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Berlusconi passi dalla politica delle cicale alla politica delle formiche.

postato il 3 Agosto 2011

Oggi il Presidente del Consiglio interverrà alla Camera e al Senato in merito alla crisi economica. Probabilmente questo sarà uno dei discorsi più impegnativi della carriera politica di Silvio Berlusconi e c’è da augurarsi, per il bene del Paese, che Berlusconi sia all’altezza delle aspettative dei cittadini e dei mercati internazionali. Purtroppo gli ultimi interventi del Premier alle Camere sono stati poco edificanti e si sono spesso ridotti a ridicole passerelle dove, tra una battuta e un sorriso, venivano sbandierati i presunti meriti di questo governo e si riproponevano promesse non mantenute.

Non è più tempo delle parole in libertà, come ha ben sottolineato il deputato dell’Udc Gian Luca Galletti, ma occorre dire parole rassicuranti e soprattutto presentare strategie concrete. Le idee non mancano, ma è necessario stabilire delle priorità concrete, tra le quali, come suggerisce Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera, l’anticipo del pareggio di bilancio. I mercati oggi si attendono una iniezione di fiducia, una manifestazione di concretezza e di volontà di crescere, per fa ciò è necessario che Silvio Berlusconi e il suo governo abbandonino le vacuità del processo lungo o delle targhe ministeriali a Monza e si concentrino sull’economia assumendo impegni precisi e ascoltando le parti sociali. E’ necessario che il governo comprenda che è ora di  passare dalla politica delle cicale alla politica delle formiche, perché l’estate sta finendo e l’inverno è terribilmente vicino.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Sangue Siriano

postato il 2 Agosto 2011

1274 a.C. , Qadesh. Sulle rive del fiume Oronte si contrappongono, in uno dei conflitti più celebrati e documentati dell’antichità, le due più grandi potenze del Medio Oriente: l’impero ittita di Muwatalli III e l’Egitto del faraone Ramses II. Ancora oggi le sabbie del fiume Oronte sono sporche e imbrattate di sangue. Oggi ad Hama, nelle vicinanze dell’antica Qadesh, le strade della città sono cosparse di cadaveri e feriti frutto della tempesta di fuoco e delle raffiche di mitragliatrici sparate dall’esercito fedele al governo contro il popolo in giorno di festa, alla vigilia del Ramadan. Secondo dati diffusi dalle organizzazione per i diritti umani circa 2.000 persone sono rimaste uccise nelle violenze che si succedono in Siria da quando sono cominciate le proteste contro il regime del presidente Bashar al Assad a metà marzo. Almeno altre 12.000 persone sono state arrestate. Nel frattempo, in un messaggio alle forze armate per l’ anniversario della loro fondazione, il presidente siriano si è congratulato con quello che ha definito l’esercito “patriottico” simbolo dell’ orgoglio nazionale. Oggi alle ore 16.00 nella conferenza stampa del Terzo Polo a cui hanno aderito gli onorevoli deputati Lorenzo Cesa, Ferdinando Adornato, Benedetto Della Vedova, Barbara Contini e Gianni Vernetti è stato richiesto al governo di ritirare l’ambasciatore italiano da Damasco in segno di protesta. Domani mattina alle ore 9.45 il governo riferirà in aula nella persona di Stefania Craxi, sottosegretario con delega agli affari esteri. Rivolgo queste poche righe ai parlamentari che si sono impegnati personalmente in questa iniziativa e mi rivolgo a tutti le persone animate dal senso della giustizia nel loro cuore: l’11 marzo 2010 la presidenza della Repubblica ha riconosciuto il presidente siriano Bashar al Assad “Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana decorato di gran cordone “. Chiediamo l’immediato ritiro dell’onorificenza.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

LINK:

Dal sito della Presidenza della Repubblica, l’elenco dei cavalieri di Gran Croce.

Dettaglio decorato Bashar el Assad.

Una petizione mondiale per i siriani scomparsi che invito a visionare

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Lunedi nero in Borsa: proviamo a ragionarci.

postato il 2 Agosto 2011

La giornata di oggi, per chi non è avvezzo alle contrattazioni borsistiche, può essere sembrata schizofrenica. Prima i listini europei aprono in forte rialzo, poi iniziano a calare, fino a crollare del tutto mentre Wall Street, partita anch’essa in positivo, arrivava a perdere l’1%. Eppure con l’accordo sul debito USA, teoricamente le Borse dovevano salire. In realtà le cose non sono così lineari, ma, come sa chi opera quotidianamente con i mercati finanziari, bisogna tenere conto sempre di moltissimi fattori, che si aggiornano costantemente. Ci sarà chi griderà contro chi assume posizioni ribassiste (scommettono sul ribasso dei mercati), ma questa spiegazione non basta: il volume quotidiano di denaro mosso sui mercati è tale che non vi è qualcuno che possa condizionarlo, ma bisogna cercare di modificare le attese degli operatori.

L’accordo USA, nella realtà dei fatti, deve ancora passare il vaglio (e la votazione) del Senato e della Camera americani, quindi non è scontato che passi indenne questi due scogli. Inoltre, l’accordo USA non mette al riparo dal rischio di declassamento del debito USA: se non vi saranno consistenti segnali di ripresa dell’economia, le agenzie di rating potrebbero declassare ugualmente il rating USA. Moody’s e Standard & Poor hanno detto che non rilasceranno immediatamente dei commenti in merito alla bozza di accordo. Peraltro, secondo dichiarazioni precedenti, il rating sovrano AAA degli Stati Uniti potrebbe essere ancora a rischio. E d’altro canto nessun operatore ha mai creduto seriamente al default USA, qualificando la diatriba dei gironi scorsi, come un fatto meramente politico. Basta guardare l’andamento dei rendimenti sui titoli del debito pubblico Usa. Quando c’è odore d’insolvenza, gli interessi sui titoli di stato crescono perché il paese diventa più rischioso. Nel caso degli Usa il costo del finanziamento del debito pubblico è addirittura sceso. Oggi il Treasury a 10 anni rende il 2,82%, sui minimi del 2011, ad inizio anno si viaggiava al 3,22%.

S&P aveva dichiarato di voler un taglio del deficit di almeno 4.000 miliardi di dollari. Se S&P dovesse ritenere che l’accordo non è sufficiente a far cambiare rotta al deficit statunitense, potrebbe ancora decidere di tagliare il rating sovrano AAA. In caso di downgrade l’agenzia aveva dichiarato che il rating probabilmente sarebbe rimasto nel range AA, il che significa un downgrade di 2 o 3 notch.

Ma ciò non basta a spiegare una giornata che, per un esterno, appare folle. Dobbiamo anche considerare altri fattori: intanto l’atteggiamento che si ha in borsa. Gli operatori, quando investono in borsa, investono sulle prospettive e sulle attese future, non sui dati acquisiti del passato (i quali sono usati solo per estrapolare previsioni sul futuro andamento dell’economia). E alla luce di quanto detto, ecco che si chiarisce la giornata di oggi: gli operatori, in fase d’incertezza, preferiscono vendere e tenersi liquidi, magari incamerando delle perdite, pur di evitare, magari, delle perdite maggiori in futuro.

Quando ha iniziato a crollare il mercato americano? Quando sono usciti alcuni dati sull’economia statunitense: dato sulla spesa edilizia di giugno ha mostrato una crescita dello 0,2% quando gli economisti si attendevano un +0,1%, contro un calo dello 0,6% a maggio. Mentre l’indice Ism sul settore manifatturiero di luglio negli Stati Uniti, atteso a 54,9 da 55,3 del mese precedente, si è attestato a 50,9. Per la cronaca, se l’indice ISM scende sotto il livello di 50 punti, allora si è in recessione, quindi gli USA sono ad un passo da essa.

Venerdì scorso il dato sul Pil a stelle e strisce ha fatto segnare un valore poco sopra l’1%, un livello insufficiente a ridurre un tasso di disoccupazione superiore al 9%: non a caso si torna a parlare di ”Double Dip”, cioè di una seconda recessione. Ovviamente, se l’America sta male, l’Europa sta peggio, e il motivo è sia dovuto alla scarsa crescita dell’economia europea, sia alle differenze tra Federal Reserve e BCE. La prima è pronta a stampare miliardi di dollari per finanziare il Tesoro e salvare il paese della bancarotta (anche se questo significa fare aumentare di molto l’inflazione) che, in termini tecnici, si chiama la monetizzazione del debito pubblico. Al contrario, nell’Eurozona, la Bce non può stampare moneta.

Per quanto riguarda l’economia europea rileviamo come si stanno muovendo le tre maggiori economie dell’UE: Italia, Francia, Germania. L’attività del settore manifatturiero italiano a luglio è tornata a salire, anche se in modo frazionale, e l’indice è salito a 50,1 da 49,9 di giugno, quindi sopra la soglia 50, che separa l’espansione dalla contrazione.

La Germania invece segna un rallentamento: l’indice Pmi manifatturiero tedesco è sceso a luglio a 52,0 – il livello più basso da ottobre 2009 – dal 54,6 di giugno, poco sotto le attese che convergevano su 52,1, ma pur sempre sopra la soglia 50 che separa la crescita dalla contrazione.
Il rallentamento dai livelli di crescita degli ultimi mesi è stato consistente: da dicembre ad aprile, infatti, l’indice si era mantenuto sopra quota 60.
Anche la Francia fa segnare un consistente rallentamento per la prima volta in due anni, l’indice Pmi di luglio si attesta a 50,5, leggermente sopra la lettura preliminare di 50,1 ma sotto il dato di 52,5 di giugno. La discesa porta l’indice al livello più basso da luglio 2009, lasciandolo appena sopra la soglia dei 50 punti che separa l’espansione dalla contrazione.
A suggerire un probabile proseguimento della debolezza dell’attività nei prossimi mesi, le industrie francesi hanno visto i nuovi ordini scendere per la prima volta da giugno 2009, anche se gli ordini dei clienti esteri hanno segnato un lieve aumento rispetto a giugno.
Come si vede oggi si sono susseguite tutta una serie di notizie che hanno gettato molta incertezza sui mercati finanziari e che spiega ilo movimento dei mercati di oggi. Certo l’Italia paga anche la lentezza con cui il governo risponde ai cali dei giorni scorsi, considerando che solo giovedì ci sarà un incontro tra il governo e le parti sociali e questo mostra che il governo vive in un altro mondo, un mondo dove le priorità non sono le risposte all’economia, ma le risposte ai guai giudiziari.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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La carestia nel Corno d’Africa, urge un intervento.

postato il 1 Agosto 2011

L’uomo è ciò che mangia” affermava nel 1862 il filosofo Ludwig Feuerbach, un pensiero a prima vista molto bizzarro, ispirato alla recensione di un trattato di cucina popolare tedesco, che postulava  l’alimentazione come elemento  base per costruire e migliorare l’essenza dell’uomo;  un popolo potrebbe dunque migliorare la propria condizione e il proprio carattere partendo in primo luogo dall’alimentazione. A volte penso che Feuerbach nel suo materialismo sfrenato abbia un pochino ragione guardando alla nostra società consumistica e godereccia in cui  per noi, ammettiamolo, è quasi impossibile immaginare e porre lo sguardo su  situazioni diverse di fronte alle quali siamo ciechi e ci illudiamo di risolvere spedendo ogni tanto ,per pulirci la coscienza, pacchi di dollari di finanziamenti che probabilmente finiranno nella mani di qualche corrotto e ambizioso potentato locale.

Eppure in Somalia e in tutto il corno d’Africa  si sta consumando sotto i nostri occhi una carestia che qualche esperto definisce “secolare”.  Ecco alcuni dati che ho rintracciato sul sito dell’Unicef: in questo momento 12 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile, il 30% della popolazione sta soffrendo di  malnutrizione con picchi del 55% in alcune regioni, si registrano 4 decessi al giorno ogni 10.000 bambini. Una carestia che certo rende ancor più drammatiche le condizioni di una regione che non trova pace da oltre 40 anni: dal 1969, anno del colpo di stato del generale Siad Barrè,  la Somalia è in uno stato di guerriglia permanente alimentata da spietati signori della guerra e capibanda tribali. Guerre di clan rivali per il controllo del sud della Somalia, zona fertile e agricola, scontri di secessione che hanno dato origine al Somaliland,  non riconosciuto dalle Nazioni Unite, in un clima di quasi ritorno alla spaccatura coloniale dove il nord e il sud del paese erano divisi tra inglesi e italiani (ricordo che nel 1891 il governo Crispi aveva aperto le vie del modesto colonialismo italiano ottenendo proprio per 160.000 rupie un protettorato sui principali porti della Somalia, protettorato estinto solo nel 1960) . In questa guerriglia perenne si è intromessa anche Al Quaeda che sta cercando di ottenere il controllo della regione con le sue corti islamiche e affermare la legge della Sharia. Ancora oggi, mentre i bambini muoiono di fame, per le strade di Mogadiscio si combatte tra miliziani fedeli al debole governo,  uomini di Al Qaeda e guerriglieri Shabab. Una tragedia umanitaria dove la mancanza di solide istituzioni, e il perenne stato di disordine, hanno aggravato la drammatica situazione della siccità e della conseguente carestia. In questi giorni il Wfp, Programma alimentare mondiale, è riuscito ad attivare un corridoio alimentare aereo per distribuire aiuti alla popolazione e questa è una buona notizia ma sa purtroppo di già sentito: noi siamo sempre quelli che corriamo in aiuto a fare gli eroi, ma dopo qualche settimana abbiamo già dimenticato tutto. Si parla forse ancora di Haiti? Eppure certo non stanno meglio di prima.

Aiutiamo il popolo somalo, ora e non solo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

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È tempo di numeri. E di prime soddisfazioni.

postato il 30 Luglio 2011

È tempo di numeri e sondaggi. L’ultima volta che su questo sito ci siamo occupati di stime elettorali riguardanti il nostro partito, avevamo riscontrato di essere sulla strada giusta e che l’elettorato – dopo qualche tempo di disattenzione – era tornato a ritrovarsi in sintonia con noi in ottima misura: il bacino potenziale dell’Udc superava infatti il 14% e appariva numericamente chiaro la nostra posizione centrale e primaria all’interno del Terzo Polo: la riprova che quanto avevamo fatto era giusto e che proprio seguendo questo indirizzo dovevamo continuare ad operare. Oggi, ci occuperemo invece di sondaggi che riguardano la nostra coalizione nel complesso: abbiamo tenuto la nostra convention unitaria giorno 22 scorso e vale la pena dare un’occhiata a qualche interessante analisi pubblicata proprio in quel periodo (da qualche giorno prima a qualche giorno dopo).

Il primo sondaggio utile è quello pubblicato sul Corriere della Sera proprio il giorno della convention e a cura di Renato Mannheimer, secondo cui ben il 12% degli italiani ad oggi direbbe “sì” – in modo certo – al Terzo Polo, mentre il bacino potenziale si spinge al 25% e un altro 27% si dichiara “indeciso” ma “interessato”; altro interessantissimo dato, poi, sono le risposte riguardo alla forma che questa alleanza dovrebbe assumere in vista del voto: ben il 44% dell’elettorato “certo”, infatti, ritiene che i partiti dovrebbero procedere a una propria unificazione in una nuova cosa, mentre il 40% ritiene sia meglio restare separati. Ancora un dato interessante: il 61% degli elettori certi risponde che sì, il Terzo Polo si presenterà compatto alle prossime elezioni, mentre per tutti gli altri la percentuale scende al 46%. Tanto basta, però, per capire che agli occhi dell’elettorato l’incontro fra questi partiti è già stato largamente digerito e anche l’idea di una loro fusione completa non viene vista male, anzi (prova ne è il fatto che il bacino potenziale della coalizione supera sempre la somma di quelli dei partiti singoli).

Il secondo sondaggio, altrettanto interessante, è quello curato da Fabrizio Masia, di EMG, per il Tg di La 7. Dai numeri forniti si evince il tracollo dei grandi partiti con Pdl e Pd in caduta libera: il primo avrebbe perso 1,2 punti percentuali rispetto alla precedente simulazione (da 28,1% a 26,9%), mentre il secondo ha registrato una flessione dell’0,8% (da 28,4% a 27,6%). Oltre al Pdl, però, è tutto il centrodestra ad andare giù, roso da scandali e liti intestine: il principale alleato di questa maggioranza, la Lega, scende infatti al 9,9% (meno 0,4% rispetto a una settimana fa, ma addirittura meno 1% rispetto a 15 giorni fa). Mentre nel centrosinistra, oltre al Pd, perde qualcosa anche l’Italia dei Valori (dal 6,3% al 6,1%) e guadagnano invece Sinistra Ecologia e Libertà (da 7,2% a 7,5%) e partiti minori. E veniamo ai numeri che ci interessano di più, quelli del Terzo Polo, dato in forte risalita, trainato proprio dall’Udc: il nostro partito balza infatti dal 6,6% al 7,6%. Flette lievemente Futuro e Libertà (da 3,3% a 3,2%), mentre l’Api sale da 0,9% a 1,1% e l’Mpa di Lombardo va dallo 0,6% allo 0,7%. Anche se, ahinoi, il dato più importante complessivamente resta la continua ascesa degli astenuti, che passano dal 25,3% al 26,2%, e soprattutto degli indecisi (dal 16,6% al 20,7%).

Il terzo e ultimo sondaggio, infine, viene dall’istituto sondaggistico Crespi. Anche secondo queste stime, il Pdl scende notevolmente, assestandosi intorno a quota 26 %, e insieme al 9% della Lega Nord e agli altri partiti che compongono l’attuale area di Governo, il centro-destra toccherebbe oggi quota 39,4%, perdendo quasi l’1%. Stessa storia anche per il centrosinistra, con un lieve aumento di consensi dovuto agli incrementi di Sel e Idv che bilanciano il calo del Pd: il maggior partito d’opposizione, infatti, comincia ad accusare le conseguenze delle vicende giudiziarie che hanno riguardato alcuni suoi uomini di spicco. Anche qui, ottima performance per il Terzo Polo, galvanizzato dalla convention del 22 luglio, che conquista una fetta di elettorato certa stabile intorno al 13%: nel dettaglio, ancora avanti c’è l’Udc al 7,1 – seguito da Fli al 3,7 e Api e Mpa intorno all’1% a testa.

Sono, come ripetiamo ogni volta, solo stime. Però, lasciatecelo dire: sono anche soddisfazioni.

Giuseppe Portonera

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L’assurdo valzer del bonus bebè

postato il 30 Luglio 2011

Nel 2006 700mila bambini italiani ricevevano, al momento della loro nascita, una lettera dal Presidente del Consiglio,  che così recitava: «Caro…, felicitazioni per il tuo arrivo! E’ il Presidente del Consiglio a scriverti per porti la prima domanda della tua vita: lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di mille euro? I tuoi genitori potranno riscuoterlo presso questo ufficio postale. Un grosso bacio».  Insieme alla lettera vi era un modulo di autocertificazione, dove i genitori avrebbero dovuto dichiarare che il loro reddito complessivo non superava i 50.000 euro, e che opportunamente compilato e presentato ad un ufficio postale dava diritto a ritirare l’assegno da 1.000 euro.

Cinque anni dopo,  alcuni di quei bambini che avevano beneficiato del cosiddetto “bonus bebè” ricevono un’altra lettera,  questa volta del  Ministero delle Economia che perentorio avverte: «dagli accertamenti effettuati è emerso che Lei ha falsamente dichiarato di avere un reddito familiare complessivo non superiore a 50.000 euro… Si contesta, pertanto, di avere riscosso illecitamente il bonus bebè utilizzando un’autocertificazione mendace… Si intima la restituzione entro 30 giorni del bonus e il pagamento della sanzione amministrativa pari a 3.000 euro che dovrà essere effettuato solo dopo che il giudice penale si sarà pronunciato in merito alla punibilità della falsa autocertificazione». I bimbi a cinque anni non avranno capito un gran che, ma ai genitori sarà venuto un colpo: il ministero dell’Economia, senza troppe felicitazioni, rivuole indietro i soldi.

Al ministero non sono impazziti ma tentano di porre rimedio, piuttosto maldestramente, ad un grossolano errore del governo che nella missiva originaria non ha precisato  che il reddito da dichiarare era quello lordo e non il netto, e che le rendite patrimoniali erano incluse. E’ facile immaginare la reazione furibonda delle famiglie e delle organizzazioni a difesa dei consumatori che, giustamente, fanno presente che l’errore è dovuto alla poca chiarezza della modulistica inviata e si chiedono perché dovrebbero pagare i cittadini per una leggerezza del governo.  Ai dubbi di famiglie ed associazioni risponde, con una terza incredibile lettera, il  sottosegretario Giovanardi:  “Cara mamma e caro papà, sei anni fa vi arrivò una lettera firmata dal Presidente Silvio Berlusconi che vi avvertiva della possibilità di incassare un assegno di mille euro per la nascita di vostro figlio, nel caso in cui il vostro reddito complessivo fosse stato inferiore ai 50 mila euro. Su oltre 700.000 assegni inviati e incassati dagli aventi diritto purtroppo circa 8.000, ad una verifica fatta dagli uffici sull’autocertificazione, sono risultati non in regola con quanto stabilito dal Parlamento. Come delegato per  la Presidenza del Consiglio dei Ministri alle politiche per la famiglia, innanzitutto mi scuso per i toni sgarbati e minacciosi della lettera che gli uffici del Ministero dell’economia vi hanno inviato per richiedere la restituzione di tale somma. Come ho già dichiarato alla Camera dei Deputati giovedì 21 luglio 2011 rispondendo ad interpellanze dei Parlamentari, chi ha ricevuto la lettera può prendere contatto con gli uffici che vi hanno scritto per dimostrare la correttezza dell’autocertificazione e non procedere alla restituzione. Se questo non fosse possibile, perché per esempio c’è stato un equivoco fra reddito lordo e reddito netto, tutto potrà venire sanato con la restituzione dei mille euro, senza interessi e se necessario anche a rate. In sostanza  è come se una banca vi avesse prestato sei anni fa mille euro e oggi ne richiedesse semplicemente la restituzione senza nessun interesse. Posso concordare con voi che la cosa sia spiacevole ma bisogna anche tener conto delle centinaia e migliaia di coppie a cui è nato un figlio e che i mille euro non li hanno incassati perché hanno interpretato correttamente la norma di legge. Nell’augurare ogni bene a voi e alla vostra famiglia, colgo l’occasione per salutarvi con viva cordialità”.

La vicenda è davvero surreale se non ridicola, fortunatamente la sanzione è stata cancellata ma restano il grossolano errore del governo e il disagio per le famiglie che in tempi di ristrettezza economica e di assenza di politiche familiari si vedono comunque costrette a restituire un bonus che si è presto rivelato un malus.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru


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Gioco d’azzardo legalizzato, “pecunia non olet”

postato il 29 Luglio 2011

“Una vera piaga, soprattutto per i giovani. Rischia di essere la malattia emergente del nostro millennio” . Queste le chiare parole usate dal prof. Rosario Sorrentino, neurologo, fondatore e direttore dell’IRCAP (Istituto di Ricerca e Cura sugli Attacchi di Panico), qualche tempo addietro in occasione della presentazione di una campagna di sensibilizzazione sul gioco responsabile sostenuta dalla stessa Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e presentata da SNAI.

“Si profila sempre più il rischio di una addiction generation, una generazione dipendente dalle emozioni ottenute grazie ad una scarica di dopamina extra. Di fatto – continuava il prof. Sorrentino – una porta d’ingresso verso comportamenti caratterizzati da aggressività, impulsività, rabbia e con una chiara matrice sociopatica”.

Le dimensioni del fenomeno sono allarmanti se è vero che, secondo un’indagine promossa da EURISPES, il gioco pubblico rappresenta la terza industria italiana, dopo l’ENI e la FIAT.  Dai dati disponibili tramite i Monopoli si rileva come nel 2006 gli introiti del gioco ammontassero a circa 15,4 miliardi di euro mentre solo tre anni più tardi fossero già arrivati a 54,4 miliardi per raggiungere i 61 miliardi l’anno scorso e puntare, secondo le stime più attendibili, alla soglia degli 80 miliardi di euro per l’anno 2011.

E’ stato stimato che circa l’80% della popolazione adulta abbia giocato almeno una volta e, secondo una ricerca effettuata a cura di NOMISMA, il 68% dei 950.000 studenti intervistati ha dichiarato di avere giocato d’azzardo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa il 3% della popolazione italiana, circa un milione e mezzo di persone, sono a rischio ludopatia e circa 700.000 di essi sono già affetti dalla sindrome del gioco patologico.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il gioco d’azzardo patologico è in effetti una “dipendenza senza sostanze” che si caratterizza per la comparsa di fenomeni di tolleranza con un aumento crescente ed incontrollato del desiderio di gioco e di vere e proprie crisi di astinenza. Il soggetto affetto da ludopatia perde così il controllo di sé e la percezione della realtà che lo circonda, arrivando a contrarre debiti che eccedono le proprie capacità reddituali e cadendo facilmente nelle mani degli usurai.

La fascia di popolazione che più frequentemente viene interessata da casi di gioco patologico è quella delle persone di età compresa tra i 40 ed i 55 anni, di estrazione medio-bassa e basso o nullo livello di occupazione; molto spesso in questi casi il giocatore patologico trascina nella propria rovina anche il nucleo famigliare cui appartiene e di cui è sovente unica fonte di reddito. La patologia è tuttavia particolarmente insidiosa anche per le generazioni più giovani in quanto la crescita del fenomeno è, in questo caso, aiutata da forme di propaganda pubblicitaria che presentato il giocatore come un modello di successo ed indicano nel gioco la via per risolvere i propri problemi economici.

“Una potenziale responsabilità è da attribuire ai messaggi che provengono dal mondo dei mass media e della comunicazione – aggiungeva infatti il prof. Sorrentino nel suo intervento al Tempio Adriano a Roma – che promuovono costantemente la cultura del piacere e del gioco, arrivando ad enfatizzare lo stereotipo del vincente, colui che con una puntata coraggiosa può cambiare in un batter d’occhio la sua vita”.

Attesa la pericolosità ed insidiosità del problema, le strategie di prevenzione non possono che passare attraverso una più rigida regolamentazione della disciplina dell’offerta di gioco; è infatti sotto gli occhi di tutti la facilità con cui oggi si possa accedere ai giochi d’azzardo praticamente ad ogni angolo di strada. Vi è da considerare che sono giochi d’azzardo tutti quelli in cui la vincita sia interamente o quasi interamente determinata dal caso (aleatoria) e cioè per esempio il lotto, le lotterie, il bingo, i giochi a base sportiva e gli apparecchi da intrattenimento comunemente conosciuti come slot machinese videopoker.

La diffusione capillare degli apparecchi di gioco, unita alla vasta offerta che giunge via internet,  genera enormi margini di profitto che non potevano non destare l’interesse della criminalità organizzata che del gioco d’azzardo ha fatto il suo ingresso in forze, come testimoniato recentemente dall’attività della Commissione Parlamentare Antimafia.

A questa criminalità “evoluta” va poi aggiunta quella “spicciola” generata dal fatto che molto spesso i locali pubblici che ospitano le slot, al cui interno si trovano di norma alcune migliaia di euro, sono oggetto di raid ladreschi proprio in considerazione della facilità di mettere insieme un discreto bottino con solo qualche minuto di “lavoro”.

L’allarme sociale generato dalle situazioni così delineate avrebbe meritato un attenzione maggiore da parte dell’attuale Governo che, mentre a parole si dice preoccupato del problema ludopatia, nei fatti non cessa di introdurre nuove tipologie di giochi che in realtà altro non sono che fantasiosi strumenti di tassazione indiretta che vanno a colpire, come dimostrato, i ceti più deboli della popolazione.

Ben venga quindi la recentissima proposta di legge presentata al Consiglio Regionale del Veneto per iniziativa del Gruppo consiliare dell’Unione di Centro ed avente come primo firmatario il cons. Stefano Valdegamberi; si propone infatti di vietare l’installazione dei sistemi di gioco d’azzardo elettronico in luoghi pubblici o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni attraverso la modifica dell’art. 110 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, in analogia ad altro provvedimento già approvato dal Consiglio Regionale del Piemonte.

Sarà pur vero, a dar retta a Vespasiano, che “pecunia non olet” ma ogni tanto, se non soccorre il buon senso, almeno valga la vergogna!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

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Ministeri al nord, il governo si arrampica sugli specchi

postato il 29 Luglio 2011

Quando a scuola gli alunni ne combinano una delle loro, questi si dividono in due categorie: quelli orgogliosi della bravata, che aggiungono un nuovo vanto al loro cursus honorum di discoli e quelli che spaventati dalle ire del professore o del preside fanno finta di niente e cercano di nascondersi e di nascondere le prove della colpevolezza. Questa tipica dinamica scolastica si è curiosamente attivata nella già grottesca vicenda del cosiddetto spostamento dei ministeri al Nord.

Il Capo dello Stato, probabilmente dopo aver visto la ridicola inaugurazione di stanze vuote con targhe ministeriali in quel di Monza, ha ritenuto opportuno richiamare all’ordine costituzionale con una durissima lettera inviata al governo dove si spiega che non è pensabile una “capitale diffusa” o “reticolare” diffusa sul territorio nazionale. Scontata la reazione di Umberto Bossi che insieme ai suoi continua a difendere lo spostamento delle targhe sui muri della villa reale di Monza. Ma la reazione più ridicola è stata quella del governo che stretto tra la necessità di dare conto e ragione a Napolitano e di tenere buona la Lega si è praticamente comportato come gli scolari che tentano di giustificare la marachella. E si sa che quando si tenta di giustificare se non ci si è messi d’accordo preventivamente la verità salta fuori.

Il Consiglio dei ministri avrebbe affrontato nella scorsa riunione la vicenda scottante dello spostamento dei ministeri, come recita un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi, ma a quanto pare non è stato proprio così dato che alla fine della riunione si hanno diverse versioni:  Maurizio Sacconi ha affermato che non si è trattata la questione in Cdm, Saverio Romano ha detto che ne ha parlato Berlusconi mentre Maria Stella Gelmini ha sostenuto che ha svolto un’informativa Gianni Letta. In tutto questo bailamme la nota quirinalizia diviene pubblica e Palazzo Chigi sforna un’ennesima versione per provare a chiudere la partita: ”in apertura del Cdm – si legge – Berlusconi ha rivolto al Consiglio e ai singoli ministri un pressante invito a tenere in debito conto le osservazioni formulate da Napolitano”.

L’inutile vicenda dei ministeri al nord continua a colorarsi di ridicolo, non solo per i contenuti ma anche per l’atteggiamento di un governo che non riesce nemmeno a prendersi le proprie responsabilità di fronte al Capo dello Stato e all’intero Paese. Vedere un governo che si arrampica sugli specchi per giustificare le pretese di uno dei partiti della maggioranza non è edificante ma la cosa diventa ancora più grave se il Presidente del Consiglio non sente il bisogno di pronunciare una parola di chiarimento, di dettare una linea. Berlusconi sembra aver deciso di  perseguire in quella tattica del “pesce in barile”,  ben descritta da Ugo Magri su “la Stampa”, che alla lunga nuocerà al governo e dunque all’Italia. E questo fa meno ridere.

Adriano Frinchi

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Tremonti, Milanese e Guarguaglini facciano chiarezza, ma non paghino gli azionisti di Finmeccanica.

postato il 28 Luglio 2011

In mattina le azioni di Finmeccanica sono state sospese per eccesso di ribasso per poi essere riammesse alle contrattazioni a Piazza Affari. Perché questo tonfo? Per due motivi: da un lato i dubbi sorti con la presentazione della trimestrale (inferiore alle attese degli analisti anche per le previsioni su tutto il 2011) e dall’altro perché nella vicenda “Milanese”, che parrebbe coinvolgere anche il ministro Tremonti (il quale non risulta al momento indagato, precisiamolo), si è aperto un filone che porta direttamente a Guarguaglini e ai vertici di Finmeccanica che, pare, abbiano gonfiato certe fatture, per creare dei fondi occulti per pagare tangenti a uomini politici, stando a quanto affermato da Cola, anzi, sui quotidiani si legge (cito testualmente): “Cola, indicato come il vero «braccio destro» di Guarguaglini, collabora da tempo con il pubblico ministero Ielo e ha già svelato il «sistema» che avrebbe consentito di emettere fatture false in favore delle aziende del Gruppo Finmeccanica ed Enav per creare «fondi neri» e così pagare tangenti a politici e manager.”

Di fatto anche Guarguaglini (presidente di Finmeccanica) risulta indagato dai primi di gennaio e, cito testualmente: “il pm ha inviato a Guarguaglini un avviso di proroga delle indagini sulle presunte irregolarità nell’affidamento degli appalti Enav. Nell’avviso, sono citati anche altri indagati: si tratta Lorenzo Cola, ex consulente esterno di Finmeccanica, il commercialista Marco Iannilli, il conte Roberto Colonnello Bertini Frassoni, rappresentante della Despro srl, società che ha lavorato con il colosso di piazza Monte Grappa. Nei loro confronti i reati ipotizzati, a seconda delle posizioni, vanno dalla corruzione all’emissione di false fatturazioni per operazioni inesistenti”.

Questa vicenda impone che sia fatta chiarezza al più presto, perché coinvolge una delle poche aziende dal respiro internazionale che abbiamo in Italia, nonché un polo di eccellenza tecnologica a livello mondiale. Se è vero che i dati trimestrali sono quello che sono, è anche vero che bisogna al più presto fare chiarezza sulla vicenda giudiziaria, per rispetto a tutti gli italiani e in particolare ai risparmiatori che hanno investito su Finmeccanica e che potrebbero pagare dazio per queste vicende giudiziarie.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Formazione e merito, la mia esperienza fra Italia e Francia

postato il 27 Luglio 2011

Sono stato stimolato a scrivere queste mie riflessioni a seguito di un interessante post pubblicato in questo blog riguardante i giovani, il lavoro e le proposte da attuare per migliorare una situazione che è a dir poco drammatica. A fine articolo erano presenti 5 interessanti proposte che, in sintesi, proponevano un premio per gli studenti più meritevoli, convogliare le risorse degli atenei verso gli studenti, migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i giovani, diminuire la fuga di cervelli, e sostenere la meritocrazia. Tutte queste proposte sono interessanti ma, prima di tutto andrebbe analizzata meglio la situazione attuale.

Innanzi tutto partirei dalla formazione culturale degli studenti. Io sono un ragazzo del 1985, di una città di provincia, Pistoia. Nella mia città ci sono molte scuole medie superiori tutte differenti tra di loro ma non esiste la possibilità di scegliere più scuole per lo stesso indirizzo (come può avvenire a Firenze o a Roma o comunque nelle grandi città italiane). Io ho fatto il liceo scientifico ed, ahimè, ho impiegato 6 anni per finirlo invece di 5. Il 90% di questo ritardo è dovuto esclusivamente al fatto che non studiavo, che non avevo voglia di studiare ma soprattutto non mi interessava imparare ciò che veniva insegnato in classe. Questo secondo me è un punto importante perché se il 90% delle colpe del mio ritardo sono dovute a cause personali ritengo che il 10% siano da ritrovarsi nell’istituzione scolastica.

Nel mio Liceo di Pistoia, statale, non c’era professore che mi invogliasse a studiare la materia! Dalla mia esperienza, ma confrontandomi con altri miei coetanei ho ritrovato le stesse problematiche, non ho mai trovato un professore a cui importasse veramente insegnare qualcosa ma soprattutto avesse la consapevolezza che il suo lavoro avrebbe influenzato il mio futuro prossimo. Questo probabilmente lo si può spiegare con un concetto molto semplice: mancanza di cambio generazionale. Infatti, e questo secondo me è un paradosso, la mia professoressa di inglese era la stessa di quella di mia madre!!

Un primo fondamentale punto, per migliorare la situazione giovanile, quindi bisogna trovarlo alle basi della formazione più importante di ogni singolo ragazzo, ovvero, dalle scuole medie superiori. Sarebbe il caso di modernizzare la scuola dell’obbligo ma soprattutto cambiare ed invogliare soprattutto i professori che hanno un ruolo fondamentale soprattutto in scuole come i Licei che sono la base dello studio universitario.

Un secondo punto fondamentale su cui concentrare le forze è l’università. Una decina d’anni fa fu fatta la riforma che introduceva la tanto famosa laurea-breve. Per alcune facoltà probabilmente ha migliorato e velocizzato la formazione dello studente ma per la mia facoltà non è utile. Io infatti nell’anno accademico 2005/2006 sono riuscito a passare il test d’ammissione alla facoltà d’architettura di Firenze e mi sono iscritto regolarmente. Non sapevo però che da quel momento sarebbe iniziato un calvario. La mia facoltà infatti è ancora di “vecchio stampo” ovvero è una facoltà, sulla carta, quinquennale. Ho voluto precisare sulla carta perché, dati alla mano, per laurearsi ad architettura a Firenze il tempo medio è 9 anni e mezzo (almeno questo è ciò che c’hanno sempre detto). Io ho appena finito il 6 anno, mi mancano ancora 12 esami che probabilmente riuscirò a finire entro i prossimi 2 anni e, considerando che per una buona tesi serve almeno 1 anno, direi che rientro nella media della mia facoltà.

Ritengo che questo sia assurdo. Non è ammissibile che noi italiani si debba uscire, con un foglio in mano (che non ho chiamato volutamente laurea visto che siamo gli unici al mondo ad avere gli ordini professionali, che sono inutili e quindi quando ci laureiamo siamo dottori in architettura ma non siamo architetti…) se va bene entro i 30 anni mentre i nostri colleghi francesi, tedeschi, spagnoli, sono nel mondo del lavoro da già 4/5 anni. Certo, sarebbe facile dire che il corso è fatto apposta per durare 5 anni e non 9 però, se la media indica questo lasso di tempo per laurearsi un motivo ci sarà, o no? Non credo che la colpa sia solamente degli studenti ma credo che tali colpe siano da ritrovarsi, anche in questo caso, a monte. Nella mia facoltà c’è una disparità enorme tra professore e professore, anche e soprattutto della stessa materia. Le cause, anche in questo caso, sono sia dello studente, diciamo intorno al 60%, ma per il 40% sono da addossarsi ad un sistema universitario che non funziona e che non vuole cambiare.

Nell’anno accademico 2008/2009 ho avuto la fortuna di entrare nel programma Erasmus, con destinazione Parigi. Un sogno, finalmente avevo l’opportunità di uscire di casa per 1 anno e fare una grandissima esperienza, sia sotto l’aspetto umano che scolastico. La vita a Parigi è stata totalmente diversa rispetto alla mia vita italiana. Ma non perché Parigi è una grande città, mentre Pistoia è una semplice città di provincia, ma perché in Francia c’è una mentalità differente, anche opposta rispetto alla nostra. Non voglio parlare dell’integrazione di culture diverse, che è un argomento troppo ampio vasto e complicato (perché anche loro hanno problemi, grandi problemi), ma inizio dicendo che in Francia esiste un sussidio mensile destinato ai ragazzi, alle coppie in difficoltà, alle famiglie in difficoltà, che permette di avere un aiuto economico sicuro.

Per avere tale sussidio bisogna ovviamente essere regolari in Francia, bisogna risiedere in una casa o avere un contratto d’affitto a norma di legge. Per quanto riguarda Parigi tale contributo variava a seconda della grandezza della casa, di quante persone la abitavano, del quartiere dove era situata. Io vivevo nel 12° arr, ho cambiato 2 case ma entrambe erano da circa 30 mq con 3 posti letto. A me, ed ai miei coinquilini, veniva dato un rimborso mensile di circa 150 euro, che sommati alla borsa di studio (scarsa per noi della Toscana, molto alta per i ragazzi della Campania e del Lazio) andavano a coprire quasi l’80% dell’affitto totale. Non è un caso che buona parte degli studenti francesi, finito il liceo (il loro dura anche 4 anni invece che 5) escano di casa per andare a vivere da soli.

Ma le differenze con l’Italia non finiscono qua. Un accenno lo merita anche la rete dei trasporti perché per me, che faccio il pendolare ogni mattina per andare in facoltà, è stato un trauma tornare alla triste realtà italiana. A Parigi infatti con circa 50 euro si compra l’abbonamento per metro, tram, bus, treni metropolitani, chiamati RER (per le zone più lontane il costo, ovviamente, aumenta). La mia facoltà era a 30 km da Parigi, la stessa distanza che c’è tra Pistoia e Firenze. La mattina prendevo la RER, e in soli 20 minuti ero arrivato alla stazione di discesa. In Italia l’abbonamento del solo treno costa quasi 55 euro (aumenta ogni 6 mesi circa), e per fare gli stessi chilometri, nonostante il numero di fermate sia pressoché identico, ci impiego 40/50 minuti, quando non ci sono ritardi. Ovviamente quando arrivo alla stazione di Firenze non sono arrivato in facoltà e, siccome l’eventuale abbonamento del bus costa 20 euro, per risparmiare faccio un tragitto, di circa 20 minuti, a piedi.

Riguardo il costo degli affitti e delle case non ci sto a perdere troppo tempo perché è sotto gli occhi di tutti che qua in Italia sia troppo alto. Se non erro qualche mese fa Report dimostrò come era possibile acquistare una casa, in centro a Berlino, di 30/40 mq, a soli 50.000 euro, mentre una casa, stesse dimensioni in centro a Roma, Milano, Firenze ecc costasse anche 4/5 se non 6 volte tanto! Per gli affitti la situazione è la stessa. L’anno scorso ero interessato ad andare a vivere a Firenze con la mia ragazza ma l’affitto di una casa in centro di 30 mq, 1 stanza da letto + salotto con angolo cottura, era di 1200 euro, troppi anche per una coppia di lavoratori figuriamoci per una coppia di studenti.

In Francia, ma stessa cosa avviene in Inghilterra, il più delle volte gli stages sono pagati, in Italia, almeno nel mio ambito lavorativo, tutto ciò non avviene, anzi, non danno nemmeno il rimborso delle spese di viaggio. A Parigi invece, la prima cosa che offrono, oltre allo stipendio mensile, è l’abbonamento della metro/bus/rer per raggiungere il posto di lavoro rispetto alla propria abitazione.

In Italia, una volta laureato non si può lavorare perché devo prima iscrivermi all’albo di architettura. Per iscrivermi si deve passare l’esame di Stato che si tiene una volta ogni 6 mesi. A Firenze notoriamente passa l’esame di stato meno del 50% degli iscritti.

Sempre in merito alla mia facoltà, quando ero a Parigi, potevo stampare gratis tutte le tavole nella mia facoltà, aFirenze tutto ciò non è possibile. Una stampa di una tavola grande, formato A1, viene a costare anche 15 euro, e a volte si trovano professori che richiedono, solo per l’esame 10/15 tavole. A questo c’è da aggiungere che durante l’anno vanno fatte le cosiddette revisioni, che non sono altro dei momenti in cui il professore riguarda il lavoro dello studente. Siccome i professori spesso non sanno usare il computer pretendono di avere sempre le stampe e a forza di 15 euro ci ritroviamo presto il conto in banca, che già era misero, vicino allo zero. Inoltre, sempre paragonando Parigi a Firenze, l’età media dei professori della mia struttura universitaria, école d’architecture de la ville / des territoires à Marne-la-Vallée, era di poco superiore ai 40 anni, mentre l’età media dei professori di Firenze non è inferiore ai 50/60 anni.

Queste sono solo alcune delle grandi, grandissime differenze che ci sono tra il nostro bellissimo paese e l’Europa. Questo non vuol dire che l’estero, la Francia, la Germania o l’Inghilterra siano paesi paradisiaci, anzi, tutt’altro. Anche loro hanno molti problemi ma permettono di affrontarli in maniera diversa. Da quel che ho potuto constatare c’è stato un ricambio generazionale, quando andavo a lezione in Francia mi sentivo motivato a studiare, mentre quando vado a lezione a Firenze non vedo l’ora di tornare a casa.

Quello che avete proposto voi sono quindi buoni punti di partenza, ma secondo il mio parere bisogna fare molto di più, bisogna intervenire partendo dalla scuola dell’obbligo fino ad arrivare all’università. Bisogna allinearci al resto d’Europa perché tra due, tre anni quando finalmente sarò laureato non avrò nessun motivo per iniziare a lavorare in Italia mentre sarò fortemente invogliato a tornare a Parigi dove sono sicuro di trovare un lavoro che mi permetterà di poter affittare una casa dove stare e di iniziare a costuire una vita tutta mia.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Lorenzo Mazzei

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