postato il 25 Ottobre 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera
Ho un difetto, lo confesso. Mi piace combattere battaglie scomode: ogni qualvolta si creano due fazioni intorno a una questione spinosa, dopo aver verificato la situazione, mi schiero di solito a favore della parte più in difficoltà. Mi siedo quasi sempre dalla parte del torto, visto che tutti gli altri posti sono solitamente occupati, per dirla con Brecht. Difendo le idee, le istituzioni, anche se questo significa difendere uomini e donne che sono molto diversi e distanti da me. È stato così quando si votavano in Parlamento le richieste d’arresto di diversi parlamentari ed è stato così anche quando ho scelto di “difendere” le ragioni di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, che è stato condannato per “diffamazione” per un articolo firmato da un anonimo Dreyfus, su Libero, in cui veniva raccontata la storia di una ragazzina “costretta” ad abortire da un giudice, Giuseppe Cocilovo. Da più parti questo è stato visto come un attacco alla libertà della stampa e anche se, tecnicamente, non ci troviamo di fronte a un “reato d’opinione”, è pur vero che vedere un giornalista (non Alessandro Sallusti in quanto tale, ma un giornalista) finire in galera per un articolo (che non aveva scritto neanche lui, ma di cui aveva la responsabilità oggettiva) fa male al cuore. I principali direttori di quotidiani hanno infatti espresso il loro disappunto e la loro preoccupazione: Ezio Mauro, direttore de La Repubblica: «Non si può andare in galera per un’opinione anzi per il mancato controllo su un’opinione altrui. È una decisione che deve suscitare scandalo»; Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere: «È davvero molto grave che si arrivi ad ipotizzare il carcere per un collega su un cosiddetto reato d’opinione»; Franco Siddi, segretario della FNSI: «È sconvolgente. In questo momento siamo tutti Sallusti».
Com’è abitudine del nostro Paese, in molti – scandalizzati, sinceramente o meno non so – hanno aperto gli occhi e diversi parlamentari (quella categoria di persone, cioè, che dovrebbe promulgare leggi lungimiranti e responsabili, non legiferare sull’onda degli eventi) hanno provato a promulgare una norma per impedire al giornalista Sallusti di essere incarcerato. Solo che, anziché fare bene una (e dico una) cosa, i senatori hanno finito per peggiorare la situazione: perché, in una discussione interminabile e in un gioco di veti e interessi incrociati, la prima bozza partorita era davvero un obbrobrio, addirittura pericolosa per la libertà d’informazione (senza contare i nuovi, immancabili attacchi alla Rete, con l’eterno ritorno dell’obbligo di rettifica). L’accordo (raggiunto attualmente) dovrebbe eliminare il rischio di finire in carcere per chi diffama, ma introduce una sanzione massima di 50 mila euro e un obbligo di rettifica online, per le testate giornalistiche e gli articoli che vi saranno pubblicati. Ora, l’abolizione del carcere è finalmente un’opera di buon senso (avrebbero potuto farlo prima, eh), ma l’obbligo di rettifica e le sanzioni pecuniarie mi lasciano perplesso: come può un soggetto che si ritiene offeso, obbligare un giornalista a rettificare l’informazione che lo riguarda, senza che nessuno verifichi se siamo in presenza o meno di vera diffamazione? In questo modo la libertà d’informare (anche scomodamente) viene meno. E della sanzione di 50 mila euro, che dire? Per i piccoli giornali o gruppi editoriali sarebbe difficile fare fronte a una richiesta simile. Così facendo si introduce un clima da guerra psicologica, che indurrebbe i mezzi di informazione a muoversi con i piedi di piombo e, molto più probabilmente, a non muoversi proprio.
È davvero così difficile, per dei legislatori, trovare una mediazione tra la tutela della libertà della stampa e il rispetto della dignità e dell’onorabilità del protagonista di un’inchiesta giornalista? Io non credo. Però i nostri parlamentari fanno di tutto per convincermi del contrario: fanno di tutto per farmi sloggiare anche da quei pochi posti rimasti disponibili alla tavola del “torto”. Per questo faccio un appello, accorato: salvate il soldato Sallusti, ma non uccidete il giornalismo. Siate all’altezza del compito a cui siete stati chiamati, Parlamentari della Repubblica.