postato il 27 Luglio 2017
Il mio intervento al convegno organizzato nell’Aula della Commissione Difesa del Senato, insieme al Presidente del Senato, Pietro Grasso, l’ex Ministro degli Affari esteri Emma Bonino ed il Ministro degli Affari europei della Repubblica francese, Nathalie Loiseau.
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Lo scorso giugno l’Europa ha perduto due alte figure politiche e morali, due personalità differenti ma legate dalle loro convinzioni europeiste, due simboli del Novecento che hanno attraversato diverse stagioni incarnando, ciascuno a proprio modo, la speranza europea: Helmuth Kohl e Simone Veil.
Dopo aver celebrato l’ex cancelliere tedesco oggi siamo qui a ricordare Simone Veil, una donna straordinaria, un esempio di cultura, intelligenza e determinazione protagonista di primissimo piano della politica francese ed europea.
Dall’elezione di De Gaulle a quella di Sarkozy, dal maggio del ’68 al crollo del Muro di Berlino, dai processi di Norimberga alla creazione dello Stato di Israele, Simone Veil è stata senza dubbio uno dei protagonisti di maggior rilievo della storia europea.
Sopravvissuta ad Auschwitz, testimone dell’orrore della Shoah, femminista e protagonista di battaglie per le libertà delle donne, magistrato e più volte ministro, ma soprattutto convinta costruttrice di quel grande e ambizioso progetto che è l’Europa.
Tutta la sua vicenda personale simboleggia la profondità delle radici antifasciste e delle motivazioni democratiche del movimento europeista pur in un contesto politico – come quello del centrodestra francese degli anni Settanta – dove era ancora forte una certa opposizione verso ogni iniziativa volta a rafforzare il carattere sovranazionale dell’integrazione europea. Simone Veil era profondamente convinta che il bene comune europeo dovesse sorpassare gli interessi nazionali e che l’Europa andasse costruita sulla base della riconciliazione, della mutua fiducia, dell’amicizia, in una sorta di destino comune.
Celebrando oggi Simone Veil noi intendiamo anche celebrare la nostra amicizia con la Francia che è nel codice genetico del nostro Paese.
Abbiamo sempre ritenuto – e lo confermiamo oggi – che Francia e Germania siano fondamentali motori dell’unità europea e che il ruolo dell’Italia non possa che essere quello di muoversi in stretta sintonia con loro.
Quando, nel 1979, furono indette le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo, c’era bisogno di una guida autorevole e riconoscibile e di una figura che fosse rappresentativa di quello che l’integrazione europea intendeva essere: una grande impresa di pace, democrazia e progresso.
Con la sua storia decennale di resistenza e impegno per la promozione dei diritti umani e contro l’odio razziale e le discriminazioni di genere, Simone Veil era perfetta per quel ruolo. E sarà proprio lei a diventare il Primo Presidente eletto di quell’Assemblea da radicare e riempire di contenuti. Da quello scranno Veil parlerà senza reticenze, delle difficoltà della costruzione europea, ma anche della ineluttabilità di un simile percorso. Come un orizzonte verso cui tendere ed a cui dedicare impegno, energie e speranze.
Nel discorso pronunciato per la sua investitura, la Veil formulerà in modo chiaro i tre presupposti necessari per il successo del processo d’integrazione, “la competizione che stimola, la cooperazione che rafforza e la solidarietà che unisce“.
“L’Unione dell’Europa mi ha riconciliato con il XX secolo“, scriverà in seguito nella sua biografia ricordando quanto la costruzione dell’Europa fosse la migliore risposta alle violenze e alle umiliazioni dei nazionalismi, i cui segni – quel numero 78651 tatuato sul braccio a memoria e monito – ha voluto rimanessero impressi sulla sua pelle fino alla fine.
Spentasi alla vigilia del suo novantesimo compleanno, Simone Veil ci appare oggi come una personalità complessa, difficilmente inquadrabile nelle categorie abituali della politica, custode della tradizione ma portatrice di modernità, vicina ai deboli e ai perseguitati, ma allergica ad ogni vittimismo.
Una donna forte, insomma, coraggiosa, battagliera e profondamente consapevole del fondamentale ruolo delle donne nella vita pubblica.
A questo proposito, vale la pena di rileggere un ritratto scritto da Altiero Spinelli il 24 ottobre 1979 sul suo diario: “Durante il pranzo osservo la presidente: è una donna tesa, incapace di un gesto di buon umore o di ironia. Non sa quasi sorridere. Questo atteggiamento assertivo ma in fondo consapevole di aver impegnato tutto se stesso senza più riserve nell’asserzione, e perciò impegnato a non distrarsi in alcun modo l’ho incontrato in alcuni uomini ma più spesso in donne politiche. Anche Ursula (Ursula Hirschmann – moglie di Altiero Spinelli) era un po’ così quando faceva politica. Credo che ciò sia dovuto al senso che una donna così impegnata ha di essere su un terreno ancora di fatto ostile. Sente ghignare intorno a sé i maschi, pronti a beffarsi di lei se non è in qualche momento all’altezza della situazione. Mi piace questa volontà concentrata di coraggio“.
Nel giorno della sua scomparsa, il Parlamento europeo l’ha celebrata definendola “la coscienza dell’Europa”.
Di questa coscienza sentiremo la mancanza come uomini e come europei.