Programma Politiche 2022
postato il 28 Agosto 2022
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L’intervista pubblicata sull’edizione di Bologna di La Repubblica a cura di Silvia Bignami
«Certo, non mi ha fatto piacere la reazione di alcuni circoli Pd alla mia candidatura, ma la capisco e la rispetto. È chiaro che una candidatura come quella di Sandra Zampa è molto più parte della storia della sinistra di quel che puó essere la mia. Perché è vero: io ho una storia diversa». Pier Ferdinando Casini, candidato dal Pd nel collegio senatoriale di Bologna contro Vittorio Sgarbi del centrodestra e Marco Lombardo per il Terzo Polo racconta come ha vissuto il disagio di una parte dei militanti Pd sulla sua candidatura a Bologna.
Casini, è passato qualche giorno: cosa direbbe agli iscritti scontenti per la sua corsa col Pd?
«Che li rispetto profondamente, perché conosco la loro passione. Quando nel quartiere Mazzini con la sezione Kennedy organizzavamo le Festa dell’Amicizia, i nostri della Dc chiedevano consigli ai più esperti delle Feste dell’Unità. Eravamo popoli diversi? Forse sì, ma con una passione civile e politica comune. E non è poco».
Peró la reazione di una parte del Pd l’ha ferita.
«Certamente non mi ha fatto piacere, ma ripeto: capisco. Voglio dire, uno come Virginio Merola è la storia di questo partito, io no. È offensivo dirlo?
No, è realistico ed è anche giusto.
Tuttavia proprio per questo io insisto sul valore della diversità, perché non capire il valore della diversità in una coalizione significa precludersi delle possibilità. Diceva Churchill: “La cosa peggiore di avere un alleato fastidioso è non avere alleati”. E se si ritiene questo un momento straordinario, allora avere alleati è logico ed auspicabile».
Il momento è straordinario perché questa destra è pericolosa e neofascista?
«Evocare il rischio fascismo per me è un errore. Difendere la Costituzione invece è doveroso. Intendiamoci: l’elezione diretta del Capo dello Stato è democratica e tante esperienze lo dimostrano, dagli Usa alla Francia. Ma introdurla da noi significa scassare l’unica istituzione che ha dato di sé un’ottima prova. Io voglio continuare ad avere un presidente arbitro, non un giocatore coinvolto nelle risse quotidiane. Non è un caso che tutti gli italiani vedano in Sergio Mattarella un pater familias da cui si sentono rappresentati e garantiti».
Se sarà eletto resterà nel gruppo Pd. E sul Ddl Zan voterebbe a favore?
«Stare in un gruppo parlamentare significa esprimere le proprie opinioni e poi decidere collegialmente coi colleghi. In questa logica ho votato per le unioni civili e a questa logica mi atterrò. Peraltro sui diritti bisogna tener presente anche il tema generazionale. Quando parlo con mia figlia diciottenne dello Zan vedo che sul tema della sessualità ci sono sensibilità diverse. Non c’entra solo la destra e la sinistra, ma anche la generazione cui si appartiene».
Sua figlia sostiene il ddl Zan?
«Assolutamente. Ma d’altra parte io credo che un militante della Festa Pd di 66 anni come me, sarebbe forse più vicino alle mie posizioni. Si tratta anche di retaggi generazionali».
Lei conosce bene Prodi. Vi siete sentiti?
«Con Prodi ci sentiamo spesso e non lo inseguo certo in campagna elettorale. Detesto i candidati “petulanti”. Penso che il tempo abbia collocato Prodi dove merita di stare, cioè tra le grandi personalità italiane ed europee».
Errani dice di evitare di inseguire la destra, e consiglia al Pd di parlare della sua idea di Paese. È d’accordo?
«È una domanda difficile. Vede, io dalla mia prospettiva, conosco solo una parte degli elettori del Pd. E come candidato mi sforzerò di parlare anche con personalità che in passato hanno votato magari per il centrodestra. È mio compito avvicinare quei mondi. Letta invece deve tenere tutto insieme: deve rassicurare gli elettori Pd e aprire ad altri. Oggi il Pd, secondo me, è il partito dell’Italia. Il partito che s’è sacrificato per l’Italia nei momenti difficili: da Monti e Draghi. Sacrifici essenziali per salvare il Paese dal baratro, per me. È il partito che più di tutti coltiva il valore della diversità. E questa è una ricchezza, perché il resto è faziosità. Altrimenti tanto vale chiudersi nella propria parte e rinunciare a vincere.»
La sua candidatura, per effetto del Rosatellum, sarà “gemellata” a quella di Pippo Civati: votando lei si vota Civati e viceversa. Farete iniziative insieme?
«Diciamo che questa legge elettorale strana non l’ho concepita io… Comunque posso avere opinioni diverse da Civati, ma lo stimo. Non lo conosco bene, ma vede quante opportunità fornisce la politica? Ad esempio, io conoscevo Elly Schlein solo superficialmente. Dopo averle parlato a lungo posso dire che ha una marcia in più, e un po’ di esperienza per giudicare ce l’ho. Anche con Civati, dopo il 25 settembre, ci conosceremo meglio».
L’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, a cura di Giuseppe Alberto Falci
Presidente Pier Ferdinando Casini, è la sua seconda volta a Bologna da candidato del centrosinistra al Senato. Ritiene di aver fatto abbastanza per costruire un rapporto con un territorio che conosce bene e che però ha un’identità chiara e diversa dalla sua?
«Questo lo devono dire i bolognesi che mi conoscono da più di 40 anni, che sanno come sono stato sempre presente e attivo nei momenti belli e in quelli brutti della nostra comunità».
Nel 2018 come andò la campagna elettorale? Si ricorda che parlò attorniato da una corona di ritratti del comunismo italiano: Palmiro Togliatti, Antonio Gramsci, Giuseppe Di Vittorio ed Enrico Berlinguer?
«Già alle ultime elezioni fu chiaro che non si trattava e non si tratta di omologare storie diverse, ma di trovarci insieme a difendere alcuni principi. Non possiamo più rimanere prigionieri degli stereotipi di Don Camillo e Peppone, ma nessuno deve vergognarsi del suo passato. Se si è fatta politica con onestà e sentimento, significa aver dato il proprio contributo in buona fede».
Restano critiche da parte dei circoli del Pd. Come replica?
«Con rispetto ma con la convinzione che il risultato farà giustizia di molte amplificazioni giornalistiche».
La sfiderà Vittorio Sgarbi che dice: «Pier Ferdinando viene da un mondo che ora è lo stesso che propone me al suo posto».
«Sgarbi lo conosciamo tutti, può dire ciò che vuole. Per me è solo benvenuto a Bologna».
Con la sua candidatura nel Pd lei è l’unico Dc che rischia di non morire democristiano?
«Non ho capito la domanda».
Per dirla con Totò, si butta a sinistra…
«Per quanto mi riguarda la Dc è stata la mia vita e sono fiero di aver militato in questo partito. Ma la Dc dal 18 gennaio del 1994 non si presenta alle elezioni e lo stesso vale per il vecchio Pci. Per quanto riguarda la mia morte, preferirei parlarne un po’ più avanti». [Continua a leggere]
Il partito di Letta si è mosso con coerenza. Io sarò indipendente. Sì allo Ius soli, è una battaglia di civiltà: lo ripeto da vent’anni. No all’elezione diretta del Presidente: non tiene conto della Carta.
L’intervista a cura di Valerio Baroncini, pubblicata su Quotidiano nazionale.
Pier Ferdinando Casini, a 39 anni dalla prima elezione alla Camera dei deputati si ricandida per il Senato, con il Pd: non si è stancato?
«E’ una domanda che mi hanno fatto i miei figli e che mi faccio anche io tante volte: la politica, comunque, prima che una professione è una passione che non muore mai. E poi aveva ragione quel filosofo greco quando diceva che “le città si difendono con le lance dei giovani e con i consigli degli anziani”. Comunque tutti sono importanti, nessuno è indispensabile».
E a chi dice invece ‘Siamo stanchi di Casini’? I critici ci sono.
«La critica è il sale della democrazia e io non sarò mai tra quei politici che alzano le spalle. Cerco di capire, com’è mio dovere, anche se non condivido. Chi è spaventato di affrontare le critiche è bene che cambi mestiere. Certo, confesso una grande nostalgia per le preferenze, un metodo sicuro per verificare il consenso delle persone».
Perché la conferma di candidarsi ancora insieme con il Pd?
«Ho sostenuto da tempo in Parlamento governi legati al Pd (Letta, Renzi, Gentiloni) e altri in fase diverse, come Draghi, con la mozione di Fiducia presentata fino all’ultimo giorno. Il Pd, ai miei occhi, ha preso la posizione più coerente su tutti i dossier principali: interni, europei e internazionali. E sui conti pubblici ha saputo responsabilmente evitare demagogie. Monti e Draghi sono stati passaggi dolorosi, ma il Pd ha fatto prevalere l’interesse dell’Italia».
E qui viene da pensare alla Costituzione, da giorni al centro del dibattito politico soprattutto quando si evoca la vittoria del centrodestra: Enrico Letta dice che lei servirà a difendere la Carta. Ma la Carta o, a dire meglio, la democrazia è davvero sotto attacco? [Continua a leggere]