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La lezione di Simone Weil per ripensare il futuro dei partiti e della politica

postato il 10 Ottobre 2012

di Giuseppe Portonera

“Crisi”, che è diventato il termine caratterizzante del tempo in cui viviamo, ha una chiara valenza negativa: eppure, la sua etimologia ci fa risalire al verbo greco “krino”, che vuol dire “scegliere”; la “crisi”, quindi, è prima di tutto una “scelta”, che in un dato momento storico si è chiamati a compiere. È nei momenti di “crisi”, infatti, che bisogna “scegliere” cosa salvare e cosa buttare, cosa rivoluzionare o cosa conservare: “krino” vuol dire anche “giudicare”. Vivendo noi in un tempo di crisi, dobbiamo essere pronti a compiere delle scelte, consapevoli che si tratta di costruire un mondo nuovo, perché questo non potrà più tornare ad essere quello in cui eravamo abituati a vivere.

 Sono scelte, certo, che non si possono prendere a cuor leggero, ma che vanno meditate e progettate con cura. Un’occasione di confronto e riflessione è stata offerta lunedì scorso dal Centro Studi Cammarata e dall’Associazione Alcide De Gasperi, che hanno organizzato un dibattito sulla crisi dei partiti, sul superamento della partitocrazia e sulla nascita di nuove forme di partecipazione politica, a partire dalla recente ripubblicazione del “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” (Castelvecchi Ed.), opera della filosofa francese Simone Weil. L’incontro è stato organizzato per commemorare il sesto anniversario della scomparsa di mons. Caltaldo Naro, che fu fondatore e direttore per 19 anni del Centro Studi Cammarata, oltre che storico del movimento cattolico tra Otto e Novecento e attento studioso di scienza politica. Relatori erano l’on. Savino Pezzotta (deputato Udc e Presidente della Costituente di Centro), Gianni Notari (gesuita, professore della Facoltà Teologica di Sicilia) e Paolo Liguori (direttore TgCom). I tre si sono confrontati a lungo proprio sull’evidente crisi, di credibilità e progettualità, che ha investito i nostri partiti, e di conseguenza la nostra politica: possibile che avesse davvero ragione la Weil, e che i partiti siano «un male allo stato puro, o quasi?». Le tesi erano diverse, anche se partivano da una comune diagnosi: gli scandali, le polemiche, le rivelazioni degli ultimi giorni che ci vengono dal Lazio, come dal Piemonte, dalla Lombardia o dalla Sicilia, sono la prova – definitiva, certificata – che qualcosa si è rotto. Non si può più parlare solo di “mele marce”: questi non sono più casi isolati, è il contenitore ad essere marcito, ad essere stato infettato e divorato dal malcostume e dalla cattiva politica. I partiti sono quei contenitori: e si deve partire proprio dal curarli, se si vuole frenare l’espansione di questo male letale. Cosa si può fare, dunque? Si deve procedere, prima di tutto, a una seria opera di riforma del concetto stesso di “partito”, mettendo da parte la concezione otto-novecentesca a cui siamo stati abituati e aprendoci invece a nuove forme di impegno politico: perché, come ci insegna anche la lettura del “Manifesto” di Weil, i “partiti” e la “Politica” non sono sinonimi e se pure si può provare a fare a meno dei primi, certo non ci si potrà mai disfare della seconda. Bisogna poi riappropriarsi (come sottolineato da Notari) del senso etico del fare politica: chi sceglie di occuparsi del bene della comunità (unico vero fine dell’uomo politico, sosteneva Weil) deve essere onesto e giusto, non sono accettabili compromessi di sorta. È necessario, poi, recuperare il senso delle istituzioni: per dirla con Pezzotta, i partiti sono un “male” quando tendono a diventare il “tutto”, a espandersi oltre i propri confini, dimenticando il valore di “essere una parte”. Se si correggeranno queste gravissime storture, allora sì che i partiti (o qualsiasi cosa prenderà il loro posto) potranno tornare ad essere il cuore della democrazia, di quel sistema politico, cioè, che ci permette di scegliere come nostri rappresentanti uomini e donne tra i migliori. Se così non dovesse essere, se si continuerà a guardare a questa crisi solo come a una congiuntura momentanea, il risultato non potrà che essere la morte dei partiti (come paventato da Liguori): del resto, André Breton, che firmò la prefazione del volume della Weil, sosteneva che la “soppressione”, o peggio la “messa al bando”, dei partiti sarebbe avvenuta dopo un lungo sforzo di “disinganno collettivo” del popolo. E a guardare le ultime stime elettorali, con il dato degli astenuti e degli incerti in perenne aumento, direi che non siamo molto lontani da una situazione del genere.

Il dibattito è stato foriero di numerosi spunti di riflessione prontamente recepiti, come hanno dimostrato gli interessanti interventi dal pubblico: hanno chiesto e ottenuto la parola esponenti di diverse forze politiche, giovani impegnati, rappresentanti del mondo imprenditoriale locale, operatori nel campo della formazione all’impegno socio-politico. Ciascuno di loro aveva ricette e soluzioni diverse, ma tutte unite da una condivisa sensibilità politica. Che della Politica, intesa come attività sociale e umana, non si possa proprio fare a meno è quindi la prima “scelta” che questo tempo di “crisi” ci impone di compiere. Altre scelte saranno prese, e molte di queste riguarderanno certamente il futuro dei partiti. È a questo proposito che proprio la lettura di Weil ci offre un suggerimento fondamentale: quando e se si tratterà di riformare o rifondare i partiti, bisognerà stare attenti a non dare vita (nuovamente) a «organismi costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della giustizia e della verità», pena la reiterazione di uno stato di crisi da cui, allora, sarà davvero impossibile venire fuori.

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