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Emergenza lavoro, il Cardinale Angelo Bagnasco in Basilicata. Benvenuto!

postato il 6 Luglio 2011

«Il problema dell’occupazione non è calato, ma, semmai, accresciuto. E i timori non sono ingiustificati». Queste parole di S. E. il Cardinal Angelo Bagnasco, nella giornata in cui il  presidente della Cei sarà in visita a Melfi per l’inaugurazione del Museo Diocesano, si mostrano di straordinaria (e drammatica) attualità se rapportate alla situazione occupazionale lucana, alla luce anche di una nuova e accresciuta questione meridionale che vede in noi giovani le prime vittime.

E infatti insindacabile il dato dell’aumento della disoccupazione giovanile nella nostra Regione e di conseguenza dei giovani che né hanno un lavoro né svolgono un’attività di studio o formazione, i cosiddetti NEET ( Not in Education, Employment or Training).

La generosa disponibilità che oggi ci viene dalla presenza in Basilicata di S.E. il Cardinal Bagnasco ci deve portare ad avviare un confronto sui temi di più stretta attualità, partendo dalla passione e dal quotidiano impegno professionale e le personali capacità – prima di tutti quella di leggere in filigrana il presente che oggi caratterizzano i giovani, in particolar modo i giovani dell’UdC.

È giunto il tempo del riscatto sociale, economico e politico di un Sud troppe volte pensato da altri o lasciato al corso degli eventi, tornato ad essere nuovamente terra di emigrazione. È il testimoniare una propria dimensione di impegno che non ha pretese di autosufficienza, ma ri-cerca l’altro, l’insieme. È un avanzare proposte, creare relazioni, fare squadra per capire il presente e preparare il futuro di una Basilicata, che pur negli evidenti progressi di questi anni, sconta ancora secolari ritardi e incertezze; senza però aver tradito quella ricchezza di capitale sociale, di cui parlava Putnam.

In questa prospettiva di ripartenza, la presenza di S. E. il card. Bagnasco assume, dunque, un valore simbolico ben preciso: la conferma della particolare attenzione della comunità ecclesiale nazionale nei confronti del Mezzogiorno, ripresa in quello straordinario documento che è: “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.”

Qualsiasi progetto di riscatto della Basilicata, rispetto al dato Paese, non potrà non fare appello al ruolo e al contributo della Chiesa, così come a quel “laboratorio civile” rappresentato dall’associazionismo lucano. In questo senso, da giovane impegnato in politica, sono grato alla Cei ed ai vescovi lucani per i costanti moniti sull’imprescindibilità dell’impegno educativo per qualsivoglia traiettoria di condivisione e di costruzione di un’agenda di speranza per il futuro. Da parte dei Giovani UdC, la ricerca di una visione unitaria dei problemi, delle priorità, delle direzioni di marcia e dei tempi costituisce, già da tempo, il contenuto del dovere, come movimento giovanile politico, di ascolto e risposta alle preoccupazioni e speranze dei nostri coetanei lucani.  Per vincere la percezione di solitudine di chi sperimenta un’esperienza di impegno politico, occorrono una preparazione e un’azione adeguate, se non si vuole poi che la chiamata a «una nuova generazione di cattolici» impegnati nella sfera pubblica non rimanga, alla fine, un grido nel deserto.

Nel giorno in cui si ricorda la figura di Santa Maria T. Goretti, voglio esprimere il mio desiderio e quello dei giovani dell’UdC di non sprecare la stagione della gioventù, vivendola – come ci ha insegnato il Beato Karol Wojtyla – come un tempo di preparazione ai grandi orizzonti per i quali giocare la vita e al servizio dei quali accorgersi che essa è degna d’essere vissuta.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Coviello, Ufficio Politico Nazionale Giovani UDC

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Alfano, l’onestà dei fatti e quella dei proclami

postato il 5 Luglio 2011

“Voglio un partito degli onesti”, questa la frase simbolo che il neo-acclamato segretario politico del PDL Angelino Alfano ha consegnato alla stampa. Una dichiarazione di intenti forte e meritevole di attenzione. È auspicabile che non rimanga uno slogan ma sia il monito quotidiano dell’attività del giovane (solo se confrontato con gli altri) Alfano, una volontà chiara che lo accompagni nell’opera di rinnovamento e cambiamento del partito di maggioranza relativa. Importante sottolineare due aspetti: con questa frase a effetto si è squarciato, diciamo così, il velo di ipocrisia che avvolgeva il PDL. È una presa di coscienza quasi inaspettata: nessuno avrebbe detto tali parole se non avesse prima constatato che all’interno del movimento di Berlusconi l’onestà non alberga propriamente nell’empireo dei principi fondanti. Questo per via di un presupposto concettuale, mentale dei berlusconiani: la politica è fare, è attività, dinamismo, poche remore e freni morali, l’onestà rallenta, si può perdonare se la si contravviene.

Il secondo aspetto è il piglio decisionista del nuovo segretario: vuole mostrarsi come l’uomo che si è guadagnato il titolo, non ricopre quell’incarico solo in virtù di una investitura del Cavaliere, ha le carte in regola per sferzare e rimettere in carreggiata il partito.

Ora lo aspetta la prova dei fatti. Ma questi, come spesso avviene, sono (o sono stati) inclementi, o quantomeno presentano una tempestività sorprendente.

In platea, mentre il ministro pronunciava le fatidiche parole, sedeva tra gli altri mille e più delegati, Alfonso Papa, deputato PDL su cui pende una richiesta d’arresto della magistratura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta P4. Alfano è stato coraggioso ed in qualche maniera ha giocato al rialzo, quel passaggio proprio mentre infuria la bufera delle intercettazioni e dei legami illeciti politica-affari che investe il partito (oltre a Papa è nei guai anche il deputato Marco Milanese, strettissimo collaboratore del superministro Tremonti) ha di che far discutere: Alfonso Papa sarà messo sotto la lente del Segretario che per un rinnovato PDL vuole innanzitutto onestà? Come giustificherebbe l’imbarazzante presenza di un uomo che la magistratura ritiene creatore e membro di una associazione segreta pericolosa per le istituzioni? Il dovere dell’onestà si realizza nell’essere indipendenti da ogni pressione esterna, indebita e nel denunciare i tentativi di questo tipo. Insomma, Alfano ha avuto coraggio in quanto ora dovrà dimostrare che nelle parole che ha pronunciato crede davvero. E l’occasione è lì da venire: la giunta per le autorizzazioni deve pronunciarsi sulla richiesta di arresto. Come si comporterà il PDL a trazione Alfano? A dar retta alle intenzioni, profferte a favor di taccuini e telecamere, dovrebbe dare segnali di giustizia, punendo il deputato che trescava con Bisignani. Ma la sicurezza non c’è. E questo non per essere giustizialisti, ma per iniziare bene.

L’altro fronte della nuova battaglia sull’onestà è, se possibile, più scottante e “mediatico” perché riporta in superficie un nodo mai sopito, terreno di scontro aspro, il conflitto di interessi. La pietra dello scandalo è costituita da una piccola norma inserita nella manovra presentata dal governo al Capo dello Stato che modifica due articoli del codice di procedura civile, ponendo in capo al giudice dell’appello, in luogo della semplice facoltà, l’obbligo di sospendere l’esecutività della condanna di risarcimenti superiori ai 10 milioni di euro in primo grado e 20 milioni di euro in Cassazione. Una semplice riscrittura utile a mettere in salvo le casse della Mediaset del presidente del Consiglio, chiamata a risarcire la Cir di De Benedetti della supercifra di 750milioni di euro. I commenti si sono sprecati, la norma ha già assunto un appellativo familiare alle italiche orecchie, “ad personam”, tramutato efficacemente in “ad aziendam”. Questa operazione è tanto più odiosa se si pensa che il decreto contiene disposizioni per tutt’altra materia: la manovra predispone misure per il pareggio di bilancio entro il 2014, misure dure con ricadute dirette e pesanti sui cittadini. E allora, ci chiediamo, per quale motivo bisogna inserire una norma che tutela le grandi imprese se non per favorire nell’immediato un’azienda ben definita, sulla quale pende una condanna ad un risarcimento così ingente?

Alfano deve dimostrare di non essere la faccia pulita di un partito che nel chiuso delle stanze dà da pensare di occuparsi di tutt’altro che all’onestà, alla giustizia e alla legalità. Alfano deve dimostrare che il viatico da lui posto come fondamentale da quel palco sia la sostanza, la reale volontà collegialmente riconosciuta di riformare e migliorare. Il banco di prova è la contrastante disposizione del decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri: sappia far seguire i fatti alle sue parole.

Ne va anche del suo interesse, del suo futuro politico, della sua dignità di uomo di partito: la sua iniziativa, se reale e non fittizia, può dimostrare che il PDL non è fatto di plastica, che non è sotto la bacchetta del premier, che sa cambiare pelle quando è necessario, che sa accorgersi del richiamo della buona politica. E la buona politica impone che la salva-Mediaset, come è stata rapidamente ribattezzata, ritorni da dove è arrivata e venga derubricata a “norma dal sen fuggita”. Tutto ciò che è ad personam è ontologicamente contrario all’onestà. Basta questo per dire basta a Berlusconi e per dire sì ad un PDL che stia alle regole del gioco.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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L’insostenibile leggerezza di Nichi

postato il 2 Luglio 2011

“Nichi, ma che stai a di’?” era l’esilarante rubrica quotidiana sul nonsense poetico di Nichi Vendola che appariva sul blog di Claudio Cerasa e sulle pagine de “Il Foglio”, oggi è la domanda che i più attenti osservatori pongono al Presidente della regione Puglia quando, abbandonati i temi aulici della poesia e della fantasia, si cimenta con l’attualità politica e i problemi scottanti del Paese.

Gli ultimi mesi sono stati particolarmente interessanti da questo punto di vista, forse per il maggior impegno profuso dal leader di Sinistra ecologia e libertà nella scalata alla leadership del centrosinistra che lo portano spesso a distinguo e ad arditi sorpassi in curva. Ma i sorpassi in curva, si sa, sono pericolosi e si rischia di andare rovinosamente a sbattere  come è accaduto al povero Vendola che all’indomani della storica vittoria di Pisapia alle elezioni amministrative milanesi ha voluto mettere il cappello sull’impresa dell’avvocato riformista, sul quale aveva puntato fin dall’inizio, con un comizio fiume sulla Milano espugnata, sulla pornografia del potere e sulla necessità di abbracciare i rom e tutti i credenti di altre religioni. Giuliano Pisapia che aveva vinto con una campagna dai toni moderati e fatta di proposte concrete liquidò il furor vendoliano con una ramanzina da maestro Perboni: «A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non conosce dovrebbe ascoltare più che parlare».

La consultazione referendaria su nucleare, acqua e legittimo impedimento è stata l’altra tigre da cavalcare e considerato che Antonio Di Pietro si poteva attestare la paternità della consultazione e dunque della vittoria, Vendola si è gettato anima e corpo nella campagna referendaria e si è particolarmente esposto per i referendum sull’acqua additando la sua Puglia come modello di gestione pubblica. Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi dice un detto popolare, Nichi Vendola però sembra essersi dimenticato non solo il coperchio, ma anche la pentola e soprattutto dell’acqua della pentola, perché nonostante la schiacciante vittoria del Sì al secondo quesito dei referendum, in Puglia le tariffe dell’acqua non scenderanno di un centesimo, nemmeno di quel 7% di remunerazione del capitale investito che è stato abrogato.

Davanti alla palese contraddizione tra quanto sostenuto durante la campagna per il Sì e le scelte di governo regionale l’immaginifico Nichi non ha trovato metafore adatte e si è lasciato andare ad un pragmatico «è indispensabile fare i conti con la realtà per non precipitare nei burroni della demagogia». Anche in questa occasione qualcuno più attento, che aveva ascoltato il Vendola referendario, ha azzardato un “Nichi, ma che stai a di’?” chiedendo perché non avesse detto prima queste cose ai pugliesi. Il governatore pugliese con piglio berlusconiano ha risposto con un lapidario «nessuno me le ha chieste». Se le acrobazie vendoliane strappano ai più qualche amaro sorriso, dalle parti del centrosinistra fanno arrabbiare parecchio tanto che un autorevole blogger sentenzia: «anche stavolta nel centrosinistra c’è chi pensa di vincere le elezioni raccontando balle demagogiche ai suoi elettori, promettendo cose che non potrà e non vorrà mantenere e che provocheranno il ritorno dei movimenti dei delusi, dei siete-come-Berlusconi, delle manifestazioni contro il Governo organizzate dai partiti di Governo, eccetera eccetera».

L’insostenibile leggerezza di Nichi non si è fermata al referendum ma si è fatta risentire nei giorni scorsi, complice la sovraesposizione dei suoi concorrenti per la leadership dell’opposizione, quando in occasione degli scontri per la realizzazione della Tav Vendola è salito sulle barricate evocando il governo dei carri armati e dipingendo l’Italia come il Cile di Pinochet. Vano il tentativo di Casini o di Chiamparino di spiegare a Vendola che se vuole governare questo Paese non può fomentare le proteste ma deve prendere posizione, fare delle scelte chiare e soprattutto dare delle soluzioni. Il viaggio nella leggerezza di Vendola al momento finisce qua, ma è probabile che la fabbrica di Nichi produrrà altro materiale magari per una nuova rubrica di Cerasa o per un nuovo sketch di Checco Zalone, di certo non produrrà un programma di governo e un progetto di crescita del Paese, e di questo ne deve tenere particolarmente conto il Partito Democratico che se vuole costruire veramente l’alternativa riformista a Berlusconi non può perdere tempo dietro a chi propone solo mille distinguo e balle demagogiche.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Rai, l’ultimo spenga la luce e chiuda la porta.

postato il 1 Luglio 2011

Non c’è neanche più gusto a commentare i clamorosi autogol della Rai che, giorno dopo giorno, perde pezzi come un vecchio rottame. Dopo i polemici addii del duo Fazio-Saviano e di Michele Santoro a Viale Mazzini arrivano le dimissioni di Lucia Annunziata che dopo sette anni ha visto cancellato, senza preavviso, dai palinsesti il suo “In ½ ora”.  In Rai si stanno attrezzando anche per eliminare “Report” di Milena Gabanelli con un espediente notevole: sospendere la copertura legale al programma. Come se non bastasse anche Simona Ventura, di cui in tanti non sentiranno la mancanza, ha preferito mollare Rai Due per la ben più generosa Sky.

Mentre è in corso questo esodo biblico dalla Tv di Stato i suoi dirigenti si cimentano in scuse fantasiose come l’errore di stampa del direttore di Rai Tre Paolo Ruffini o incredibili piagnistei come quello del direttore di Rai due Marco Liofredi. In un paese normale una dirigenza come questa che inanella insuccessi uno dopo l’altro verrebbe mandata a casa nello spazio di qualche giorno, ma purtroppo siamo in Italia e questa situazione, con evidente soddisfazione di qualcuno, probabilmente si protrarrà a lungo magari fino a quando non se ne andranno anche i pietrificati abbonati Rai in prima fila. Cortesemente, l’ultimo spenga la luce e chiuda la porta.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Servono gli stati generali dell’economia

postato il 29 Giugno 2011

Convochiamo gli stati generali dell’economia, riunendo intorno ad un tavolo le istituzioni, le forze economiche, produttive, sindacali e politiche per affrontare le emergenze economiche a partire dal lavoro giovanile.

La crisi che ancora stringe nella morsa aziende, famiglie, lavoratori e giovani cittadini, non la possiamo lasciare in balia del nostro governo che, dalle prime notizie che apprendo, ha proposto una finta manovra economica, per giunta “a rate”, ha lascito il “bello” al governo prossimo venturo. Una decisione da irresponsabili, da menefreghisti. Per paura di affondare non decidono, galleggiano. Se non si cerca di dare una forte accelerazione all’economia, con un vero e proprio piano d’uscita dalla crisi, ci ritroveremo tra qualche anno nella stessa situazione degli amici grechi.

La politica del governo assomiglia a quella presa dall’allora presidente americano Hoover durante la crisi del ’29. La sua strategia per contrastare il declino del paese, si accompagnava ad un invito all’ottimismo e a rassicurazioni sulla possibilità della risoluzione della recessione. Come sappiamo non funzionò e aumento la crisi.

Come detto prima, il primo problema da risolvere è quello del lavoro giovanile, che ormai è fuori da ogni logica di un serio paese occidentale. Se è vero che non si può più tornare indietro agli anni passati, è vero anche che così non si può continuare. Prima della crisi con un contratto precario nessuna banca concedeva un mutuo per comprare casa. Oggi con la stessa tipologia di contratto è difficile stipulare un contratto d’affitto.

Incentivi all’economia possono anche risultare utili, ma non possono falsare il mercato. Gli incentivi al mondo automobilistico hanno fatto solo danni: in un primo momento aumento vertiginoso della vendite delle varie aziende e forte domanda di lavoro. Finiti gli incentivi le aziende si ritrovavano senza vendite e con manodopera in sovrannumero, così che lo stato è stato costretto a pagare la mobilità, oltre al danno la beffa. Va bene dare incentivi alle aziende ma solo per investimenti.

I tagli ai costi della politica sono necessari, servono per ridare moralità ad un settore in crisi, ma sono solo fumo negli occhi, qualche “auto blu” in meno di certo non risolve i problemi economici di una nazione. Servono ben altri tagli. Le province enti inutili per eccellenza, uniche vere discariche funzionanti di politici “trombati” sono ancora operative, possono anche tornare utili,  magari a “costo zero” come “associazione” di sindaci del territorio, ma così sono solo uno spreco.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Andrea Pirola

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Noi siamo gli “impegnados”

postato il 28 Giugno 2011

Negli ultimi mesi, spinti dal vento di rivolta proveniente dalla Spagna degli Indignados, molti giovani hanno scelto di scendere in piazza e di parlare di temi come il nucleare e l’acqua pubblica, tuttavia questa voglia di partecipare è stata per certi versi “sfruttata” dalla propaganda referendaria che ha dato alla consultazione un certo tono demagogico e populista.

Una gran parte di chi si é presentato alle urne, infatti, era convinto di votare per mantenere l’acqua pubblica. Tutti sanno, o almeno quelli di buon senso, che l’argomento in questione era la privatizzazione dei servizi, dei centri di distribuzione, e non dell’acqua. Si parlava di aste ad evidenza pubblica che avrebbero dato la possibilità anche a privati e semi-privati di partecipare. Probabilmente, a vincere sarebbero stati gli enti pubblici che fino ad allora avevano gestito il servizio.

Si parlava di infine di intervenire per migliorare la situazione italiana, dato che il nostro Paese é quello in cui la tariffa dell’acqua é più cara, e dove c’é un 40% di dispersione di questa risorsa primaria nei vari percorsi della rete idrica. Eppure di ciò si è parlato ben poco, mentre io avrei voluto parlarne.

E avrei voluto farlo senza scendere in piazza a protestare, perchè non voglio essere soltanto una degli indignados. Io voglio far parte di un gruppo di ragazzi che, stufi e sì anche un po’ incazzati, vogliono far sentire la propria voce attraverso proposte e soluzioni. Io, più che degli indignados, voglio far parte del gruppo degli “impegnados”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Abolire le province. Una proposta dalla Sicilia.

postato il 27 Giugno 2011

Le province italiane sono 110 e ognuna costa, in media, agli italiani, 1,1 milioni di euro l’anno. In periodo di campagna elettorale tutti sono ben disposti a prometterne l’abolizione ma immancabilmente quando alle parole devono seguire i fatti il responso è sempre quello: le Province non si toccano. Anzi. Ad oggi, infatti, al posto di mandarle in pensione c’è chi deposita in Parlamento la richiesta per crearne di nuove. Annunci e smentite dunque si rincorrono specie quando viene tirata in ballo la questione dei costi della politica e il dito viene puntato contro le zavorre d’Italia. Tra promesse mancate e rinvii della questione proviamo da queste pagine a fare una proposta concreta: perché non cominciare dalle province siciliane che secondo lo stesso Statuto regionale non dovrebbero esistere? (art. 15). Ecco uno schema di proposta di riordino del sistema degli enti locali isolani.

 

La legge della Regione Siciliana n. 9 del 6 marzo 1986 istituisce il libero Consorzio dei Comuni denominato Provincia Regionale, quale organo di riferimento delle comunità locali, votata al coordinamento dello sviluppo economico e sociale del territorio. Le province regionali hanno un importante ruolo di coordinamento finalizzato allo sviluppo economico e sociale. Ma spesso non è così.

 

Obiettivo: abrogazione dell’Ente Provincia

Modalità:

·         Devono essere garantiti e mantenuti costanti i trasferimenti regionali e nazionali diretti alle provincie siciliane per un periodo di 5 anni (né in più perché l’obiettivo è fare economia, né in meno perché non vanno penalizzati i cittadini);

·         Tali fondi potrebbero essere così ripartiti: il 50% delle risorse immesse potrebbero essere mantenute in Regione in virtù delle competenze acquisite; il 40% potrebbe essere ripartito ai comuni in base al numero di abitanti; per il 10% potrebbe essere distribuito sempre ai comuni, ma in base a priorità specifiche (dissesto idrogeologico, accoglienza immigrati, emergenze ambientali o sanitarie, etc.);

·         Le società partecipate integralmente dalla Provincia o le quote di sua spettanza vengono trasferite all’Assessorato Regionale di competenza che le può mantenere girare ad una holding appositamente costituita o già esistente (modello Iri) al fine di valorizzare la partecipazione stessa;

·         TRASFERIMENTO DELLE COMPETENZE:

Art. 12 Pianificazione territoriale

1) manutenzione della rete delle principali vie di comunicazione stradali e ferroviarieà ai comuni (che hanno già un servizio identico per le proprie strade)

 

2) localizzazione delle opere ed impianti di interesse sovra comunale à alla Regione o alle unioni dei comuni

 

Art. 13 Funzioni amministrative (integrato dall’art. 19, comma 13, della L.R. 19/2005)

 

Nell’ambito delle funzioni di programmazione, di indirizzo e di coordinamento spettanti alla Regione, la provincia regionale (oggi) provvede sulle seguenti materie:

 

1) servizi sociali e culturali:

 

a) realizzazione di strutture e servizi assistenziali di interesse sovracomunale, anche mediante la riutilizzazione delle istituzioni socio-scolastiche permanenti, in atto gestite ai sensi dell’art. 2 della legge regionale 5 agosto 1982, n. 93; restano ferme le competenze comunali in materia à alla Regione (che ha già un servizio identico)

 

b) distribuzione territoriale, costruzione, manutenzione, arredamento, dotazione di attrezzature, funzionamento e provvista del personale degli istituti di istruzione media di secondo grado; promozione, negli ambiti di competenza, del diritto allo studio. Le suddette funzioni sono esercitate in collaborazione con gli organi collegiali della scuola; à alla Regione (che ha già un servizio identico per le scuole di altri gradi)

 

c) promozione ed attuazione, nell’ambito provinciale, di iniziative ed attività di formazione professionale, in conformità della legislazione regionale vigente in materia, nonché realizzazione di infrastrutture per la formazione professionale; àalla Regione (che ha già un servizio identico)

 

d) iniziative e proposte agli organi competenti in ordine all’individuazione ed al censimento dei beni culturali ed ambientali ricadenti nel territorio provinciale, nonchè alla tutela, valorizzazione e fruizione sociale degli stessi beni, anche con la collaborazione degli enti e delle istituzioni scolastiche e culturali. Acquisto di edifici o di beni culturali, con le modalità di cui all’art. 21, secondo e terzo comma, della legge regionale 1 agosto 1977, n. 80. Per l’esercizio delle funzioni suddette, la provincia si avvale degli organi periferici dell’Amministrazione regionale dei beni culturali ed ambientali; à alla Regione su proposta dei comuni o alle Unioni dei Comuni

 

e) promozione e sostegno di manifestazioni e di iniziative artistiche, culturali, sportive e di spettacolo, di interesse sovracomunale; à alle Unioni dei Comuni (che hanno già un servizio identico)

 

2) sviluppo economico:

 

a) promozione dello sviluppo turistico e delle strutture ricettive, ivi compresa la concessione di incentivi e contributi; realizzazione di opere, impianti e servizi complementari alle attività turistiche, di interesse sovracomunale; à alla Regione (che ha già un servizio identico)

 

b) interventi di promozione e di sostegno delle attività artigiane, ivi compresa la concessione di incentivi e contributi, salve le competenze dei comuni; à alla Regione (che ha già un servizio identico)

 

c) vigilanza sulla caccia e la pesca nelle acque interne; à alla Regione (che ha già un servizio identico)

 

d) autorizzazione all’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio di cui all’art. 9 della legge regionale 22 luglio 1972, n. 43; à ai comuni

 

3) organizzazione del territorio e tutela dell’ambiente:

 

a) costruzione e manutenzione della rete stradale regionale, infraregionale, provinciale, intercomunale, rurale e di bonifica e delle ex trazzere, rimanendo assorbita ogni competenza di altri enti sulle suindicate opere, fatto salvo quanto previsto al penultimo alinea dell’art. 16 della legge regionale 2 gennaio 1979, n. 1; àil finanziamento delle reti viarie extraurbane può essere affidato alla Regione, per le reti urbane la proposta deve venire dai comuni

 

b) costruzione di infrastrutture di interesse sovracomunale e provinciale; à alla Regione

 

c) organizzazione dei servizi di trasporto locale interurbano; à ai comuni (che ha già un servizio identico)

 

d) protezione del patrimonio naturale, gestione di riserve naturali, anche mediante intese e consorzi con i comuni interessati; à alla Regione, che potrebbe demandarla al comune con apposita convenzione

 

e) tutela dell’ambiente ed attività di prevenzione e di controllo dell’inquinamento, anche mediante vigilanza sulle attività industriali; à al comune, che si avvale dell’Agenzia Regionale Arpa

 

f) organizzazione e gestione dei servizi, nonchè localizzazione e realizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti e di depurazione delle acque, quando i comuni singoli o associati non possono provvedervi i comuni

 

·         I dipendenti potrebbero essere trasferiti (compatibilmente con le proprie competenze e mansioni) nei tribunali (come amministrativi), nelle scuole (come personale ata, considerato che non si applica il tempo pieno per mancanza di collaboratori scolastici), nei comuni con organici sottodimensionati, nelle unioni di comuni sprovviste di personale proprio,  negli uffici regionali periferici che si stanno costituendo presso le sedi provinciali della Regione.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

 

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Intercettazioni, non è questo il momento per intervenire.

postato il 25 Giugno 2011

L’onda lunga dell’affaire-Bisignani non accenna ad arrestare la sua corsa e il primo ad essere travolto è lo strumento, l’arnese giudiziario che ha permesso di scoprire tutta la grandezza delle relazioni che il faccendiere intratteneva con la politica, le intercettazioni: mezzo di prova formidabile, hanno il pregio di essere spesso decisive nelle indagini. Quel che è emerso dall’inchiesta P4 è, a voler usare un eufemismo, inquietante. In primo luogo perché il protagonista della oscura vicenda, quel Luigi Bisignani da Milano, grandi entrature nei luoghi che contano del potere politico ed economico, teneva in pugno gran parte della classe dirigente del nostro Paese. Manager, funzionari pubblici, politici di lungo corso, tutti al telefono con il faccendiere, a farsi dare indicazioni e a chiedere intercessioni. Un grosso pezzo di italico potere tutto a pendere dalle labbra di Bisignani. Inquietante anche per il tenore del controllo che l’uomo deteneva nelle stanze dei bottoni. La Rai, per esempio: la sua influenza era fuori dall’immaginabile, l’ormai ex-direttore generale in sostanza alle sue dipendenze, anche nella gestione degli affari correnti oltre che a quelli più delicati, in cui l’intervento di Bisignani era d’obbligo, vedi il caso-Santoro, con la lettera di licenziamento scritta di suo pugno.

Bene, questo quadro di poteri e servizi pubblici nelle mani di un privato non poteva venire alla luce senza il determinante lavoro svolto dalle intercettazioni. Sul loro utilizzo si discute da sempre, da quando esistono. La loro funzione, i loro pregi, i loro difetti sono oggetto di un dibattito che in questi giorni acquista grande attualità. La tempesta perfetta si sta abbattendo su una larga parte del mondo politico della maggioranza. Personalità eminenti “pizzicate” al telefono con l’uomo del giorno, il faccendiere che tutti aiutava e che tutti annientava, all’occorrenza.

Inutile star lì, alla maggioranza le intercettazioni non stanno proprio simpatiche. A partire da colui che detta la linea: Berlusconi prova un’avversione sincera e conclamata per lo strumento principe delle indagini di questi tempi, non ha mai nascosto la sua posizione, si è sempre pronunciato per una loro razionalizzazione. Stretta, contenimento, giro di vite, il lessico è vario per descrivere l’intenzione di arginare il ricorso alle intercettazioni, o quantomeno la divulgazione di queste sulla stampa. I tentativi sono stati tanti nel corso degli anni, e a dire il vero anche bipartisan: ricordiamo tutti il ddl Mastella da cui, manco a dirlo, il premier vuole ripartire per una disciplina della materia.

Insomma, si addensano nubi di guerra che armeranno le opposte barricate: sostenitori tout court delle intercettazioni, tra i quali annoveriamo su tutti Di Pietro, leader IDV e i detrattori senza riserve, il partito di maggioranza in primis. Negli ultimi giorni, con i guai che la vicenda Bisignani sta portando, il premier e tanti nomi noti del PDL mettono le mani avanti, iniziando a prospettare la presunta necessità di una normazione chiara sulle intercettazioni. Alfano, ministro della Giustizia e uomo di partito (segretario in pectore del PDL), ricorda il costo della registrazione delle conversazioni telefoniche, un miliardo di euro per lo Stato italiano; Cicchitto grida allo scandalo e denuncia la pubblicazione a senso unico di queste fonti, a suo dire col solo intento di screditare la maggioranza; si è arrivati perfino alla presa di posizione del ministro Frattini, di solito morbido e conciliante, che invoca l’urgenza di una legge che impedisca ai giornali di pubblicare le intercettazioni.

In tutto questo vortice di dichiarazioni e di interessi in gioco è utile precisare che in effetti un qualche marchingegno per distinguere le intercettazioni penalmente rilevanti da quelle che non lo sono servirebbe. Al diritto collettivo ad essere informati si contrappone un altro diritto, meritevole di tutela tanto quanto il primo, quello individuale alla riservatezza. Perché sbattere in prima pagina persone coinvolte a latere dell’inchiesta, persone intercettate ma estranee a ipotesi di reato, la cui immagine viene compromessa quando l’opinione pubblica viene a conoscere certe conversazioni private, ancorché delicate o talvolta equivoche? Forse un abuso dello strumento in questo senso è commesso, e bisogna rimediare. Ma l’imperativo è studiare misure delicatissime per garantire l’equilibrio tra informazione e privacy: come potremmo non essere preoccupati della possibilità che, qualora entrasse in vigore una legge che vincola i giornali alla pubblicazione delle sole intercettazioni penalmente rilevanti, la stampa non osi far uscire più nulla, nel timore di conseguenze giudiziarie? Se una legge serve, e di questo siamo convinti perché non si può lasciare un tema così delicato alla “libera determinazione delle parti”, visto che gli interessi pubblici e privati in campo sono evidentissimi, nel testo bisognerà specificamente indicare cosa nella conversazione rappresenta reato e cosa no, descrivere quali comportamenti costituiscono prova penale e quali invece sono solo pensieri ad alta voce, pettegolezzi o critiche a terzi. Solo così potremo uscire da questo straordinario e dannoso cortocircuito, in cui i giornali urlano il malcostume telefonico e la politica si chiude a riccio nella difesa della propria posizione, rafforzando l’idea che la casta si autotutela e rende intoccabili i suoi membri.

No, siamo garantisti e nemici dei processi in piazza o sui giornali, ma non possiamo tollerare che una vicenda di tale portata sia sfruttata per limitare la forza di uno strumento necessario come le intercettazioni. Ricordiamo che spesso da posizioni laterali, a prima vista insignificanti, partono ceppi di inchiesta che sgominano illegalità diffuse. Regolamentare la materia è cosa buona e giusta, ma questo non è il momento adatto: i protagonisti di quest’iniziativa non sono certo garanzia perché questa riforma si faccia con le dovute cautele e il dovuto clima di condivisione, per la semplice ragione che ci sembrano troppo coinvolti nella vicenda.

Ciascuno si prenda le proprie responsabilità: i giornali smettano di brandire il pettegolezzo come mezzo per inseguire i gusti dei lettori, la magistratura continui ad agire con indipendenza e non incappi nell’errore di avere la bava alla bocca e la politica faccia la sua parte, ragioni in modo serio sulla funzione delle intercettazioni, non perda di vista lo Stato di diritto, garantisca a tutti le giuste tutele ma, sopra ogni cosa, la smetta con l’autoindulgenza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Commenti disabilitati su Intercettazioni, non è questo il momento per intervenire.

Zero sconto? Voltiamo pagina!

postato il 24 Giugno 2011

C’è scritto “libri”, io leggo “5 Million Club“, abbreviato in “FMC”, simpatica locuzione coniata da Beppe Severgnini per indicare coloro che  entrano regolarmente in libreria. Severgnini, e credo ognuno di noi possa essere d’accordo, è dell’idea che il numero sia un pò piccolo, e vada quindi sostenuto e, se possibile, ampliato. Ha appena ricevuto il via libera alla Camera una proposta di legge bipartisan che pone un tetto massimo del 15% alla possibilità di sconto sui libri. L’iter parlamentare è appena cominciato, però forse meriterebbe maggiore attenzione, da parte di tutti. Gli interessi, anche contrastanti, in gioco sono molti: quelli dei piccoli e grandi editori, sempre più in difficoltà vista la ristrezza del mercato, quello dei lettori, che sono pochi ma ai quali non si può chiedere un eccessivo sacrificio. Ma se, uscendo dalla solita logica “aumento costo-maggior guadagno”, si provasse ad ampliare l’orizzonte, magari includendo nella riflessione le prospettive future della lettura e dei lettori? Cercando non di fermarsi alla fotografia, perciò statica, della situazione attuale, ma di proiettarsi nell’Italia di domani (e se fosse già quella di oggi?), fatta di giovani attivi sulla Rete, sempre e dovunque connessi, diciamo “Giovani2.0″. Ciò richiede competenze e conoscenze forse non possedute nè ritenute essenziali dall’attuale classe politica, ma ciò non può certo essere una giustificazione. Ma non serve essere “amici della Rete” per sapere che il “costo della cultura” grava inevitabilmente sulle famiglie. Libri, scolastici e non sono acquisti che gravano inevitabilmente sulla famiglia. Sappiamo tutti delle “corse in libreria” (con numeri alti relativamente, vero) durante le grandi promozioni o gli “assalti alle Fiere del Libro”, Torino su tutte anche a livello europeo. Ma siamo quindi proprio sicuri che la soluzione sia un blocco delle tariffe, in prima analisi sfavorevole e poco allettante per il lettore?
Perché, invece, lasciando da parte l’attenzione al divieto, optare per un’incentivazione del mercato 2.0? Nel mondo anglosassone l’E-Book ha già conquistato una considerevole fetta del settore: perché non buttarsi su questo fronte? In Italia siamo ancora indietro, ma perché per una volta non provare a precedere tendenze e progresso?  E non solo per quel che riguarda l’ambito, per così dire ‘commerciale’, dell’editoria, ma anche -e soprattutto, dico da studente!- l’ambito scolastico-didattico! Trovare e presentare una soluzione ora e subito è cosa non facile. Più facile è dire, senza se e senza ma, che la cultura deve essere incentivata e sostenuta, che il lettore va stimolato e tutelato, che la prospettiva da cui guardare il mondo è a 360° e ormai in… 4D! La politica, se vuole essere “buona” e con la “P” maiuscola, deve saper leggere il presente per indicare e anticipare il futuro. Quante volte in queste poche righe ho scritto “la politica deve saper leggere”? Svariate!…Mi sorge il dubbio: la Politica fa parte del 5 Million Club?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Edoardo Marangoni

Commenti disabilitati su Zero sconto? Voltiamo pagina!

Di Pietro, l’alleato che non ti aspetti.

postato il 23 Giugno 2011

Silvio Berlusconi ha un nuovo alleato. Non stiamo parlando dell’ennesimo parlamentare che, colto da irrefrenabile crisi responsabile, corre in soccorso di un governo agonizzante, ma addirittura dell’antagonista numero uno del Cavaliere, Antonio Di Pietro che in questi giorni si è esibito in una incredibile metamorfosi che lo ha portato a tu per tu con colui che fino a qualche mese fa era un dittatore, Nerone, il diavolo in persona. Tonino ha smesso gli abiti del grande inquisitore per indossare quelli più morigerati del politico esperto, del grande stratega. Ma cosa in realtà ha determinato la grande svolta di Di Pietro? Che strategia sta seguendo l’ex pm di mani pulite? Di Pietro  ha intuito che alla sua sinistra piccoli inquisitori crescono, e che il vate Grillo e il savonaroliano Vendola sono capaci di sottrarre alla sua Idv il ruolo principe di forza antiberlusconiana, in più un redivivo Pd sta tentando di intestarsi gli ultimi successi elettorali e referendari, riprendendo la vecchia strategia veltroniana di inglobare il partito dipietrista.

Ma Tonino non vuole farsi mettere all’angolo e così, forte del successo del ritrovato De Magistris e della paternità della vittoria referendaria, ieri invece di sparare bordate sul governo ha rivolto la sua potenza di fuoco contro Pier Luigi Bersani. La scena è stata surreale: Bersani, che non si aspettava il colpo di coda dipietrista,  sembrava l’Alberto Sordi di “Tutti a Casa” che interpretava un ufficiale italiano sconvolto dagli eventi dell’8 settembre 1943 che al telefono col comando esclamava: “qui succede una cosa incredibile i tedeschi si sono alleati con gli americani!”. Di Pietro non si è alleato con Berlusconi, ma quella richiesta di un programma alternativo, di un tavolo delle opposizioni, ha tramortito il Pd che pensava di suonare la carica, invece si ritrova ancora una volta stretto tra i suoi presunti alleati che più che a progettare l’alternativa a Berlusconi pensano a come cannibalizzare il Pd e strappargli la guida dell’opposizione. Le ultime amministrative sono state in questo senso una piccola prova generale.

La strategia di Di Pietro sembra però più ampia e non esclude, come nota Stefano Folli su il Sole 24 ore, l’ipotesi di riprendersi alla caduta di Berlusconi quella originaria posizione di destra. La patata bollente ora passa al Pd che deve capire se il “nuovo” Di Pietro può essere un buon compagno di strada per preparare l’alternativa a Berlusconi, o se Tonino può essere solo il carnefice del Pd, che con le sue ultime mosse ha lanciato una pesante opa sulla guida dell’opposizione. Intanto il Cavaliere prende fiato e prova a fare ciò che non gli riuscì nel 1995: uscire dalle secche grazie a Tonino.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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