Archivio per Luglio 2012

Numeri chiusi, trasparenza e giustizia

postato il 17 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Ruggero Valori

Le università fino ad un recente passato hanno dato l’impressione di “trattenere” il più possibile e di attrarre i giovani con promozioni agli esami un po’ agevolate ( così le famiglie erano disposte più benevolmente a pagare rette ed a rinsaldare l’economia sommersa o quasi degli affitti universitari dei cd. fuori sede); i professori,ideatori o vittime di questo trend socio economico, si trovarono nella situazione ideale ( contenti o scontenti, volenti o nolenti, coscienti o incoscienti) per poter gonfiare i testi di esame di teorie, di“teorie di teorie”, di” teorie oblique”, di “contro teorie” spesso confusionarie, cervellotiche, lontane dalla realtà ( come per definizione è generalmente astratto dalla realtà l’insegnamento cattedratico) e spesso poco utili per l’inserimento nel mondo del lavoro .Il risultato fu il prolungamento a dismisura dei tempi per concludere gli studi ed anche l’aumento del numero dei laureati che ai giorni nostri si devono confrontare con il fenomeno deprecabile della disoccupazione/sottoccupazione intellettuale e con l’altro effetto indesiderato del lavoro non corrispondente al titolo di studio conseguito.

Le giovani generazioni- oltre a dover subire anni di politiche inadeguate sull’università e sulla cultura in generale- da qualche anno devono fronteggiare su tutti i piani ( economico , psicologico, culturale, nozionistico) la politica restrittiva sull’accesso a molti corsi universitari ( specialmente con le facoltà scientifiche con Medicina in testa). Le università si sono rese conto della deriva dei decenni precedenti e sono corse al riparo ( o almeno lo credono in modo troppo ottimistico) introducendo il numero chiuso ( o programmato) in molte facoltà, una risposta estrema e dannosa alla cultura e per il progresso della Nazione perché ovviamente diminuisce il numero dei soggetti che possono accedere ai saperi strategici, riproduce infelici elìte intellettuali conformate ai meccanismi perversi della corruzione propria dei tempi edonistici che si trasforma in decadente barbarie nonché alimenta nuove asimmetrie culturali ben più pericolose per la vita democratica delle iniquità economiche, le quali ovviamente si possono riparare in poche battute con attenta redistribuzione dei redditi o della ricchezza .

Non possiamo impedire ad un giovane di studiare medicina per un anno perché ha sbagliato un test!

E’ terribile, in chiave di crescita anche solo economica, questa situazione ( chiusura dell’accesso agli studi universitari, politica del numero chiuso ) che tra l’altro potrebbe divenire terreno di proliferazione della corruzione o di traffici di influenze ( forse semplici telefonate!?) da parte di professionisti affermati in determinate branche del sapere e che senza dubbio costituisce ormai da alcuni anni una fraudolenta e insidiosa barriera, di natura elitaria e antidemocratica, contro lo sviluppo economico, culturale e politico del Paese.

Come sarebbe bello che gli studenti potessero conoscere in maniera dettagliatissima – quando si iscrivono all’università- tutte le informazioni più importanti compreso il dato dei laureati che si inseriscono nel mondo del lavoro con quella determinata laurea dopo 1 anno, dopo 2 anni, e così via; costantemente tenuti al corrente sugli sbocchi professionali futuri ed attuali con quel determinato sapere.

Quindi questi problemi dovrebbero essere risolti da un lato con la” dovuta trasparenza” nei confronti degli studenti e delle famiglie e dall’altro con la libertà di iscrizione alla facoltà preferita escludendo così all’origine i tentativi di discriminazione parte delle famiglie più influenti spesso contaminate da un antiumano neotribalismo che postula l’aggregazione di nuove consorterie per combattere coloro che stanno al di fuori di esse .

Sul fronte molto particolare invece dell’ accesso alla professione forense che si connette con” la vocazione al potere del ceto avvocatizio” si assiste ad un aumento in progressione geometrica del numero degli avvocati rispetto al periodo fascista. Comunque non è tanto il numero ” il problemone” ma da un lato ( per le elìte avvocatizie) il desiderio di tutelare in maniera egoistica i proventi del proprio lavoro e dall’altro ( per” il proletariato forense”) di essere in grado di rispondere alle istanze nazionali e internazionali di “ rimodulare la giustizia italiana” che si è inaridita a causa della lentezza dei processi ( si veda la recentissima missione in Italia dal 3 al 6 luglio uu.ss. del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks ).

E’ evidente di per sé che si può affermare : “ben vengano molti avvocati di qualità, personalità e soprattutto diligenti servitori degli “interessi della giustizia”, dove “giustizia” (secondo la nostra tradizione giuridica) vuol dire: ricerca instancabile del vero (l’attuale criterio della miglior scienza esperienza), il rispetto del principio di inoffensività e la capacità di attribuire a ciascuno il suo ( il rispetto della vita dal suo inizio naturale alla sua fine reale, il rispetto degli altri principi non negoziabili consequenziali e di tutti i diritti che rampollano dall’interiorizzazione della norma morale ); invece ora- in ossequio ad un’ arbitraria e anfibolica “doppia fedeltà” alla legge e al cliente- l’avvocatura sembra voler invertire anzi svilire la giustizia e i suoi interessi; invece non c’è interesse del cliente ( e della legge) che sia titolo valido per annichilire la giustizia perché la giustizia e l’interesse del cliente procedono per uno stesso cammino; l’interesse del cliente è e deve essere ricompreso nell’interesse della giustizia( verità, principio di inoffensività e capacità di attribuire a ciascuno il suo)!!!

Quindi il numero è uno sviamento della controversia culturale nel mondo forense, lancinato dallo strapotere della gerontocrazia forense(vera piaga democratica) che come Giano bifronte postula la doppia fedeltà e intanto persegue strategie di avvicinamento al potere politico e di condizionamento del sistema democratico, perché l’unico tema utile e attuale da affrontare è la corrispondenza dell’attività giudiziario- forense agli interessi della giustizia in relazione ai nuovi contesti sovranazionali.

 

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Casini offre un patto a Bersani, «Ma il Pd scelga l’anima riformista»

postato il 16 Luglio 2012

L’intervista pubblicata su ‘QN’
di P.F. De Robertis
ROMA – Casini è il convitato di pietra in qualsiasi discorso che si imbastisce in Transatlantico. Parli con uno del Pd e il discorso finisce sempre lì: «Sì, va bene, ma Casini?». Con quelli del Pdl idem. Il tempo stringe e alla fine una decisione andrà presa. Ma la ri-ri-discesa in campo del Cavaliere e le risse nel Pd confondono di continuo le acque.

Presidente Casini, un’assemblea Pd molto agitata. Influirà sulle vostre scelte?
«Non mi pare una grande novità. Nel Pd sono presenti due anime. Lo si vede sul tema delle coppie omosessuali ma anche quando si parla del sostegno al governo Monti le voci sono diverse».

Inutile chiederle per chi tifa…
«Se prevarrà un Pd riformista ed europeo la sinistra potrà essere utile all’Italia. Se rimarranno aggrappati al radicalismo e al neo populismo di sinistra, perderanno un’occasione storica. Bersani si sta sforzando di tenere insieme il partito. Ma molto resta ancora da fare».

Matrimoni gay e sostegno all’agenda Monti. Su quali di questi due argomenti l’intesa con il Pd è più difficile?
«E’ giusto riconoscere diritti alle coppie conviventi ma per noi è impossibile parlare di matrimoni gay. Su questo non sono previsti cambi di rotta né oggi né domani. Comunque sui temi eticamente sensibili non si creeranno alleanze politiche: i parlamentari devono essere liberi di esprimersi secondo coscienza». [Continua a leggere]

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Una casa per i moderati

postato il 15 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

I moderati sono sotto un cumulo di macerie” commentava Casini ai cronisti lo scorso maggio, venuto a conoscenza dei dati definitivi della tornata delle elezioni amministrative. Tutti ci saremmo aspettati, dopo la catastrofe, pompieri e volontari che, uniti e solidali, avessero lavorato duramente per la ricostruzione. La ricostruzione di una casa per i moderati che nel nostro Paese, soffocato da egoismi di parte e predellini, manca da tempo. I presupposti sembravano buoni: Berlusconi, principale responsabile delle tante divisioni createsi negli anni, fuori di scena; Alfano ben intenzionato a discutere di programmi e progetti, nella veste di responsabile sostenitore di Monti; la Lega disorientata tra inchieste, amnesie e tentativi di rimonte elettorali, pronta a rispolverare la veste populista e incoerentemente antiromana.

Oggi, con il senno di poi, possiamo dire che quei presupposti non solo non hanno portato a scenari migliori, ma sono addirittura peggiorati. Forse non tutti consideravano che, tra i generali consensi alla riunificazione dei moderati, stava segretamente riemergendo Berlusconi. Agli attenti osservatori non è sicuramente risultata inaspettata la notizia di qualche giorno fa della sua possibile ridiscesa in campo. E’ infatti caldeggiata e preparata da tempo, se pensiamo alle dichiarazioni e alle vesti che l’ex-premier ha indossato nei mesi passati: prima di padre nobile del Pdl, pronto a favorire da lontano il progetto del PPE italiano, poi di aspirante candidato alla Presidenza della Repubblica con l’emendamento per il semi-presidenzialismo, poi ancora di esperto statista, pronto ad accettare l’incarico di Ministro dell’Economia in un futuro governo di centro-destra.

Ed intanto il Pdl camminava spedito, mettendo in minoranza i falchi antimontiani e premiando la linea di responsabilità impersonificata dal segretario Alfano. Una linea che venne lanciata con buoni propositi nel luglio scorso, con l’elezione per acclamazione dell’ex guardasigilli alla segreteria, e fu premiata dallo stesso Berlusconi quando, poco prima delle sue dimissioni, disse: “Per la candidatura a leader del centrodestra per le prossime elezioni, Alfano è in pole position. (09/11/11)” Ma si sa, non sono questi gli atteggiamenti che piacciono al Cavaliere, sempre pronto a ritornare in prima linea, convinto di possedere un “quid” che manca ad altri, e a disattendere gli inviti lanciati ai moderati italiani.

Dobbiamo quindi proprio convincerci che quelle macerie resteranno lì? Che il progetto, seppur ambizioso, resterà intentato? Pare proprio di sì, per ora, con un Pdl in evidente sofferenza e senza ancora una direzione. Il ritorno del Cavaliere ha infatti riacceso gli animi e le polemiche, per buona parte messe a tacere, e riaperto scenari e possibilità. E’ Stracquadanio a fare il punto, non nascondendo le perplessità a riguardo: con Berlusconi candidato, o si dovrà puntare alla larga coalizione oppure ci si dovrà adeguare al grillismo, sposando battaglie antieuropeiste e antimontiane. Di fronte a dichiarazioni del genere, non resta che rimanere allibiti. Si torna a pensare al successo elettorale e non al Paese? Non si è imparato nulla dall’esperienza del Governo dei tecnici? E affiorerebbero anche dei dubbi sul reale spirito moderato della formazione di centro destra. Come può un partito che aderisce alpopolarismo europeo avanzare dubbi di tale portata sull’atteggiamento da adottare in campagna elettorale? Se così fosse, si dovrebbero fare serie riflessioni, che porterebbero alla conclusione che per molti il moderatismo è solo questione di facciata, solo una formalità da riproporre all’occorrenza.

E a Lupi, che commenta gli ultimi avvenimenti dicendo: “Bene la candidatura di Berlusconi, con lui si possono ricompattare i moderati.”, vorrei ricordare qualcosa. Quel Berlusconi è lo stesso che giorni fa indeboliva Monti, poco prima di un cruciale vertice europeo, ponendo l’attenzione su un ritorno alla lira. Quel Berlusconi è lo stesso che, pur di ritornare a giocare in attacco, archivia le primarie programmate solo un mese fa e scatena le reazioni indignate della base, come dimostrano i commenti rilasciati su diversi blog di area. Quel Berlusconi è lo stesso che, ricandidandosi, suscita preoccupazione in Europa, come espresso dal portavoce della Merkel, perché – per citare Fini – con lui ritornerebbe “il tempo di promesse solenni, di impegni disattesi dicendo poi che la responsabilità è di qualcun’altro e di palesi conflitti di interessi“.

Insomma, la situazione è complessa. E, se l’unione fa la forza, bisogna essere uniti e non lavorare per la divisione. Magari prendendo anche atto degli ostacoli che non permettono ai moderati italiani di ricompattarsi e affrontare insieme questo difficile momento per il Paese. Altrimenti, dovremo cominciare a pensare di impiegare quei pompieri e quei volontari non alla ricostruzione della casa dei moderati, bensì alla ricostruzione del Paese.

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Cosa serve (davvero) alla Sicilia

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di oggi, ha scritto un articolo durissimo – fin dal titolo, “Il Festival degli sprechi” – sul recente stop di 600 milioni di euro di fondi dall’Ue alla Regione Sicilia. L’analisi è impietosa: dal 2000 al 2006, la Sicilia ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei (il quintuplo dei fondi destinati a tutte le regioni del nord); di questi il 30-40% pare sia gestito dalle mafie. Di 2177 (duemilacentosettasette) progetti finanziati, ne sono stati completati solo 186 (centoottansei): l’8,6% (otto virgola 6 percento). Più di uno spreco, uno scandalo. Per anni in Sicilia sono piovuti miliardi, che invece di trasformare l’Isola in positivo, hanno solo aggravato, peggiorato, portato alla cancrena la situazione. Il centro studi Svimez ha calcolato che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anziché crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento, passando – in modo constante – dal 65,3% al 58,8%.

Cos’è che quindi serve davvero alla Sicilia, per invertire la vergognosa tendenza? Di sicuro, meno soldi. Basta rubinetti aperti che servono solo a ingrassare clientele e a offrire una succulenta moneta di scambio a una classe politica parassita e parassitaria. Serve, poi, meno spesa pubblica, tagli netti alla pletorica e non funzionale macchina amministrativa/burocratica della regione. Serve avere il coraggio di dire basta alle infornate per stabilizzare migliaia di precari ogni anno (perché non è così che si crea lavoro!). Serve, quindi, un netto cambio di rotta: innanzitutto serve – paradossalmente – meno politica: serve cioè più spazio per l’iniziativa privata; in Sicilia i livelli di penetrazione industriali sono bassissimi e le varie aziende che nascono sopravvivono spesso solo grazie a incentivi vari, mentre proprio la stessa burocrazia regionale le strangola lentamente (del resto, ce lo insegnò Hayek: chi possiede tutti i mezzi, stabilisce anche tutti i fini). Viva la concorrenza, viva la libertà di investire, vincere (o fallire) quindi! Bisogna poi recedere in profondità i canali di collegamento tra i politici che spartiscono fondi pubblici per interessi privati. Perché, facendo questo, si assesta anche un colpo mortale alla corruzione e ai mille tentacoli delle piovre mafiose: l’Ue ha bloccato la tranche di 600 milioni di euro, perché non condivideva la sua divisione in mille rivoli – una marea di “misure” e “sottomisure” (gli ambiti di intervento) – tali da rendere sempre più piccoli gli importi ma anche più difficili i controlli.

Qualche tempo fa, il ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca spiegava che il dato che più impensieriva gli organismi internazionali non era il pur spropositato livello della nostra spesa pubblica nazionale, quanto l’improduttività di gran parte dei suoi capitoli: in parole più semplici, l’incapacità della spesa pubblica (che è uno strumento utilissimo, da gestire con molta attenzione) di creare ricchezza. E, provate a indovinare, quali sono le regione che più appesantiscono con le loro cattive performance questo già triste bilancio. In Sicilia, per esempio, la spesa pubblica per le infrastrutture è altissima, ma le infrastrutture non esistono. E i soldi stanziati, che fine fanno? Eh.

Se, come è vero, a Ottobre si tornerà a votare per le elezioni regionali, questi saranno i temi che diventeranno ineludibili. Perché, in un momento di stringente crisi come questo, i rubinetti sono destinati a chiudersi, bruscamente. Questo vuol dire che se arriveremo impreparati a quel momento, continuando magari allegramente a spartire posti e incarichi di sottogoverno, il default sarà assicurato.  La scelta sta a noi. Diciamo basta alla Sicilia-Crono che divora i suoi figli e agli interventi palliativi per pony: diamo avvio a una seria cura da cavallo, per rimettere in sesto la nostra terra.

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Napolitano e Monti ci hanno salvato dalla bancarotta

postato il 14 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Cittadino

Buongiorno, Presidente
la sua linea di appoggio convinto al Governo Monti è sacrosanta in quanto tutti i cittadini di buon senso capiscono che se ci siamo fino ad oggi salvati e non abbiamo fatto la fine della Grecia lo dobbiamo a Napolitano ed a Monti, nonostante gli errori fatti (nessuno è infallibile). E’ giustissimo anche che i partiti si impegnino per il futuro a seguire le linee dell’attuale governo altrimenti torneremo ad avere all’estero credibilià pari a zero. Poi, dato che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, se gli Italiani torneranno a scegliere di essere rappresentati o dai vari venditori di tappeti-bunga bunga o dai no tav, no rigassificatori, no autostrade etc. anzichè da persone preparate e credibili, allora chi è causa del suo mal pianga se stesso. Un cittadino.

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Bentornato Silvio, i moderati stanno da un’altra parte

postato il 14 Luglio 2012

L’intervista pubblicata su ‘Il Messaggero’ di Carlo Fusi
Pier Ferdinando Casini non si tira indietro: «E’ chiaro che la ridiscesa in campo di Berlusconi non farà certo bene all’Italia. Ma ora nessuno ha più alibi». Per i moderati c’è una responsabilità in più: «Il giorno dopo le elezioni politiche l’Italia non è governabile senza una convergenza tra le grandi correnti politiche». E Monti? «Non credo che dopo il 2013 allungherà l’esercito dei senza lavoro».

Presidente, partiamo proprio da qui, dall’azione del governo Monti. Nonostante tutti gli sforzi, lo spread resta altissimo e le agenzie di rating declassano l’Italia. Cos’è che non sta funzionando?
«In mezzo alla tempesta è difficile pensare di navigare in acque placide. C’è una dinamica pesantemente inquinata dalla prevalenza di una finanziarizzazione disinvolta e spregiudicata rispetto a quello che è la produzione di beni e servizi, cioè la funzione nobile dell’imprenditoria. Dinanzi a mutamenti così forti, l’Europa si è fatta trovare impreparata. Questo perché è a metà del guado, è un continente che ha una moneta unica ma non ha condiviso le politiche economiche e fiscali. Continuare così è impossibile, siamo davanti ad un bivio storico».

Questo lo dicono tutti. Ma la soluzione qual è?
«A mio avviso la soluzione è l’Europa federale. Che significa perdere ancora parti della nostra sovranità per definire un comune destino. Devono nascere gli Stati Uniti d’Europa, e devono farlo sui principi della responsabilità e della sussidiarietà. Responsabilità vuol dire che ciascuno deve spendere meglio e meno; solidarietà significa che non si possono abbandonare i Paesi, come il nostro e la Spagna, che si trovano a pagare tassi di interesse insopportabili. Fermo restando che non ci può essere richiesta di solidarietà senza che ci sia un adeguato livello di responsabilità».

Bisogna convincere i mercati. Lo spread…
«È vero che non migliora. Ma è vero anche che non abbiamo la controprova di dove sarebbe oggi se fosse andato avanti Berlusconi con un governo screditato e che per lungo tempo ha negato la crisi. Io sono convinto che saremmo stati travolti né più né meno della Grecia. La cura che è stata intrapresa ha evitato all’Italia di entrare nel girone infernale dei Paesi a sovranità limitata».

Veramente Moody’s in quel girone ci ha già messo, declassandoci.
«Voglio dire una cosa sola: se le agenzie di rating continuano così, tra poco non le prenderà sul serio più nessuno, neanche il mercato. Sono le stesse agenzie che hanno preso topiche micidiali nella valutazione di aziende e realtà che hanno prodotto buchi stratosferici e che oggi declassano l’Italia nel momento in cui tutti gli osservatori internazionali a partire dalla Commissione europea, ci lodano per lo straordinario lavoro di risanamento che stiamo facendo. Tempo fa dissi che le agenzie di rating svolgevano un’azione criminale: non ho cambiato idea».

Dunque ancora con Monti senza se e senza ma. E’ così? [Continua a leggere]

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