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Verifica parlamentare, un film già visto

postato il 22 Giugno 2011

Tra ieri è oggi è andato in onda un film già visto, un Berlusconi stanco ed incolore, privo anche della consueta verve, ha illustrato alle Camere un programma che non è stato attuato e che non lo sarà. Berlusconi sembrava quasi non parlare ai parlamentari ma a se stesso, nel vano tentativo di consolarsi e di auto convincersi che la maggioranza c’è e che lui solo è in grado di governare questo Paese. Un discorso grottesco, come ha sottolineato Mauro Libè (Udc), lontano dalla realtà, degno dell’orchestra del Titanic che continuava a suonare mentre il Transatlantico colava a picco. Fuori dal Palazzo la piazza freme, la realtà chiede conto a questo governo irreale e iperuranico, mentre la Lega stringe i denti, sbuffa e aspetta i fatti. Al momento gli unici fatti visti dalla Lega sono gli odg delle opposizioni contro il trasferimento al Nord dei ministeri, tutti clamorosamente passati malgrado la “solida maggioranza”. Calderoli e Bossi continuano ad aspettare con fiducia, il trasloco dal ministero potrebbe sempre esserci, ma solo dei loro effetti personali.

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Italia, non avere paura!

postato il 21 Giugno 2011

Il 18 giugno si è  svolto a Palermo un convegno promosso dalla Fondazione Liberal, con l’on. Ferdinando Adornato e il sen. Gianpiero D’Alia, dal titolo “la famiglia, i giovani, le imprese in Sicilia: quali prospettive per il futuro?”. Riportiamo l’intervento di Riccardo Galioto, coordinatore nazionale dei “Circoli Liberal giovani”.

L’iniziativa di oggi  e’ propria della missione di Liberal e il progetto che noi stiamo portando avanti è proprio quello di tenere insieme il binomio tra la cultura e la politica nel senso che non vi può essere cultura senza politica e politica senza cultura. I circoli di Liberal devono essere un contenitore di valori che ci deve portare verso il Polo per l’Italia che dovrà essere un partito libero, aperto , plurale, democratico.

Questo terzo polo  non dovrà essere proprietà privata di nessun leader politico, ma dovrà appartenere al popolo e dovrà avere la capacità  di rinnovare la classe dirigente e di riunire la società civile.

Vorrei focalizzare a questo proposito l’attenzione su quelli che ritengo siano i temi più importanti del convegno e sui quali ci troviamo a discutere. Temi che mi auguro ci inducano ad una sana riflessione. Ma prima vorrei richiamare un pensiero di Papa Giovanni Paolo II,  un grande Papa che ha rimesso al centro la dignità umana e i valori della famiglia e del lavoro, parole che sono la mia stella cometa e che mi hanno dato lo spunto per dare il titolo a questo Convegno: “non abbiate paura”.

 

“Non abbiate paura” ci ha detto Papa Giovanni Paolo II, abbiate quindi speranza. Ma e’ possibile sperare, se non si crede in qualcosa di comune? E’ questa la grande questione  che il capo della Chiesa Cattolica ha rivolto a tutti noi, al pensiero laico, all’intera umanità. Sin dall’inizio del suo Pontificato, Giovanni Paolo II ha rivolto la sua  sfida anche nei confronti  delle libere società occidentali. Ha invocato giustizia sociale e rispetto della dignità umana di fronte alle ancora troppo accentuate  disuguaglianze economiche. Ha riproposto l’antichissima, ma nello stesso tempo  modernissima, idea del lavoro come la più alta forma  di creatività umana da valorizzare in quanto tale, secondo  quello che dovrebbe  essere  il modello delle economie libere ,contro il cieco produttivismo e contro la diffusa mentalità consumista. In alternativa all’individualismo ha rilanciato il valore delle comunità e innanzitutto, naturalmente  della comunità primaria: quella costituita dalla famiglia. Dobbiamo proteggere e garantire la Sacralità della famiglia. Dobbiamo chiedere di passare alla parte propositiva, agli interventi strutturali efficaci per dare dignità e robustezza alla famiglia, decisiva per la tenuta del paese.

 

Dobbiamo avere la convinzione che la vita  abbia bisogno di un senso, di un destino e di una prospettiva  e che la pura espansione biologica non sia sufficiente. Credo  che questo mio messaggio possa essere di attualità per quei giovani che hanno smesso di credere,anche perché  probabilmente  le generazioni precedenti hanno bruciato tutti i serbatoi di speranza. Se la politica non ritroverà il coraggio di scegliere,senza  badare al mero tornaconto elettorale ma pensando al bene del Paese, il futuro dell’Italia  e quello dei giovani in modo particolare  sarà seriamente compromesso. Noi giovani dobbiamo essere  parte attiva, dobbiamo giocare le partite da protagonisti,prendendoci quegli spazi  che troppo spesso ci vengono negati. Nel processo di rinnovamento del nostro paese ,un ruolo importante  spetta agli amministratori locali, che devono avvicinare la politica  alle persone  e gestire  oculatamente  il denaro pubblico tagliando gli sprechi. Mai più un caso Norman Zarcone che voi tutti conoscete, mai più una targa intitolata alla “Generazione Norma”, ai giovani studiosi che non hanno saputo reggere il contrasto tra il loro mondo ideale  e la difficile realtà della vita,vittime di una gioventù tormentata  che si confronta con una società difficile e dall’incerto futuro.

 

La cosa più facile sarebbe scendere in piazza a protestare, il peso eccessivo dell’intervento pubblico ha creato un’enorme sistema ridistributivo  di tipo clientelare governato dall’intermediazione della politica. Sono state introdotte  regole sostanziali  diverse da quelle formali. Il mercato e’ stato distorto, si e’creato un paradossale incentivo  a collocarsi in questo tipo di mercato che però non produce  mai innovazione e ricerca. Nel frattempo  il mondo è cambiato, le sfide  sono diventate globali, le risorse pubbliche si sono esaurite. Oggi  questo mercato distorto non può più ridistribuire ricchezza. C’e’ ancora un pezzo di imprese che ha nostalgia del passato e dell’assistenzialismo, ma così non si va avanti, non ci sono più soldi, l’unica scelta che la Sicilia deve fare e’ puntare al mercato. I fondi FAS qualora arrivassero dovrebbero avere una destinazione precisa. In queste condizioni  perchè stupirsi  se il PIL della Sicilia e’ congelato mentre il nord-est viaggia  ai ritmi  simili a quelli della locomotiva  tedesca? La questione non e’ più solo etica,ma anche politica, ed economica. Ci vuole un modello che soppianti il vecchio, che aiuti ad accrescere le dimensioni delle imprese e punti sull’innovazione,questa e’ la direzione  che le imprese siciliane   devono seguire per crescere.

 

Chi guarda alto oggi? Dove sono i valori,la passione civile,la fiducia negli ideali? E quali ideali poi? Le nostre recenti vicende Nazionali ,gli attacchi  scomposti al Quirinale, alla Costituzione,alla Corte Costituzionale, alla Magistratura, alla stagione  dei pasticci sulle liste elettorali,delle escort,alla stagione del malcostume su appalti e politica, degli scandali del G8, delle disavventure  di un’economia che non trova equilibrio e resta senza riforme,della rissa continua tra opposte fazioni in Parlamento. Allora, mi domando con angoscia, cosa ci stanno lasciando i nostri governanti? Nel momento in cui il paese cerca di gestire un cruciale  ricambio generazionale vedo grandi eccellenze per lo più riparate all’estero dove hanno saputo meglio valorizzarle, ma vedo anche molto sbandamento. Molti giovani che cercano esempi nelle istituzioni faticano a trovarne. Ciò che conta  per essere felici  non è il benessere  acquisito ma lo stato d’animo  di vivere  con la speranza e la certezza  che si progredisce,che si va avanti. Questa è la vita: dignità e speranza. Senza ciò, si perde il senso  dell’esistenza. Bisogna fare in modo che i giovani acquisiscano soprattutto  il senso di  responsabilità la capacità di prendere decisioni. Dobbiamo sentire dentro di noi  i valori più  antichi-la dignità e la speranza. Va diffuso sempre più il bisogno di solidarietà cioè di ordine, di serietà, di onestà, di giustizia, di correttezza in tutti i campi: sul lavoro, sulle strade, nella scuola, nei comportamenti quotidiani. Perché il Popolo aspetta una classe dirigente seria che abbia importanti profili: legalità, etica pubblica, sobrietà e senso dell’autorità.

Riccardo Galioto

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Notte prima degli esami

postato il 21 Giugno 2011

Sono a casa e la mia ultima campanella di scuola è suonata ormai da qualche giorno. Non immaginavo di provare questa strana sensazione, alla resa dei conti, dopo 5 anni passati in una classe che ho spesso disprezzato e criticato, ma che mi ha comunque lasciato dei grandi insegnamenti. Forse tutte le incomprensioni, tutti i litigi, a qualcosa sono serviti, a farmi capire che in qualsiasi grande gruppo, di studio, di lavoro, i problemi si presenteranno sempre, e la bravura dei componenti sta nel vivere tutto ciò con maturità, portando rispetto anche per la persona che con te è stata scorretta.

Insomma, non mi sono mai trovata troppo bene nella mia classe, a parte quelle poche persone con cui ho legato parecchio e con cui ho vissuto magici momenti, che resteranno nella mia e nella loro memoria.

Oltre il brutto c’è stato anche il bello, momenti particolari che ci hanno fatto capire che stare dietro un banco o una cattedra non è affatto semplice, che a formaci non siamo da soli, ma c’è chi sa darti tanto, oltre un numero o un verbo da declinare. La cosa migliore che ricorderò sempre sono i miei professori. Tutti speciali nel loro essere, senza alcuna distinzione, ognuno di loro mi ha insegnato una cosa diversa, una diversa lezione di vita da cui trarre ispirazione e indicazione.

Durante questi 5 anni, che adesso, mi sembra di aver vissuto troppo in fretta, la persona che mi ha insegnato di più è la mia prof. di matematica. Una donna semplice, dolce e forte, che non mi ha trasmesso l’amore per la materia che da anni e anni insegna con passione e dedizione, ma mi ha insegnato a vivere, a capire quando non devo alzare la voce, perché il momento non è quello giusto, quando essere pacata e quanto siano importanti le passioni, che sono le cose che ci vengono meglio e che ci rendono davvero felici. I suoi occhi che si illuminano davanti a numeri e grafici non li dimenticherò mai!

La seconda persona a cui devo molto è il mio bidello. Ci siamo conosciuti lo scorso anno, o meglio, lui ha capito in pochissimo tempo chi sono e cosa faccio e vorrei fare della mia vita. Non mi sono mai aperta fino in fondo, ma lui ha avuto la capacità di conoscermi, di capirmi. Quando in classe qualcuno dice cose che avresti preferito non sentire, quando ti rendi conto di non aver fatto abbastanza in quella o quell’altra materia, apri una porta e vai a sederti in quella sedia, messa li appositamente per te, che hai bisogno di silenzio o delle parole di qualcuno che ti capisce semplicemente guardandoti.

Devo tanto anche alle persone a cui probabilmente non avrei mai immaginato, prima di oggi, di dover dire grazie. Le persone false, maleducate, che però mi hanno fatto capire che non possiamo sempre incontrare gente che ci piace, che ci va bene, ma vivere in società significa saper convivere con tutti, all’insegna del rispetto e dell’educazione, cosa che molti non hanno ancora capito.

Forse questi anni li sto sentendo così utili per il mio futuro, perché ho avuto sempre un atteggiamento diverso rispetto agli altri, uno stile di comportamento che spesso ha generato discussioni, un modo di vedere le cose troppo diverso dagli altri. Io non ho mai pensato che un professore entrasse in classe e dicesse: “Oggi vi insegno come vivere nella società, prendete appunti”, “Oggi vi insegno cosa s’intende per rispetto e come questo debba essere usato”. I professori non sono manuali d’uso per la vita. Sono uomini e donne che si mettono in gioco, che ti spingono a leggere tra le righe ciò che potrebbe servirti una volta fuori della tua classe. Nessuno ha avuto mai la presunzione di entrare in classe e spiegarci il mondo, chi li avrebbe mai ascoltati se si fossero posti in tal modo?! Sta all’alunno andare oltre, capire che quando un professore lascia parlare l’interrogato a ruota libera lo fa per capire chi è l’interpellato, come ragione, come parla, come sono i suoi occhi mentre racconta qualcosa. Questi non sono discorsi insensati, valgono molto di più della lezione imparata a memoria.

Probabilmente, i ragazzi disprezzano tanto la scuola perché non hanno capito qual è l’atteggiamento da avere durante le lezioni, che bisogna stare sempre attenti, non per evitare una nota o una passeggiata in presidenza, ma perché ogni singola parola, ogni singolo sguardo possono dirti qualcosa, soprattutto se a parlare o a guardarti sono persone adulte, che rispetto a te hanno un vissuto maggiore.

Non è mia intenzione fare la parte della secchiona seduta da sempre a primo banco, perché anzi sono proprio queste le persone che non ci hanno capito nulla, che non hanno capito il senso.

Infine nella classifica delle persone che “Ricorderò” aggiungerei anche un vecchio compagno di classe, bocciato al secondo anno. Lui, proprio l’ultimo giorno di scuola, dopo una mattinata di allegria, foto, musica, il miglior modo per dire addio alla scuola, ci ha commosso con le sue lacrime, inaspettate e sincere, chi si era trattenuto tutto il tempo, per evitare domande del tipo “Ma non sei contento di farla finita con questa scuola?”, non ha potuto più contenere la sua emozione. Le lacrime di Giovanni hanno dimostrato quando sia importante, per un ragazzo con gravi problemi economici e con una famiglia altrettanto problematica, quando sia importante la scuola, che funge da casa, famiglia, che colma ciò che non c’è! Giovanni senza la scuola come farebbe? Si sentirebbe inutile, perché non saprebbe dove fare l’imitatore, dove far ridere se stesso e gli altri.

La scuola è ancora nostro, di tutti coloro che amano imparare, conoscere, esplorare, se stessi e il mondo esterno, mettersi in discussiono, di coloro che hanno voglia di insegnare agli altri tutto ciò che hanno già appreso, di coloro che vogliono dimostrare a se stessi e agli altri quanto realmente valgano.

Non so se riuscirò a fare tutto questo, ma di una cosa sono certa, che “Questa scuola sarà sempre mia”!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Sofia Allegra

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Lega spendacciona e poltronara, la verità oltre la propaganda

postato il 20 Giugno 2011

Un Calderoli soddisfattissimo ieri sul palco di Pontida inalberava le targhe dei dicasteri che vorrebbe spostare sul sacro suolo padano di Monza, riforme e semplificazione normativa. La “territorializzazione dei ministeri” aveva fatto la sua comparsa in tutta la sua farsesca grandezza prima delle amministrative, ma sembrava più un tentativo per recuperare l’elettorato del Nord che l’espressione di una ferma volontà di trasferire le “cadreghe” ministeriali in terra di Padania.

La Lega si pone agli occhi dell’opinione pubblica, della stampa, dell’uomo della strada, come il movimento alfiere della lotta agli sprechi. Inneggia sempre a Roma ladrona, ai costi della politica, alla burocrazia che strozza l’iniziativa economica e la vitalità del Nord. Ma a ben vedere c’è una nutrita casistica di comportamenti che hanno messo in campo tutta un’altra politica, e la lotta allo spreco se la sono dimenticata.

La vicenda dei ministri al Nord è in questo senso emblematica. Si arriverebbe a spese esorbitanti per le casse dello Stato, si parla di due miliardi e mezzo di euro l’anno se si dette retta alle indicazioni di Bossi, che vorrebbe tra Milano e Monza riforme, semplificazione normativa, economia e lavoro (questi ultimi con portafoglio). Spese di gestione, rimborsi per i dipendenti, adeguamento delle strutture, spostamenti a Roma per partecipare alle sedute del consiglio dei ministri. In tempi di cinghia corta, di vento di crisi che torna a spirare forte, la Lega sponsorizza la spesa pubblica, peraltro del tutto improduttiva, perché la ri-localizzazione di poltrone non produce ricchezza. Meglio sarebbe se i padani si prodigassero per una legislazione  più favorevole alle piccole e piccolissime imprese del Nord, sfiancate da una pressione fiscale pesantissima che non permette loro di assumere, innovare, crescere. Al tessuto produttivo del Nord in affanno servono incentivi fiscali, non la burocrazia nel cortile di casa. In questo senso è strano l’atteggiamento della Lega: ora scopriamo finalmente che l’avversione per la burocrazia, per i lacci che tengono imbrigliate le realtà produttrici del Paese è solo una finta, un sentimento di facciata, parole vuote che sbiadiscono di fronte alla reale intenzione di spostare la pubblica amministrazione nelle province economicamente forti.

Altro che partito del risparmio, la Lega diventa a tutti gli effetti il partito della spesa. Come non fare riferimento alla eccezionale vicenda delle quote latte, ennesima storia di propaganda leghista finita per danneggiare tanti onesti cittadini? Per anni molti allevatori italiani del Nord, in barba ai regolamenti di Bruxelles, hanno prodotto molto più latte di quanto concesso all’Italia, sforando sistematicamente la quota assegnata al nostro Paese, quota peraltro rinegoziata nel 2008 quando è aumentata del 5 per cento. Ogni surplus comporta una multa che dal 1984 ad oggi ha pagato Pantalone, cioè lo Stato. Complessivamente una botta di quattro miliardi di euro di multe (di cui 1,9 già pagati dallo Stato, ossia i contribuenti italiani) per i furbetti delle quote latte, allevatori che non si sono mai preoccupati di rispettare i limiti fissati in sede europea forti del fatto che a pagare le sanzioni era lo Stato.

La Lega ha un debole per le province: non si sognerebbe mai di abolirle, né ha mai parlato di accorpamenti o razionalizzazioni. Alla Lega fanno comodo enti intermedi di controllo del territorio, poco importa delle sacche di spreco che spesso rappresentano. Nel programma di governo della coalizione che ha portato alla vittoria Berlusconi esisteva questo punto, ma è stato ignorato per evidenti ragioni politiche. Le province interessano troppo a un movimento che fa della poltrona locale un mezzo formidabile per mantenere, consolidare e rafforzare il consenso, senza riconoscere la loro inutilità, lampante in certe realtà. L’attaccamento al governo locale non prevale però sull’affezione che il Carroccio prova per l’altra poltrona, quella romana. Spesso capita che parlamentari siano eletti presidenti di provincia, sindaci, assessori, e capita anche che si dimettano ammettendo l’incompatibilità tra i ruoli. Questo non è però costume alla Lega, nelle coloro che mantengono il doppio incarico sono tanti. Si va dal sindaco di Varallo Sesia Gianluca Buonanno a quello di Brescia Paroli, dal primo cittadino di Castelfranco veneto Dussin al presidente della provincia di Biella Simoncelli. Sono una quarantina tra deputati e senatori che al seggio parlamentare accompagnano una carica locale o anche più d’una, i leghisti riescono a sommare tre incarichi. Ci chiediamo se riescano a gestirli bene tutti quanti, in questo saltellare da una poltrona all’altra, e tra queste spesso c’è anche quella televisiva.

Cavallo di battaglia della Lega è il federalismo, unica vera raison d’etre di un popolo che da sempre rivendica la propria indipendenza da Roma. Sembra che ce l’abbiano fatta, il federalismo fiscale, almeno nella sua variante municipale è realtà, ma attenzione agli “effetti sorpresa” di questa operazione: i sindaci potranno aumentare le addizionali Irpef, viene introdotta una tassa di soggiorno e sugli affitti ecco spuntare la cedolare secca, un regalo per i redditi alti, con buona pace delle famiglie numerose.

Negli anni abbiamo imparato che gli oratori di quella Lega di lotta e di governo, che occupa poltrone a Roma e sbraita contro il governo a Pontida, sono bravi parolai, maestri nel proclamare e nell’inveire contro i costi della politica ma primi ad approfittarne. Da Pontida (il cui sindaco, manco a dirlo, è anche deputato) Bossi si liscia il pubblico invocando il dimezzamento del numero dei parlamentari. Lo vorrà davvero? Lo dimostri, presenti una proposta di legge in Parlamento. Di parole vuote lanciate da un palco anche il suo stesso popolo è stufo. Per rispetto verso i suoi elettori metta in pratica le belle intenzioni. Altrimenti sarà ricordato dalla sua stessa gente solo come un grande incantatore, che ha sempre promesso e annunciato e mai realizzato, e nulla più.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

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Politiche per la famiglia: nel Lazio si fa sul serio, buoni propositi anche a Bologna

postato il 20 Giugno 2011

Dopo anni di promesse non mantenute sembra che qualcosa si muova per le famiglie italiane, ma i protagonisti di questa svolta non sono i ministri del governo Berlusconi, che continuano ad essere inadempienti rispetto al loro programma elettorale, ma due giunte: quella regionale del  Lazio e quella del Comune di Bologna.

La giunta della regione Lazio, guidata da Renata Polverini, ha approvato il suo piano famiglia che prevede un abbattimento delle tariffe degli asili nido, bonus bebè, progetto mille asili, tagesmutter, le cosiddette “mamme di giorno”, e il progetto “bimbi in stazione” che creerà dei nido nelle stazioni per i figli dei pendolari. Quello della regione Lazio è un piano unico degli interventi a sostegno della famiglia che stanzia sessanta milioni di euro per rispondere ai bisogni delle famiglie soprattutto di quelle in difficoltà. La paternità del piano famiglia del Lazio è dell’assessore alla Famiglia e ai servizi sociali Aldo Forte (Udc) che nel corso di una conferenza stampa con il Presidente Polverini ha illustrato nel dettaglio la strategia a favore delle famiglie della regione: 12 milioni di euro per il bonus bebè (il bonus è del valore di 500 euro ed è destinato a tutti i figli nati nelle famiglie con reddito Isee uguale o inferiore a 20mila euro, per un numero che è stimabile in circa 25 mila bambini); altri 18,6 milioni di euro sono previsti per la costruzione di nuovi asili nido e ulteriori 15 milioni per l’abbattimento delle tariffe dei nidi comunali o convenzionati; poi risorse  per il Registro per gli assistenti familiari e il Tagesmutter (dal tedesco letteralmente “mamma di giorno”), figura professionale, generalmente di sesso femminile, con funzioni di assistente domiciliare all’infanzia, che si prende cura dei bambini presso il proprio domicilio (sino ad un massimo di 5 bambini); e ancora aiuti alle neo-mamme, ai genitori separati e ai minori vittime di maltrattamento. Il Piano Famiglia prevede poi la creazione di un servizio pubblico regionale per le adozioni internazionali che offre un servizio di front office di assistenza al percorso adottivo rivolto alle coppie.

Qualche novità per le famiglie arriva anche da Bologna dove il neo sindaco Virginio Merola che conferma in pieno ciò che aveva promesso in campagna elettorale: punti in più alle coppie sposate rispetto a quelle di fatto nelle graduatorie comunali, ad esempio quelle per le case pubbliche. «Deve essere così», ha detto il primo cittadino di fronte alle telecamere di Ètv: «Perché siamo persone libere – argomenta – ma nella vita dobbiamo saper mettere insieme anche la responsabilità con la libertà. Se ci assumiamo impegni maggiori verso gli altri credo che sia necessario distinguere». Una importante posizione quella di Merola che ha riscontrato il parere favorevole di Pier Ferdinando Casini e del Forum delle Famiglie, ma che non ha mancato di suscitare forti polemiche nella maggioranza che sostiene Merola: furibondi radicali e socialisti, che addirittura parlano di coppia di fatto tra il vescovo Caffarra e il sindaco Merola, il dipietrista Franco Grillini e l’assessore, “cattolica adulta”, Amelia Frascaroli.

Le novità a favore delle famiglie sono indubbiamente una buona notizia, specie in tempi come questi dove sono propri i nuclei familiari a soffrire e pagare caro le conseguenze della crisi economica. Allo stesso tempo stupiscono le reazioni scomposte di una certa sinistra bolognese alle affermazioni di buon senso del primo cittadino Virginio Merola. C’è una volontà di gettare questioni importanti ed impellenti come l’aiuto alle famiglie in una polemica sterile ed ideologica, di inutile contrapposizione tra coppie sposate e coppie di fatto, tra coppie eterosessuali e coppie gay. Le famiglie italiane, specie quelle che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese, non riescono a capire certi furori anticlericali ottocenteschi e non hanno bisogno che partiti e movimenti, per evidenti interessi di bottega, inneschino inutili contrasti e scontri che hanno come unico terribile risultato quello di bloccare aiuti e risorse per le famiglie, specie quelle più in difficoltà. C’è bisogno di un atteggiamento costruttivo, di evitare di mettere i bastoni tra le ruote, c’è bisogno che i nostri amministratori abbiano a cuore le famiglie e più in generali i più deboli, che come ha dimostrato il provvedimento della giunta Polverini, non hanno colore politico, distinzione di sesso, razza o credo religioso.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Verso una riforma di Equitalia

postato il 19 Giugno 2011

La Lega, in affanno di consensi e in perdita di voti, ha deciso adesso, con colpevole ritardo, di proporre delle modifiche all’operato di Equitalia. Noi ne avevamo già parlato, e non possiamo che essere contenti che il governo e la Lega decidano di accogliere le nostre mozioni, anzi, i problemi sollevati dai cittadini italiani, ma al contempo vorremmo che il provvedimento su Equitalia fosse accurato e preciso e non intriso della demagogia che si è vista in questi gironi da parte del governo (giusto per fare un esempio, il discorso di abbassare le tasse, quando tutti sanno benissimo che lo Stato italiano soldi non ne ha).

Il problema non è se l’azione di Equitalia sia giusta o meno, perché questa organizzazione si limita a porre in essere ciò che prescrive la legge, ma semmai, che questa azione debba essere contemperata al più ampio principio di colpire l’evasore fiscale e non il cittadino che si sta rimettendo in carreggiata.

In sostanza, noi vorremmo che, l’annunciato provvedimento su Equitalia, non fosse l’ennesimo colpo di spugna per chi è un evasore cronico, o per chi vuole fare il furbo, ma che fosse studiato un meccanismo che premia il cittadino che cerca di essere virtuoso e in linea con i pagamenti e punisca severamente chi evade.

Il punto focale è questo: la strada per riportare in ordine i conti dell’Italia è nella lotta all’evasione, perché se è vero che, come dicono le statistiche ufficiali, sfuggono al radar del fisco almeno 500 miliardi di euro di economia sommersa, allora l’impegno di tutti deve essere nel fare emergere questa massa enorme di denaro. Invito tutti a fare due calcoli: se emergesse anche solo la metà di questa cifra, ovvero 250 miliardi, e se su questa emersione si pagassero le giuste tasse (stimiamo al 40%), lo Stato italiano avrebbe un extragettito0 fiscale di 100 miliardi di euro, ovvero 2 volte e mezza la manovra che Tremonti si appresta a varare.

Per questo motivo noi vorremmo che si iniziasse con Equitalia, prevedendo una moratoria e una rateizzazione per le famiglie bisognose e in difficoltà, ma al contempo, il pugno di ferro per chi, coscientemente, evade il fisco. Solo in questo modo si può attuare un provvedimento che non sia punitivo verso il cittadino e l’azienda onesta, e che al contempo permetta di mantenere l’equilibrio finanziario dell’Italia.

Nei prossimi giorni vedremo cosa il governo intende fare su Equitalia e vigileremo affinchè non sia l’ennesimo pasticcio, perché siamo convinti che i cittadini meritano di essere trattati con rispetto e intelligenza da tutte le forze politiche, perché il popolo italiano non si fa prendere in giro da chi lancia vuoti proclami e false promesse.

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Pontida: “traccera’ la linea politica”. L’UDC di Mozzo distribuisce i gessetti per tracciare la linea

postato il 17 Giugno 2011

“A Pontida traccerà la linea”. Di queste frasi ne abbiamo sentite a bizzeffe: tante “bolle” durate il pomeriggio di un comizio come quello del prato di Pontida dell’anno scorso. I fatti ci hanno dato ragione.

Tracciare la linea? Ne hanno già tracciate molte in questi 20 anni e tutte fallimentari: rondesicurezza, basta clandestini, meno tasse, quote latte, identita’, dialetti, soli delle alpi, etc….

Ma la gente bergamasca non ci crede più. Dopo le “bolle del raduno 2010” in queste ore sono in distribuzione ai bambini del paese i gessetti, quelli che servono per tracciare le linee: linee che come al solito un colpo di vento o un cancellino qualunque smentiranno un altra volta.

Iniziate ad ascoltare le nostre idee: famiglie, giovani e lavoro. Riforme vere (non annunci). Ma loro parlano di modellini di “corazzate nel Mediterraneo” e poltrone ministeriali al nord. La gente del Nord chiede altro e adesso è stufa. L’agenda va spostata su cose che interessano agli italiani. Lo diciamo con affetto agli amici della Lega.

UDC Mozzo

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I giovani, il precariato e ‘l’Italia migliore’

postato il 16 Giugno 2011

L’Italia peggiore… I precari ‘svogliati’, che non hanno voglia “di andare al mercato a scaricare cassette di frutta e verdura”, che passano il tempo sulla Rete usandola “come un manganello per agguati squadristici”. Hanno suscitato indignazione e polemiche le dichiarazioni del ministro Brunetta a margine del convegno “Giornata dell’innovazione”. Tutto ha avuto inizio quando un gruppo di precari ha chiesto la parola per porre delle domande al ministro che, dopo aver ‘inquadrato’ gli interlocutori, ha abbandonato la sala apostrofandoli come ‘l’Italia peggiore’ e scatenando un coro di ‘buffone’ e ‘vai a lavorare’. [Continua a leggere]

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Senza il nucleare si rafforza l’opzione delle fonti rinnovabili

postato il 16 Giugno 2011

Il dibattito sull’energia è un groviglio di fenomeni e valutazioni su cui incidono svariati temi tecnici, economici e socio-politici ed in cui nessuna ipotesi operativa è esente da punti deboli e rischi. Esso è stato semplificato dall’esito del quesito referendario cosiddetto “sul nucleare”, che ha eliminato da esso un’intera opzione, appunto l’energia nucleare.

L’affluenza alle urne è stata inattesa, al di là delle più ottimistiche previsioni. All’interno della percentuale di votanti è stata altrettanto inattesa la risposta quasi unanime ai quesiti, poiché varie forze politiche e comitati hanno suggerito agli elettori di andare a votare indipendentemente dalle loro preferenze. Questi dati annullano la portata dell’obiezione che il quesito in oggetto, in base al significato letterale, riguardasse la necessità di adottare un piano energetico in generale in Italia, essendo impensabile che oltre 25 milioni di Italiani abbiano inteso votare contro tale necessità. L’unica interpretazione è quindi che essi hanno votato Sì al quesito secondo il significato simbolico conferito a tale risposta, ossia contro il nucleare. E’ altrettanto impensabile che così tanti elettori siano stati contagiati da un’ondata di emotività, o da un “pensiero unico” che non c’è stato, essendo stato concesso spazio equamente tanto ai sostenitori del nucleare che ai suoi detrattori. Ancora, non resta che ammettere che una larga parte degli elettori contrari al nucleare ha maturato la sua scelta per il ragionevole dubbio sui livelli di sicurezza delle tecnologie attuali, dopo che l’incidente di Fukushima li ha tragicamente messi in discussione, e che non si è fidata della capacità del Governo attualmente in carica di ridefinire di conseguenza il suo programma nucleare, nemmeno dopo che esso ha deciso una moratoria proprio a tale scopo.

Una così massiccia e motivata avversione all’energia nucleare ha improvvisamente vanificato l’utilità di ogni discussione sui suoi vantaggi, svantaggi e rischi, poiché si tratta di un’opzione scartata, e, come detto sopra, ha ridotto il grado di complessità della questione energetica italiana, poiché viene meno una delle alternative che erano state prese in considerazione, appunto l’inserimento del nucleare nel mix di generazione di energia elettrica. La riduzione di alternative non può che rafforzare il peso di quelle superstiti, ossia i combustibili fossili e le fonti rinnovabili, mentre i problemi aperti restano immutati. In particolare, devono essere risolti in altro modo quelli che il nucleare avrebbe mitigato rispetto al ricorso ai combustibili fossili, ossia:

ed è immediato che le fonti rinnovabili rispondono a queste esigenze.

Ciò che le fonti rinnovabili al momento non risolvono, rispetto al nucleare, è la generazione di rilevanti volumi di energia elettrica, per cui il ricorso alle fonti fossili è imprescindibile, almeno per il prossimo decennio. E’ altrettanto indiscutibile, tuttavia, che è in atto un “conto alla rovescia”, in cui l’economia, la ricerca, l’industria e gli stessi cittadini devono favorire il raggiungimento della produzione di energia da fonti rinnovabili ai volumi necessari per manentere la qualità della vita attuale, a costi ed impatti ambientali sostenibili, prima di arrivare all’esaurimento delle fonti fossili. Chiaramente, la rinuncia al nucleare ha ridotto il tempo a disposizione. Ed ancora, non si può ragionevolmente pretendere che a tale scadenza la tecnologia ed i processi produttivi siano maturi per raggiungere i suddetti obiettivi di costi e volumi se non si sostengono fin da adesso la filiera industriale e gli ambiti di ricerca che riguardano le fonti rinnovabili.

La decisione di rinunciare al nucleare, alla luce delle presenti considerazioni, comporta senza appello l’accelerazione dello sviluppo delle fonti rinnovabili, che in Italia è in ritardo. Fra le cause di tale ritardo c’è un’avversione preconcetta, come dimostrano opposizioni non fondate su dati scientifici, come per esempio il presunto impatto delle turbine eoliche sull’attività del lupo, o che un semplice sopralluogo potrebbe confutare, come per esempio l’illazione che un parco eolico su terreno agricolo vi impedisca la coltivazione o perfino la crescita di manto erboso. Altre forme di opposizione si basano su motivazioni che hanno avuto riscontro in passato, ma le cui cause sono state risolte; eppure, curiosamente, esse persistono: per esempio la rumorosità delle turbine eoliche, anche se nei modelli recenti è nulla o trascurabile; oppure la realizzazione di parchi eolici in aree non sufficientemente ventose per sfruttare finanziamenti a fondo perduto, una forma di incentivazione che da anni non è più possibile, se non nelle Regioni a statuto speciale. Infine, ci sono motivazioni oggettive per l’opposizione alle fonti rinnovabili, come per esempio l’impatto visivo degli impianti, soprattutto degli aerogeneratori di grossa taglia e dei parchi fotovoltaici a terra. Nel “groviglio” di fenomeni che riguardano l’energia non mancano, purtroppo, comportamenti inaccettabili da parte di operatori senza scrupoli, come episodi di corruzione per ottenere le autorizzazioni, dichiarazioni false e truffe per ottenere incentivi e sconti fiscali , oppure altri comportamenti meno gravi e nell’ambito della legalità, ma comunque da scoraggiare, come le richieste di autorizzazione finalizzate alla rivendita (a caro prezzo) della stessa e non alla realizzazione dei progetti presentati, o i prezzi dei pannelli fotovoltaici “gonfiati” indebitamente grazie a tariffe incentivanti evidentemente non perfettamente calibrate.

Si tratta quindi di discriminare fra i problemi reali e quelli falsi causati dalle fonti rinnovabili, da parte della classe politica ma anche dei cittadini, i quali ultimi hanno dimostrato, invertendo la tendenza degli ultimi anni, di voler partecipare maggiormente ai processi decisionali relativi all’energia. La rinuncia definitiva al nucleare obbliga più che mai l’Italia a rilassare, altrettanto definitivamente, vincoli, come il rispetto dell’estetica, di secondaria importanza rispetto alla sicurezza nazionale, all’economia del Paese, alla salute dei cittadini e alla tutela dei diritti umani nel mondo. Occorre certo continuare a denunciare i casi di pratiche scorrette nel campo delle fonti rinnovabili e lavorare ai meccanismi regolatori per scoraggiarle, ma al tempo stesso fare pulizia di “leggende metropolitane”, fantasmi del passato, fobìe, accuse precostituite contro operatori seri. Questo anche informandosi meglio e discriminando fra l’informazione corretta e quella fuorviante, quest’ultima purtroppo proveniente anche dalle testate più apprezzate con frequenza e superficialità sconcertanti. Soprattutto, occorre che quella nuova maggioranza di Italiani che ha consapevolmente votato contro il nucleare sia coerente con le conseguenze delle proprie scelte; essere, a questo punto, contrari all’intervento militare in Libia o alle fonti rinnovabili sarebbe un comportamento irresponsabile ed ipocrita, nocivo al benessere futuro dell’Italia e della sua onorabilità.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Vittorio Olivati

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In Siria c’è voglia di democrazia, ma il regime risponde con l’esercito

postato il 15 Giugno 2011

In Siria, la Primavera Araba non ha nulla che ricordi il dolce clima della Bella Stagione, si è abbattuta come un uragano sul regime degli Assad.

Il popolo siriano, fiero ed eroico, da ormai quasi tre mesi sfida la repressione del regime, che non lesina violenze per continuare a perpetrare la propria ossessiva e disperata sete di potere, dissetandosi ogni giorno col sangue di decine di uomini e donne colpevoli di desiderare la propria libertà.

La situazione politica Siriana è certamente molto complessa, benché il fenomeno delle Rivoluzioni che hanno investito gran parte dei paesi dal Nord Africa al Medio Oriente sino al Golfo Persico sembri uniforme, esso va letto nell’ottica delle strutture sociali che sono predominanti nei singoli Paesi interessati. In Egitto ed in Tunisia i movimenti di rivolta hanno raggiunto in breve tempo il proprio obbiettivo, anche grazie ad un tessuto sociale più omogeneo e non polverizzato dall’appartenenza a distinti clan e tribù; ciò ha permesso anche la secolarizzazione dei movimenti di protesta, consentendo l’esclusione da parte dello stessa società civile, di elementi vicini al fondamentalismo.

Diversi sono i casi della Libia, della Siria e dello Yemen. Il regime di Gheddafi poteva contare sino a poco tempo fa su di un efficiente apparato repressivo, retto da membri della sua tribù d’origine, tutt’ora fedeli al rais. L’intervento internazionale ha pesantemente compromesso la possibilità di soffocare nel sangue con successo la rivolta, che divampa tra i clan e le tribù storicamente rivali del Colonnello, concentrate nella Cirenaica.

In Yemen, il fenomeno tribale si fonde in una pericolosa miscela col fondamentalismo islamico; è alto il rischio che lo stato del Golfo, in caso di una prolungata instabilità politica, possa sprofondare in una condizione simile alla Somalia, divenendo un buco nero internazionale.

La Siria a sua volta versa in una situazione diversa rispetto a quelle testè analizzate. Il regime della famiglia al-Asad è al potere ininterrottamente dal 1971. Il padre dell’attuale presidente, Hafiz al-Asad riusci a prendere il controllo del partito di maggioranza nel paese, il Baath, trasformandolo in breve tempo nell’unico ammesso nella vita politica. Paradossalmente il partito Baath, socialista e nazionalista era lo stesso al potere in Iraq sotto la guida di Saddam Hussein, tuttavia i rapporti tra le due nazioni furono a lungo molto tesi in quanto i vertici alla guida dei rispettivi partiti rappresentavano due linee politiche avverse. L’apice dello scontro fu raggiunto nel 1991, con l’adesione della Siria all’Operazione Desert Storm a guida statunitense.

Il “Camerata Combattente” (come la propaganda definiva il dittatore) faceva parte di una minoranza religiosa sciita, quella Alawita, di cui fa parte anche l’attuale capo di stato, Bashar al-Asad. L’appartenenza a questa minoranza permise da una parte di tenere accentrato il potere nelle mani di una ristretta cerchia di persone; il problema si fece tuttavia rilevante quando negli anni ’80 i Fratelli Musulmani, forte movimento sunnita, si sollevarono nel paese, liberando la città di Hama. La reazione del regime anche allora fu incredibilmente dura: Hafiz al-Asad, ex generale dell’aeronautica, ordinò l’assedio ed il bombardamento con l’artiglieria. Nella repressione che seguì alla caduta della città si stima che le vittime fossero state tra le 10.000 e le 20.000.

Il regime fu scosso solo dal proprio interno, con alcuni tentativi di golpe mai portati a termine: il più famoso fu quello promosso dallo stesso fratello del presidente. Una volta sventato, fu inviato su ordine diretto del capo di stato in “missione permanente” in Francia.

Negli anni ’90 si fece pressante il problema della successione nella carica di presidente. Originariamente il delfino era Basil al-Asad, figlio maggiore di Hafiz e fratello dell’attuale rais. Tuttavia, alla sua morte in un misterioso incidente stradale, fu designato questo schivo giovane oftalmologo come erede al trono. Bashar, ritenuto da sempre poco interessato alla politica successe al padre nel 2000. Il mondo ripose in lui nei primi anni una flebile speranza di modernizzazione e progressiva apertura del paese.

Apparve però presto chiaro che i poteri forti del regime indirizzavano la sua linea politica verso una continuità con quella paterna, dimostrandosi tuttavia a tratti persino più intransigente, come nel caso dello stop imposto ai negoziati iniziati dal defunto presidente con Israele per la risoluzione della questione del Golan. Bashar oggi incarna la parabola di una continuità perversa; un giovane leader che non riesce a smarcarsi da una politica ormai superata, la cui legittimazione promana esclusivamente dall’alto ed è totalmente scissa dalla volontà popolare, la perpetrazione di un sistema politico vecchio, che lotta per non annegare nel mare della Rivoluzione.

L’Occidente si è dimostrato cauto, ma non a torto: in ballo c’è la partita nucleare con l’alleato storico della Siria: l’Iran. E’ evidente che un intervento più incisivo delle sanzioni in discussione in questi giorni da parte del Consiglio di Sicurezza, non sarebbe immaginabile. Nel paese convergono infatti gli interessi strategici degli attori internazionali che si oppongono al declinante potere degli Stati Uniti: la Russia, con la sua base navale a Tartus e la Cina, che vede nella Siria la testa di ponte per una penetrazione in Medio Oriente, non sembrano interessate a mettere in discussione la propria strategia geopolitica e le commesse di armi per diversi centinaia di milioni di Euro.

Nella partita gioca un ruolo rilevante la consapevolezza di questi stati di rischiare di trovarsi domani un governo ostile se la Rivoluzione avesse un esito positivo, rischio che ad oggi sembra siano disposti a correre, appoggiando tacitamente la repressione siriana. Israele intanto attende gli sviluppi di una situazione che potrebbe invece alleggerire la pressione dei paesi confinanti sui propri confini.

Siria e Israele sono tutt’oggi ufficialmente in guerra, poiché sin dalla conclusione della Guerra dei Sei Giorni, ed in seguito da quella dello Yom Kippur, non fu mai siglato un trattato di pace. Tel Aviv occupa ancora il 95% delle Alture del Golan, posizione strategica che consente allo Stato Ebraico di avere una preminenza militare ed un vantaggio in termini di gestione delle risorse idriche regionali.

Con l’ascesa al potere di Bashar al-Asad, sono tornati a soffiare venti di guerra sul confine, culminati nell’ operazione “Orchard” delle forze aeree israeliane nel 2007, diretta ad arrestare l’avvio di un programma atomico siro-iraniano nel sito di Al Kibar. In Libano le conseguenze delle proteste potrebbero essere altrettanto incisive. La storia dei rapporti tra il Paese dei Cedri e l’ingombrante vicino è da sempre difficile.

Nel 1976 fu dispiegata in Libano una forza multinazionale a guida siriana, per tenere sotto controllo l’escalation di violenza a seguito dell’esplosione della guerra civile. Benchè sin dagli anni ’80 il mandato non fosse stato rinnovato dal governo libanese, la presenza militare siriana permase sino al 2005.

Il ritiro fu ultimato a seguito delle proteste popolari per l’uccisione dell’ex premier libanese Rafiq Hariri in un attentato dinamitardo, che una commissione d’inchiesta indipendente ha attribuito ai servizi segreti di Damasco. Noto è anche il coinvolgimento insieme all’Iran, nel finanziamento di movimenti riconducibili alla galassia fondamentalista, tra cui preme ricordare Hezbollah.

La maggiore aggressività mostrata dal giovane presidente in politica estera nei primi anni di governo potrebbe essere dovuta ad una necessità di legittimarsi di fronte all’ala oltranzista dell’establishment. In tutto ciò la diplomazia europea potrebbe avere una funzione potenzialmente decisiva, visti gli interessi economici che l’Iran, spesso visto come deus ex machina delle decisioni di Damasco, nutre nei confronti del Vecchio Continente.

Sta alle potenze occidentali trovare il coraggio di schierarsi con i popoli oppressi che chiedono a gran voce una cosa troppo a lungo negatagli: la Libertà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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