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Formazione e merito, la mia esperienza fra Italia e Francia

postato il 27 Luglio 2011

Sono stato stimolato a scrivere queste mie riflessioni a seguito di un interessante post pubblicato in questo blog riguardante i giovani, il lavoro e le proposte da attuare per migliorare una situazione che è a dir poco drammatica. A fine articolo erano presenti 5 interessanti proposte che, in sintesi, proponevano un premio per gli studenti più meritevoli, convogliare le risorse degli atenei verso gli studenti, migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i giovani, diminuire la fuga di cervelli, e sostenere la meritocrazia. Tutte queste proposte sono interessanti ma, prima di tutto andrebbe analizzata meglio la situazione attuale.

Innanzi tutto partirei dalla formazione culturale degli studenti. Io sono un ragazzo del 1985, di una città di provincia, Pistoia. Nella mia città ci sono molte scuole medie superiori tutte differenti tra di loro ma non esiste la possibilità di scegliere più scuole per lo stesso indirizzo (come può avvenire a Firenze o a Roma o comunque nelle grandi città italiane). Io ho fatto il liceo scientifico ed, ahimè, ho impiegato 6 anni per finirlo invece di 5. Il 90% di questo ritardo è dovuto esclusivamente al fatto che non studiavo, che non avevo voglia di studiare ma soprattutto non mi interessava imparare ciò che veniva insegnato in classe. Questo secondo me è un punto importante perché se il 90% delle colpe del mio ritardo sono dovute a cause personali ritengo che il 10% siano da ritrovarsi nell’istituzione scolastica.

Nel mio Liceo di Pistoia, statale, non c’era professore che mi invogliasse a studiare la materia! Dalla mia esperienza, ma confrontandomi con altri miei coetanei ho ritrovato le stesse problematiche, non ho mai trovato un professore a cui importasse veramente insegnare qualcosa ma soprattutto avesse la consapevolezza che il suo lavoro avrebbe influenzato il mio futuro prossimo. Questo probabilmente lo si può spiegare con un concetto molto semplice: mancanza di cambio generazionale. Infatti, e questo secondo me è un paradosso, la mia professoressa di inglese era la stessa di quella di mia madre!!

Un primo fondamentale punto, per migliorare la situazione giovanile, quindi bisogna trovarlo alle basi della formazione più importante di ogni singolo ragazzo, ovvero, dalle scuole medie superiori. Sarebbe il caso di modernizzare la scuola dell’obbligo ma soprattutto cambiare ed invogliare soprattutto i professori che hanno un ruolo fondamentale soprattutto in scuole come i Licei che sono la base dello studio universitario.

Un secondo punto fondamentale su cui concentrare le forze è l’università. Una decina d’anni fa fu fatta la riforma che introduceva la tanto famosa laurea-breve. Per alcune facoltà probabilmente ha migliorato e velocizzato la formazione dello studente ma per la mia facoltà non è utile. Io infatti nell’anno accademico 2005/2006 sono riuscito a passare il test d’ammissione alla facoltà d’architettura di Firenze e mi sono iscritto regolarmente. Non sapevo però che da quel momento sarebbe iniziato un calvario. La mia facoltà infatti è ancora di “vecchio stampo” ovvero è una facoltà, sulla carta, quinquennale. Ho voluto precisare sulla carta perché, dati alla mano, per laurearsi ad architettura a Firenze il tempo medio è 9 anni e mezzo (almeno questo è ciò che c’hanno sempre detto). Io ho appena finito il 6 anno, mi mancano ancora 12 esami che probabilmente riuscirò a finire entro i prossimi 2 anni e, considerando che per una buona tesi serve almeno 1 anno, direi che rientro nella media della mia facoltà.

Ritengo che questo sia assurdo. Non è ammissibile che noi italiani si debba uscire, con un foglio in mano (che non ho chiamato volutamente laurea visto che siamo gli unici al mondo ad avere gli ordini professionali, che sono inutili e quindi quando ci laureiamo siamo dottori in architettura ma non siamo architetti…) se va bene entro i 30 anni mentre i nostri colleghi francesi, tedeschi, spagnoli, sono nel mondo del lavoro da già 4/5 anni. Certo, sarebbe facile dire che il corso è fatto apposta per durare 5 anni e non 9 però, se la media indica questo lasso di tempo per laurearsi un motivo ci sarà, o no? Non credo che la colpa sia solamente degli studenti ma credo che tali colpe siano da ritrovarsi, anche in questo caso, a monte. Nella mia facoltà c’è una disparità enorme tra professore e professore, anche e soprattutto della stessa materia. Le cause, anche in questo caso, sono sia dello studente, diciamo intorno al 60%, ma per il 40% sono da addossarsi ad un sistema universitario che non funziona e che non vuole cambiare.

Nell’anno accademico 2008/2009 ho avuto la fortuna di entrare nel programma Erasmus, con destinazione Parigi. Un sogno, finalmente avevo l’opportunità di uscire di casa per 1 anno e fare una grandissima esperienza, sia sotto l’aspetto umano che scolastico. La vita a Parigi è stata totalmente diversa rispetto alla mia vita italiana. Ma non perché Parigi è una grande città, mentre Pistoia è una semplice città di provincia, ma perché in Francia c’è una mentalità differente, anche opposta rispetto alla nostra. Non voglio parlare dell’integrazione di culture diverse, che è un argomento troppo ampio vasto e complicato (perché anche loro hanno problemi, grandi problemi), ma inizio dicendo che in Francia esiste un sussidio mensile destinato ai ragazzi, alle coppie in difficoltà, alle famiglie in difficoltà, che permette di avere un aiuto economico sicuro.

Per avere tale sussidio bisogna ovviamente essere regolari in Francia, bisogna risiedere in una casa o avere un contratto d’affitto a norma di legge. Per quanto riguarda Parigi tale contributo variava a seconda della grandezza della casa, di quante persone la abitavano, del quartiere dove era situata. Io vivevo nel 12° arr, ho cambiato 2 case ma entrambe erano da circa 30 mq con 3 posti letto. A me, ed ai miei coinquilini, veniva dato un rimborso mensile di circa 150 euro, che sommati alla borsa di studio (scarsa per noi della Toscana, molto alta per i ragazzi della Campania e del Lazio) andavano a coprire quasi l’80% dell’affitto totale. Non è un caso che buona parte degli studenti francesi, finito il liceo (il loro dura anche 4 anni invece che 5) escano di casa per andare a vivere da soli.

Ma le differenze con l’Italia non finiscono qua. Un accenno lo merita anche la rete dei trasporti perché per me, che faccio il pendolare ogni mattina per andare in facoltà, è stato un trauma tornare alla triste realtà italiana. A Parigi infatti con circa 50 euro si compra l’abbonamento per metro, tram, bus, treni metropolitani, chiamati RER (per le zone più lontane il costo, ovviamente, aumenta). La mia facoltà era a 30 km da Parigi, la stessa distanza che c’è tra Pistoia e Firenze. La mattina prendevo la RER, e in soli 20 minuti ero arrivato alla stazione di discesa. In Italia l’abbonamento del solo treno costa quasi 55 euro (aumenta ogni 6 mesi circa), e per fare gli stessi chilometri, nonostante il numero di fermate sia pressoché identico, ci impiego 40/50 minuti, quando non ci sono ritardi. Ovviamente quando arrivo alla stazione di Firenze non sono arrivato in facoltà e, siccome l’eventuale abbonamento del bus costa 20 euro, per risparmiare faccio un tragitto, di circa 20 minuti, a piedi.

Riguardo il costo degli affitti e delle case non ci sto a perdere troppo tempo perché è sotto gli occhi di tutti che qua in Italia sia troppo alto. Se non erro qualche mese fa Report dimostrò come era possibile acquistare una casa, in centro a Berlino, di 30/40 mq, a soli 50.000 euro, mentre una casa, stesse dimensioni in centro a Roma, Milano, Firenze ecc costasse anche 4/5 se non 6 volte tanto! Per gli affitti la situazione è la stessa. L’anno scorso ero interessato ad andare a vivere a Firenze con la mia ragazza ma l’affitto di una casa in centro di 30 mq, 1 stanza da letto + salotto con angolo cottura, era di 1200 euro, troppi anche per una coppia di lavoratori figuriamoci per una coppia di studenti.

In Francia, ma stessa cosa avviene in Inghilterra, il più delle volte gli stages sono pagati, in Italia, almeno nel mio ambito lavorativo, tutto ciò non avviene, anzi, non danno nemmeno il rimborso delle spese di viaggio. A Parigi invece, la prima cosa che offrono, oltre allo stipendio mensile, è l’abbonamento della metro/bus/rer per raggiungere il posto di lavoro rispetto alla propria abitazione.

In Italia, una volta laureato non si può lavorare perché devo prima iscrivermi all’albo di architettura. Per iscrivermi si deve passare l’esame di Stato che si tiene una volta ogni 6 mesi. A Firenze notoriamente passa l’esame di stato meno del 50% degli iscritti.

Sempre in merito alla mia facoltà, quando ero a Parigi, potevo stampare gratis tutte le tavole nella mia facoltà, aFirenze tutto ciò non è possibile. Una stampa di una tavola grande, formato A1, viene a costare anche 15 euro, e a volte si trovano professori che richiedono, solo per l’esame 10/15 tavole. A questo c’è da aggiungere che durante l’anno vanno fatte le cosiddette revisioni, che non sono altro dei momenti in cui il professore riguarda il lavoro dello studente. Siccome i professori spesso non sanno usare il computer pretendono di avere sempre le stampe e a forza di 15 euro ci ritroviamo presto il conto in banca, che già era misero, vicino allo zero. Inoltre, sempre paragonando Parigi a Firenze, l’età media dei professori della mia struttura universitaria, école d’architecture de la ville / des territoires à Marne-la-Vallée, era di poco superiore ai 40 anni, mentre l’età media dei professori di Firenze non è inferiore ai 50/60 anni.

Queste sono solo alcune delle grandi, grandissime differenze che ci sono tra il nostro bellissimo paese e l’Europa. Questo non vuol dire che l’estero, la Francia, la Germania o l’Inghilterra siano paesi paradisiaci, anzi, tutt’altro. Anche loro hanno molti problemi ma permettono di affrontarli in maniera diversa. Da quel che ho potuto constatare c’è stato un ricambio generazionale, quando andavo a lezione in Francia mi sentivo motivato a studiare, mentre quando vado a lezione a Firenze non vedo l’ora di tornare a casa.

Quello che avete proposto voi sono quindi buoni punti di partenza, ma secondo il mio parere bisogna fare molto di più, bisogna intervenire partendo dalla scuola dell’obbligo fino ad arrivare all’università. Bisogna allinearci al resto d’Europa perché tra due, tre anni quando finalmente sarò laureato non avrò nessun motivo per iniziare a lavorare in Italia mentre sarò fortemente invogliato a tornare a Parigi dove sono sicuro di trovare un lavoro che mi permetterà di poter affittare una casa dove stare e di iniziare a costuire una vita tutta mia.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Lorenzo Mazzei

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Norvegia, le rose della civiltà

postato il 27 Luglio 2011

Nel profondo inverno del 2009 il vento gelido del Mare del Nord accoglieva con sé il respiro di Arne Naess, il più importante pensatore della filosofia norvegese.   Ness, che già a 27 anni aveva una cattedra all’Università di Oslo, è il fondatore della ecosofia o come la chiamava lui della T sofia, dal nome del monte Tvergastein, rifugio solitario nel cuore della Scandinavia in cui rifletteva  sull’ecologia “profonda”. Ness sosteneva il valore intrinseco delle realtà naturali. Pensava infatti che se tutto ciò che esiste è correlato, se cioè “tutto dipende da tutto”, l’essere umano non è più separato dal mondo naturale ma ne è solo una parte.

La Norvegia è stato il terreno ideale di questo pensatore, terra di montagne e fiordi che oltre a elementi naturali sono simboli di un paese con 33 parchi naturali e decine di aree protette. I valori norvegesi si ancorano su una società contadina che viene celebrata nella festa nazionale facendo indossare ai bambini i costumi di un’idilliaca società bucolica. Ma la Norvegia non è solo natura: lo notiamo subito guardando l’indice ISU. L’ISU è un indicatore di sviluppo macroeconomico che al contrario del PIL non considera solo i beni materiali e i servizi prodotti ma tiene conto di numerosi fattori sociali come l’istruzione, lo sviluppo dei servizi sociali e della sanità, la promozione dei diritti umani. L’ISU vuole misurare non la ricchezza ma il benessere. Ebbene, al primo posto dell’indice ISU troviamo proprio la Norvegia. Eppure i norvegesi sono uno dei popoli con il numero più elevato di tasse. Ma le pagano sicuramente più volentieri di noi perché sanno che il loro Stato si prenderà cura di loro “dalla culla alla tomba”, come recita un vecchio andante del pensiero socialdemocratico, in un welfare state  che copre tutti i servizi dello stato sociale. Si può essere d’accordo o meno con questo sistema e preferire dei modelli più liberali e sussidiari, ma certo c’è da tenere della buona realizzazione del welfare scandinavo. Le pagano volentieri perché oltre a un grande comprensione e amore per la natura sono animati da una fede luterana che ha contribuito a sviluppare in loro una morale di responsabilità che si è manifestata anche nell’economia e negli aspetti della loro vita , come alcune scuole storiche di pensiero insegnano.  Un paese con una sincera cultura giuridica in cui il massimo della pena di detenzione è 21 anni perché hanno fiducia nella possibilità degli uomini di redimersi e di essere riaccolti nella società, vera missione che l’istituzione carceraria dovrebbe avere attraverso la pena che troppo volte è invece considerata un fine e non un mezzo .

Ma anche nella favole entra il male. Male che ha volte ha la faccia di un ragazzo come tanti, ma nel cuore il seme della morte e della dolore. Un uomo che ha messo un  paese in ginocchio, che ha avvelenato la gioventù di Oslo, estremista anti-islam, massone, ultra-conservatore,  amante dei giochi di ruolo di violenza, scrittore di un vero e proprio manuale di terrorismo di 1500 pagine, fondatore di un ordine neo-templare, un folle che sognava  nei suoi incubi di far saltare in aria le raffinerie siciliane e di attentare alla vita del Papa. Per la Norvegia un numero di vittime, 92, che equivale al numero di morti violente di tre anni e uno dei giorni più bui dopo la fine della II° guerra mondiale in cui si mantenne neutrale ma fu schiacciata dai panzer hitleriani che la ritenevano strategica.

Ma il Paese che assegna ogni anno il premio Nobel per la Pace ha risposto così al male: con una marcia di rose: 150.000 persone intorno al municipio di Oslo che con dignità e compostezza hanno levato in aria i loro cuori e i loro fiori delicati. Breivik ora rischia 21 anni, forse 30, massimo 35 se sarà riconosciuto colpevole di crimini contro l’umanità e di possibilità di reiterazione di strage. Tutto questo mi ha fatto molto riflettere e pensare anche al mio paese in cui la cronaca nera diviene facilmente protagonista di prime serate e passa di bocca in bocca, dove migliaia di persone fanno la coda per assistere ai processi di assassini come Rosa e Olindo e gridare e gracchiare contro il colpevole, in una giustizia forcaiola dove la pena non è un mezzo di punizione e redenzione ma molto più spesso vendetta. Può esistere una cultura e una diversa mentalità. Onore al popolo norvegese!

Riceviamo e pubblichiamo Jakob Panzeri

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Tirrenia Viaggi: la cessione è avvenuta, ma i punti da chiarire sono molti

postato il 26 Luglio 2011

La vicenda della Tirrenia e della sua privatizzazione sembra essere giunta al termine, ma siamo anche certi che è solo l’inizio di una nuova stagione di recriminazioni e polemiche. Avevamo parlato più volte di questa cessione, sia illustrando i disastrati conti della Tirrenia, sia dei problemi nati con una procedura di vendita che, francamente, lasciava stupefatti.

Spiace dire che le nostre “profezie” si sono tutte avverate: la cessione è avvenuta alla CIN, di cui avevamo già individuato i proprietari ovvero Aponte, Grimaldi e Onorato; la cessione è avvenuta con la garanzia di aiuti pubblici pari a 72 milioni l’anno per 8 anni (fatevi i conti, tra poco ci torneranno utili); il prezzo pagato dagli acquirenti è veramente basso: 200 milioni subito e 180 milioni in seguito. In cambio la CIN ottiene le rotte, 18 navi e il marchio, in cambio si impegna a mantenere gli attuali livelli occupazionali, o, per essere più precisi, a non licenziare (con il risultato che basterà aspettare i naturali pensionamenti). Sembra un contratto vantaggioso? Certo che lo è, ma per chi?

Facciamo i conti: la CIN paga 380 milioni (200+180) e mantiene rotte e livelli occupazionali, ma siccome della CIN fanno parte tre armatori che a loro volta possiedono la MSC Crociere, la Grimaldi e così via, è ovvio che si troveranno in condizioni di monopolio. Ma c’è un’altra cosa, riprendiamo la cifra di 380 milioni, in realtà la CIN a ben vedere in pochi anni riavrà i soldi spesi direttamente dallo Stato italiano, infatti vi ricordate cosa abbiamo detto all’inizio? Lo Stato si impegna a garantire un contributo di 72 milioni per 8 anni; e quanto fa in totale? 576 milioni di euro.

Ripetiamolo così è chiaro a tutti: la CIN paga 380 Milioni, e lo stato gliene restituisce 576 in 8 anni, credo sia uno dei pochi casi in cui il venditore ci perde clamorosamente. E io mi chiedo, perché lo Stato perde sempre in queste operazioni? Sarà sfortuna? Sarà incapacità nel negoziare? Non lo so, ma una cosa è certa, noi paghiamo perché qualcuno si pigli una società.

Ovviamente questa cessione non va giù ai vertici della regione Sardegna, i quali però hanno le mani legate proprio dalla UE che ha imposto la vendita della Tirrenia. L’unica chance adesso è quella di accordarsi per evitare che i sardi siano troppo penalizzati e si trovino di fronte a rialzi consistenti dei biglietti per traghetti e navi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Ricostruiamo l’Italia sul merito

postato il 26 Luglio 2011

Due milioni di giovani nullafacenti, cinquemila ogni anno lasciano lasciano l’Italia verso gli Stati Uniti o l’Europa centro-settentrionale. Con questi numeri appare evidente che ci stiamo dimenticando di gettare le fondamenta per il nostro futuro, il futuro dell’Italia. La reazione del mondo politico alla cosiddetta “fuga di cervelli” e al mondo della disoccupazione (soprattutto giovanile) è impalpabile.

Solo partendo dal merito e dalle energie più positive l’Italia sarà in grado di tornare a crescere valorizzando i suoi talenti, facendo sì che i giovani meritevoli possano rimanere nel loro Paese, per contribuire all’edificazione della nuova società.

Ecco quindi le proposte:
− premiare gli studenti meritevoli restituendo loro una piccola parte delle tasse versate; tale importo potrà essere utilizzato per aumentare ulteriormente il livello di conoscenza attraverso l’acquisto di libri e o abbonamenti a giornali o attraverso l’iscrizione a corsi di specializzazione post universitari;
− responsabilizzare i singoli Istituti scolastici che dovranno decidere di destinare le risorse disponibili agli studenti davvero meritevoli;
− concretamente, facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro premiando i giovani di talento con una visibilità maggiore ;
− diminuire il fenomeno del “brain drain”;
− simbolicamente, rendere evidente che le Istituzioni tutte credono nella necessità di sostenere il merito.

Clicca qui se credi anche tu che per l’Italia sia fondamentale investire sui giovani e sul futuro. Firmare la petizione.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Andrea Magnano

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Terzo Polo, ora servono i fatti

postato il 23 Luglio 2011

Finalmente dopo la nascita, prima, di Futuro e Libertà, e poi della coalizione denominata fin da subito “Terzo polo”, ieri, 22 luglio 2010, c’è stata la prima Assemblea Nazionale del polo centrista formato da UDC, FLI, API, MPA.

Inizio subito dicendo che il nome “Terzo Polo” sinceramente non mi piace, come non mi piace Polo della Nazione, in quanto non trasmettono niente di politico (e dopo PD, PDL, sarebbe infelice avere il PDN..). Personalmente punterei su un qualcosa che dia immediatamente l’idea che in Italia c’è una terza possibilità di voto, e che questa possibilità non è né di estrema destra né di estrema sinistra.

Infatti secondo il sottoscritto in Italia ormai abbiamo a che fare con l’estremismo politico, sia di destra che di sinistra. Se con le elezioni del 2008 si era riusciti nell’intendo di eliminare i mini-partiti, e soprattutto la parte più estrema di una politica vecchia ed antiquata, dopo nemmeno 5 anni ci ritroviamo da una parte la Lega Nord di estrema destra e dall’altra l’Italia Dei Valori e il Sinistra Ecologia e Libertà, di estrema sinistra.

In questo contesto strano e non concepibile tre anni fa, finalmente si è creata una forza che dovrebbe essere di Centro ma soprattutto che si è dichiarata fin da subito moderata. Casini, nel corso degli anni, ha dimostrato di essere forse uno dei pochi politici italiani coerenti con le proprie scelte. Tre anni fa, infatti,  rinunciò a fondersi in quel pericoloso calderone chiamato PDL per continuare nella sua strada. E’ stato aggredito verbalmente dalla parte più dura del popolo berlusconiano, è stato dato più volte per spacciato ma nonostante tutto è riuscito a mantenere una buona percentuale di preferenze. Accanto a lui, da qualche mese ormai ma da oggi ufficialmente, ritroviamo Fini, che nonostante le numerose uscite, molte delle quali “sospette”, dal neonato partito di Futuro e libertà, è riuscito a reggere il colpo e a rimanere in corsa per dire ancora la sua. Infine completano il quadro Rutelli, che dopo l’esperienza di sinistra è tornato alla “casa madre” e Lombardo per il movimento del sud.

Il manifesto che è stato stilato contiene molti buoni concetti, molte belle parole e tanta voglia di fare, ma a questo punto, in cui la crisi è pronta a colpire pesantemente in italia, in cui il nostro paese è preso in giro in ogni luogo a causa della nostra politica e del nostro premier, SERVONO I FATTI.

Se faranno realmente ciò che hanno scritto allora la percentuale di partenza, data al 12%, salirà, in caso contrario il tanto voluto bipolarismo prenderà il sopravvento su questo povero paese lasciato, da troppi anni, allo sbando.

dal blog di Lorenzo Mazzei

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Voci dalla convention. Il Terzo Polo in ascolto.

postato il 22 Luglio 2011

Una delle grandi novità della convention del Terzo Polo è stata la possibilità di dare il proprio contributo di idee e progetti per cambiare l’Italia attraverso una postazione fornita di tre computer e una ben più tradizionale urna dove lasciare appositi moduli compilati. Comuni cittadini, dirigenti di partito ed eletti hanno così avuto l’occasione per far sentire la loro voce ai leaders del Terzo Polo presenti nel grande auditorium della Conciliazione. L’iniziativa, a giudicare dalla partecipazione e dai contributi, è stata particolarmente gradita. Tante le idee per il nuovo Polo che a detta di tanti deve essere uno spazio politico di libertà, dove merito ed esperienza sono gli unici criteri di affermazione e le donne hanno particolare spazio e considerazione. Forte, da parte della base, è la richiesta di un programma chiaro in pochi punti, la richiesta di un impegno concreto contro gli sprechi della politica, e di una presenza forte ed unita delle forze del Terzo Polo nelle realtà locali. Non manca la richiesta di un deciso ricambio generazionale che in alcuni interventi, con buon senso non comune, viene definito “non radicale, ma progressivo”. Tante altre proposte, mentre si succedono gli ultimi interventi, continuano ad essere salvate nei tre pc e altre ancora vanno a riempire l’urna trasparente, tutte completano in modo diverso l’incipit “io cambio l’Italia con…”. E c’è spazio anche per la saggezza, quella saggezza che viene dal vissuto quotidiano della gente e che dice: “ciascuno può cambiare il mondo, iniziando da se stesso”.

“Riceviamo e pubblichiamo”, di Adriano Frinchi

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Voci dalla convention. Dal mondo della ricerca per il Terzo Polo

postato il 22 Luglio 2011

Questo e’ un nuovo inizio, è l’atto fondativo di una nuova coalizione. Ma stavolta c’è qualcosa di diverso: non  si tratta di passerelle e o scelte calate dall’alto ma di una forte spinta dalla base, dal popolo dalle forze rappresentative e migliori della nostra società. Un esempio di questa forza pacifica di cambiamento è la microbiologa Giovanna Riccardi dell’Università di Pavia, a guida di un team di ricerca promotore di un nuovo farmaco contro la tubercolosi, frutto di quella ricerca troppe volte maltrattata e bistrattata,  frutto di giovani precari ricchi solo di inventiva e passione. Il terzo polo vuole guardare a questa realtà per una istruzione che non sia solo fatta di tagli nascosti sotto il bel nome di rimodulazione e razionalizzazione. Una sfida per il nuovo polo, per l’Italia, per tutti noi.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

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Voci dalla convention. L’italia migliore al centro.

postato il 22 Luglio 2011

Porsi come alternativa all’attuale bipolarismo significa essere diversi, essere in grado di invertire la rotta, mettersi in gioco. Essere alternativa significa anche far parlare chi, troppo spesso, é lasciato ai margini della società, far parlare chi in Italia lavora davvero, ogni giorno, chi nella società vive e, con difficoltà, sopravvive, é già un segnale forte e determinante. Brillante per questo motivo è stato l’intervento di Monica Lucarelli, presidente dei giovani di Confindustria Lazio che, dopo molti anni, porta sul palco di un incontro politico dei problemi reali, veri. Una donna, una madre, un’imprenditrice che parla delle difficoltà che ogni giorno si incontrano e che, nonostante tutto, ha ancora speranza e voglia di portare avanti proposte e soluzioni.

Il cambiamento passa anche di qui: nell’accettare e nell’attuare le riforme che servono e che hanno, come scopo, il bene comune. Proposte semplici per problemi articolati e con radici profonde, ma ancora risolvibili.

Investire su giovani e donne, permettere ai ragazzi di andare all’estero per formarsi e fare esperienza, ma portare avanti piani strategici che permettano loro di ritornare in Italia, creare una banca dati nazionale delle eccellenze, sia per il privato che per il pubblico, far sì che ci sia una maggiore coesione tra scuola e lavoro, in modo da favorire una formazione eterogenea ed utile, puntare sui settori strategici di sviluppo, dimostrare di meritare il titolo di settima potenza economica mondiale ma, soprattutto, riportare nel nostro Paese regole e coscienza civile. Soltanto con responsabilità e determinazione si può costruire una valida alternativa. Dobbiamo essere qualcosa di diverso e parlare diversamente dell’Italia e dare, finalmente, risposte concrete.

Riceviamo e pubblichiamo Marta Romano
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Manovra, famiglie sul Titanic

postato il 21 Luglio 2011

Anche i meno avvezzi all’economia e alla finanza avranno ormai capito che la manovra finanziaria del governo Berlusconi riguardante l’obiettivo di pareggiare il bilancio negli anni 2013-2014, sebbene presentata inizialmente come un semplice aggiustamento dei conti, è destinata invece a prendere i tratti meno piacevoli dell’aumento della pressione fiscale. L’Italia ha una pressione fiscale molto alta, tra le più alte in Europa. La manovra la farà crescere addirittura dell’1,2%, mettendo ancor più in difficoltà migliaia di italiani. L’incremento delle tasse colpirà un po’ tutti, ma quelli che se la vedranno peggio saranno le giovani coppie, le famiglie monoreddito e le famiglie con molti figli. Per i benestanti, comunque colpiti, le cose andranno un po’ meglio. Tremonti ha stabilito che il taglio lineare delle 480 agevolazioni fiscali e assistenziali sarà del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, anno che si preannuncerà parecchio duro.

Non è facilissimo capire come i tagli si abbatteranno sulle famiglie italiane, ma delle stime elaborate, ad esempio quelle dell’Ansa in collaborazione con i Caf della Cisl, c’è veramente da preoccuparsi. Su una famiglia monoreddito benestante senza figli il taglio voluto dal governo peserebbe rispettivamente per 136 euro nel 2013 e per 543 euro nel 2014. Simile, purtroppo solo nel pagamento delle tasse,  è la situazione per una famiglia monoreddito il cui capofamiglia è una “tuta blu“: pagherà 140 euro in più nel 2013 e 556 euro nel 2014. Per quanto riguarda una giovane coppia con doppio reddito e un figlio a carico, oltre magari ad un mutuo da pagare, nel 2013 ci saranno 203 euro in più di tasse l’anno successivo 904 euro in più. Una famiglia di ceto medio e monoreddito, con un impiego da dipendente e due figli a carico, si vedrà aumentare le tasse di 169 euro nel 2013 e di 676 euro nel 2014. Un pensionato, vedovo, con con un reddito superiore alla pensione sociale (15.000 euro), si troverà a pagare 102 euro in più nel 2013 e 400 euro in più l’anno dopo. Situazione ancora più dura per una famiglia monoreddito con due figli maggiori di 3 anni a carico: con un reddito di 25.000 euro l’anno (è il caso delle famiglie in cui chi lavora fa il poliziotto) i tagli provocheranno un aumento di 226,5 euro nel 2013 e di 906 euro nel 2014 a livello di tasse da pagare. Aggiungendo l’arrivo del super-ticket sanitario, i dipendenti pubblici senza aumento degli stipendi per un altro anno e l’aumento dell’età pensionabile è evidente che il peso del risanamento dei conti pubblici riguarderà soprattutto le famiglie e i ceti medio-bassi.

La gravità della situazione per le famiglie italiane è testimoniata anche dalla posizione  del sottosegretario alla Famiglia Carlo Giovanardi che ha giudicato negativamente la manovra e ha minacciato le dimissioni. L’imbarazzo di Giovanardi e di tutti quelli che nel governo e nella maggioranza hanno sempre parlato di  politiche a favore della famiglia è evidente. Queste politiche tanto annunciate non sono mai arrivate, anzi le famiglie sono oggetto di un “massacro fiscale” senza precedenti che pone serie preoccupazioni. Tremonti presentando la manovra ha parlato del Paese usando la metafora del Titanic, il superbo transatlantico colato a picco nelle fredde acque dell’Atlantico del nord, e probabilmente mai immagine fu più azzeccata considerata la terribile fine che fecero le tante famiglie confinate nella terza classe della nave. Ieri sul Titanic l’orchestra suonava incurante, oggi il governo continua a far finta di niente. Troppe inquietanti similitudini.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Terzo Polo, adesso è il nostro tempo. Cambiamo l’Italia.

postato il 21 Luglio 2011

La convention terzopolista che si terrà venerdì all’Auditorium della Conciliazione a Roma e vedrà uniti Udc, Fli, Mpa e Api, ha un titolo forte: “Io cambio l’Italia”. Che non è uno slogan messo lì per dire tutto e non dire niente, ma la ragione politica e amministrativa per cui in Italia c’è bisogno di un Polo terzo fra due che non funzionano e fanno acqua da tutte le parti. È lo stesso leit-motiv, lo stesso mantra che noi dell’Udc conosciamo bene. Perché ce lo ripetiamo e lo ripetiamo agli elettori da quel lontano (solo temporalmente, però) 2 dicembre 2006, quando – a Palermo – si consumò una drastica scelta: avevamo capito che la Casa delle Libertà era ormai morta e la coalizione di centrodestra non era più in grado di dare soddisfacenti risposte all’Italia: qualcuno ci arrivò più tardi di noi e penso bene di sistemare la faccenda, sostituendo alla coalizione un megapartitone senz’anima, in cui o si vince (e si osanna il capo) o si perde (e si muore).

Noi, che siamo sempre stati piccoli, ma orgogliosi e testardi, abbiamo scelto di imboccare una strada solitaria, una strada impervia e tortuosa: e per molto tempo non c’è stato nessuno che ci tendesse la mano e che ci aiutasse; ci facevamo compagnia tra di noi, ci sostenevamo a vicenda: ci colpivano, ci schernivano (quante volte ho sentito decretare la nostra resa, in cambio di dorate poltrone) e noi restavamo fermi sulle nostre posizioni. È stato il tempo delle formiche: abbiamo affrontano diverse tornate elettorali e siccome (e chissà come mai) i nostri voti non accennavano a diminuire, ma restavano anch’essi saldi, abbiamo cominciato a sentirci dire che dalla nostra posizione di irrilevanza e di assoluta minorità non ci saremmo mai schiodati. Ne abbiamo sentite di così tante e di così grosse: ma tant’è. Perché essere formiche vuol dire anche saper incassare i colpi senza farsi male, lavorando tutti insieme per il bene del proprio formicaio. Ed è stato proprio così che lungo quel nostro cammino, quella lunga traversata nel deserto, abbiamo trovato nuovi compagni. Noi, piccole formiche, non eravamo più sole. E nemmeno più piccole.

Nel frattempo, infatti, l’Italia che i leader del bipolarismo/bipartitismo de noantri non solo non accennava a nascere, ma in più assumeva connotati e fattezze sempre più difficili e dure. L’illusione di un Paese migliore senza quei fastidiosi “uddicinni” è crollata e la realtà ci ha mostrato tutte le difficoltà che incombevano su di noi, peggio della spada di Damocle. E noi, che al formicaio-paese teniamo ancor di più rispetto al formicaio-partito, abbiamo cominciato a predicare “responsabilità”, “coesione”, “unità”. E, vuoi o non vuoi, “loro” – quelli che tanto ci disprezzavano – hanno dovuto ascoltarci. Hanno dovuto darci ragione. Intorno alle nostre parole d’ordine, ai nostri progetti, abbiamo aggregato un Polo – insieme agli amici incontrati per strada e che come noi e con noi vogliono cambiare l’Italia. Il “loro” tempo è finito. È scaduto tra scandali, festini, onesti-solo-a-parole, compravendite e fallimenti. Ora è il nostro momento.

Amici del Terzo Polo, amici dell’Udc, di Fli, dell’Api, del Mpa: è la nostra occasione. Ma c’è bisogno di un’altra prova di coraggio: lasciare le nostre case per aprirci al mondo esterno, per cominciare a progettare anche una grande casa comune che ci ospiti tutti. La fuori c’è l’Italia vera. L’Italia che aspetta solo di essere ascoltata e sostenuta. C’è un’Italia che è stanca delle continue e infruttuose divisioni da stadio che viviamo ogni giorno, stanca di dover lottare per arrivare a fine mese, stanca di non poter sognare un futuro migliore. C’è un Nord che non ne può più delle sparate leghiste, che si trova costretto a dover fare i conti con un’agricoltura e un’industria in crisi, che non ne vuole più sapere di essere ingannato quotidianamente. E c’è un Sud che lotta e non si arrende, che ne ha fin sopra i capelli di classi dirigenti fallimentari e spreconi e che non vuole più sentire parlare di mala sanità o istruzione scadente. Ci sono giovani e giovanissimi che come me e tanti altri che sono convinti che le cose si possano cambiare davvero e che lottano per riuscirci; laureati che sono costretti ad emigrare e scappare e che invece rappresentano il futuro del nostro Paese; operai, insegnanti e dottori che dopo aver lottato una vita, si vedono chiusi il proprio posto di lavoro per assenza di fondi; imprenditori soffocati da tasse eccessive e spesso incomprensibili; e si potrebbe continuare per pagine e pagine.

Non possiamo più perdere tempo. Cambiamo l’Italia. Ora. Insieme.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

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