Tutti i post della categoria: Europa

Quote latte: Casini e Libe’, allarme per la sanatoria tombale agli evasori

postato il 2 Luglio 2010

Un anno fa ci opponemmo al Ministro Zaia quando si fece promotore di una vergognosa sanatoria che prevedeva una blanda rateizzazione delle multe per chi non aveva rispettato le quote.
Oggi la Lega, con a capo l’ex ministro e il giovane Bossi, vuole ancora di più, un condono totale, il congelamento della rateizzazione delle multe che dovrebbero essere quindi pagate all’Europa dall’intero Paese.
Avvantaggiare i disonesti, mentre si chiedono duri sacrifici agli italiani onesti, sarebbe un vero paradosso.

Gli allevatori onesti, che a fronte di costese rinunce hanno rispettato le regole, sono gli unici a dovere essere tutelati.
Confidiamo nel Ministro Galan affinchè non venga ancora una volta minato lo Stato di diritto.

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Pedopornografia online, dati italiani allarmanti

postato il 1 Luglio 2010

foto casiniNo a censure, ma un sistema di Allarme europeo è quello che serve per tutelare i minori
 
Sono al fianco dell’On. Motti in questa importante battaglia contro la pedopornografia e  a sostegno della creazione di un sistema di Allarme rapido europeo per contrastare pedofili e molestatori sessuali online. Dobbiamo evitare che chi abusa di internet, commettendo reati gravi a sfondo sessuale che coinvolgono i minori,  possa utilizzare il principio di libertà di circolazione negli Stati membri per darsi alla fuga e sottrarsi alle proprie responsabilità. In questo campo i dati italiani sono allarmanti e ci dicono che l’11% dei ragazzi che frequenta le chat ha avuto almeno un contatto con un pedofilo; che solo il 23% dei minorenni che naviga in internet lo fa accompagnato; che il 47% dei ragazzi fra 10 e i 14 anni che navigano in rete ha postato foto a sfondo sessuali di se stessi od amici; che solo il 12% delle famiglie usano gli strumenti di controllo internet ed i filtri.  Per questo un sistema di Allarme europeo è quello che serve. E’ ora di tutelare i nostri minori in modo adeguato.
Nessuno vuole reprimere internet: la rete è la grande frontiera della libertà ma non può certo diventare terreno fertile per chi ha scopi nefasti e intenti pedo-pornografici.

Pier Ferdinando

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L’epopea delle “quote latte” e le soluzioni della Lega di Bossi

postato il 26 Giugno 2010

quote-latte-vacca-cucina

di Maurizio Isma

La storia delle quote latte inizia ben 23 anni fa, nel 1987, anche se la normativa europea risale al 1984, quando arriva a casa di tutti gli agricoltori una lettera in cui si  dice che la produzione di latte a livello europeo è stata contingentata e che d’ora in avanti il producibile è equivalente al prodotto dal 1 aprile ‘86 al 31 marzo ‘87. I produttori più diligenti si sono subito adeguati alle nuove normative, ma nel  1989 arriva un’altra lettera in cui si afferma che solo pochi produttori hanno rispettato le regole, vengono perciò create due fasce, la prima quota A per chi ha sempre rispettato la produzione continuerà in tale mentre chi in quei due anni ha prodotto più del dovuto venne sommata un’ulteriore quota B che sommata alla A darà il producibile per anno.

Semplificando è  come dire abbiamo piazzato il limite dei 50 all’ora, abbiamo messo l’autovelox, quelli che abbiamo beccato a 100 all’ora gli daremo d’ora in avanti un permesso per andare a 100, mentre chi ha sempre rispettato il limiti dovrà continuare a rispettarli.

Gli anni passano i politici in caccia di voti (anni in cui le elezioni hanno periodicità annuale) dicono ai produttori di fregarsene dei limiti imposti che anche se dovessero arrivare le multe le avrebbe pagate lo Stato all’Unione Europea. Passano gli anni, alcuni allevatori sentendosi dire che le multe non le avrebbero pagate vendono proprie quote a chi ne usufruisce e vuole rispettare le regole e con i soldi ricavati comprano vacche ed aumentano la produzione.

Riassumendo da una parte c’è chi si indebita per comprar quote e rimanere all’interno dei paramentri dettati dallUE e dall’altra chi fa soldi o si espande a dismisura in barba alle direttive comunitarie.

mungituraQui arriva finalmente l’ Europa, stufa di farsi prendere in giro dall’Italia mette dei paletti e tuona che è ora di finirla, le quote non le paga lo Stato ma i singoli produttori. Con vari escamotage, per esempio, sfruttando il fatto che è il primo acquirente il sostituto d’imposta, cioè colui che lo Stato ha individuato come soggetto che deve riscuotere le multe, si fanno società temporanee che durano 6 mesi intestate a nullatenenti. Queste fanno da intermediarie ed acquistano il latte dagli allevatori fuori quota per rivenderlo a latterie o privati che, essendo secondi acquirenti, non sono tenuti a fare da sostituti d’imposta, oppure con ricorsi al TAR per cavilli,  tipo notifiche sbagliate etc., il termine per il pagamento delle sanzioni è sempre stato procrastinato.

Certo, con quello che si legge sui giornali, molti sono convinti in Italia  che con un buon avvocato e la compiacenza della politica i processi non si fanno mai.

Arriviamo ai giorni nostri, in cui un ex Ministro dell’agricoltura, “mister tolleranza zero”, trova cavilli per spostare ancora in là il momento in cui  questi, che finora si son fatti beffa delle regole, pagheranno il dovuto. Ironia della sorte in tutti questi anni la politica della CE è cambiata e col 2013 il regime contingentato finirà e già ora le quote pagate, una fortuna dai produttori diligenti che hanno seguito le regole, non valgono più niente.

Un punto inoltre da capire è che le “multe” sono tecnicamente un prelievo supplementare tendente a disincentivare la produzione fuori quota, quindi il produttore fuori quota non infrange la legge con l’eccessiva produzione ma solamente nel momento che non versa la somma richiesta dall’UE.

Altra conseguenza, meno conosciuta ai consumatori, di cui non si può avere una stima precisa ma molto importante è che le quote latte e la loro cattiva gestione hanno portato ad un mercato parallelo del latte, al di fuori dei controlli sanitari e fiscali, grazie a produttori poco attenti alle regole e ad aziende di trasformazione compiacenti. Questo ha fatto si che quest’ultimi potessero imporre all’agricoltore un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato, abbassando così il corrispettivo pagato a tutti i produttori.

trattori-quotelatte-legaLa soluzione che propone la Lega, e che ha tanto sbandierato Bossi al comizio di Pontida rivolgendosi agli allevatori arrivati coi trattori, ovvero di interrompere il pagamento delle multe da parte degli allevatori che hanno sforato la produzione e di indennizzare chi invece ha subito dei costi e dei ridimensionamenti per rispettare le quote in suo possesso, oltre ad essere basato su un calcolo studiato da una Commissione d’inchiesta dell’allora Ministro Zaia, e non dall’Unione Europea, non risolve i problemi nè degli agricoltori che hanno acquistato le quote latte e sono sempre stati ligi ad osservare le regole perchè non c’è un euro per i rimborsi, nè di quelli che se ne sono sempre fregati perchè prima o poi il loro debito con l’Unione Europea dovranno saldarlo, con le conseguenze del caso.

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Crisi: Dopo la Grecia anche l’Italia è condannata al default?

postato il 18 Giugno 2010

crisi greciadi Germano Milite.

Qualche giorno fa (era il 14 giugno) una notizia è comparsa su Reuters . La news economica, nonostante la sua potenziale enorme importanza, non è però stata inserita tra le prime pagine e, cosa ancor più inusuale, è stata data in maniera “secca” e, cioè, senza alcuna spiegazione tecnica o alcun commento specifico relativo al fatto accaduto. Di seguito, per permettere ai nostri lettori di farsi un’idea precisa, riportiamo in maniera integrale il lancio di Reuters.

Titolo: Italia, specialisti disertano riapertura Btp in asta venerdì

“È andata deserta la riapertura odierna dei titoli del Tesoro italiano in asta venerdì scorso. Nessuno dei primary dealer ha avanzato offerte, lasciando l’ammontare complessivo invariato alla cifra di 7,001 miliardi collocata venerdì.

Il Tesoro aveva messo a disposizione l’importo supplementare di 1 miliardo di euro per il Btp giugno 2015, di 174 milioni per il Btp febbraio 2017 e di 126 milioni per il Btp febbraio 2037”

crisi italiaLa notizia, data in questo modo, può lasciare spazio ad un numero corposo di illazioni e considerazioni anche catastrofiste. Di primo acchito, difatti, si potrebbero valutare i dati riferiti in maniera molto negativa ed allarmante, traducendo e sintetizzando la mancata vendita dei Btp con un futuro default già previsto per l‘Italia dopo la debacle della Grecia e gli imminenti crolli preventivati per Spagna e Portogallo. I grossi investitori, infatti, evitano di acquistare i Btp (titoli di stato) qualora vengano proposti da economie nazionali reputate a rischio o comunque poco affidabili. Vendere pochi Btp è un dato, non venderne nemmeno uno può essere considerato particolarmente significativo. Ciò che colpisce, comunque, è il fatto che nell’articolo non ci sia alcun riferimento al rendimento effettivo di tali titoli (è anche in riferimento a quel dato, e cioè a quanto frutteranno in futuro, che i Btp risultano più o meno appetibili). Onde evitare mistificazioni ed avventate conclusioni allarmiste, ci siamo affidati al parere di due esperti del settore. Il primo è Luigi Cobianchi, consigliere d’amministrazione dell’immobiliare del gruppo Bancario Banca di Credito Popolare.

Come valuta la notizia diffusa da Reuters?

“Beh di sicuro non positivamente ma attenzione: i rating sono spesso manovrati dai grandi potentati economici che agiscono da speculatori senza scrupoli e, per tale motivo, spesso non dicono il vero riguardo l‘effettiva affidabilità del sistema economico e finanziario di uno Stato… In ogni caso sono evidenti e difficilmente confutabili i segnali di sfiducia che colpiscono tutte le nazioni che fanno parte dell’eurozona ed in particolare il nostro paese”

Colpa della crisi, ovviamente?

“Certo e poi teniamo a mente una cosa fondamentale: si è passati dal sospetto alla bancarotta vera e propria che, per anni, è stata solo faticosamente rimandata e nascosta con manovre di bilancio abilmente ritoccate per far apparire sane le casse dello stato che in realtà erano dissestate”.

Ad esempio?

“Ad esempio basta considerare la Grecia: da tempo, ad Atene, dichiaravano dati di bilancio fuorvianti (con manovre al limite del lecito per nascondere le difficoltà enormi che devastavano l‘economia ellenica). I risultati li abbiamo visti tutti direi”.

titoli di statoMa quindi perché quell’asta dei Btp italiani è andata deserta?

“Prima di tutto occorrerebbe sapere che rendimento avevano questi Btp specifici per poter valutare al meglio il loro scarso appeal nei confronti degli investitori. I titoli di stato, come noto, sono comunque sempre poco fruttuosi poiché, al contempo e come contropartita, godono di una certezza d’incasso piuttosto solida. Di conseguenza il concetto è relativamente semplice: se il titolo di stato non si vende è per colpa del debito pubblico che ha accumulato chi lo ha messo sul mercato nazionale ed internazionale e che, di conseguenza, priva il Btp della propria caratteristica intrinseca e cioè di un rendimento tendenzialmente basso ma certo”.

Cosa ha salvato l’Italia dal tracollo e cosa potrebbe procurare il default anche qui?

“Alla prima domanda rispondo senza esitazioni: ci ha salvati una politica economica e finanziaria diversa da quella americana e, cioè, basata su beni materiali tangibili e non su forsennate speculazioni inerenti al settore terziario e dei servizi e basate, quindi, sul nulla o comunque sul molto incerto. Ci hanno salvato, poi, il cosiddetto “mattone” e l’industria pesante. Il punto – e con questo rispondo al secondo quesito – è che però oggi il primo settore – quello immobiliare – è del tutto impazzito ed è gestito in prevalenza da costruttori miopi che esigono fitti altissimi anche per delle cantine. Oggi quasi nessuno può permettersi un appartamento dignitosamente grande proprio perché, chi li vende, richiede cifre assolutamente scriteriate che porteranno in breve ad un collasso dell’intero sistema. Riguardo l’industria pesante che dire: stanno smantellando pian piano tutto ciò che di buono era stato creato e basta guardare a Pomigliano e a Termini Imerese – giusto per fare qualche esempio – per comprendere il suicidio al quale stiamo andando incontro”.

Dunque è finita? Dobbiamo prepararci al peggio

“L’Italia è piena di catastrofisti e di ottimisti in malafede. Io dico che la crisi è tutt’altro che ridotta e che, anzi, tende a raggiungere nei prossimi mesi dimensioni preoccupanti. Ciò perché non investiamo sulle eccellenze ma anzi le umiliamo. Negli ultimi 10 anni le maestranze italiane hanno perso know how in maniera spaventosa e questo ha favorito la manodopera straniera…se non si pone un argine allo smantellamento di ciò che ci ha salvato – non lasciandosi sedurre troppo da investimenti enormi nel settore terziario e dei servizi- e non si pone un freno alla speculazione selvaggia cui siamo vittime, non prevedo un futuro roseo. Quasi dimenticavo, prima, di citare le grandiose famiglie italiane che, grazie al loro risparmio accumulato con tanti sacrifici, sono tra gli elementi salva bilancio pubblico fondamentali della penisola. Tremonti dovrebbe pensare piuttosto a combattere il credito al consumo che è una piaga vera e propria e che sta distruggendo noi dopo aver distrutto gli Stati Uniti. Occorrerebbe, allo stesso tempo, un percorso di educazione alla moderazione da fare ai più piccoli e ai giovani in genere; per far intendere loro che il consumismo sfrenato ci ucciderà e che, se guadagni 10, non può spendere 20 e vivere di debiti e “comode rate da pagare“ a mo di vitalizio debitorio…”.

Concludendo?

“C’è bisogno per rilanciare l’economia attraverso una seria e concreta campagna di investimenti verso le parti di questo paese che hanno maggior bisogno di rilancio…tra queste ricordo proprio il meridione. A tal proposito mi sia consentito uno sfogo: per i 150 anni dell’Unità d’Italia non ho nulla da festeggiare date le ruberie generalizzate che la mia terra ha subito e continua a subire ancora oggi. In ultimo, e qui rischio di diventare ripetitivo, occorre smettere di dire che si vuole investire in ricerca ed università e cominciare a farlo sul serio visto che, da decenni, ogni governo non ha fatto altro che togliere risorse a questi due settori vitali per lo sviluppo dello stato”.

Il secondo esperto di settore che abbiamo voluto ascoltare è il professor Antonio Coviello , docente alla Sun (Seconda Università di Napoli) ed economista del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).

Professer Coviello come commenta i dati riportati da Reuters? C’è da preoccuparsi per un imminente default della nostra economia?

“Beh io eviterei a tal proposito allarmismi ingiustificati e vi spiego perché: prima di tutto è anche comprensibile che, gli investitori, in questo periodo di odissee economico-finaziarie, siano più prudenti alla luce dei gravi giudizi negativi e dell’abbassamento improvviso dei Rating di Spagna e Portogallo. E’ innegabile, infatti, che si sia verificata una contrazione generalizzata degli investimenti e che, soprattutto in Italia, esista la consapevolezza di avere il debito pubblico più pesante tra i paese dell‘eurozona”.

debitoCome ha reagito l’Italia alla crisi globale?

“Il nostro paese è caratterizzato da una forte cultura del risparmio a differenza degli Stati Uniti (dove le famiglie medie sono molto più indebitate rispetto alle nostre) e questo, sicuramente, ci ha aiutati ad ammortizzare meglio di molti altri il duro scossone partito dall‘America. In Italia esiste poi una forte rete di piccole e medie imprese – oltre il 90% della forza lavoro proviene dalle piccole e medie imprese – caratterizzate spesso da una conduzione familiare responsabile di una gestione oculata e parca degli investimenti. L’unico problema resta quello del debito pubblico che non riguarda solo il governo nazionale ma anche quelli regionali e locali ed è proprio a livello locale, a mio avviso, che si dovrebbe agire con maggior celerità ed efficacia nei prossimi mesi”.

Quindi come descrive la situazione economico-finanziaria dell’Italia di oggi?

 “Sicuramente non delle migliori; anzi è la più difficile e grave dell’ultimo decennio ma ribadisco una solidità riscontrata nella cultura del risparmio di chi in questo paese ci vive. Sempre che si tenga presente, ovviamente, l’enorme debito pubblico che ci affligge e si proponga un programma di contenimento della spesa soprattutto in ambito locale”.

Fonte: Julienews.it

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Belgio: il laboratorio d’Europa ha fallito

postato il 17 Giugno 2010

cartina_belgio

di Daniele Coloca

La costruzione di confini pare accompagnare l’intera storia umana. E’ ormai assodato, come riportato in altri articoli, che alla base delle distinzioni più generali che le società sono capaci di instaurare, per esempio quelli tra “noi” e “loro” vi sia una continua opera di “costruzione di confini”. Queste distinzioni sono sempre ottenute mediante l’enunciazione di discorsi che hanno lo scopo di produrre delle specificità, a cui ricondurre la propria identità definita in contrapposizione ad altre.

Nel mondo odierno l’identità è divenuta problematica, di fronte alla crisi dei governi ed all’attuale crisi economica, la de-nazionalizzazione spinta dalla globalizzazione, innesca reazioni di rigetto da parte di gruppi che nei nuovi scenari vedono una minaccia alle autonomie locali, la gente sente i nuovi centri decisionali come qualcosa di lontano , irraggiungibile , incontrollabile e li guarda con sospetto. A questo punto lo scenario diventa inquietante.

Il paesaggio sociale europeo e  mondiale, sembra oggi, essere cambiato irreversibilmente, infatti è ormai sempre più frequentemente evidenziata la difficoltà di assicurare una forza vincolante che mantenga unito l’ordinamento politico. Dai Balcani alla Palestina, dal terrorismo islamico all’esplosione in India del fondamentalismo indù, per arrivare al conflitto tra fiamminghi e valloni in Belgio, evidenziato nelle recenti elezioni del 13 Giugno, su cui ci vogliamo soffermare.

Il Belgio è uno Stato federale suddiviso in tre regioni: le Fiandre nederlandofone a nord, la Vallonia francofona a sud e Bruxelles, capitale bilingue in cui sia il francese che il fiammingo sono lingue ufficiali, comunità, che vivendo ormai in maniera indipendente l’una dall’altra, hanno progressivamente smarrito il sentimento nazionale che le aveva portate a formare uno Stato unitario.

Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, l’economia vallone, fondata su produzioni che entravano in crisi come l’acciaio e il  carbone, ha perso sempre più colpi a fronte di uno sviluppo fiammingo che perdeva i suoi tratti rurali e diveniva assai più attento alle innovazioni e all’export. Sempre più gli abitanti del nord sentivano quelli del sud come una palla al piede e sempre meno ne tolleravano le residue pretese, come quella di mantenere il bilinguismo, per chi lo volesse, in nome di un elementare diritto civile.

La tensione ha portato a una serie di arruffati aggiustamenti fino alla riforma del 1993, la quale in nome del federalismo ha creato un complicatissimo edificio istituzionale che nel giro di qualche anno avrebbe generato una quantità impressionante di conflitti nei quali la destra fiamminga riversava tutto il risentimento accumulato contro i «parassiti» valloni. La tensione tra la Fiandra fiamminga e la Vallonia francofona è dovuta soprattutto al fatto che la Vallonia ha grandi difficoltà, a causa della disoccupazione e della dipendenza dall’assistenza sociale. I movimenti separatisti fiamminghi vogliono dividere il paese per evitare che le Fiandre paghino per il Sud. Si pensi che il motivo del fallimento del governo di Yves Leterne, che ha portato alle elezioni di domenica, è dovuto ai contrasti all’interno della maggioranza, nati per le divergenze linguistiche tra fiamminghi e francofoni.

Il trionfo alle elezioni del 13 giugno, degli scissionisti fiamminghi del N-Va ha scosso il Belgio e l’Europa intera. È vero che la cosa era nell’aria da tempo, visto che nel paese della birra e delle patatine fritte da molto tempo spira un’aria nordista non dissimile da quella che ha fatto le fortune della Lega da noi, ma ora i timori di molti sono divenuti realtà.

Sono evidenti le analogie con quanto sta accadendo in Italia. Il Nord che si sente «schiavo» delle arretratezze del Sud, la Lega Nord che cavalca la stessa tigre demagogica dell’identità da affermare contro gli “altri”. Nell’attuale crisi politica e sociale, il Sud dell’Italia come nel Belgio, rischia di essere “tagliato fuori” dalla ridistribuzione delle risorse, e ridotto ad un “collettore di voti per disegni politici ed economici estranei al suo sviluppo.

Le «genti del Sud», siano «le protagoniste del proprio riscatto, ma questo non dispensa dal dovere della solidarietà l’intera nazione”. La prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo “accentuasse” la distanza tra le diverse parti di una nazione. Potrebbe invece rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale, se riuscisse a contemperare il riconoscimento al merito di chi opera con dedizione e correttezza all’interno di un “gioco di squadra”.

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Casini a Uno Mattina: in Germania accorpano i Lander, in Italia si rafforzano le province

postato il 17 Giugno 2010

provinceHo letto stamani che la Merkel si pone il problema di accorpare i Lander, storica ossatura della Germania Federale. In Italia in risposta prima si volevano abolire 10 province, poi cinque, poi zero e per ultimo ieri il Parlamento italiano ha addirittura discusso come aumentarne le competenze.
Questa manovra deve essere fatta, e se possibile sostenuta, ma che sia il momento delle scelte importanti se vogliamo essere certi di ricollocare il debito. Il mio timore è che si tratti di una “spazzolatina” quando altrove hanno compiuto e compiono scelte molto più consistenti.
C’è ancora una grande confusione, ma io non mi stancherò di parlare il linguaggio della riconciliazione nazionale.

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C’è bisogno di un governo europeo

postato il 10 Maggio 2010

Votare il decreto salva-Grecia è un dovere e un atto di responsabilità. Ma per affrontare questa crisi, oltre all’impegno internazionale dei governi con iniziative che riguardino anche la Banca centrale europea, c’è bisogno di un governo europeo. Altrimenti mandiamo la nostra moneta nel mare magnum della speculazione, senza nessuna difesa.

Pier Ferdinando

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Iran e Yemen, l’Unione europea non proceda in ordine sparso

postato il 4 Gennaio 2010

Le situazioni dell’Iran e dello Yemen preoccupano profondamente: e’ il momento di mostrare nervi saldi, ma soprattutto di trovare una posizione unitaria all’interno dell’Unione europea.
Per questo condividiamo la richiesta del ministro Frattini di un urgente coordinamento europeo nella crisi in atto. Per la stessa ragione giudichiamo molto negativamente la chiusura unilaterale delle ambasciate inglesi e francesi.
Ci sono momenti storici in cui e’ necessario dimostrare la propria consistenza politica e diplomatica: queste decisioni evidenziano un’Europa che procede in ordine sparso e che rinuncia a dispiegare una propria autonoma e unitaria iniziativa. [Continua a leggere]

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Il crollo del muro di Berlino

postato il 7 Novembre 2009

Muro di BerlinoEra il 13 agosto del 1961 quando le unità armate della Germania dell’est cominciarono ad erigere la cosiddetta “striscia della morte”. Un muro di calcestruzzo lungo 106 chilometri e alto tre metri e 60 centimetri (più altri 127 chilometri di recinzioni fortificate e filo spinato) destinato a separare per 28 anni Berlino est da Berlino ovest. Una barriera “che avrebbe diviso le famiglie in due e tagliato la strada tra casa e posto di lavoro, scuola e università. Non solo a Berlino ma in tutta la Germania il confine tra est ed ovest diventò una trappola mortale. I soldati ricevettero l’ordine di sparare su tutti quelli che cercavano di attraversare la zona di confine che con gli anni fu attrezzata con mine anti-uomo, filo spinato alimentato con corrente ad alta tensione, e addirittura con degli impianti che sparavano automaticamente su tutto quello che si muoveva nella “striscia della morte”. [Continua a leggere]

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Difendere l’identità cristiana significa difendere noi stessi

postato il 3 Giugno 2009

In Europa dobbiamo difendere l’identita’ cristiana del nostro Paese.
Chi viene in Italia deve venire accolto con apertura ma noi non dobbiamo vergognarci di dire chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare. Difendere la nostra tradizione cristiana significa difendere noi stessi, la nostra storia perché noi ci fermiamo la domenica e non il venerdì, perché non abbiamo ammesso nella nostra società la poligamia, perché non accettiamo l’infibulazione delle donne, i matrimoni combinati tra bambini, siamo per la parità tra uomo e donna, noi crediamo nella libertà religiosa.
Siamo figli della nostra civiltà e la nostra civiltà e’ figlia di quelle radici giudaico-cristiane. Affermare queste radici non significa fare un atto di fede, significa difendere noi stessi.

Pier Ferdinando

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