Tutti i post della categoria: Economia

Un salvagente alle famiglie: la moratoria verso Equitalia

postato il 25 Maggio 2011

L’Udc si appresta a lanciare un salvagente alle famiglie per tenerle a galla: ieri è stata ufficializzata la proposta per una moratoria di un anno verso le procedure di esazione crediti poste in essere da Equitalia.

Che significa nel concreto? Significa aiutare circa 6 milioni di famiglie e piccoli imprenditori, che hanno problemi a pagare i crediti vantati da aziende ed Enti (ad esempio INPS) e riscossi da Equitalia.

Questo aiuto avviene sottoforma di moratoria, ovvero bloccando per un anno le procedure di riscossione verso i soggetti che realmente versano in stato di bisogno.

Bisogna però precisare che Equitalia è  solo il braccio di chi vanta il credito e che non può rifiutarsi di agire, ma è anche vero che evidentemente c’è qualcosa che non va nella legge.

La nascita di Equitalia doveva servire a sbloccare molte situazioni pendenti e permettere agli enti pubblici di potere esigere con facilità e velocemente i propri crediti, e questa è una buona cosa, purtroppo però le buone intenzioni sono state tradite da una legge che oggettivamente è molto poco flessibile, soprattutto poi se andiamo considerare come lo Stato tratta i i suoi fornitori: i pagamenti avvengono sempre con grandi ritardi mettendo in crisi i fornitori (ricordiamo che in media solo nel settore sanitario, i privati vantano circa 60 miliardi di euro di crediti verso lo Stato).

L’Udc, tenendo conto di queste situazioni e in una ottica costruttiva e di massima collaborazione verso le istituzioni, ha deciso di iniziare una battaglia che cambi totalmente lo status quo.

La mozione dell’Udc invita il governo, inoltre, ‘a considerare la possibilita’ di ridurre gli interessi delle sanzioni annesse, di prevedere un aumento del numero massimo di rate concesse nelle rateizzazioni da Equitalia (fino a 120 rispetto alle attuali 72) nonché di concedere la possibilità di compensare i debiti nei confronti di Equitalia con i crediti verso enti pubblici’.

Altro punto molto interessante è quello rivolto ad ‘iniziative normative volte a utilizzare sui territori regionali i profitti che Equitalia matura dalla riscossione dei tributi insoluti’ e ‘l’istituzione di un fondo di garanzia a sostegno delle imprese in difficolta’ per le pendenze e che si troverebbero costrette a licenziare i dipendenti e fallire’.

Questi punti sono molto interessanti perchè legano direttamente la riscossione delle somme al loro utilizzo: è chiaro che se le somme riscosse vengono utilizzate sul territorio abbiamo due vantaggi, il primo è quello di attenuare l’effetto vessatorio migliorando o fornendo servizi alla comunità; il secondo è che in questo modo il cittadino si sente “incoraggiato” a mettersi in regola.

E’ ovvio però che la mozione Udc è solo un primo passo (anticipato da tante azioni da parte del Consigliere Regionale UDC Alberto Goffi) e nessuno deve pensare che esaurisca il discorso: il problema potrebbe ripresentarsi nella stessa drammatica emergenza, anche tra un anno, quando scadrà la moratoria. Allora sarà necessario rivedere tutti i meccanismi di legge che stanno alla base delle poltiche di riscossione crediti.

In questo senso sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione con i cittadini che in prima persona vivono questa situazione e che forse più di tanti altri, possono indicare dove il sistema è migliorabile.

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Dal governo solo spot, noi chiediamo fatti

postato il 24 Maggio 2011

Mozione Udc alla Camera, moratoria per imprese e famiglie in difficoltà

Al governo che fa solo spot e si occupa di baggianate, come il trasferimento dei ministeri, noi chiediamo di occuparsi dei problemi veri della gente.
Gli evasori fiscali che si nascondono la fanno franca, mentre sei milioni di famiglie coinvolte in misure cautelari Equitalia sono in difficoltà per la crisi e magari anche per i ritardi nei pagamenti dello Stato stesso.
Vogliamo che il governo intervenga subito, non con spot elettorali ma in Parlamento. Un Paese civile deve distinguere tra evasori fiscali e persone per bene che non ce la fanno a pagare per la crisi economica.
L’Udc propone una mozione che impegna il governo a promuovere una ristrutturazione dei debiti tributari; valutare la possibilità di chiedere una moratoria per imprese e famiglie con obiettive difficoltà economiche; ridurre gli interessi delle sanzioni annesse e aumentare le rate concesse; istituire un fondo di garanzia a sostegno delle imprese; destinare i profitti di Equitalia sui tributi insoluti ad un fondo di sostentamento per famiglie e lavoratori autonomi in difficoltà.

Pier Ferdinando

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Parmalat: verso un epilogo scontato

postato il 26 Aprile 2011

Oggi Lactalis ha ufficializzato una OPA su Parmalat al prezzo di 2,6 euro con l’obiettivo di creare il primo gruppo lattiero-alimentare del mondo. Questo sembra essere l’epilogo di una battaglia che si è consumata più sulle pagine dei giornali e tramite dichiarazioni, spesso vuote, più che tramite il mercato e che vede una azienda italiana acquistata da una azienda francese.

Di tutta questa vicenda, noi non critichiamo Lactalis, e non lo abbiamo fatto neanche prima in tempi non sospetti, critichiamo però il ruolo e l’intervento del governo. Un governo che prima “castra” le aspettative dei fondi esteri, regolando la distribuzione dei dividendi tramite il decreto milleproroghe; la reazione dei fondi è stata quella di vendere le loro quote a Lactalis; a questo punto il governo decide, in un impeto di nazionalismo fuori luogo, di provare a lanciare una “cordata italiana” come fu per Alitalia asserendo che bisgonava difendere le aziende strategiche del paese. Quest’ultimo intento è lodevole, ma lo strumento usato per difendere questa italianità è profondamente sbagliato: usare la Cassa Depositi e Prestiti come bancomat asservito alle logiche politiche è profondamente sbagliato. Mischiare Economia e Politica porta solo danno e lo si è visto in più occasioni (giusto per citarne una, direi Alitalia), dove, per riparare ai danni compiuti da una gestione scellerata, i cittadini hanno dovuto mettere mano al portafoglio.

Per fortuna questa volta, sembra che non sia accaduto, ma non per merito del governo, ma semmai per demerito di esso che ha avuto un atteggiamento velleitario e inconcludente a cui i francesi hanno risposto con i fatti. A questo non possiamo non associare anche una certa ritrosia degli imprenditori italiani, che sembrano avere una incapacità congenita nel misurarsi con il mercato e con le sue regole preferendo, spesso, una soluzione “Politica”. Quest’ultimo punto è molto triste, perchè le eccellenze, in campo manageriale, le abbiamo, basti pensare a Fiat che acquista Chrysler, o le piccole e medie imprese, sostegno economico del paese, che spesso sono abbandonate a loro stesse.

Ora, berlusconi afferma che l’OPA di Lactalis non è ostile. Ma stiamo scherzando? Ma crede davvero che gli Italiani hanno così poca memoria? Ma se il suo governo per settimane ha dichiarato sempre che bisognava impedire che Parmalat fosse acquistata dagli stranieri.

L’uscita odierna di Berlusconi è obbligata, la sua “cordata” si è dissolta come neve al sole: Ferrero non è mai stato realmente della partita, Granarolo voleva entrare in Parmalat da padrone e senza mettere un euro (ma anzi vendendo i suoi asset a Parmalat per 500 milioni di euro, nonostante i problemi con l’antitrust), le banche non intendevano mettere i soldi, e non vi era un piano industriale. La mossa dei francesi permette a Berlusconi di salvare la faccia senza riconoscere che manca una politica governativa economica, ma gli italiani non sono stupidi e se ne sono ormai resi conto da tempo.

Intanto un’altra azienda va all’estero, e ci auguriamo che venga gestita bene e che possa generare sviluppo per gli azionisti (intesi come piccoli risparmiatori) e per i lavoratori italiani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati


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Governo drammaticamente assente

postato il 9 Aprile 2011

Scossa a Costituzione è solo fumo

La riforma della Costituzione è un’altra delle scosse epocali che Berlusconi vuole dare, cioè fumo, perché l’arrosto non arriva mai. Infatti, i temi veri dell’immigrazione e dell’economia non vengono mai affrontati. Su questo il nostro governo è drammaticamente assente e confuso. Berlusconi si diverte a parlare di tutto, compreso il bunga bunga, ma non delle cose che riguardano gli italiani: le famiglie stanno scivolando nell’area della povertà e la scossa epocale all’economia non si è  vista.

Pier Ferdinando

 

 

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Governo, serve alternativa per lo sviluppo

postato il 7 Aprile 2011

Dobbiamo creare un’alternativa per far riprendere all’Italia la strada dello sviluppo. Un Paese che non cresce è un Paese che muore, che continua a produrre disoccupati, soprattutto tra i giovani e le donne del Sud.
C’è bisogno di colpire le speculazioni finanziarie, escludendo naturalmente bot e cct. Perché è giusto prevedere che le fasce più ricche corrispondano con una maggiore disponibilità all’emergenza della crisi economica.
Bisogna poi avere il coraggio di dire basta ai tagli lineari, una evidente rinuncia a fare scelte politiche di cui a palazzo Chigi non sono capaci. Gli sprechi vanno colpiti dove ci sono, mentre con questi tagli si danneggiano i servizi sociali dei cittadini e lo si fa con lo scopo di trasferire sulle spalle dei più deboli l’enorme debito pubblico. Non a caso, una parte del ceto medio sta precipitando verso il disagio e la povertà.

Pier Ferdinando

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Uno sguardo di insieme alla Cassa depositi e Prestiti

postato il 6 Aprile 2011

In questi giorni si fa un gran parlare della possibilità per la Cassa Depositi e Prestiti di intervenire direttamente nella compagine azionaria di Parmalat e di eventuali altre società.

Premesso che questa non è una novità, in quanto la CDP ha già grosse partecipazioni in Enel, ENI, terna, Finmeccanica, le Poste italiane e così via, mi chiedo se sia necessari ol’intervento della CDP su Parmalat.

Più in generale bisogna chiedersi quale debba essere il ruolo della CDP.

Tremonti vagheggia una nuova IRI, ma al di là degli indubbi meriti che ha avuto l’IRI nell’economia italiana, dobbiamo anche ricordare i grossi problemi che ha generato la commistione di politica ed economia: le crisi bancarie del 1893 che quasi cancellarono il Banco di Roma, le crisi industriali del periodo giolittiano, e, restando ad esempi molto vicini, la gestione allegra di Tirrenia, Alitalia, e così via.

Questi sono dati di fatto, se vogliamo creare una struttura similare, dobbiamo avere chiaro in mente che a governare tale struttura non deve essere un politico o un tecnico nominato dalla politica, ma che questa nuova creatura deve avere uno scopo chiaramente di tipo economico: fare investimenti che incoraggino l’economia italiana e che generino rendimenti e ritorni. Non deve elargire denaro per mantenere in vita centri di potere politico, ma deve fornire denaro per rendere concreti progetti di sviluppo economico.

Se invece si mira ad una commistione tra politica ed economia, presto o tardi osserveremmo un contrasto insanabile tra queste due anime: tipico esempio è il contrasto che stanno vivendo le Generali, dove, notizia di oggi, Geronzi, manager che è stato criticato per “l’uso politico” che ha fatto della sua carica di guida delle Assicurazioni Generalisi è dovuto dimettere perchè gli altri consiglieri e soci di Generali non potevano più tollerare questa invasione della politica.

Tornado al ruolo della CDP, mi sorprende che si stia spingendo la CDP a intervenire in Parmalat, e non altrettanto si stia facendo per un intervento in Fondiaria SAI, società che potrebbe vedere grossi acquisti da parte dei francesi di Groupama. Per altro, Fondiaria SAI, gestita da Ligresti, sta avendo grossissimi problemi di liquidità e solidità patrimoniale, tanto che senza l’intervento pesante di Unicredit nel fornire liquidità, Ligresti avrebbe dovuto attivare le procedure di chiusura per la società.
Perchè la CDP non interviene in questo caso? Anzi, perchè la politica non parla della possibilità che Groupama, francese, entri pesantemente nell’impero di Ligresti?

Altro punto da considerare: oggi il Portogallo ha proceduto ad una asta di titoli di Stato. Avevo già parlato della possibilità di “svenarsi” per quei paesi a rischio di solvibilità, anche in relazione ad un possibile aumento dei tassi da parte della BCE, e all’epoca avevo detto che Bini Smaghi sbagliava a giustificare l’aumento dei tassi. Ebbene oggi, il Portogallo bussa alla porta del mercato dei capitali: raccoglie denaro a breve termine ma si svena. Lisbona ha emesso 455 milioni di euro in titoli di stato a 12 mesi pagando il 5,90% di interessi annui, nella precedente asta dello scorso 16 marzo, quando aveva raccolto 1 miliardo a un anno, il costo dell’operazione era stato pari al 4,33% all’anno. In appena 20 giorni, il mercato, per prestare soldi per 12 mesi al Portogallo, chiede interessi piu’ alti dell’1,57%, una vera enormità. Emessi anche 550 milioni di titoli a sei mesi a un costo elevatissimo pari al 5,11% all’anno. Cosa accadrebbe se una cosa similare avvenisse alla prossima asta di titoli di stato italiano?

E allora forse è meglio che la CDP sia pronta ad intervenire in quel caso per evitare che gli interessi pagati dallo Stato italiano vadano fuori controllo.

Come si vede i fronti sono tantissimi e a mio avviso, focalizzarsi solo su Parmalat e su una possibile rinascita dell’IRI senza un chiaro piano di intervento, è non solo velleitario, ma anche pericoloso.

Le decisioni che coinvolgono il denaro dei cittadini devono essere prese in una logica di tipo economico e non in una logica politica guardando alle scadenze elettorali.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Parmalat: il latte è scaduto

postato il 22 Marzo 2011

Sembra che sia giunta al termine la battaglia per il controllo di Parmalat, infatti Lactalis sale al 29% in Parmalat grazie ad un accordo con i tre fondi esteri (i quali fino a due giorni prima avevano pubblicamente dichiarato di preferire una soluzione “italiana”) che detengono il 15% del gruppo lattiero italiano. In un comunicato Lactalis rende noto di aver raggiunto un accordo con i fondi Zenit, Skagen e Mackenzie Financial per l’acquisto di tutte le azioni Parmalat da essi detenute che rappresentano il 15,3% del capitale al prezzo di 2,80 euro per azione.

Questa notizia è il suggello della incapacità di questo governo di determinare una politica economica che sviluppi l’economia e le imprese italiane.

Cosa ha fatto il governo italiano in questa vicenda? A mio avviso solo danni.

E’ un giudizio duro, senza alcun dubbio, ma fin dall’inizio e molto prima di altri, avevamo fatto rilevare l’incapacità del governo a gestire questa vicenda in particolare e la mancanza di una politica economica organica.

Il governo prima è intervenuto bloccando i 3 fondi esteri, che chiedevano di sostituire i vertici dell’azienda per fare acquisizioni o distribuire l’enorme liquidità di Parmalat (ottenuta tramite le varie azioni legali contro le banche). Poi, quando lo scontro è entrato nel vivo, si è defilato.

Infine, quando i francesi di Lactalis sono scesi in campo, in fretta e furia il Governo ha pensato di entrare in campo. Come? Con i soliti spot elettorali e con norme ad hoc (parafrasando le vicende dei provvedimenti in campo della giustizia, potremmo dire con “norme ad aziendam”) per evitare che i francesi potessero scalare la società.

Ovviamente i Francesi non sono rimasti a guardare e mentre si discuteva per una cordata italiana, per un campione nazionale, per una norma e così via, hanno fatto la cosa più semplice: hanno ragigunto un accordo con i fondi, per raggiungere una quota di controllo sufficientemente ampia da metterli al riparo da altre cordate. Per altro, questa quota è al 29%, sotto la soglia di OPA obbligatoria. Quale è il possibile scenario?

A mio avviso, la partita si è chiusa, a meno che non si formi davvero una cordata italiana che voglia lanciare una OPA per acquistare Parmalat. Ma è credibile che si materializzino in meno di un mese questi imprenditori italiani per lanciare una OPA che verrebbe a costare circa 3 miliardi di euro?

L’unico big italiano capace di attuare una cosa simile è Ferrero, ma su questa ipotesi gli analisti sono dubbiosi: le due aziende operano in rami differenti e le uniche sinergie sarebbero nella distribuzione dei prodotti e merende da frigo; un po’ poco per giustificare una acquisizione che si preannuncia difficile e particolarmente onerosa.

In tutto questo, chi fa le spese è il piccolo risparmiatore, ma soprattutto l’economia italiana che ha dimostrato ancora una volta di essere ormai terra di conquista (salvo poche eccezioni come Fiat, Unicredit e Finmeccanica) e che paga il dazio della mancanza di una politica economica.

Ed è questo il punto: un governo degno di tale nome non dovrebbe solo limitarsi a fare la stretta contabilità come Tremonti, né dovrebbe limitarsi a fare una norma ad hoc di volta in volta. Un governo serio dovrebbe lanciarsi nell’ideare e garantire una politica economica che si fonda su investimenti produttivi, norme certe per incoraggiare gli investimenti italiani ed esteri e che sia da supporto per le aziende italiane: purtroppo basta andare all’estero per rendersi conto che i proclami restano appunto tali. Si parla di lanciare il turismo italiano, ma poi si nota che l’Italia è assente dalle grandi fiere del turismo, e non stringe accordi con le Camere di commercio estere.

A questo punto, mi chiedo se, l’unico posto dove trovare il governo e interloquire con lui, non siano i festini di Arcore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Le lezioni dimenticate della crisi economica

postato il 11 Marzo 2011

Lorenzo Bini Smaghi, membro del Comitato esecutivo della BCE, ha illustrato un paio di giorni fa il motivo per il quale occorre che i tassi di interesse crescano e le lezioni che questa crisi ha impartito.

Sinceramente, con tutto il rispetto per il dott. Bini Smaghi, non sono pienamente convinto di quanto da lui sostenuto.

La lezione impartita da questa crisi è la stessa delle altre crisi precedenti che è stata prontamente dimenticata: pensiamo alla crisi seguita alla bolla dei titoli Internet o alla crisi delle tigri asiatiche (1998), e potrei continuare con altri esempi. Le crisi ci sono sempre state e hanno sempre avuto dei tratti in comune, come hanno affermato illustri studiosi tra cui Galbraith: né le regolamentazioni, né le conoscenze economiche sono sufficienti a proteggere individui e istituzioni finanziarie dai ritorni di euforia, che conducono regolarmente a straordinari incrementi di valori e di ricchezza, alla foga per parteciparvi, che spinge verso l’alto i corsi, e poi al crollo, con i suoi postumi tetri e dolorosi.

E a nulla valgono gli avvertimenti perché durante l’euforia si viene irrisi e tacciati di volere danneggiare le persone, come accadde, giusto per fare un esempio famoso, a Paul Warburg che aveva messo in guardia tutti dalla “sfrenata speculazione” e disse che, se ciò fosse continuato, ci sarebbe stato un crollo disastroso. Le reazioni furono violente, e lo hanno accusato di volere “mettere a repentaglio la prosperità della società”. Anche Babson, economista e statista, predisse un crollo dando ragione a Warburg. Anche lui fu accusato dai suoi colleghi, di volere remare contro la società. Poi i fatti hanno dato ragione a queste due persone. Era il 1929 e, per inciso, Warburg era il fondatore della Federal Reserve americana.

Frasi e situazioni similari si troveranno sempre, basta che si studi la storia economica e le crisi finanziarie con mentalità aperta. Dopo ogni crisi si parla di lezioni imparate, di errori che non si devono ripetere, ma poi, passa il tempo, e la memoria storica delle crisi finanziarie sbiadisce, facendo ricominciare tutto.

Per questo dubito, quando Bini Smaghi parla di “lezioni imparate dalla crisi”.

Non sono neanche d’accordo quando parla della opportunità di un aumento dei tassi di interesse che, secondo lui, dovrebbe avvenire a breve.

Perché non sono d’accordo?

Perché secondo me è ancora presto e perché la BCE dovrebbe prima risolvere alcuni problemi e contraddizioni che accompagnano la sua nascita.

Cerco di spiegarmi meglio.

Mentre la Federal Reserve ha, tra i vari compiti, quello di agevolare e difendere la crescita economica, quindi mettendo la lotta all’inflazione in subordine a questo scopo (anzi la lotta all’inflazione diventa solo uno strumento per difendere la crescita economica), la BCE è nata con un unico scopo, la lotta all’inflazione. Proprio per questo motivo appena l’inflazione inizia a rialzare la testa, la BCE interviene immediatamente, perché non può fare diversamente, essendo il suo unico scopo (e quindi la crescita economica passa in secondo piano).

Quindi in ultima analisi abbiamo che le due banche centrali operano con filosofie diverse: la BCE contrasta in tutti i modi l’inflazione agendo sulle leve dei tassi; mentre quella americana usa le leve di comando per stimolare ogni situazione che possa dare slancio all’economia.

A mio avviso guardare solo all’inflazione rischia di mettere a serio rischio la crescita economica, come ha sostenuto Geithner, Segretario al Tesoro degli USA, che dopo un incontro con il ministro delle finanze tedesco, ha invitato l’Unione Europea a trovare un giusto equilibrio tra risanamento del debito e sostegno finanziario, bacchettando implicitamente l’eccessivo rigore a contenere l’inflazione senza intervenire efficacemente sui problemi dei singoli stati.

E proprio questo è il punto: l’Europa ha lasciato ai singoli stati membri l’organizzazione e la risoluzione dei problemi fiscali, ritenendoli un problema esclusivamente interno si trova adesso nella scomoda posizione di non poter definire univocamente i criteri di azione per scongiurare nuove crisi dei debiti sovrani (per intenderci le crisi che hanno colpito Grecia e Irlanda), ma limitarsi a costituire semplicemente un “fondo comune salva stati” che, anche se dotato di 750 miliardi di euro, non potrebbe mai reggere l’urto del mercato che ragiona su ben altre cifre.

Sarebbe stata più adeguata una maggiore coesione e collaborazione, anziché ogni volta mediare posizioni intransigenti come quella tedesca, olandese e austriaca, che grossi problemi di debito non ne hanno, con stati più sensibili ai problemi debitori, maggiormente a rischio di nuove crisi.

E qui veniamo alla mia obiezione principale: alzare i tassi in Europa è, al momento, prematuro.

L’inflazione ha due cause: una endogena e una esogena. Quella endogena, ovvero interna allo stesso sistema, è legata alla crescita economica: maggiore è la crescita economica, maggiore è l’inflazione.

Quella esogena, ovvero esterna al sistema in oggetto (nel nostro caso l’Europa), dipende dai beni importati, principalmente dalle materie prime. E’ indubbio, e lo riconosce lo stesso Bini Smaghi, che attualmente la nostra inflazione è guidata da cause esogene. Può il taglio dei tassi di interesse intervenire su cause esterne? Assolutamente no, perché le banche centrali non riescono più a intervenire sulla dinamica dei prezzi delle materie prime, perché la rimappatura dell’economia mondiale ha dato spazio a nuovi player, peraltro aggressivi, come i paesi emergenti e totalmente fuori controllo da parte della BCE e della FED.
E’ illusorio pensare che i prezzi delle materie prime come petrolio e rame saranno fatti nei prossimi anni da operatori europei e americani, quindi, per quanto riguarda la BCE, è inefficace attuare politiche monetarie restrittive non tenendo conto che l’inflazione è maggiormente importata dalla pressione delle materie prime, che salgono per una maggior richiesta di paesi fuori dall’Unione e che consumeranno sempre di più in funzione di un PIL che cresce da anni a cifra doppia. E questo si vede su tutte le materie prime, anche sugli alimentari.

Aumentare i tassi di interesse, quindi, avrà come risultato quello di raffreddare la crescita economica europea, che lo stesso Bini Smaghi, ha definito ancora incerta, senza riuscire ad intaccare le cause esogene dell’inflazione. Per altro, in questo momento, a causa delle tensioni nel Medio Oriente e in Africa, vi è stato un grosso aumento del prezzo del petrolio e di alcune commodities, che ovviamente genera un aumento del’inflazione, ma, quando queste tensioni spariranno, anche la tensione inflattiva sul petrolio verrà a mancare, determinando quindi un ribasso o quanto meno un calmieramento dell’inflazione.

Aumentare adesso i tassi di interesse rischia di essere un enorme danno per l’Europa: aumenterà i costi per i paesi fortemente indebitati (tra cui Italia e Spagna), generando nuove tensioni sui mercati obbligazionari e valutari, strozzerà le imprese che si troveranno strette tra un aumento dei tassi di interesse (che significa maggiori costi per i finanziamenti) e le tensioni inflattive che non saranno scalfite dalle decisioni della BCE.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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La dura vita di una piccola imprenditrice

postato il 11 Marzo 2011

Vivo a Casalgrande in provincia di Reggio Emilia, ho una PMI a conduzione familiare e da 5 anni ho anche dei dipendenti. Ho iniziato la mia attività con tanto sudore e sacrificio, lavorando 7 giorni su 7, e posso dire che fino a 3 anni fa si lavorava e si riusciva a stipendiarci decentemente per poter portare avanti l’attività.

Poi il mondo mi è caduto addosso, nel senso che il lavoro non manca, ma la politica e le banche ci hanno tagliato le gambe. Da un lato le tasse non fanno che aumentare, dall’altro le banche non aiutano, anzi rendono dura la vita di un piccolo imprenditore: non danno nessun aiuto creditizio, fidi eliminati, rientri in conto corrente in meno di 24 ore, e chi più ne ha più ne metta.
I dipendenti vanno pagati, hanno famiglie da mantenere; i fornitori vanno pagati, altrimenti la materia prima non ce la consegnano e noi non riusciamo a lavorare, ma noi, come piccoli imprenditori, siamo arrivati al fondo del barile!

Ho capito principalmente che il Governo vuole abbattere le PMI e mantenere le grandi aziende, ma questo stesso Governo non capisce che sono le PMI che mandano avanti l’Italia e che arricchiscono le banche. Il Signor Tremonti, il Signor Berlusconi, hanno dichiarato che le banche avevano avuto i loro crediti per sostenere le PMI.

Ebbene io dico: VERGOGNA! Tutte parole spese all’aria, tutte falsità, provate andare in banca e chiedere se realmente quello che hanno dichiarato è realtà…… solo bugie. Personalmente sono stanca di sentire solo i casi di Berlusconi e della sua cricca e spero che tutti gli italiani si sveglino. Lui è un imprenditore e tira l’acqua al suo mulino, non può governare l’italia in questo sistema, prima toglie le tasse e poi le rimette raddoppiate.
E noi Italiani? Ebbene io vedo attorno a me tanti Italiani che hanno paura di parlare, che si svegliano al mattino con la paura di iniziare la giornata, la gente è triste, sfiduciatia, le famiglie non arrivano più alla fine del mese, le famiglie vendono la casa, perché
temono il minimo imprevisto (una malattia, un guasto alla macchina). Spero vivamente e con tutto il cuore che le PMI, i dipendenti, anzi tutti gli italiani percepiscano bene quello che sto scrivendo e che inizino a combattere per le nostre idee, ma soprattutto che i nostri Governanti, governino e non stiano solo a parlare.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Cristina Meglioli

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Parmalat, il silenzio assordante del governo

postato il 4 Marzo 2011

Se non fosse per il Decreto Milleproroghe, che contiene di tutto e di più, si può affermare che il Governo si è dimenticato dell’economia.

In questi giorni, c’è l’aumento dei carburanti, ma il governo non prende alcun provvedimento, tanto paga il cittadino. In questi giorni si discute dei futuri assetti di Parmalat, azienda “gioiello” del settore alimentare italiano, e il governo glissa, dopo avere preso un provvedimento che rischia solo di peggiorare la situazione.

Ma andiamo con ordine.

Dopo che Parmalat è stata “graziata” dalla legge Marzano, è rinata con una proprietà azionaria polverizzata. Nel frattempo è stato messo a capo di Parmalat Bondi, il quale ha adottato una strategia molto prudente, che inizialmente poteva pure andar bene, ora non più. Teniamo presente che Parmalat non ha debiti, produce utili e ha 1,4 miliardi di euro di liquidità che provengono dalle cause risarcitorie che ha vinto. Per statuto, può distribuire come dividendi ai soci solo il 50% degli utili annuali.

Indubbiamente la gestione Bondi produce utili, ma con l’enorme cassa detenuta, la società, secondo gli analisti e gli azionisti, potrebbe intraprendere una strategia di crescita con acquisizioni o distribuire un dividendo più alto.

Proprio per questo motivo, tre fondi di investimento esteri (Skagen, Zenit, e Mackenzie) hanno rastrellato il 15% della società e vogliono proporre una lista alternativa all’attuale Consiglio di Amministrazione, in pratica eliminando Bondi, affinchè l’enorme liquidità di cui sopra venga distribuita con un dividendo straordinario, o serva per fare delle acquisizioni.

Il governo, volendo difendere a tutti i costi Bondi, è intervenuto: prima sondando i fondi e cercando un accordo con loro per mantenere gli attuali vertici societari, poi, visto che non ha avuto risultati, inserendo nel decreto milleproroghe una norma che blocca le modifiche dello statuto di Parmalat fino alla scadenza del concordato (che avverrà nel 2020).

I fondi di investimento non hanno desistito e hanno continuato a formare una “lista” per sostituire l’attuale dirigenza di Parmalat.

A questo punto, il governo si è defilato e le banche hanno provato a cercare dei “cavalieri bianchi”, ovvero degli acquirenti che possano difendere Bondi e la italianità di Parmalat.

E arriviamo alle notizie di questi giorni: Luca Cordero di Montezemolo con il suo fondo Charme sarebbe interessato all’acquisizione, ma solo se entrano altri fondi di investimenti, anche perché, servirebbe almeno 1 milairdo di euro per il 30% della Parmalat (fatti salvi ulteriori obblighi di Opa e quindi altri esborsi di denaro), e il fondo Charme non li ha a causa di perdite pregresse. Le necessità del fondo Charme sarebbero risolte se nella cordata entrassero altri imprenditori e soprattutto Banca Intesa, che preme per fare fondere Parmalat e Granarolo (di cui la banca detiene il 15%), ma quest’ultimo punto, se da un lato favorirebbe Banca Intesa, dall’altro mancherebbe di senso a livello industriale: le due società non sono complementari, operano negli stessi mercati, e dovrebbero, anzi, cedere pezzi dei loro business in Italia a causa dell’antitrust. Quindi una operazione finanziariamente conveniente per i big (non per i piccoli azionisti), ma dalle scarse prospettive industriali. In ogni caso al momento, anche per i tempi risicati (le liste per sostituire il cda devono pervenire entro il 18 marzo), la cordata italiana sembra molto difficile da realizzare.

Nel frattempo è scesa in campo anche una grossissima società brasiliana per acquistare Parmalat, la Lacteos do Brasil, la quale metterebbe a capo della Parmalat, il manager gerardo Bragiotti, e sostiene che manterrebbe due sedi centrali: una in Brasile e una in Italia.

C’è da chiedersi: per quanto tempo manterrebbe queste due sedi centrali? E chi avrebbe realmente il controllo?

Su tutto questo il governo tace. Ma il rischio è che chi compra Parmalat poi assorba la liquidità per i suoi scopi e non certo per il benessere di tutti gli azionisti, ottenendo in tal modo di comprare Parmalat usando gli stessi soldi dell’azienda (tecnica nota come “leveraged buy out”).

Come ho detto, il governo sembra essersi defilato, ma questo silenzio non è accettabile se consideriamo che parliamo di una azienda che fattura oltre 4 miliardi di euro l’anno e garantisce molti posti di lavoro in Italia.

Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Aggiornamento del 7 marzo 2011:

Come previsto, a causa dei tempi risicati, la cordata italiana difficilmente vedrà la luce, infatti il fondo Charme di Luca Cordero di Montezemolo ha deciso di rinunciare, anzi ha affermato in una nota “di non avere allo studio, e di non essere in alcun modo coinvolto, in alcuna ipotesi relativa alla creazione di cordate per acquisire quote di tale società”.

A questo punto restano due contendenti a fronteggiarsi (senza considerare Bondi che ha fatto sapere di non volere schierare una sua lista, ma lasciare la decisione sul suo futuro agli azionisti): i fondi stranieri Zamechi, Mackanzie, Zenit (a cui sembra che si sia aggiunto il fondo Blackrock che detiene il 6% della società), e l’ipotesi prospettata da banca Leonardo di trovare una “combinazione” con la società brasiliana Lacteos do Brasil.

Si vocifera di manovre di Mediobanca e Banca Intesa, ma sembrano voci senza alcun fondamento e soprattutto, senza un piano industriale da proporre.

Fermo restando che le aziende devono essere libere di agire e che non spetta alla politica guidare le aziende, è anche vero che scopo della politica e del Governo è anche quello di disegnare il quadro normativo in cui le aziende si muovono, e soprattutto quello di vigilare nell’interesse di tutti: deigli azionisti (anche di minoranza), dei risparmiatori, dei consumatori e dei lavoratori.

A tal proposito, si continua a registrare la latitanza del Governo.

Aggiornamento dell’11 marzo 2011

Come ormai tutti sanno, Bondi, amministratore delegato di Parmalat, rischia di essere estromesso dalla società. La sua rispsota non è quella di presentare un piano industirale valido che convinca gli azionisti, ma semmai di cercare l’appoggio del governo che lo difenda, magari con qualche nuova interpretazione della legge Marzano.

Il punto per me non è l’italianità, che nel mondo gloablizzato odierno rischia di essere un concetto obsoleto, ma se una azienda ha un percorso di sviluppo. E questo dovrebbe anche essere l’interrogativo principale di un governo serio che abbia una politica economica degna.

Putroppo si registra l’ennesimo caso in cui il governo, se interverrà, lo farà solo tramite spot elettorali senza pensare realmente a cosa sia meglio per i lavoratori e gli azionisti di una azienda.

E su quest’utimo punto credo che sia doveroso affermare che non è vero che gli interessi degli azionsiti e dei lavoratori sono divergenti, ma anzi sono coincidenti, perchè una azienda che si sviluppa, porta lavoro per i lavoratori, e porta valore per gli azionisti.

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