Archivio per Ottobre 2011

L’Italia e la vespa: sogno di una favola moderna

postato il 22 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano


Immagino Te, Italia mia, come una Vespa, una di quelle Vespe rosse fiammanti che hanno fatto la storia del nostro Paese nel dopoguerra, quel Paese che cresceva senza sosta, mosso da entusiasmo e voglia di fare, dalla gioia di tornare a vivere. Quella Vespa correva, sfrecciava col vento di cambiamento che investiva l’Europa intera, correva senza fermarsi, neanche davanti ai dossi e alle salite, che allora erano già molto ripide. Correva veloce perché la guidavano mani abili, di persone premurose, che tenevano all’incolumità di quella Vespa rosso fuoco più della loro stessa vita e che per questo, nel loro viaggio in sella a quel veicolo, hanno fatto di tutto per evitare pozzanghere, fango e breccia, per farla sfrecciare senza incidenti.

Purtroppo, però, Paese mio, cara Vespetta, sei stata sfortunata: hai subito troppi passaggi di proprietà. Ben presto gli autisti sono diventati più incauti, si sono divertiti a fare manovre spericolate e, troppo fiduciosi della tua carrozeria, non hanno evitato le buche, che poi sono diventati crateri: ci sono finiti dentro, hanno sfiaccato gli ammortizzatori di quel veicolo che sembrava così forte, così imbattibile. Ma non si sono arresi.

Ti hanno svenduta ai migliori offerenti. Ti hanno svenduta a chi  non aveva neanche la patente per guidarti, a chi aveva promesso di renderti più bella, di ridarti lucentezza e che, invece, ne ha approfittato per portarti attraverso sentieri paludosi, sporchi e maleodoranti, attraverso  “Rione degli Spot” , “Viale del Clientelismo” e  “Via della Corruzione”. Attraverso le strade lerce e pericolose della città più brutta di sempre “MalaPoliticopoli”.

Eppure Tu sei forte, Vespetta-Italia, sei forte. Sei ancora viva, il tuo motore va più lento, perché nessuno l’ha mai ripulito, ma corre ancora. La tua carrozzeria è diventata scura, nera di polvere e di fango, ma sotto quella coltre fumosa si vede ancora il ruggito di quel rosso fiammante. C’è qualche graffio qui è lì, ma sei ancora in piedi. Hai rischiato di cadere, ma sei ancora lì.

Ora, però, quel cavalletto così forte, che ha retto il peso di tanti anni di difficoltà, è stremato. Italia mia, mai come adesso hai bisogno di mani forti che ti tengano ben salda, che ti riportino a correre e sfrecciare, per non lasciarti ancora ferma, col rischio di cadere giù e renderti un rottame da demolire.

E allora, adesso tocca a noi, a noi tutti: riverniciamo insieme la nostra Vespa, il nostro Paese, diamole nuovo lustro. E per farlo ripartiamo dal Sud, da quel Sud che può essere il motore di questa nuovo veicolo. Rimettiamolo in sesto, puliamo il carburatore dalle ortiche che lo ostruiscono e ripartiamo alla velocità della luce. Facciamo urlare ancora quel motore, ascoltiamo insieme il suo boato, corriamo insieme a lei, alla nostra Vespa, col vento tra i capelli. Ripartiamo insieme e, perché no, ripartiamo dal Sud.

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La Borsa della Benzina non vuol dire sviluppo

postato il 21 Ottobre 2011

Mentre il  decreto sviluppo continua ad alimentare le polemiche politiche, tra chi, come gli imprenditori, chiede che la riforma sia varata in fretta, chi si oppone a una legge a costo zero e chi,  premier in testa, fa  notare che le risorse per stimolare la ripresa non ci sono, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha posto il veto su tutte le proposte del collega dello Sviluppo economico, Paolo Romani, bloccando di fatto la riforma. Tuttavia, sono iniziate a circolare nuove indiscrezioni sulla bozza di legge allo studio dell’esecutivo.

Tra le proposte spiccano la creazione di una “Borsa carburanti” e la liberalizzazione delle pompe di benzina.

Sulla borsa carburanti qualche perplessità viene da Mauro Libè, che nel suo blog scrive:

Sembra assurdo ma il decreto sviluppo é pieno di provvedimenti a costo zero ma anche a benefici ridottissimi. l’idea sull’istituzione di una Borsa sulla benzina, invece, rischia di costare e dare risultati pari a zero. Come bene spiega Mario Pezzati i margini di manovra sono vicini allo “zero”. Gli organi di guida e di controllo dei mercati sono utili se possono portare reali benefici ai consumatori. Questa idea del Governo porterà probabilmente benefici solamente ai vertici che dovranno guidarla.

Mario Pezzati, ripreso da Libè, ha infatti ampiamente spiegato che la prossima Borsa carburanti rischia di essere “l’ennesimo ente inutile creato per gettare fumo negli occhi degli italiani per dare l’impressione che il governo voglia combattere il caro benzina”.

Sempre Pezzati ci ricorda che “il prezzo del petrolio incide per meno di 1/3 (ovvero solo per il 30%) sul prezzo della benzina, il resto è dovuto alle accise (imposte varie) che impone il governo italiano e all’iva (al 20%) e al prezzo dei prodotti petroliferi finiti (raffinati)”.

Tornando alle perplessità di Mauro Libè, Roberto Rao, su twitter, rincara la dose:

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Partecipazione, la scommessa per il futuro

postato il 21 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

Il tema della “partecipazione” mi affascina molto da quando, ormai dieci anni fa, frequentando il Master in Analisi Politiche Pubbliche ho avuto la fortuna di conoscere quel filone di studio e di “pratica” della forma di democrazia, definita deliberativa / partecipativa e il suo massimo esponente in Italia, il prof. Luigi Bobbio. A queste teorie e pratiche io mi riferisco quando si parla oggi di partecipazione alle scelte pubbliche, seguendo appunto quanto già sperimentato da tempo negli Stati Uniti (dove questa metodologia è nata) e in molti altri paesi anglosassoni e del Nord Europa, dove di fronte a delle scelte pubbliche, si avviano processi di inclusione dei cittadini e/o dei vari attori portatori di interesse, per arrivare a decisioni più ampiamente dibattute e condivise.

Questo nuovo e maturo “approccio” democratico nella gestione della cosa pubblica, mi pare ancora più utile nel nostro paese per tre motivi: – il crescente movimento di cittadini e comitati frutto della sindrome Nimby (dall’inglese Not In My Back Yard, che significa “Non nel mio cortile”), di fronte ad ogni tipo di opera proposta sul territorio; – una classe politica sempre meno autorevole e all’altezza di guidare democrazie sempre più complesse; – un crescente interesse dei cittadini, specialmente i più giovani che, con la rivoluzione tecnologica godono di un accesso di informazioni molto più elevato rispetto al passato, vogliono sempre più essere protagonisti delle scelte che riguardano il bene comune e la società, anche quando non direttamente “nel proprio giardino”. E’ infatti assodato che nelle nostre democrazie, ogni intervento di un certo impatto economico, ambientale o sociale che sia, provoca scontenti e potenziali “conflitti” sul territorio coinvolto. E se un tempo era relativamente facile assolutizzare l’interesse generale dichiarando, per esempio, una certa opera «di interesse nazionale» e troncare così le possibili opposizioni, liquidandole come espressioni localistiche, particolaristiche o miopi, oggi questa operazione risulta molto più complicata.

Di fronte a tutto questo sicuramente non basta più lo slogan “Sono stato eletto e devo governare!”, così come insufficiente appare l’approccio tradizionale: io Autorità decido una cosa (ad esempio il sito di un impianto di smaltimento dei rifiuti o il passaggio di una autostrada) con criteri tecnici e poi cerco di mostrare la bontà di questa scelta alle comunità locali e ai cittadini. Questi quasi sicuramente daranno vita a comitati che protestano, si oppongono e bloccano l’opera. Da lì si cercherà di negoziare e correre ai ripari, ma ormai è troppo tardi. L’approccio della democrazia partecipativa invece si basa sullo “Svegliar il can che dorme”, cioè non nascondere le criticità di un progetto, coinvolgendo direttamente e fin dall’inizio le comunità locali, gli attori più coinvolti e i cittadini nei criteri di scelta. La regola principe dovrebbe essere: non mettere più la gente di fronte a una soluzione, metterla di fronte al problema, espresso bene da uno studioso del tema con queste parole: “Guardate che il problema in questi casi, non è quello di trovare un sito, come luogo fisico, bensì una comunità che sia disposta ad accoglierlo”.

Questi concetti stanno dentro un principio che dovrebbe essere fondamentale nelle nostre società moderne e cioè che i cittadini che subiscono degli impatti (ambientali, sociali, economici) dovrebbero essere rappresentati nei processi decisionali. “Nessun impatto senza rappresentanza” che, in fondo, è una parafrasi del principio: no taxation without representation, all’origine del parlamentarismo moderno. Anche in Italia ormai dalla fine degli anni ’90 ci sono stati diverse sperimentazioni e applicazioni di queste teorie. E’ la Toscana però la prima regione in Italia e al Mondo che ha deciso addirittura di dotarsi di un’apposita legge, la 69 del 2007. Legge che, attraverso la costituzione di un’Autorità regionale per la partecipazione (indipendente) mira a promuovere sia in generale, sia su tematiche specifiche e locali, il coinvolgimento dei cittadini nelle politiche pubbliche. Io avevo mostrato delle perplessità sulla necessità di un’apposita norma in materia. A distanza di quattro anni e di un bel po’ di esperienze e progetti finanziati dalla legge (86 di fronte a 164 richieste pervenute), si deve però riconoscere che la nostra regione può a buon diritto rivendicare l’esperienza più avanzata in Italia e una delle più avanzate in Europa in questo tipo di “approccio” democratico.

Rimane però un punto critico secondo me molto importante: la pratica partecipativa come l’abbiamo finora intesa non è stata ancora sperimentata in nessun progetto a forte criticità e rilevanza sul territorio. E se è vero che ogni progetto di partecipazione messo in piedi arricchisce comunque il capitale sociale di un territorio e quindi della società, credo che molto della sfida futura della democrazia partecipativa (e della stessa sopravvivenza della legge) si giocherà sulla riuscita applicazione del processo partecipativo su qualche opera importante, anche per superare le evidenti difficoltà, come dicevo prima, della “democrazia rappresentativa”. Che non è e non dovrebbe sentirsi in contrapposizione con questo “nuovo” approccio, visto che quasi sempre è proprio la politica e gli amministratori a rimanere protagonisti, perché sono loro a scegliere, su un certo tema, di dare vita ad un percorso di maggiore inclusione della popolazione.

L’ha capito bene il sindaco di Firenze, Matteo Renzi che, pur avendo un profilo di politico decisionista da “uomo del fare”, con le due edizioni dell’iniziativa “100 luoghi”, ha dato vita contemporaneamente a cento assemblee strutturate per ascoltare e coinvolgere i cittadini, su cento spazi della città da trasformare, immaginare e costruire. Quella di Renzi è un’iniziativa che mette in campo principi e metodi della “partecipazione”, seppure in forma estemporanea (una giornata) e con effetti un po’ da spot (non a caso non è uno dei progetti finanziati dalla legge regionale), ma al confronto con gli altri amministratori, il sindaco di Firenze appare un rivoluzionario. Tornando alla legge regionale sulla partecipazione, credo invece che il percorso intrapreso in questi mesi per la costruzione di una Moschea a Firenze, faccia parte di uno di quei progetti che potrebbero essere di “svolta” sul futuro della legge. Se infatti, come credo, attraverso questo percorso “difficile” si arriverà ad una scelta condivisa, o comunque si avrà una percezione positiva sul cammino intrapreso da parte dei cittadini e di tutti gli attori coinvolti, ci saranno degli innegabili effetti positivi, utili anche per convincere i politici più scettici (quasi tutti, anche coloro che hanno proposto e voluto la legge) ad utilizzare ed investire su questo tipo di metodi democratici. Altrimenti credo che la legge sia a rischio (visto che essendo innovativa, si è data anche una scadenza naturale, il 2012, a meno di nuove scelte legislative) e questo sarebbe una sconfitta. La Moschea allora ci salverà?

 

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Bankitalia: 10 per la nomina di Visco, 4 alla gestione del Governo

postato il 21 Ottobre 2011

La nomina di Ignazio Visco merita un bel 10 , il governo 4 per la gesione. Visco è una persona di grande qualità e affidabilità e valorizza la professionalità dell’istituto. Dovremmo ringraziare tutti Fabrizio Saccomanni e se fossimo un paese serio affidare a lui una autorità di garanzia perché in questa inconsulta battaglia ha dimostrato rigore morale e la serietà di cui abbiamo bisogno.

Pier Ferdinando

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Gheddafi è morto, chi l’ha ossequiato in vita ora sia prudente nei commenti

postato il 20 Ottobre 2011

Gheddafi è morto e  la sua scomparsa non potrà cancellare le sofferenze che ha inflitto a migliaia e migliaia di libici. Consiglio maggiore prudenza nei commenti soprattutto a chi in vita lo ha ossequiato con poco senso della misura.

Pier Ferdinando

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Riconoscimento della LIS, la Sicilia apre la strada.

postato il 20 Ottobre 2011

Per una volta la Sicilia è avanti rispetto al resto del Paese. Così se a Roma il riconoscimento della LIS si è impantanato alla Camera dei deputati, a Palermo l’Assemblea regionale siciliana ha approvato all’unanimità il disegno di legge in favore della diffusione della lingua dei segni italiana (LIS) come lingua propria della comunità degli audiolesi promosso dal deputato dell’Unione di Centro Totò Lentini. Il disegno di legge intende promuovere la lingua dei segni italiana (LIS) come strumento di ausilio e di integrazione delle comunità degli audiolesi e incentivarne l’acquisizione e l’uso, determinando in particolare, mediante un regolamento, emanato dal Presidente della Regione, le modalità di utilizzo della stessa nell’Amministrazione regionale e in ambito scolastico e universitario, nel rispetto delle rispettive autonomie. La normativa proposta mira, piuttosto che riconoscere la LIS come strumento aggregativo e di distinzione di una comunità degli audiolesi – per sua natura assolutamente eterogenea -, a considerare questo linguaggio come uno degli strumenti a disposizione per superare gli ostacoli posti dall’handicap auditivo, nella consapevolezza, peraltro, del pieno diritto di questi soggetti di imparare e scrivere correttamente la lingua italiana. L’obiettivo è, attraverso questa promozione che rivendica di anticipare, nell’ambito della competenza regionale, le determinazioni che assumerà il legislatore nazionale, quello di rimuovere, in ossequio all’articolo 3 della Costituzione, alcuni degli ostacoli che possono limitare il pieno diritto di cittadinanza degli audiolesi, fornendo loro un importante strumento di ausilio. Il ddl sulla “Lingua dei Segni” è dunque un valido strumento di integrazione per le persone audiolese e costituisce, come ha ricordato l’onorevole Lentini, ”il primo di una serie di impegni che l’Udc intende portare avanti per garantire i diritti delle persone con disabilità”.

Adriano Frinchi

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Il difficile rapporto tra politica e archeologia

postato il 20 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Davide Delfino

Fin dai suoi esordi l’archeologia ha potuto contare su forti appoggi da parte della politica e delle ideologie. Si possono citare brevemente: l’incoraggiamento, in funzione nazionalista, di Napoleone III per le antichitá celtiche; l’incentivare, tra il XIX e il XX secolo, scavi nel Vicino Oriente e nell’Egeo da parte di Inghilterra, Francia, Germania e Italia, volto a rafforzare la presenza politica e l’egemonia culturale di questi Paesi; l’interesse dei nazisti per le ricerche della Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe finalizzate a trovare le tracce dell’ancestrale popolo ariano; l’appoggio del governo di Mussolini alle ricerche sulle antichitá romane; il proliferare nell’ Unione Sovietica del dopoguerra delle ricerche sui sistemi di produzione antichi, nell’ottica di dar risalto al lavoro operaio nel corso della storia.

Spesso la ricerca archeologica ebbe, quindi, supporto da parte dei poteri forti perché serviva, direttamente o indirettamente, per degli scopi politici, ideologici, geostrategici. Ora, nel tempo da molti considerato come periodo post ideologico, quale puó essere l’interesse della politca per l’archeologia e lo studio della storia dell’uomo in generale? Bisogna, prima, premettere due punti: 1) in passato le Scienze Archeologiche servirono per finalitá anche di basso profilo etico, basta scorrere alcuni degli esempi citati poc’anzi; 2) si intenderá in questa sede la parola politica non come lotta o dibattito tra partiti, ma nel suo significato piú ampio e genuino, ovvero: politica come comunitá di cittadini responsabili che direttamente o indirettamente prendono parte alla gestione della Stato, o meglio, nel senso aristotelico, “politica come amministrazione dello Stato per il bene di tutti”. (Aristotele: Politica)

Da un recente dibattito su “Politica e Archeologia” occorso durante il recente XVI Congresso dell’ Unione Intrenazionale di Scienze Presistoriche e Protostoriche (U.I.S.P.P.) tenutosi a Florianopolis in Brasile e co-coordinato dallo scrivente assieme a colleghi sud americani, é emerso che la politica, sia intesa come comunitá di cittadini che come Governi, ha bisogno dell’archeologia, soprattutto come motore di aggregazione sociale e di rilancio economico. Un esempio per chiarire. In Portogallo nel 1994 ci fu una forte battaglia civica in difesa delle migliaia di incisioni rupestri nella Valle del fiume Côa: in quell’occasione, quello che poi sarebbe diventato un patrimonio protetto dall’ U.N.E.S.C.O. rischiava di finire sotto le acque di un bacino idrico artificiale in progetto; si mossero comitati civici e singoli cittadini per salvare le incisioni, che risalgono in gran parte a 30.000/15.000 anni fa, e in questo frangente gli archeologi furono un agente determinante e il patrimonio archeologico un potente fattore di aggregazione sociale.

Per le “politiche” di oggi qual’ é l’utilitá dell’ archeologia e degli archeologi? A livello globale, piú strategico, un archeologo ha una visione panoramica su molteplici problemi che i governanti d’oggi si trovano ad affrontare, in quanto egli si dedica ad una disciplina che é multidisciplinare: non fraintendiamo, l’archeologo non é specialista in tutto. Ma lavora a fianco di geologi, antropologi, chimici, fisici, biologi, e anche storici, teorici dell’economia, artisti e talvolta filosofi. Avendo un contatto professionale con questi esponenti di vari discipline, riesce ad avere una panoramica di differenti visioni, approcci e saperi. Per esempio i problemi della gestione delle risorse naturali, oggi cosí attuali nella progressiva desertificazione di molte aree o nella carenza di forme di energia rinnovabili, sono, un motivo molto forte nello studio dei periodi antichi. E non solo usando i metodi che tutti conoscono e legano alla figura di “Indiana Jones”: si lavora bensí anche con la paleobotanica, lo studio dei suoli, l’antropologia, la geografia fisica, l’archeologia della produzione (che implica lo studio dell’uso e della gestione dei materiali). Un altro esempio illuminante é lo studio del paleoclima: non é una novitá per gli archeologi che l’uomo, nel corso della sua storia fin dall’ultima glaciazione (110.000-12.000 anni fa), ha sempre dovuto adattarsi all’ambiente circostante per sopravvivere: innovare le tecnologie che non erano redditize, mantenere quelle che garantivano il massimo risultato con il minimo costo, cambiare stile di vita e, spesso, territorio a seconda delle possibilitá di sopravvivenza.

Queste esperienze di lavoro multidisciplinari e applicate a periodi storici e preistorici, danno all’archeologo la capacitá di avere una visione pluridirezionale, stereoscopica delle cose e, nel contempo, di trasmettere alla comunitá, alla politica odierna, insegnamenti per gestire la”cosa pubblica” traendo spunto dalle scelte, ma anche dagli errori, dei nostri antenati.

In periodi di “crisi” come quello che viviamo ora, é quanto mai importante la gestione territoriale: 1)avere la capacitá di interpretare le necessitá e le potenzialitá nascoste di un territorio conoscendo la sua storia, le attivitá che l’ hanno costruita, le comunitá umane che l’hanno popolato fin dai tempi piú antichi 2) riuscire in base a questa analisi a trovare la soluzione migliore per coordinare delle azioni che possano rilanciare l’economia locale, soprattutto portando persone su quel territorio. Probabilmente in tutto ció la figura di un archeologo puó avere una parte importante e, forse, anche indispensabile

Che cosa puó dare la politica all’ archeologia? Sarebbe troppo banale dire finanziamenti. Forse é piú originale, concreto e fattibile dire: 1)appoggio a livello istituzionale; 2) piú spazio nei luoghi di gestione territoriale; 3)aiutare la visibilitá mediatica non dei novelli “Indiana Jones” degli archeoclub, ma dei professionisti che tutti i giorni lavorano sui cantieri, fanno formazione nelle Universitá (non solo i professori, ma i ricercatori che tengono i corsi senza ricevere un euro), realizzano incontri nazionali ed internazionali dove si dibatte sui grandi temi del passato che interessano anche il presente e il futuro, cercano di valorizzare il patrimonio archeologico e la ricerca sul campo sul territorio ( e con questo indirettamente contribuiscono al rilancio delle piccole economie locali); 4) facilitare un’azione educativa verso le nuove generazioni affinché comprendano che la conoscenza e la curiositá per il passato puó aiutare a gestire meglio il presente e pianificare in modo piú consapevole i futuro.

Infine, per tornare alla storia della disciplina, molti tra i piú noti archeologi ed epigrafisti italiani del “periodo d’oro” delle ricerche ( tra la fine del XIX secolo e gli anni ’20 del XX) sono stati senatori, legati quindi direttamente alla gestione dello Stato: Luigi Pigorini (1842-1925), Paolo Orsi (1859-1935), Domenico Comparetti ( 1835-1927), Giacomo Boni (1859-1925), Angelo Mosso (1846-1910). Ció non significa che l’archeologia italiana debba avere dei propri rappresentanti in Parlamento; ma se chi vi si trova avesse maggiore attenzione per la carenza di visibilitá istituzionale e la potenzialitá che ha l’archeologia e hanno gli archeologi per il futuro del Paese, sicuramente si avrebbe lo stesso un fondamentale contributo.

 

 

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