Emilia-Romagna: La scelta dei moderati? Non sarà per Salvini. E lasciate stare Guazza»

postato il 11 Gennaio 2020

Il voto disgiunto? Anche da destra

L’intervista a cura di Francesco Rosano pubblicata sul Corriere della Sera edizione di Bologna

Senatore Pier Ferdinando Casini, dove finiranno i voti dei moderati alle Regionali? L’impressione, sentendo i protagonisti della svolta guazzalochiana del ‘99, è che sia una diaspora.

«Innanzitutto togliamo dal campo una disputa disgustosa, quella sull’interpretazione postuma del pensiero di Guazzaloca».

Chi l’ha avviata secondo lei? L’ex An Enzo Raisi?

«Chi l’ha avviata non mi interessa. Io credo di esser stato la persona più vicina a Giorgio, l’ho accompagnato negli ultimi anni, venivo a Bologna solo per incontrarlo. Non posso accettare lezioni, anche perché nessuno sa come avrebbe votato Guazzaloca. Probabilmente, conoscendo il suo sguardo critico, si sarebbe astenuto. Ma mi sembra poco serio porre certe questioni, come chiedersi cosa avrebbe fatto De Gasperi se fosse vivo».

Resta il fatto che Guazzaloca scese in campo la tradizione degli ex Pci.

«Oggi la condizione è totalmente diversa. Guazzaloca ha abbattuto un santuario comunista, oggi non esiste nulla del genere. Alle Europee la Lega ha avuto due punti più del Pd. Altro che regione rossa, al massimo è “rosina”. Lascerei perdere Guazzaloca, chi gli ha voluto bene ne deve rispettare la memoria senza strumentalizzarla. Detto questo una coalizione a guida Salvini non è moderata. Non lo dico io, lo dice anche una parte consistente di Forza Italia. Salvini ha deciso di non essere un moderato, rispettiamo la sua scelta ma è inutile sostenere il contrario».

E Bonaccini è l’uomo dei moderati? In fondo è l’ultima incarnazione della tradizione che dal Pci al Pd ha governato la Regione.

«L’annotazione è legittima, ma vorrei dire una cosa: Gentiloni, Renzi o Minniti sono lasciti preoccupanti del comunismo o persone che hanno governato in piena sintonia con gran parte del mondo moderato?».

Non ha citato Zingaretti.

«Io parlo di chi ha governato rappresentando gran parte del sentimento moderato. A tal punto da rompere con la tradizione comunista, come ha fatto Renzi».

Insomma, niente test del dna per scegliere da che parte stare.

«Non si può interpretare la politica di oggi con le lenti di venti anni fa, il mondo va da un’altra parte. Bonaccini è stato rispettoso del mondo delle categorie, non ho mai sentito rilievi contro di lui da industriali, commercianti o artigiani. Da moderati bisogna ragionare sui fatti, non per slogan. Rispetto Lucia Borgonzoni, ma ha un’idea diversa da quella che ho io. Credo che molte persone faranno voto disgiunto anche dal centrodestra, per quanto sia una possibilità poco nota: voteranno Bonaccini perché lo ritengono più capace, pur votando un partito di centrodestra. Il vento della destra soffia forte anche in Emilia-Romagna, ma qui c’è un argine. Ed è la stima di cui gode il governatore. Ecco perché questa campagna elettorale è “Bonaccini conto tutti”».

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Libia: noi tagliati fuori, ma non è solo colpa di Di Maio

postato il 10 Gennaio 2020

Non ha senso confrontare i politici di oggi con Fanfani o Andreotti. Il contesto internazionale è cambiato

L’intervista a cura di Lorenzo Bianchi pubblicata su QN – Quotidiano Nazionale

Fayez al Sarraj, il capo del governo di accordo nazionale di Tripoli riconosciuto dall’Onu e appoggiato dalla Turchia e dal Qatar, mercoledì non ha voluto fermarsi a Roma. Oggi ha accettato il cessate il fuoco chiesto da Ankara e dalla Russia a partire da domenica.

«La giornata di mercoledì – annota Pier Ferdinando Casini, presidente dell’Interparlamentare italiana, l’organismo della Camera e del Senato che aderisce all’organizzazione mondiali dei Parlamenti – va divisa fra il folclore e la sostanza. La sostanza purtroppo l’hanno fatta a Istanbul Erdogan e Putin. Hanno riproposto lo schema siriano in Libia, senza però arrivare alle estreme conseguenze».
In che senso?
«Vogliono mettere il cappello sul Paese, a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, con un accordo di spartizione delle sfere di interesse. Amministreranno a loro piacimento i rubinetti della questione energetica e di quella migratori».
Un disastro per l’Italia?
«È esplosivo quello che sta succedendo. Aggiungo, perché bisogna essere onesti e non strumentali, che non accade perché c’è di Maio agli Esteri o Conte a Palazzo Chigi. Entrambi sono in continuità con le difficoltà che abbiamo avuto negli ultimi tempi».
Viene però spontaneo pensare alle personalità politiche della prima Repubblica.
«Paragonare Andreotti a Di Maio o Fanfani a Conte è un esercizio che non voglio fare, diventa una cosa quasi ridicola! Il punto è che bisogna ricordare che il contesto internazionale è completamente diverso. Allora c’erano gli americani che invece oggi, per la questione energetica, si sono ritirati dal Mediterraneo, c’era Gheddafi che riconosceva all’Italia un certo patronage, c’era Ben Alì in Tunisia che era stato insediato da un colpo di stato di fatto teleguidato dagli italiani ossia dai nostri servizi, c’era una leadership algerina più solida e Mubarak, un nostro amico alla guida dell’Egitto».
Ora è tutto cambiato.
«E noi facciamo fatica».
Però mandiamo in giro migliaia di militari.
«Bisognerà spiegare all’opinione pubblica che combattono il terrorismo, che non fanno le crocerossine».
In altre parole possono usare i fucili e i bazooka.
«Certo non sono la Caritas o Sant’Egidio».
L’Italia però continua a escludere l’uso della forza.
«I nostri militari sono all’estero per difendere interessi e per contrastare il terrorismo, non per azioni di filantropia. E debbono farlo con le armi. In certi passaggi è inevitabile l’uso della forza». Torniamo al paragone con il passato.
«È chiaro che la conoscenza della realtà mondiale era del tutto diversa».
Sarraj mercoledì a Roma non si è neppure fermato. Che cosa è successo?
«Il faccia a faccia doveva restare segreto. La pubblicizzazione ha messo in essere una reazione dei tripolini e dei misuratini. Hanno specificato al leader del governo di accordo nazionale che, se fosse andato a Roma, poi non sarebbe più rientrato a Tripoli. Pochi giorni fa sono state uccise decine di reclute militari per mano di Haftar. È chiaro che una sfilata nella capitale italiana era inaccettabile per la maggioranza dei sostenitori di Sarraj. Sono cose evidenti. È stato un atto di imperizia, anche se è falso che il capo del Gna non sapeva che a Roma c’era anche Haftar».

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LIBIA: ITALIA ED EUROPA FANNO SOLO FOLCLORE

postato il 10 Gennaio 2020

Se invece si designasse un inviato dell’Ue, l’Italia potrebbe far valere personalità del calibro di Marco Minniti  

L’intervista a cura di Annalisa Chirico pubblicata su Il Foglio

Senatore Pier Ferdinando Casini, il premier Conte ha combinato un pasticcio diplomatico incontrando sotto i riflettori il generale Haftar mentre Sarraj dava forfait e il ministro degli Esteri Di Maio si sfilava dalla dichiarazione finale al Cairo?
“Per prima cosa dobbiamo distinguere tra chi fa folclore e chi sostanza. Gli incontri con i rappresentanti libici sono stati gestiti in modo sbagliato, l’Italia ha fatto folclore, esattamente come l’Europa, mentre a Istanbul Putin ed Erdogan hanno replicato lo schema siriano sullo scenario libico. Nessuno dei due litiganti ha interesse a far deflagrare il conflitto, così si spartiscono il territorio libico. L’Europa e l’Italia riusciranno forse a ritagliarsi un invito alla cerimonia, niente più”.

La ricerca del colpo mediatico ha spinto Conte sui binari sbagliati?
“Non è neppure ipotizzabile che Sarraj fosse all’oscuro dell’incontro programmato con Haftar. Questi appuntamenti vanno gestiti nell’assoluto riserbo: Haftar andava incontrato presso la caserma di Tor di Quinto, non a Palazzo Chigi. Lo strombazzamento ha irritato Sarraj e la coalizione che lo sostiene. Esiste un’opinione pubblica anche in Libia, e Haftar è l’uomo che, pochi giorni or sono, ha rivendicato l’attacco aereo sull’accademia militare di Tripoli, salvo poi smentire”.

 Di Maio continua a invocare il dialogo, non si sa bene con chi.
“Puoi imporre una mediazione se hai la forza per farlo. L’Italia insiste per una soluzione politica e non militare, una tesi angelica che di fronte a bombardamenti, razzi e morti si mostra di difficile praticabilità. Invece la richiesta di cessate il fuoco da parte di turchi e russi ha sortito un effetto immediato”.

Erdogan ha siglato con Sarraj un “memorandum” che sancisce la penetrazione turca in Libia.
“L’Europa è colpevolmente divisa: la Francia ha flirtato per mesi con il governo di Haftar mentre la comunità internazionale stava formalmente dalla parte opposta. In uno scacchiere internazionale in cui primeggiano Russia, Turchia, Cina, India e Indonesia, è velleitario ritenere che i singoli paesi europei possano avere capacità negoziale, per questo serve un vero sovranismo europeo”.

Con la leadership della cancelliera Merkel al tramonto, il presidente francese Macron avvierà fase nuova? Di sicuro, egli sembra intenzionato a riavvicinarsi alla Russia, mettendo anche in discussione le sanzioni.
“Macron ha dalla sua il peso di una nazione dotata dell’arma atomica e di un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Quello delle sanzioni invece è un terreno minato che richiederebbe una iniziativa europea, non fughe in avanti di singoli paesi”.

L’Occidente e la Russia hanno un nemico comune: il terrorismo islamico.
“L’opinione pubblica italiana non ha consapevolezza della fase che attraversiamo. I Balcani sono infiltrati di foreign fighter, e la politica transalpina di tenere Albania e Macedonia lontano da un approdo europeo rischia di consegnare l’intera area all’influenza di turchi ed emiratini. E’ desolante vedere che i nostri militari all’estero vengano descritti alla stregua di crocerossini o attivisti di Ong”.

Ce l’ha con la retorica antimilitarista?
“Dovremmo essere orgogliosi dell’impegno italiano nel mondo. Di fronte alla minaccia terroristica, abbiamo il dovere di raccontare la verità, anche quella relativa ai rischi connessi alle missioni estere”.

Un inviato speciale in Libia agevolerebbe una soluzione diplomatica?
“Un inviato italiano sarebbe ridicolo: Conte non è in grado di incidere, Di Maio neanche, figurarsi un loro inviato. Se invece si designasse un inviato dell’Ue l’Italia potrebbe far valere personalità del calibro di Marco Minniti. Lo avevo auspicato già prima della nascita del Conte-bis. Mi lasci dire però che la capacità attrattiva dell’esecutivo in carica è talmente limitata che mi sembra più facile che perda pezzi e non che li acquisti”.

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L’Italia si svegli o la Libia è perduta. E adesso l’Europa ritrovi unità

postato il 30 Dicembre 2019

L’intervista di Marco Ventura pubblicata sul Messaggero
«Spero che i ministri degli esteri europei il 7 gennaio vadano in Libia con le idee chiare e non si limitino a una litania di buone intenzioni. Siamo già fuori tempo massimo. L’Europa e l’Italia si sveglino o la Libia è perduta». Lancia l’allarme Pier Ferdinando Casini, presidente del gruppo italiano dell’Unione interparlamentare: «Una escalation militare a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane può avere conseguenze devastanti sul controllo di fenomeni come l’immigrazione clandestina e le potenziali schegge terroristiche che possono partire, come già in passato, dall’Africa del Nord verso l’Europa».
Borrell, Di Maio e gli altri ministri cosa dovrebbero proporre?
«Devono avere un piano chiaro, altrimenti è meglio che restino a casa. Mi auguro però che questa missione sia il segno della volontà unitaria europea di immettere nell’Africa del Nord mezzi finanziari ingenti, allora sì che avrebbe un senso. Perché è vero che bisogna spingere per una soluzione politica e non militare, ma la soluzione politica oggi è nelle mani di Russia e Turchia e c’è il rischio che alla fine tutto si riduca alla spartizione della Libia tra queste due potenze». [Continua a leggere]

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Banche: altra commissione? Partiamo da proposte dell’ultima, finora rimaste lettera morta

postato il 21 Dicembre 2019

L’intervista a cura di Luca Gualtieri, pubblicata su Milano Finanza

Anche se il crack della Popolare di Bari ha riportato il credito al centro dell’agenda politica, oggi non c’è alcun bisogno di una nuova Commissione Banche. Semmai la politica dovrebbe rompere gli indugi e legiferare sulle materie individuate dalla precedente commissione, dalle misure a contrasto delle porte girevoli ai controlli più stringenti sulle competenze dei board. Proposte rimaste finora lettera morta. Pierferdinando Casini ha accolto con forte scetticismo l’iniziativa del nuovo governo e non ha dubbi nel rispedire al mittente le bordate contro Banca d’Italia. «Mi pare di sentire lo stesso spartito suonato due anni fa», taglia corto l’ex presidente della Camera che, tra il 2017 e il 2018, ha presieduto la prima commissione d’inchiesta sulle banche.

Casini, c’è bisogno di una nuova commissione banche in questo momento?

Mi chiedo: questa proliferazione di commissioni di inchiesta ha una qualche utilità per il sistema istituzionale italiano? Evidentemente no, soprattutto perché le commissioni di inchiesta sono uno strumento da maneggiare con estrema cura e rigore: il loro abuso rischia di trasmettere un’immagine distorta dei problemi e quindi di amplificare le crisi. Oggi vedo un uso molto disinvolto dello strumento, spesso piegato dai partiti a pure finalità elettorali in barba al rigore di altri paesi come il Regno Unito.

Le sembra che il caso Popolare di Bari offra qualche elemento di novità rispetto alle crisi esaminate dalla scorsa Commissione?

Questa crisi rispecchia le precedenti per modalità e dinamiche. Semmai la domanda che mi pongo è un’altra: negli ultimi due anni cosa ha fatto la classe politica per tradurre in legge le conclusioni serie e articolate raggiunte dalla precedente Commissione d’inchiesta? Mi pare molto poco. Evidentemente, al di là degli interessi elettoralistici, ai partiti non interessa intervenire per prevenire alla radice l’insorgere delle crisi.

Insomma, le conclusioni della vostra Commissione sono rimaste lettera morta?

Mi pare di sì. L’unico provvedimento preso è stato il protocollo d’intesa tra la Banca d’Italia e la Consob in materia di servizi e attività di investimento e di gestione collettiva del risparmio. Una misura importante, come ha riconosciuto l’ex presidente di Consob Massimo Nava. Sul resto c’è ancora moltissimo da fare per la classe politica.

Eppure la Commissione elaborò molte ipotesi di intervento. Ce ne vuole ricordare alcune?

Le conclusioni sono state molteplici. Tra le principali menzionerei l’attribuzione di maggiori poteri investigativi a Bankitalia, le misure a contrasto delle porte girevoli tra vigilanti e vigilati, i controlli più stringenti sulle competenze dei board, i maggiori presidi sui conflitti di interesse, la nuova fattispecie di truffa ai danni del mercato, la semplificazione dei prospetti informativi, la promozione dell’educazione finanziaria e l’idea di una super procura finanziaria. [Continua a leggere]

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Banche: dannoso fare un’altra commissione d’inchiesta

postato il 16 Dicembre 2019

CASINI

La mia intervista a Enrico Marro pubblicata su Il Corriere della Sera

«Quando sento le cose che dice Di Maio mi preoccupo molto. E a chi brandisce la commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche come un’arma politica mi sento di suggerire le parole che disse Emilio Colombo a Flaminio Piccoli durante una delle notti dei lunghi coltelli della Dc: “Calma, calma, calma”».
Parola di Pier Ferdinando Casini, presidente dell’ultima commissione bicamerale sulle banche, che chiuse i suoi lavori all’inizio del 2018, oltre che memoria storica della politica italiana.

Casini, eletto l’ultima volta come alleato del Pd, è preoccupato perché «non c’è niente di peggio di un uso improprio della commissione d’inchiesta in un sistema bancario e finanziario già fragile», come del resto dimostra l’ultimo commissariamento, quello della Banca popolare di Bari. Così preoccupato da essere convinto che aprire una nuova inchiesta parlamentare «sia dannoso. Non a caso sono stato l’unico a votare contro l’istituzione di questa nuova commissione e votai anche contro quella della quale poi fui eletto presidente».
Nella «mia relazione c’era già tutto», dice: «la critica ai controlli insufficienti, la necessità di affinare i protocolli di collaborazione tra Banca d’Italia e Consob». Quindi, aggiunge Casini, non c’è bisogno di far correre altri rischi «reputazionali» al sistema.
Ma «se proprio la vogliono fare — suggerisce l’ex presidente — allora primo la commissione non va usata per vendette politiche e secondo non può e non deve interferire con le indagini della magistratura». Inutile dire, conclude Casini, che il presidente, che sarà eletto giovedì, dovrebbe essere una personalità «brava, autorevole e capace: un parlamentare di qualità». Quanto ai nomi, non intende suggerirne nessuno, né pronunciarsi su ipotesi vecchie e nuove (Paragone, Lannutti), né dire se debba essere per forza dei 5 Stelle.
«Io, a scanso di equivoci non mi sono fatto mettere in questa nuova commissione. Il presidente l’ho già fatto una volta e mi è bastato».

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«Venezuela, in Italia i due deputati da sei mesi nella nostra ambasciata»

postato il 1 Dicembre 2019

Sono felici di poter abbracciare i propri cari. Sono grato a chi mi ha consentito di tornare con questi miei colleghi da Caracas

L’intervista di Marco Ventura pubblicata sul Messaggero

Passa anche attraverso Pier Ferdinando Casini e la sua missione di dialogo in Venezuela la riapertura di uno spiraglio di mediazione tra il presidente venezuelano in carica, Nicolás Maduro, e l’autoproclamatosi Juan Guaidó, riconosciuto da 57 paesi eppure inchiodato al suo ruolo di presidente di un Parlamento in scadenza. E il segno del dialogo è un successo che Casini, decollato ieri sera da Caracas per Roma, ha centrato con la sua visita da presidente dell’Unione interparlamentare: portare in Italia due deputati con doppia cittadinanza, venezuelana e italiana, che si erano rifugiati l’8 e 9 maggio nella nostra Ambasciata perché accusati di cospirazione e privati dell’immunità. Gli onorevoli Mariela Magallanes e Americo De Grazia, entrambi del movimento Causa R, sono infatti moglie e figlio di italiani, il secondo ferito nell’assedio all’Assemblea nazionale. «Sono parlamentari che conosco da lunga data e che mi stanno a cuore come mi sta a cuore il Venezuela», spiega Casini lasciando Caracas. «Abbiamo condiviso queste ore nell’Ambasciata e li ho visti in uno stato d’animo altalenante: gli piange il cuore a lasciare il Venezuela, ma sono felici di riabbracciare i propri cari che nel frattempo sono andati in Italia. Ci sono momenti nella vita delle persone che non sono uguali agli altri, come non lo sono stati questi sei mesi per loro». [Continua a leggere]

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Casini libera due italiani. Sono oppositori di Maduro

postato il 1 Dicembre 2019

Missione a Caracas per riportare a Roma i deputati rifugiati in Ambasciata. «Rischiavano il carcere, ho mediato col governo e li ho messi in salvo»

L’intervista di Ettore Colombo pubblicata su QN

Dopo tre giorni di incontri politici ad altissimo livello, con tutti i rappresentanti del governo (il presidente Maduro in testa) e dell’opposizione (dal presidente ad interim Guaidò in giù), oggi Pier Ferdinando Casini, presidente dell’Unione interparlamentare italiana, torna in Italia, dal Venezuela, con un successo personale e politico di indubbio rilievo: riporta in Italia due deputati dell’opposizione a Maduro che rischiavano la galera. Si tratta degli onorevoli Mariela Magallanes e Americo De Grazia, entrambi dalla doppia nazionalità italo-venezuelana, cui era stata revocata l’immunità parlamentare dal Tribunale supremo di giustizia perché accusati di «colpo di Stato», quello di Guaidò. I due deputati si erano rifugiati nella residenza dell’Ambasciatore d’Italia di Caracas a maggio ed è stato permesso loro di partire solo grazie all’intervento di Casini. La Magallanes è sposata con un italiano ed ha tre figli: è stata eletta all’Assemblea nazionale per il Movimento ‘Causa R’ ed ha svolto varie indagini sulle violazioni dei diritti umani. De Grazia è figlio di un italiano e deputato di ‘Causa R’: nel 2017, è stato ferito da un’azione dei ‘Colectivos’ (squadre di picchiatori di Maduro) durante l’assedio al Parlamento. [Continua a leggere]

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EMILIA-ROMAGNA: BONACCINI SIA CANDIDATO CIVICO COME FU GUAZZALOCA

postato il 24 Novembre 2019
Sardine? Fiero che l’Italia abbia prodotto un movimento non violento, creativo e propositivo

L’intervista di Silvia Bignami su Repubblica, edizione di Bologna

«Bonaccini deve essere un candidato civico per vincere in Emilia Romagna. Come fu a suo tempo Giorgio Guazzaloca».
Il senatore di Pier Ferdinando Casini consiglia a Stefano Bonaccini di chiudere i partiti in cantina, proprio come fece Guazzaloca con i manifesti elettorali di Silvio Berlusconi nel ‘99. E di usare, per restare in sella, «l’arma più forte che ha, cioè la buona amministrazione».
«Non fare l’alleanza con il M5S potrebbe essere quasi meglio, perché tante volte i voti non si sommano» spiega. Quanto poi alle sardine, «dò loro un consiglio»: «Non esagerino, siano gelosi di quel che hanno fatto sin qui».
Casini, il Pd però è preoccupato. Si può vincere senza i 5 Stelle?
«La storia è piena di contabilità elettorali che dimostrano che tante volte i voti non si sommano. O c’è una convergeza reale, oppure se è un “vorrei ma non posso”, forse è meglio lasciar perdere. Tanto più che non sappiamo quanti voti i grillini riescano a sottrarre al populismo leghista. E senza contare che oggi l’elettorato è estremamente mobile ed emancipato. Non basta fare una alleanza per “trasferire” i voti».
Quindi Bonaccini sta meglio senza pentastellati secondo lei?
«Bonaccini vince se fa il candidato “civico”. Lasci perdere le questioni nazionali e le foto di Narni. La sua unica arma è il fatto che ha governato bene, e che tante categorie, di commercianti, di artigiani, di persone che alle politiche non scelgono la sinistra, sono pronte a votare per lui. Nel ‘99 la sinistra ha pagato il civismo, questa volta invece proprio col civismo si può vincere. Ricordo quando Guazzaloca chiuse in cantina i manifesti di Berlusconi…».
Bonaccini deve chiuderci quelli di Zingaretti?
«Non è un problema di Zingaretti, è che il Pd ha già preso due punti meno della Lega alle Europee. Il Pd in Emilia Romagna è sotto in questo momento, e non si può ragionare come se non ci fosse un pregresso».
Bonaccini sta già facendo una campagna molto in solitaria. Molti lo reputano troppo “renziano”…
«Non è renziano, è civico. E fa benissimo a esserlo. Come ha fatto bene a contestare la plastic tax del governo, che poteva danneggare le imprese, e i tempi in cui è stato proposto lo Ius Soli. Fa bene a ricordare che lui resterà in Emilia, mentre Salvini deve invece dividersi tra 21 regioni. Nel confronto con la Borgonzoni ho apprezzato che abbia tenuto un tono pacato, da “forza tranquilla”, come era la Dc. Del resto, l’Emilia Romagna è una regione conservatrice. Ha conservato il Pci per 50 anni. Ha conservato persino me, che non sono mai stato comunista, ma che sono stato eletto perché rappresento Bologna».
Eppure questa idea di Bonaccini di fare una campagna elettorale solo sui temi amministrativi desta qualche perplessità. La piazza delle sardine è una piazza politica, di valori. Non sarebbe meglio puntare su quelli? [Continua a leggere]
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Emilia Romagna: Bonaccini eviti le foto di Narni

postato il 8 Novembre 2019

Per vincere non gli serve il Movimento

La mia intervista su Il Corriere della Sera

Senatore Casini, si dice che nella sua regione a fine gennaio si giochi la «madre di tutte le battaglie».
«No. La “madre di tutte le battaglie” sono le elezioni politiche. Non c’è niente di più improprio di trasferire sulle elezioni locali significati nazionali. È una malattia italiana».

Ma il voto in Emilia-Romagna, questa volta, sembra un redde rationem.
«Non si vuole capire che questo atteggiamento crea un’instabilità permanente. A questo punto faremmo meglio ad accorpare tutte le elezioni, locali e nazionali, in un solo giorno: chi vince vince. Ed eviteremmo questo stillicidio di un voto ogni sei mesi che sembra sempre decisivo. E non lo è».

Non negherà che se Salvini prevale perfino in Emilia- Romagna il significato è nazionale.
«Alt. Io non dico che sia irrilevante se vince Salvini. Ma è molto più rilevante come agisce il governo. Sono più preoccupato dei litigi, della capacità o meno di affrontare questioni grandi come l’Ilva. Insomma, questo governo sta in piedi se fa bene e non se Salvini vince o perde un’elezione locale».

Il governo vive già adesso forti tensioni
«Non credo che Zingaretti, Di Maio o Renzi, quando hanno deciso di governare, pensassero che sarebbe stato un pranzo di gala. Credo che fosse chiaro a tutti che o finisce la legislatura oppure questo governo non ha ragione di esistere. Insomma, invece di isterismi e fibrillazioni, ci vorrebbero nervi saldi. Se fai politica e non hai i nervi saldi, tanto vale che lasci il campo ai tuoi avversari…».

Ma l’alleanza politica tra il Pd e il M5S, dopo l’Umbria, è già bocciata.
«Io contesto che questo governo debba trasformarsi in un laboratorio del nuovo centrosinistra. Hanno reso l’Umbria un test nazionale e si è visto come è andata. Non si faccia lo stesso con l’Emilia dove i 5 Stelle sono sempre stati antagonisti del Pd. Con che logica, adesso, dovrebbero correre alleati?».

Perché se non si alleano Bonaccini perde.
«Bonaccini può farcela a prescindere. Anzi, le dico di più, ce la fa se non si fa alcuna foto con i leader nazionali, se respinge ogni abbraccio romano, se dice a tutti: grazie, ma state a casa, non venite qui a fare campagna elettorale».

E perché?
«Perché non serve alcuna nuova foto di Narni, anzi. Ci sono settori delle società emiliana che a livello nazionale sono più vicini al centrodestra e che invece voteranno per lui perché ha governato bene, conosce il territorio, le esigenze degli imprenditori, non è vissuto come una sinistra tradizionale. L’elettorato ormai è fluido».

E se invece lo scontro in Emilia diventa la replica di quello che c’è a Roma?
«Se si accetta questo schema, le elezioni sono già perse. Ma io credo invece che Bonaccini, proprio se si tiene lontano da questo schema, ce la farà».

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