Tutti i post della categoria: Politica

Ospite a ‘Ballarò’

postato il 19 Febbraio 2013

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Una valutazione oggettiva sui programmi dei candidati: Monti, Pdl e Pd a confronto

postato il 19 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

All’estero hanno provato a stilare una classifica per valutare pregi e difetti dei vari programmi dei candidati alle elezioni. Dalle analisi è stato escluso Grillo e non per cattiveria, ma perché come al solito il comico genovese ha escluso ogni contradditorio e non ha fornito cifre concrete sul suo programma, preferendo evitare di rispondere, mentre il PD ha preferito rispondere senza mettere dati (che sono stati desunti dalle dichiarazioni dei loro rappresentanti nell’ultimo mese).

Cosa viene fuori?

Secondo Oxford Economics il risultato è assolutamente interessante (in questo link è consultabile tutto il rapporto che è in inglese: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_Oxford-Economics.shtml ,mentre in quest’altro link potete vedere sinteticamente i dati numerici: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/Speciali/2013/elezioni-la-prova-dei-fatti/notizie/pop_candidati.shtml).

Viene fuori che il punto cardine del programma del PDL, ovvero la cancellazione contabile di 400 miliardi di debito pubblico tramite vendita di immobili, non è facilmente realizzabile. Perché? Perché difficilmente l’Unione Europea la accetterebbe nei termini proposti da Berlusconi e soprattutto non sarebbe accettata dai mercati che non è detto farebbero diminuire i tassi d’interesse sul debito italiano in base a un accorgimento tecnico. Resta anche il dubbio sulla possibilità per il mercato  di assorbire queste vendite (400 miliardi non sono una bazzecola) e di pagare le cifre ipotizzate da Berlusconi (che succede se le aste vanno deserte? Ricordo a tutti che Tremonti ci ha provato due volte con le SCIP 1 e 2, ottenendo solo ingenti perdite per il governo). Questo mette a rischio il resto del programma del PDL che punta decisamente a PIL e occupazione, ma mettendo a spese del deficit pubblico italiano e basterebbe che qualche previsione non si avverasse per fare dichiarare fallimento all’Italia. Insomma risulta un programma molto rischioso. Inoltre il reddito delle famiglie, nelle previsioni del PDL, crescerebbe meno che con il programma di Monti.

Intendiamoci anche gli altri programmi prevedono massicce privatizzazioni, ma non ne hanno fatto il punto centrale del programma come nel caso del PDL, e non raggiungono le dimensioni vagheggiate da Berlusconi risultando più prudenti e quindi più “sicuri”

Il problema del PD è di natura diversa. Il programma di Bersani prevede una crescita modesta del PIL nel 2014 (+0,4%), e u poco più alto negli anni successivi (+1,4%), ma non sarebbe sufficiente a fare scattare una riduzione significativa della disoccupazione (attualmente poco sopra il 12%). Di contro il deficit pubblico scenderebbe progressivamente dal 2,2 per cento del Pil nel 2013 all’1,1 per cento del 2018: un miglioramento rispetto all’andamento a politiche correnti dello 0,2 per cento. Il debito calerebbe dal 126,5 per cento del Pil nel 2013 al 117,4 per cento nel 2018.

E Monti?

Anche il suo programma ha alcune ombre che sono all’inizio: questo programma porta a una crescita piuttosto bassa del Pil nel 2013-2014, ma negli anni successivi si avrebbe la crescita economica più vigorosa (rispetto agli altri programmi) e addirittura nel 2018 il PIL con le misure di Monti crescerebbe dell’1,8 per cento annuo. La disoccupazione si ridurrebbe lentamente nel corso degli anni, già dall’anno prossimo vi sarebbe un netto miglioramento del reddito delle famiglie grazie ad una diminuzione delle tasse. Il deficit è sotto controllo più di quanto non lo sia nei programmi delle altre liste: scende sotto l’1% del Pil nel 2018 (lo 0,5% meglio dello scenario di base di Oxford Economics). Il debito scende dal 125,7% del 2013 al 112,1% nel 2018. Insomma il programma di Monti viene giudicato più “serio” degli altri, e porterebbe ad un netto miglioramento dei conti pubblici e della situazione delle famiglie.

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Il valore del merito

postato il 18 Febbraio 2013

Basta vedere nei giovani una fascia debole su cui intervenire assistenzialmente e con misure spot. Vogliamo premiare il merito e il talento dei nostri giovani perché sono una risorsa, consentendo loro di accedere a prestiti d’onore per continuare gli studi o per fare impresa, soprattutto per chi non ha una famiglia benestante alle spalle.

Occorre rivedere il sistema formativo italiano. Siamo la nazione con il più basso numero di laureati e una buona fetta di chi si iscrive all’Università non la completa a volte anche per motivi economici.

Dall’altra parte occorre evitare nell’errore di considerare valido solo chi è laureato: il nostro compito deve essere quello di  sostenere i talenti in ogni campo, per sviluppo loro e di tutto il Paese.

Ci sono aree del Mezzogiorno, che soffrono di un livello altissimo di disoccupazione giovanile, in cui spesso ci sono aziende che non trovano lavoratori qualificati. Questo mi convince sul fatto che il sistema della formazione professionale vada ripensato, legandolo efficacemente a un mercato del lavoro libero da condizionamenti clientelari.

Quando progettiamo un alleggerimento della macchina statale, pensiamo principalmente ai giovani pieni di idee e progetti, desiderosi di fare impresa: ma come possono riuscirci, se l’Italia è il Paese europeo in cui le imprese trascorrono il maggior numero di ore negli uffici pubblici? Quando quei giovani avranno superato i mille ostacoli burocratici, la loro idea sarà già stata immessa sul mercato da qualche loro coetaneo europeo, americano e del Sud-est asiatico.

Facciamo del nostro Sud una bellissima Silicon Valley: poche leggi, rispetto per la Legge, libertà d’impresa. Ogni talento del Meridione è un’agenzia di sviluppo del proprio territorio. Non ci sarà Ponte sullo Stretto in grado di colmare l’enorme perdita di capitale umano che ogni giorno lascia il Sud e che di quel Sud potrebbe essere il vero motore di crescita.

Pier Ferdinando


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Casini in videochat su Corriere Tv

postato il 14 Febbraio 2013

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Casini ospite di Radio 24

postato il 13 Febbraio 2013


Il leader Udc: “Spero non si torni a votare tra sei mesi, ma non lo escludo”

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L’esperienza professionale al servizio del Paese: Rosario Basile

postato il 12 Febbraio 2013

Rosario Basile è a Palermo, il 25 Marzo 1942. Sposato, due figli (Luciano e Filippo), si è laureato presso la facoltà di Giurisprudenza di Palermo. Per alcuni anni con nomina del Rettore ha collaborato quale assistente volontario alla cattedra di diritto penale.
Superato l’esame di abilitazione per l’esercizio della professione forense ha acquisito l’idoneità al patrocinio presso le Supreme Corti.
Contemporaneamente ha iniziato ad occuparsi dell’azienda di famiglia “Il Piave” fondata nei primi del 1900 dal nonno Rosario e operante nel settore della sicurezza privata, che oggi conta circa tre mila dipendenti in tutta Italia.
Ha ricoperto la carica di vicepresidente dell’UNIV, l’Unione Nazionale degli Istituti di Vigilanza. È stato poi componente del direttivo di Confindustria Caltanissetta e Presidente Vicario di Confindustria Palermo con delega ai rapporti istituzionali. Dagli ultimi due incarichi si è dimesso al momento della candidatura alle Politiche del 2013. E’ candidato alla Camera nel collegio Sicilia 1 per l’Udc.

Come ha deciso di candidarsi?

Da imprenditore e da esponente di Confindustria Palermo, per anni ho assistito allo scempio dell’Italia da parte di una classe politica che, tra gli altri vizi, esibiva senza vergogna un disinteresse pressoché globale nei confronti dell’imprenditoria. Ho deciso quindi che fosse giunto il momento di rimboccarsi le maniche, di uscire dalle aziende che abbiamo costruito e in cui abbiamo dimostrato il nostro valore, per mettere a servizio del paese la propria storia e la propria esperienza professionale. Non possiamo più permetterci di stare a guardare inermi: occorre occuparsi dell’Italia in prima persona, contribuendo in maniera diretta alla sua ripresa con interventi forti, decisi e concreti.

 Perché proprio nell’Udc?

 Ho trovato nell’Udc il giusto interlocutore con cui iniziare un concreto percorso per l’effettiva ripresa dell’Italia. Un partito che, a differenza di altri, ha mantenuto negli anni la sua coerenza politica e ha a cuore quei valori che sono alla base della vita di un buon cittadino, di un buon padre di famiglia, di un buon cattolico: la famiglia, i giovani, il lavoro, la legalità. Principi fondamentali che guideranno il mio impegno politico affinché l’Italia torni ad essere una nazione in cui credere e dove investire, e occupi finalmente una posizione centrale rispetto alle politiche europee.

 Perché votare l’Udc?

 Il prossimo Parlamento si troverà a discutere riforme storiche, di importanza cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Per questo è necessario che i rappresentanti del paese che ne faranno parte siano cittadini liberi, responsabili, virtuosi e determinati, come gli uomini e le donne che l’Udc ha scelto di presentare per la campagna elettorale in corso. Per questo votare Udc: per essere sicuri che i prossimi parlamentari abbiano a cuore i valori fondativi della democrazia italiana, e solo quelli, e che tutelino l’interesse nazionale e il bene comune al di là di ogni possibile interesse di parte.

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Caro Grillo, dove prendi questi soldi?

postato il 12 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Grillo ha deciso di seguire il suo maestro Berlusconi, in tutto e per tutto: prima nella gestione del partito (entrambi non tollerano il dissenso interno e chi non esegue gli ordini è estromesso dal partito), entrambi organizzano eventi show in televisione (Grillo pare che stia trattando per fare una serata a Porta a Porta la settimana prima delle elezioni), e soprattutto entrambi si lanciano in mirabolanti promesse irrealizzabili.

Quella di Grillo è semplice: dare soldi.

A parte che Grillo si confonde tra “reddito di cittadinanza” e “sussidio di disoccupazione” (e non è solo una questione semantica perché l’uno è aperto a tutti i cittadini, l’altro solo ai disoccupati), la sua ultima proposta prevede di dare 1000 euro al mese per 3 anni ai disoccupati.

E’ stupendo. Ma irrealizzabile.

Perché? Intendiamoci, a me piace questa proposta, ma mi si deve dire concretamente dove prendere i soldi. Grillo dice dai 98 miliardi che Berlusconi regalò alle aziende di slot machine, peccato che ormai non siano più esigibili e anzi vi sono sentenze di tribunale che ci impediscono di richiedere questi soldi.

Quindi torno a chiedere: da dove prendiamo i soldi?

Domanda fondamentale, perché non parliamo di spiccioli, e Grillo non può uscirsene con delle idee (le slot machine di cui sopra) bislacche e irrealizzabili. Dimostra solo la sua totale e assoluta ignoranza di quello che parla e propone, fermandosi solo alla superficie.

Facciamo due conti.

In Italia abbiamo 3 milioni di disoccupati. Se ad ognuno diamo 1000 euro, significa che lo stato italiano dovrebbe spendere 3 miliardi di euro (prendete una calcolatrice e fate 3 milioni * 1000).

Ma non è finita, perché la proposta di grillo prevede che questa cifra sia mensile, e quindi dobbiamo moltiplicare 3 miliardi per 12 mensilità: totale 36 miliardi di euro.

In pratica, seguendo la proposta di Grillo, lo Stato ogni anno dovrebbe tirare fuori circa 36 miliardi di euro.

Vista l’enormità della cifra, io torno a chiedere: dove prendiamo questi soldi? Mistero.

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Ospite della videochat di QN

postato il 11 Febbraio 2013

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90 miliardi di bugie

postato il 11 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Quale mirabolante idea hanno partorito ultimamente Bersani e Berlusconi? Pagare i debiti della pubblica amministrazione tramite altri debiti. Dimostrando sprezzo della credibilità e della contabilità dello stato (di cui, evidentemente, ignorano i fondamenti) hanno deciso di azzerare il debito che la Pubblica amministrazione ha verso le aziende private: si tratta di circa 90-100 miliardi di euro.

Si tratta di un “debito fuori perimetro” non rilevato da Eurostat e in parte già coperto da fondi ed ecco perché Bersani probabilmente parla di 50 miliardi su 90, mentre Berlusconi. che era forse troppo impegnato per studiare la contabilità di Stato, parla di 90 miliardi rivelando la sua ignoranza in materia.

Bersani e Berlusconi non pensano proprio a risparmiare, preferiscono spendere e continuare ad aumentare il debito pubblico (seppur con lodevoli intenzioni).

Intendiamoci: saldare il debito e dare ossigeno alle aziende, come abbiamo detto nei mesi scorsi, è un atto doveroso e giusto, il problema è come si vuole realizzare questo atto. L’UDC aveva portato avanti, assieme a Monti, una duplice azione: sbloccare i fondi già previsti (quindi eliminando le pastoie burocratiche) e con forme di compensazioni erariali in modo da dare ossigeno alle aziende senza aggravare la situazione debitoria dell’Italia.

Invece cosa pensano i due gemellini Bersani e Berlusconi?

Pensano di fare altri debiti, e quindi Berlusconi pensa di saldare il debito con la Cassa Depositi e Prestiti e con l’emissione di nuovi bond, almeno stando a quanto scrive Libero (e, se lo dice Libero, non è improbabile pensare che abbia delle fonti vicine al leader del Pdl). Quindi con soldi dei pensionati e con nuovi debiti.

Bersani, invece, stando a quanto riportato da numerose agenzie di stampa, vorrebbe emettere 10 miliardi di euro l’anno di titoli pubblici (BTP) per i prossimi cinque anni, esclusivamente dedicati al pagamento dei crediti commerciali delle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione.

Comunque sia il risultato è disastroso, perché invece di togliere burocrazia (come vuole fare UDC e Monti), i due soggettoni preferiscono sfondare abbondantemente il muro del 130% del rapporto Debito/Pil, se non peggio. Circostanza che, oltre ad avvicinare significativamente l’Italia verso i parametri greci, contrasterebbe abbondantemente anche con gli obblighi del Fiscal Compact che, come noto, dal 2014, impone all’Italia una riduzione del rapporto Debito/Pil, fino al 60% entro i prossimi 20 anni; in soldoni circa 50 miliardi all’anno.

In pratica siamo nel regno dell’assurdo e della illogicità: da un lato vogliono diminuire i debito pubblico, e dall’altro avanzano proposte di aumento della spesa e del debito pubblico.

Inoltre entrambi parlano di vendere parti del patrimonio immobiliare italiano, e allora che bisogno c’è di fare altri debiti?

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4 milioni di posti di lavoro? Sì, nella fantasia

postato il 10 Febbraio 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Le ultime promesse di Berlusconi sono quanto di meglio il panorama comico possa offrire. Sostanzialmente il Cavaliere  ha promesso 4 milioni di posti di lavoro e di pagare i 90 miliardi che la Pubblica Amministrazione deve ai fornitori privati tramite delle obbligazioni (in pratica tramite BTP di nuova emissione).

La proposta dei posti di lavoro è un vecchio classico della comicità del Berlusclown, e se nel 1994 erano 1 milione, e nel 2001 erano 1,5 milioni, oggi il nostro amatissimo venditore di pentole aumenta la sua proposta e, come se fossimo in tempi di saldi, arriva a 4 milioni di posti di lavoro in 5 anni. Sarebbe stupendo se non fosse irrealizzabile. Perché affermo ciò? La risposta semplice è che se Berlusconi non c’è riuscito con numeri inferiori in passato, come può riuscirci oggi con numeri più grandi e in piena crisi? Ma la risposta vera è un’altra e si chiama “Legge di Okun” dal nome del suo ideatore.

Cosa dice questa legge empirica (ma molto seguita e studiata in Economia)? La Legge di Okun, secondo la sua formulazione più autentica mette in relazione la produttività con la disoccupazione: in altre parole se la produttività aumenta a certi ritmi, la disoccupazione dovrebbe diminuire secondo una certa proporzione e viceversa. Nel tempo si è visto che il rapporto è confermato, anche se non l’intensità e l’incremento della disoccupazione è minore di quanto previsto da Okun: tra i 2008 e il 2010, in Europa ad un calo del PIL del 4,4% ha fatto seguito un aumento della disoccupazione pari a 2,8%. In Italia il PIL era diminuito del 5%, ma la disoccupazione e aumentata del 2%. Se partiamo da questi dati possiamo osservare che una diminuzione della disoccupazione presuppone un aumento del PIL e qui veniamo ai dolori per il nostro Berlosco: lui parla di 4 milioni di nuovi occupati, ma io sono generoso e considero solo i disoccupati effettivi attualmente in Italia che sono 3 milioni, pari al 12% (arrotondo per difetto). E ora facciamo una equivalenza semplice semplice: se con un PIL calato del 5% in due anni, la disoccupazione è aumentati di due punti percentuali, per togliere 12 punti percentuali di disoccupazione in 5 anni, quanto deve aumentare il PIL? Risposta: del 30%. In pratica nei prossimi 5 anni l’Italia dovrebbe crescere quasi al ritmo della Cina, ovvero del 6% annuo e considerato che per il 2013 si attende una riduzione del PIL, la promessa di Berlusconi è destinata già in partenza ad essere disattesa, come lo è già stato in passato e a rivelarsi come una promessa assolutamente infondata e falsa.

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