituzioni che ha giurato di difendere, si dimetta dal ruolo di Parlamentare. Basta con questi continui kamikaze della Repubblica. La gente comune ha fin troppi problemi per dedicare a questi signori anche pochi minuti del loro tempo.

Ormai questa legislatura la si può definire come la peggiore della storia Repubblicana. Aveva ragione chi tempo fa affermava che l’ultima legislatura democratica è stata quella del 2001. Oggi tra i professionisti del nulla mascherati da deputati, che si arrogano il diritto di mistificare ogni cosa, l’unico rifugio è la “chiamata alle armi” in difesa delle Istituzioni non più solo minacciate, ma prese d’assalto. Siamo arrivati al caffè con queste storie, e il prossimo passo è alzarsi dal tavolo.

I problemi esistono, sono tanti e sono gravi. Le soluzioni ci sono, si intravedono o in alcuni casi si vedono chiaramente ma non si capisce il perché si temporeggia. Oggi con le intercettazioni, domani col processo breve o con processo “X”, tempo sprecato intorno ad argomenti procrastinabili di fronte a problemi non più rimandabili, di fronte alla necessità di soluzioni strutturali indifferibili. L’unico serio nel governo, mi duole dirlo, è Maroni. La pragmaticità del ministro dell’interno è emblematica. La nullità, talvolta intellettuale talvolta concreta, degli altri componenti del governo è altrettanto evidente.

Me ce n’è anche per le opposizioni. Troppo arroccate sul vento per potersi accorgere che la loro strategia rischia di non portare alla vittoria. Troppo impegnate a raccogliere pareri e a fantasticare piuttosto che essere pronte rimboccarsi le maniche per portare avanti delle Idee, dei punti di vista, dei modi operandi, per fare Politica. I bei faccioni de poster non si vedono se non in campagna elettorale. I volti dei leader oggi si riconoscono solo per gli scandali.

È sempre in questa estate, contraffatta da politicanti litigiosi e gratuiti conflitti, che diciamo addio ad un grande uomo, un esempio per la sua retta condotta da “Uomo delle Istituzioni”, il Presidente Cossiga. Nonostante le innumerevoli vicissitudini di cui è stato protagonista diretto o indiretto, nonostante i numerosissimi titoli in prima pagina, nonostante le critiche e le accuse, il Presidente Cossiga ha sempre interpretato a fondo il ruolo di Uomo di Stato, con lealtà, onore, gratitudine e fiducia nei confronti delle Istituzioni Repubblicane che lui stesso rappresentava considerandolo un “privilegio altissimo”, e che ha difeso sempre, esponendosi spesso in prima persona, pur di salvaguardarne il decoro.

La speranza è che la classe politica di oggi possa riconoscere che non deve esistere altro modo di fare politica se non quello nelle ma soprattutto per le Istituzioni, che l’unico Bene è il bene comune, che l’unico mezzo è la democrazia e soprattutto che gli sforzi devono essere trasversali per risolvere i problemi che attanagliano ormai da troppo tempo il nostro paese.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Antonio Cannatà

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Il Veneto è una nazione?

postato il 18 Agosto 2010

Il Governatore Veneto Luca Zaia non più di un paio di giorni fa ha dichiarato che il Veneto è una Nazione, come lo è la Catalunya, sostenendo che i veneti sono stati italianizzati da Roma e che quest’ultima ha molta meno storia di Venezia.

Ad appoggiare l’ex Ministro dell’agricoltura è arrivato anche il Senatùr aggiungendo che i veneti non sono ancora stati italianizzati in quanto nelle famiglie si parla il dialetto e non l’italiano.

Non sono mancate le repliche a queste affermazioni, tra le quali anche quella del vice-governatore della Catalunya Josep- Lluis Carod-Rovira, che in un’intervista al Corriere del Veneto (in un italiano quasi perfetto!) fa notare ai lettori ed al Governatore che tra la regione spagnola che rappresenta e quella italiana le differenze non mancano, anzi, sono molto profonde, sia nella storia che nel modo di essere governata.

In Catalunya si accetta una società multirazziale, ma si da priorità all’ identità nazionale che sta nella storia, nella cultura, nella lingua e nella struttura economica e soprattutto c’è la volontà democratica di un progetto di vita in comune nella legalità. Essere catalano non è altro che una volontà, mentre invece si vuol far passare l’essere veneto come un privilegio, un dono.

Giustamente la propria cultura va preservata, ne andrebbe l’annientamento delle tradizioni e del popolo stesso, ma ciò non deve creare una chiusura verso l’esterno in quanto, paradossalmente porterebbe alle stesse conseguenze.

C’è poi da dire come in Veneto non ci sia una lingua ufficiale come è per il catalano, nel nostro territorio si parlano  decine di dialetti alcuni profondamente diversi fra loro, basti pensare al Ladino oppure al dialetto delle zone di Lamon, solo per citarne un paio delle mie zone. Immagino già le espressioni dei vecchietti di alcuni paesini di montagna, quando gli verrà comunicato che alle poste per ritirare la pensione dovranno parlare all’impiegato in veneziano e non in italiano o nel loro dialetto.

Quello che propone Zaia più che un riconoscimento dello Stato Veneto sembra più il voler imporre un suo modo di pensare anche a chi finora si è sempre sentito  italiano, senza però dimenticare di essere veneto e padovano, rodigino, trevigiano, veronese, vicentino, veneziano o bellunese.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maurizio Isma

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Condono Fiscale: un ulteriore sconto agli evasori

postato il 18 Agosto 2010

Il Condono Fiscale del 2002-2004 riserva ulteriori sorprese: stando ai dati raccolti dall’associazione “Legalità ed Equità fiscale” (LEF) chi ha aderito a quel condono fiscale, ottenendo il perdono fiscale e penale, ha versato solo una parte di quanto pattuito con l’agenzia delle Entrate.

Ciò era già stata denunciata dalla Corte dei Conti che nel 2008 aveva valutato in 5,2 miliardi di euro la cifra mancante all’appello. Dal 2008 ad oggi la situazione è cambiata di poco, infatti la LEF ha dichiarato che lo Stato italiano attende ancora 4,6 miliardi di euro (ovvero 1/5 della manovra correttiva di Tremonti) nonostante sia stata semplificata la procedura per la riscossione coattiva da parte del fisco.

In pratica, chi ha aderito al condono fiscale del 2002 doveva versare al fisco una percentuale dei capitali non dichiarati, ottenendo in cambio non solo il “perdono fiscale”, ma anche il “perdono penale”, limitandosi a pagare solo una parte di quanto dovuto, e poi “scordandosi” di pagare il resto.

Ma come si è potuti arrivare a ciò?

Stando all’associazione, la responsabilità è del governo Berlusconi che, avrebbe elaborato un meccanismo con una grossa “dimenticanza”: prevedere l’inefficacia del “perdono” per gli evasori che avessero mancato di pagare interamente l’importo stabilito per l’accesso al condono. Con questo meccanismo, chi già aveva violato la legge evadendo le tasse, ha incassato il condono sul piano tributario e penale, pur senza aver chiuso i conti con il Fisco.

Andando più nello specifico, l’ammanco è reso possibile dalla normativa che aveva stabilito che per gli importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche, e 6.000 per le società, era sufficiente versare la prima rata per rendere valido il condono. Dopo l’analisi della Corte dei conti si era cercato di rimediare facilitando la riscossione delle somme dovute permettendo al concessionario della riscossione di agire direttamente in via di espropriazione immobiliare per i debiti da condono iscritti a ruolo di importo superiore a 5.000 euro, senza dovere prima procedere all’iscrizione di ipoteca ed attendere ulteriori 6 mesi per l’esecuzione ( art. 16 bis della L.189/2002, introdotto dall’art. 32 del Dl. 185/2008). Inoltre, per attingere notizie sulla situazione finanziaria del debitore, è stato consentito all’agente della riscossione, decorso inutilmente il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale di pagamento, di accedere ai dati relativi ai rapporti bancari del contribuente moroso.

Il provvedimento non ha sortito un effetto di rilievo, infatti risulta che fino a fine gennaio 2010 il recupero delle somme riscosse in via coattiva si è fermato a 786 milioni di euro, portando le somme ancora dovute, e a questo punto di improbabile esazione, a 4,6 mld, pari a circa il 18% del totale delle somme dovute.

Come mai il governo non aveva previsto tutto ciò? Per il semplice motivo che il governo Berlusconi, per rendere più appetibile l’adesione alla sanatoria fiscale e fare cassa, non ha vincolato l’efficacia del condono al versamento dell’intera somma dovuta. Infatti, nel caso di importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche e a 6.000 euro per gli altri soggetti passivi ( società, enti, etc.), il governo ha consentito di godere dei benefici del condono con la presentazione della relativa dichiarazione, se prevista, ed il versamento della sola prima rata.

In pratica, quando la somma da versare eccedeva gli importi sopra menzionati, la parte eccedente poteva essere versata in due rate successive di pari importo, senza però che l’omesso pagamento di esse determinasse l’inefficacia del condono. In caso di mancato o insufficiente versamento delle somme rateizzate si sarebbe proceduto al loro recupero in via di riscossione coattiva, mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo ex art. 14 del dpr. 602/73 assieme agli interessi legali e alla sanzione amministrativa pari al 30 % delle somme non versate, ridotta alla metà in caso di versamento nei 30 giorni dalla scadenza.

Quindi, bastava pagare la prima rata di 3.000 euro per avere i benefici di legge, anche se nelle altre rate si dovevano pagare importi milionari, ottenendo “la definizione dell’accertamento in sede fiscale e l’esclusione della punibilità per i reati tributari e per quelli non tributari connessi, in relazione ai quali non avesse avuto ancora formale conoscenza dell’esercizio dell’azione penale”.

Ma quali sono questi reati penali, per i quali l’evasore che ha aderito, ha ottenuto l’impunibilità?

Si tratta dei reati di: dichiarazione fraudolenta o altri documenti per operazioni inesistenti ( art. 2, dlgs. 74/2000), dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ( art. 3,..), dichiarazione infedele ( art. 4..), omessa dichiarazione ( art. 5..), occultamento o distruzione di documenti contabili ( art. 10..), nonché ai reati di falsità materiale commessa dal privato ( art. 482 c.p.), falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico ( art. 483 c.p.), falsità in registri e notificazioni ( art. 484 c.p.), falsità in scritture private ( art. 485 c.p.), uso di atto falso ( art. 489 c.p.), soppressione, distruzione e occultamento di atti veri (art. 490 c.p.), falsità concernenti documenti informatici ( 490 bis c.p.), falsità concernenti copie autentiche che tengono luogo degli originali mancanti ( art. 492 c.p.), false comunicazioni sociali ( art. 261 c.c.), false comunicazioni sociali in danno dei soci e dei creditori ( art. 2622 c.c.), falso in prospetto ( art. 2623 c.c.).

In pratica con il pagamento di soli 3.000 euro, gli evasori hanno ottenuto un ulteriore sconto rispetto a quanto dovuto e il decadimento di tutti i reati penali.

Direi un ottimo affare per loro, molto meno per i cittadini onesti.

“Riceviamo e pubblichiamo”, di Gaspare Compagno

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